BREVE GUIDA ALLA MOSTRA
“ORLANDO FURIOSO 500 ANNI – COSA VEDEVA
ARIOSTO QUANDO CHIUDEVA GLI OCCHI”
FERRARA – PALAZZO DEI DIAMANTI
Tematica 1: L’ANTECEDENTE DEL BOIARDO (Sala 1):
1- Edizione de “Inamoramento de Orlando”,
di Matteo Maria Boiardo (1486/87)
Si tratta del libro a stampa più antico
giunto fino a noi dell’Orlando Innamorato di Matteo Maria Boiardo, da
cui Ariosto partì per raccontare le vicende del suo poema.
2- Ritratto di gentiluomo, di Bartolomeo
Veneto (1510-1515 circa)
Non sappiamo chi sia il gentiluomo
ritratto in questo dipinto. Le sue vesti sono un autentico rebus: il labirinto
sulla veste è metafora delle difficoltà connesse alla conoscenza di sé; i nodi
di Salomone attorno al labirinto rinviano allo stesso significato; la pigna
verde è simbolo di virtù e di resurrezione; la medaglia sul cappello con un
ciuffo di penne bianche e con incisa una scena di naufragio fa riferimento ad
un sonetto di Matteo Maria Boiardo, il quale a sua volta richiama Francesco
Petrarca, che simboleggia l’esperienza sentimentale e poetica.
Anche l’Orlando furioso è un labirinto, in
cui i vari personaggi si smarriscono tra desideri e inganni.
3- Cornice per specchio, di intagliatore
ferrarese (1505-1510 circa)
A sinistra c’è il bene (BONUM)
rappresentato da una donna che fugge da un drago, un falcone, un unicorno, un
leone e un angelo; a destra il male (MALUM) rappresentato da un caprone, un
topo, una scimmia, un lupo e la morte. In basso c’è la Y pitagorica, simbolo
del bivio, la scelta tra il Bene e il Male. In alto una granata, emblema di
Alfonso d’Este.
Tematica 2: LA GIOSTRA E LA BATTAGLIA (Sale 2 e 3):
4- La battaglia di Roncisvalle (ultimo
quarto del XV secolo)
La battaglia di Roncisvalle è avvenuta nel
778 sui Pirenei, dove i Baschi, alleati dei Saraceni, attaccarono e
annientarono la retroguardia dell’esercito di Carlo Magno, comandata dal
paladino Orlando (o Rolando).
Nell’arazzo si vede a destra Orlando che
uccide il re saraceno Marsilio; al centro il paladino Oliviero brandisce la
spada sopra un soldato, che si difende con uno scudo incastonato di gemme; a
sinistra, oltre l’albero, il duca Bevon è a concilio con i Franchi.
Sappiamo che il marchese di Ferrara nel
1436 possedeva tre serie di arazzi raffiguranti battaglie di Pipino il Breve
(padre di Carlo Magno) e forse anche la stessa battaglia di Roncisvalle.
5- Olifante, detto corno d’Orlando (XI
secolo circa)
Gli olifanti (dall’antico francese olifant
= elefante) erano corni in avorio ricavati da zanne d’elefante, capaci di
produrre un suono potente. Tra la fine dell’XI secolo e la fine del XII ne
furono fabbricati molti nell’Italia meridionale. Il termine olifante compare
per la prima volta nel poema cavalleresco La Chanson de Roland (metà del XII
secolo): vi si racconta di come, durante la battaglia di Roncisvalle, Orlando,
pur ferito a morte, ebbe la forza di suonare il suo olifante, per richiamare
indietro Carlo Magno. Il soffio di Orlando fu così forte da spezzare il corno,
che si danneggiò ulteriormente, perché il paladino lo usò per colpire un
soldato saraceno che voleva sottrargli la spada.
L’olifante esposto, proprio a causa dei
danni che evidenzia, viene per tradizione identificato con quello di Orlando,
ma in realtà è stato fabbricato circa tre secoli dopo la battaglia di
Roncisvalle. È decorato con cinque fasce di incisioni a bassorilievo, che
alternano animali reali (leoni, cani, uccelli) a bestie di fantasia (grifone,
sfinge, unicorno); presenta inoltre due vani lisci, su cui scorrevano le
cinghie da trasporto.
