Astolfo, paladino allegro e balzano, s’impossessa dell’ippogrifo;
con esso e con l’appoggio di san Giovanni Evangelista, sale sulla luna, dove
trova il senno perduto d’Orlando. Infatti sulla luna vanno a finire tutte le
cose labili ed effimere che inseguiamo nella nostra vita e che sono tutte
vanità. E soprattutto lassù c’è il cervello degli uomini, racchiuso in ampolle
con tanto di nome e di cognome. L’unica cosa che manca è la pazzia, poiché essa
dimora stabilmente sulla terra.
69
Quattro destrier via più che fiamma rossi
al giogo il santo evangelista aggiunse;
e poi che con Astolfo rassettossi,
e prese il freno, inverso il ciel li punse.
Ruotando il carro, per l’aria levossi,
e tosto in mezzo il fuoco eterno giunse;
che ’l vecchio fe’ miracolosamente,
che, mentre lo passar, non era ardente.
70
Tutta la sfera varcano del fuoco,
ed indi vanno al regno de la luna.
Veggon per la più parte esser quel loco
come un acciar che non ha macchia alcuna;
e lo trovano uguale, o minor poco
di ciò ch’in questo globo si raguna,
in questo ultimo globo de la terra,
mettendo il mar che la circonda e serra.
71
Quivi ebbe Astolfo doppia meraviglia:
che quel paese appresso era sì grande,
il quale a un picciol tondo rassimiglia
a noi che lo miriam da queste bande;
e ch’aguzzar conviengli ambe le ciglia,
s’indi la terra e ’l mar ch’intorno spande,
discerner vuol; che non avendo luce,
l’imagin lor poco alta si conduce.
72
Altri fiumi, altri laghi, altre campagne
sono là su, che non son qui tra noi;
altri piani, altre valli, altre montagne,
c’han le cittadi, hanno i castelli suoi,
con case de le quai mai le più magne
non vide il paladin prima né poi:
e vi sono ample e solitarie selve,
ove le ninfe ognor cacciano belve.
73
Non stette il duca a ricercar il tutto;
che là non era asceso a quello effetto.
Da l’apostolo santo fu condutto
in un vallon fra due montagne istretto,
ove mirabilmente era ridutto
ciò che si perde o per nostro diffetto,
o per colpa di tempo o di Fortuna:
ciò che si perde qui, là si raguna.
74
Non pur di regni o di ricchezze parlo,
in che la ruota instabile lavora;
ma di quel ch’in poter di tor, di darlo
non ha Fortuna, intender voglio ancora.
Molta fama è là su, che, come tarlo,
il tempo al lungo andar qua giù divora:
là su infiniti prieghi e voti stanno,
che da noi peccatori a Dio si fanno.
75
Le lacrime e i sospiri degli amanti,
l’inutil tempo che si perde a giuoco,
e l’ozio lungo d’uomini ignoranti,
vani disegni che non han mai loco,
i vani desideri sono tanti,
che la più parte ingombran di quel loco:
ciò che in somma qua giù perdesti mai,
là su salendo ritrovar potrai.
76
Passando il paladin per quelle biche,
or di questo or di quel chiede alla guida.
Vide un monte di tumide vesiche,
che dentro parea aver tumulti e grida;
e seppe ch’eran le corone antiche
e degli Assiri e de la terra lida,
e de’ Persi e de’ Greci, che già furo
incliti, ed or n’è quasi il nome oscuro.
77
Ami d'oro e d’argento appresso vede
in una massa, ch’erano quei doni
che si fan con speranza di mercede
ai re, agli avari principi, ai patroni.
Vede in ghirlande ascosi lacci; e chiede,
ed ode che son tutte adulazioni.
Di cicale scoppiate imagine hanno
versi ch’in laude dei signor si fanno.
78
Di nodi d’oro e di gemmati ceppi
vede c’han forma i mal seguiti amori.
V’eran d’aquile artigli; e che fur, seppi,
l’autorità ch’ai suoi danno i signori.