Agli olifanti si attribuivano proprietà
sacre, quasi magiche, e ad essi si ispirò l’Ariosto per il corno magico di
Astolfo.
6- Galaad viene in soccorso di Parceval,
del Maestro di Lancelot (ultimo quarto del XIV secolo)
La miniatura che è esposta raffigura una
battaglia tra cavalieri medievali: Galaad è quello con lo scudo con croce rossa
in campo bianco, Parceval quello con lo scudo rosso e dorato. Si notino le orme
degli zoccoli ferrati dei cavalli sul terreno.
Il codice in pergamena si trovava nel 1426
presso la biblio0teca dei Visconti a Pavia; a fine Quattrocento divenne bottino
dei Francesi che conquistarono il ducato. Le 122 miniature che lo illustrano
non furono mai completate.
7- Lastra di sarcofago con amazzonomachia
(220-230 d.C.)
Questa lastra marmorea raffigura 7 Amazzoni
(alcune a cavallo) che affrontano 6 guerrieri nudi.
Nel Rinascimento lastre scultoree come
questa divennero un modello per gli artisti, che avevano preso dagli Umanisti l’interesse
per l’arte dell’Età Antica, in particolare quella greca e latina.
8- Scena di battaglia, di Bertoldo di
Giovanni (1480 circa)
L’artista prese spunto da una cassa
marmorea antica per realizzare quest’opera, scolpita per Lorenzo il Magnifico
come ornamento di un camino. Raffigura uno scontro tra soldati romani e guerrieri
barbari, a piedi o a cavallo. Il soggetto e la raffigurazione dei nudi erano in
gran voga nella Firenze dell’ultimo trentennio del Quattrocento.
9- Battaglia di dieci nudi, di Antonio del
Pollaiolo (1465 circa)
Si tratta di una incisione su rame, che,
oltre al valore artistico, ha una caratteristica particolare: sulla sinistra vi
è una scritta (OPVS / ANTONII POLLA / IOLI FLORENT / TINI), che viene
considerata come la più antica firma di un artista su una stampa (ricorda che l’invenzione
della stampa da parte di Johann Gutenberg è della metà circa del Quattrocento).
10- Scena di battaglia, di Ercole de’
Roberti (1490 circa)
Battaglie come questa appartengono
sicuramente al mondo figurativo quattrocentesco, di cui Ludovico Ariosto si
nutrì e di cui si ricordò per descrivere alcune battaglie nell’Orlando furioso.
11- Battaglia fantastica con cavalli e
elefanti, di Leonardo da Vinci (1515-1518)
Il disegno è volutamente poco visibile: la
battaglia è come avvolta in una gran nube di polvere, accentuata dall’uso della
terra rossa diluita a ricoprire il foglio di carta.
12- Grande elmo con cimiero (metà del XIV
secolo)
Questo grande elmo risulta essere il più
antico ad aver conservato il proprio cimiero; creato per essere usato nelle
giostre, ha la parte sinistra del volto rinforzata poiché da sinistra
arrivavano i colpi dell’avversario. Gli ornamenti spettacolari come le corna di
bufalo di questo elmo, erano inutilizzabili in battaglia, perciò erano fatti
con materiali leggeri e si potevano rimuovere. All’inizio del XVI secolo non
erano più usati in Italia, mentre erano ancora assai popolari in area
germanica.
13- Sella da parata con le armi di Ercole
I d’Este, di artista dell’Italia settentrionale (dopo il 1474)
Questa sella da parata in legno, osso e
cuoio testimonia l’importanza che i temi amoroso-guerreschi avevano presso gli
Este e possono perciò spiegare il celebre inizio del poema ariostesco. Sulla parte
anteriore della sella vi sono gli episodi amorosi (Innamoramento; Innamoramento
corrisposto; Colloquio; Abbraccio), sulla posteriore gli episodi guerreschi
(Ercole che uccide il leone; San Giorgio che uccide il drago, con sotto una
donna che regge una rosa).
14- Le Chevalier délibéré, di Olivier de
la Marche
Silografia con duello tra cavalieri alla
presenza di una dama; la silografia è stata colorata a mano.
15- Armatura da giostra e da battaglia, di
Niccolò Silva (1510-1515 circa)
Questa armatura è stata concepita per
essere usata in battaglia, però alcuni elementi (gli spallacci, il lato
sinistro della gorgiera e l’elmo rinforzato) fanno piuttosto pensare che fosse
destinata all’esercizio sportivo.
È splendidamente forgiata in un metallo
accuratamente polito ed è decorata con motivi incisi e dorati a sottolineare le
bordature, mentre una scena di battaglia è incisa sulla guardastanca (la parte
rialzata dello spallaccio sinistro), che doveva deviare i colpi di lancia
mirata alla gola del combattente. Un’invocazione alla Madonna è ripetuta due
volte in due punti diversi.
La sobrietà di questa armatura contrasta
con le armature dei personaggi ariosteschi, cosparsi di raggi di carbonchio e
carichi di ornamenti.
Tematica 3: LA CORTE SIGNORILE (Sale 4 e 5):
16- Ritratto di Lionello d’Este, di
Antonio di Puccio Pisano detto Pisanello (1441)
Leonello d’Este, signore di Ferrara dal
1441 al 1450, venne ritratto sia dal Pisanello, sia da Jacopo Bellini, chiamati
entrambi per ritrarre a gara il personaggio; Nicolò, padre di Leonello, era l’arbitro
della gara e decretò la vittoria del Bellini. Il dipinto di quest’ultimo è
andato perduto, mentre l’altro è nella mostra di Palazzo dei Diamanti. Il marchese
è ritratto a mezzo busto e di profilo, secondo l’usanza dei ritratti “all’antica”,
e Pisanello sottolinea con grande precisione molti elementi realistici: il
roseto dietro il marchese, il farsetto finemente ricamato, i bottoni argentati,
il volto candido, l’acconciatura “a cappelliera” (folta e all’indietro) che
evidenzia il valore di condottiero di Leonello. Quel taglio di capelli era
infatti usato spesso dagli uomini d’arme per ammortizzare i movimenti degli
elmi.
Nell’Orlando
furioso (canto terzo) l’Ariosto
riconoscerà in Borso, primo duca di Ferrara, il compimento della politica
pacificatrice di Leonello, che gli umanisti avevano salutato come colui che
aveva fatto di Ferrara la dimora delle Muse e aveva dato alla città un periodo
di pace, mentre altrove regnava Marte, dio della guerra.
17- Lettera a Ippolito d’Este, di Isabella
d’Este (3 febbraio 1507)
Questa lettera della marchesa di Mantova
al fratello è la prima notizia che si ha della realizzazione dell’Orlando furioso da parte dell’Ariosto; nella lettera Isabella d’Este scrive
ringraziando il fratello per avergli mandato Ariosto come messo, poiché «mi ha
dato grande soddisfazione avendomi, con la narrazione dell’opera che sta
componendo, fatto passare due giorni non solo senza fastidio, ma con piacere
grandissimo».
18- Tre divinità, di Andrea Mantegna (1495
circa)
I tre personaggi rappresentati sono
probabilmente (da sinistra) Diana, Marte e Venere. Il Mantegna ha usato con
grande abilità grafica i colori per questo disegno: bianco, cremisi e blu. La scelta
dei tre colori ha fatto pensare che il disegno sia stato realizzato su
committenza estense, dato che gli Este avevano il bianco, il rosso e il blu
come colori araldici. Nell’Orlando furioso gli stessi colori sono scelti da
Ruggiero, progenitore della casata, quando affronta il rivale Leone Augusto
(canto 44)
19- Minerva che scaccia i Vizi dal
giardino delle Virtù, di Andrea Mantegna (1497-1502 circa)
Nel giardino una volta abitato dalle Virtù
(che ora si sono rifugiate su una nuvola in cielo), irrompe da sinistra Minerva
che impugna lo scudo e una lancia spezzata. Alle sue spalle, una figura umana
trasformata in alloro alza le braccia al cielo e il cartiglio che la avvolge
invita i compagni delle Virtù a scacciare i Vizi che ora popolano il giardino. Tra
essi si notano un centauro parzialmente immerso nello stagno, che trasporta una
giovane, personificazione della Lussuria, madre di tutti i Vizi; l’Inerzia
trascina il molle Ozio, nudo e senza braccia; una scimmiesca personificazione
di Odio, Frode e Malizia, Sospetto e Gelosia, porta quattro borse contenenti i
semi (“Semina”) del Male (“Mala”), del Peggio (“Peiora”) e del male estremo (“Pessima”);
Avarizia e Ingratitudine sostengono la grassa e coronata Ignoranza.