I mantici ch’intorno han pieni i greppi,
sono i fumi dei principi e i favori
che danno un tempo ai ganimedi suoi,
che se ne van col fior degli anni poi.
79
Ruine di cittadi e di castella
stavan con gran tesor quivi sozzopra.
Domanda, e sa che son trattati, e quella
congiura che sì mal par che si cuopra.
Vide serpi con faccia di donzella,
di monetieri e di ladroni l’opra:
poi vide bocce rotte di più sorti,
ch’era il servir de le misere corti.
80
Di versate minestre una gran massa
vede, e domanda al suo dottor ch’importe.
- L’elemosina è (dice) che si lassa
alcun, che fatta sia dopo la morte.
Di vari fiori ad un gran monte passa,
ch’ebbe già buono odore, or putia forte.
Questo era il dono (se però dir lece)
che Costantino al buon Silvestro fece.
81
Vide gran copia di panie con visco,
ch’erano, o donne, le bellezze vostre.
Lungo sarà, se tutte in verso ordisco
le cose che gli fur quivi dimostre;
che dopo mille e mille io non finisco,
e vi son tutte l’occurrenze nostre:
sol la pazzia non v’è poca né assai;
che sta qua giù, né se ne parte mai.
82
Quivi ad alcuni giorni e fatti sui,
ch’egli già avea perduti, si converse;
che se non era interprete con lui,
non discernea le forme lor diverse.
Poi giunse a quel che par sì averlo a nui,
che mai per esso a Dio voti non ferse;
io dico il senno: e n’era quivi un monte,
solo assai più che l’altre cose conte.
83
Era come un liquor suttile e molle,
atto a esalar, se non si tien ben chiuso;
e si vedea raccolto in varie ampolle,
qual più, qual men capace, atte a quell’uso.
Quella è maggior di tutte, in che del folle
signor d’Anglante era il gran senno infuso;
e fu da l’altre conosciuta, quando
avea scritto di fuor: Senno d’Orlando.
84
E così tutte l’altre avean scritto anco
il nome di color di chi fu il senno.
Del suo gran parte vide il duca franco;
ma molto più maravigliar lo fenno
molti ch’egli credea che dramma manco
non dovessero averne, e quivi dénno
chiara notizia che ne tenean poco;
che molta quantità n’era in quel loco.
85
Altri in amar lo perde, altri in onori,
altri in cercar, scorrendo il mar, ricchezze;
altri ne le speranze de’ signori,
altri dietro alle magiche sciocchezze;
altri in gemme, altri in opre di pittori,
ed altri in altro che più d’altro aprezze.
Di sofisti e d’astrologhi raccolto,
e di poeti ancor ve n’era molto.
86
Astolfo tolse il suo; che gliel concesse
lo scrittor de l’oscura Apocalisse.
L’ampolla in ch’era al naso sol si messe,
e par che quello al luogo suo ne gisse:
e che Turpin da indi in qua confesse
ch’Astolfo lungo tempo saggio visse;
ma ch’uno error che fece poi, fu quello
ch’un'altra volta gli levò il cervello.
PARAFRASI:
69
Il santo Evangelista [san Giovanni] aggiunse al giogo
quattro destrieri rossi più d’una fiamma e dopo essersi sistemato con Astolfo
sul carro e aver preso le redini, li spronò verso il cielo: ruotando il carro
si levò per aria e giunse subito in mezzo al fuoco eterno [la sfera del fuoco
che, si credeva, circondasse la Terra], che miracolosamente il Vecchio fece sì
che non fosse ardente, mentre lo attraversavano.
70
Varcano tutta la sfera del fuoco e quindi vanno nel regno
della luna; vedono che quel luogo è per la maggior parte come un acciaio senza
alcuna macchia: e lo trovano uguale o poco meno grande di quanto sia la
superficie di questo globo, questo infimo globo della terra, comprendendovi il
mare che lo circonda e lo racchiude.
71
Qui Astolfo vi ebbe una doppia meraviglia; che quel paese,
che assomiglia a un piccolo tondo a noi che lo guardiamo da questa parte, visto
da vicino era così grande: e gli conviene aguzzare entrambi gli occhi, se vuole
distinguere la terra e il mare che vi si spande attorno; poiché, non avendo
luce propria, la loro immagine non arriva così in alto [La doppia meraviglia di
Astolfo consiste nel fatto che la luna, che a noi sembra piccola, vista da
vicino è enorme e la terra, vista dalla luna, ci appare piccola, tanto da non
distinguere ciò che vi si trova sulla superficie]
72
Ben altri fiumi, altri laghi, altre montagne vi sono lassù,
diversi da quelli che ci sono qui tra noi; altre pianure, altre valli, altre
campagne, piene di città e di propri castelli, con case che mai il paladino ne
vide di più grandi né prima né poi: e vi sono selve ampie e solitarie, dove le
Ninfe cacciano le belve di continuo.
73
Il duca non stette a esplorare tutto quanto, dato che non
era salito lassù con questo scopo. Fu condotto dal santo Apostolo in una valle
stretta tra due montagne, dove era miracolosamente raccolto ciò che noi
perdiamo per colpa nostra, o per colpa del tempo o della Fortuna: ciò che noi
perdiamo qui [sulla Terra], là si raccoglie.
74
Non parlo solo di regni o di ricchezze, sui quali agisce la
ruota instabile [della Fortuna]; ma di ciò che la Fortuna non ha in potere di
togliere o di dare, voglio intendere. Lassù vi è molta fama, che, come un tarlo
il tempo quaggiù divora a lungo andare: lassù stanno infinite preghiere e voti,
che si fanno a Dio da noi peccatori.
75
Le lacrime e i sospiri degli amanti, il tempo inutile che si
perde nel gioco e l’ozio completo in cui vivono gli uomini ignoranti, i vani
progetti che non hanno mai effetto, i vani desideri sono così tanti, che
ingombrano la maggior parte di quel luogo: insomma ciò che quaggiù avessi
perso, potresti ritrovare salendo lassù.
76
Passando il paladino tra quei mucchi, ora di questo ora di
quello chiede alla sua guida. Vide un monte di vesciche gonfie, che sembrava
avesse dentro tumulti e grida; e seppe che erano le antiche corone [regni]
degli Assiri, della Lidia, dei Persiani e dei Greci, che furono famosi un tempo
ed ora il loro nome è quasi sconosciuto.
77
Poi vede in massa ami d’oro e d’argento, che erano quei doni
che si fanno con la speranza di riceverne ricompensa ai re, ai principi avari,
ai protettori. Vede in ghirlande lacci nascosti; e chiede e ode che sono tutte
adulazioni. Hanno l’aspetto di cicale scoppiate [per il troppo cantare] i versi
che si fanno in lode dei signori.
78
Vede che gli amori sfortunati hanno forma di nodi d’oro e di
ceppi gemmati. V’erano artigli d’aquile, che furono, seppi, l’autorità che i
signori concedono ai loro seguaci. I mantici di cui sono pieni i pendii intorno
sono gli onori vani dei principi e i favori che un tempo diedero ai loro
favoriti, che svaniscono poi col fiore degli anni [= con il passar del tempo].
79
Rovine di città e di castelli stavano con grandi tesori qui
sottosopra. Domanda e viene a sapere che sono trattati [violati] e congiure
scoperte. Vide serpenti con volti di fanciulle, che sono l’opera dei falsari di
moneta e dei ladroni: poi vide bocce rotte di diversi tipi, che erano il
servilismo delle misere corti [i signori le gettano via, quando non servono
più, come fanno dei loro cortigiani].
80
Vede una gran massa di minestre rovesciate e domanda alla
sua guida che cosa significa. – È
l’elemosina (dice) che si fa dopo esser morti [Intende le elemosine che si
lasciano per testamento e che risultano inutili, poiché gli eredi non le fanno.