20- Lira da Braccio, di Giovanni d’Andrea
Veronese (1511)
La lira da braccio era lo strumento più
usato per accompagnare la poesia cantata, tra la fine del Quattrocento e il
Cinquecento. In genere aveva 7 corde, 5 tastate che si suonavano premendo la
tastiera, e due di bordone, esterne alla tastiera stessa. Lo strumento poteva
essere suonato pizzicando le corde, oppure mediante un archetto.
La lira da braccio era molto apprezzata
nelle corti rinascimentali, dove si organizzavano rappresentazioni di poesia
cantata in “stile antico” e spettacoli teatrali, in cui alcuni personaggi (ad
esempio Apollo o Orfeo) comparivano con tale strumento con il quale cantavano
la loro parte. Ma la lira era anche uno strumento di strada e veniva usato da
cantastorie per accompagnare il canto di poesie e anche i versi dell’Orlando furioso, a favore dei passanti che si radunavano al momento.
L’esemplare esposto alla mostra è decorato
con un intaglio che raffigura due busti umani su entrambi i lati e due volti
espressivi sulla cavigliera.
21- Raccolta musicale, di Andrea Antico e
Niccolò De Giudici (1507)
Si tratta di una raccolta che reca uno
strambotto (un breve componimento poetico di origine popolare) a tre voci del Tromboncino
su versi tratti dall’Orlando furioso, un po’ diversi da quelli che
conosciamo.
22- Lucrezia, Bruto e Collatino, di Ercole
de’ Roberti e Giovan Francesco Maineri (1486-1493 circa)
Questo dipinto raffigura la matrona romana
Lucrezia, moglie di Collatino, nel momento in cui si suicida alla presenza del
marito e di Lucio Giunio Bruto, dopo aver confessato la violenza subita da
Sesto Tarquinio. Forse apparteneva alla duchessa Eleonora d’Aragona, figlia del
re di Napoli e moglie di Ercole I, in vece del quale guidò più volte e con
capacità il ducato estense.
23- Re Artù e Faramon giocano a scacchi,
del Maestro del Guiron (1375 circa)
Pagina miniata da un codice che contiene
frammenti di tre romanzi in prosa, commissionata probabilmente da Bernabò
Visconti di Milano. Il miniatore esprime bene l’ideale cavalleresco dell’epoca,
ambientandolo in una corte signorile contemporanea, che in questo modo voleva
rivivere gli ideali espressi nei romanzi di re Artù.
24- Lancelot du Lac (1494)
Grosso volume in pergamena che raccoglie
il romanzo cavalleresco di Lancillotto e altre storie di re Artù e di Carlo
Magno. La rilegatura in marocchino (del 1570 circa) è decorata con motivi
(candelabri, vasi, fogliame, maschere, figure umane e ibridi animali)
incardinati su un asse centrale posato su un personaggio affiancato da due
satiri, il quale sorregge un cesto di frutta da cui fuoriescono dei viticci che
terminano in erme femminili.
25- Tarocchi Sola Busca, di Nicola di
Maestro Antonio e anonimo coloritore (1491)
Il mazzo di tarocchi è l’unico al mondo
risalente al XV secolo di cui si conservano integralmente le quattordici carte
di ciascun seme e le ventidue carte figurate (o “trionfi”). Oltre alla funzione
ludica avevano probabilmente anche una finalità didattica, poiché Cavalieri, Re
e Regine di ogni serie portano i nomi di personaggi classici o biblici, così
come le carte trionfali.