Ma può significare anche le elemosine fatte in punto di morte per paura dell’inferno
e che quindi sono poco meritorie] – Passa accanto a un gran monte di vari
fiori, che aveva un buon odore prima ed ora puzzava assai. Questo era il dono
(se mi è lecito dir così) che Costantino fece al buon Silvestro [si riferisce
alla famosa donazione di Roma fatta dall’imperatore Costantino a papa
Silvestro, da cui ebbe origine il potere temporale dei papi; donazione che al
tempo dell’Ariosto era già risultata falsa].
81
Vide un gran numero di panie con il vischio [= sostanze
vischiose che servivano per catturare gli uccelli] che erano, o donne, le
vostre bellezze. Sarebbe lunga, se volessi mettere in versi le cose che qui gli
furono mostrate; che dopo mille e mille non avrei ancor finito e in pratica vi
è tutto ciò di cui abbiamo bisogno: solo la pazzia non c’è né poca né molta; perché
essa sta tutta quaggiù [sulla Terra] e non se ne va mai via.
82
Qui Astolfo si rivolse ad alcuni giorni e alcune azioni ch’egli
aveva perduto; ma, se non ci fosse stato con lui un interprete [cioè la sua
guida, san Giovanni], lui non li avrebbe riconosciuti date le loro strane
forme. Poi giunse a quella cosa che a tutti noi sembra di possedere, tanto che
mai facciamo voti a Dio per averla; parlo del senno; e qui ce n’era una
montagna, assai più di tutto le altre cose raccontate.
83
Era come un liquore sottile e molle [= leggero e sfuggente],
pronto ad evaporare, se non si tiene ben chiuso; lo si vedeva raccolto in varie
ampolle, alcune più alcune meno capaci, fatte proprio per quell’uso. La maggiore
di tutte è quella nella quale era contenuto il grande senno del folle signore d’Anglante;
e fu riconosciuta in mezzo alle altre, dal momento che fuori vi era scritto:
senno d’Orlando.
84
E anche tutte le altre avevano scritto il nome di coloro di
cui erano state il senno. Il duca valoroso [ma franco potrebbe significare
anche francese, nel senso di “cavaliere di Francia, di Carlo Magno”, poiché
Astolfo era in realtà inglese] vide una gran parte del suo senno; ma ciò che
ancor più gli fece meraviglia, fu vedere che molti che egli credeva che non
dovessero averne nemmeno una piccola quantità di meno, in realtà qui
dimostravano chiaramente di averne assai poco; perché davvero in quel luogo ve
n’era una gran quantità.
85
Alcuni lo perdono nell’amore, altri negli onori, altri nella
ricerca di ricchezze correndo per il mare, altri nelle speranze riposte nei
signori, altri dietro allo sciocche pratiche di magia, altri nelle gemme, altri
nelle opere dei pittori, e altri in tutto ciò d’altro che apprezzino più di
ogni altra cosa. Di sofisti [= filosofi] e di astrologi e di poeti ancora ve n’era
raccolto assai [qui sulla luna].
86
Astolfo prese il suo; che glielo concesse colui che aveva
scritto l’oscura Apocalisse [cioè san Giovanni, autore, appunto, dell’Apocalisse,
l’oscura profezia sulla fine del mondo]. L’ampolla in cui era contenuto si
portò soltanto al naso e pare che quello se ne andasse al suo posto [basta
aspirare il senno contenuto nell’ampolla, perché – sembra – che questo torni
nel cervello]; e pare che Turpino [un monaco dei tempi di Carlo Magno, presunto
autore di una cronaca da cui Ariosto in vari punti del poema dice di aver
ricavato informazioni – ma di solito le più inverosimili] confessi che da qui
in poi Astolfo visse gran tempo saggiamente; ma che un errore che poi fece, fu
quello che gli levò il cervello un’altra volta.
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