I tarocchi erano molto diffusi e
apprezzati presso le corti rinascimentali, compresa quella ferrarese, tanto che
Ludovico Ariosto in una sua commedia (la Cassaria)
fa dire a un personaggio che i governanti «perdono il tempo a scacchi o sia a
tarocco o a tavole».
26- Libro della ventura, di Lorenzo
Spirito (1500)
Si tratta di un gioco divinatorio, da
farsi con il lancio dei dadi, e che rimanda in maniera piuttosto tortuosa a una
serie di responsi su alcuni aspetti della vita: il matrimonio, la nascita di un
figlio, la malattia, il successo negli affari, la felicità e così via. Ebbe
grandissimo successo nei primi due decenni del Cinquecento (ma anche prima e
dopo).
27- La ruota della fortuna, di Albrecht
Dürer (1499)
Nel 1494 veniva pubblicata un’opera
satirica dell’umanista tedesco Sebastian Brant, intitolata La nave dei folli, che conteneva delle illustrazioni ricavate da
legni incisi dal pittore Albrecht Dürer. L’immagine della ruota della fortuna
che trasforma gli esseri umani in asini era nota all’Ariosto, che ne parlò con
“sgomento” in una sua Satira.
28- Ritratto di Tommaso Inghirami detto
“Fedra”, di Raffaello Sanzio (1510 circa)
Tommaso Inghirami era un poeta e oratore
umanista, amico di Alessandro Farnese, il futuro papa Paolo III. Venne
soprannominato Fedra, perché nel 1486, sedicenne, interpretò il ruolo femminile
di Fedra in una tragedia del poeta latino Seneca: durante una rappresentazione
della tragedia l’impalcatura scenografica cadde rovinosamente e l’Inghirami
seppe trattenere il pubblico, nel gran trambusto che ne era seguito,
improvvisando versi in latino. Da adulto, si occupò di teatro, di apparati
scenici e di sfilate e spettacoli in genere a Roma; l’Ariosto lo conobbe
durante i suoi soggiorni a Roma e lo nominò nell’ultimo canto dell’Orlando
furioso.
Raffaello lo raffigura in questo dipinto
senza omettere le particolarità fisiche del personaggio: la sua corpulenza e il
suo vistoso strabismo. Anzi il pittore, ritraendo l’Inghirami con gli occhi rivolti
verso l’alto, sembra sottolinearne il difetto, ma nello stesso tempo lo carica
di un significato ulteriore, quasi una condizione psicologica che evidenzia
l’ispirazione dell’umanista che è intento a scrivere ciò su cui sta meditando
profondamente.
29- Codice delle Comoediae di Tito Maccio
Plauto (inizi del XVI secolo)
Si tratta di un codice che contiene tutte
le commedie del commediografo romano Plauto, uno dei più importanti della
classicità latina. Venne scritto a mano per proprio uso da Tommaso Inghirami.
30- Scena prospettica, di Donato Bramante
(fine XV – inizio XVI secolo)
Incisione a bulino raffigurante una scena
prospettica teatrale, la più antica tra quelle realizzate nel Rinascimento.
Sembra che Bramante non l’abbia ideata per un vero e proprio spettacolo
teatrale, ma solo come un “capriccio architettonico”, un modo per riflettere
sul tema dello spazio e della sua realizzazione prospettica.
31- Studio di una quinta prospettica per
una scenografia, di Raffaello Sanzio (1518-19)
Il disegno (più deteriorato nella parte
superiore) fu forse realizzato da Raffaello per la rappresentazione nel 1519 a
Roma della commedia di Ariosto intitolata I
Suppositi, che piacque anche al papa Leone X, tanto da spingerlo a
commissionare un’altra commedia per l’anno successivo al ferrarese (ma
l’incarico non andò a buon fine).
Tematica 4: I CAVALIERI (Sala 6):
32- Cavaliere, del Maestro dei Mesi
(1225-1230)
La statua venne scolpita nei primi decenni
del XIII secolo da un anonimo Maestro dei Mesi, per una porta del Duomo di
Ferrara, e faceva parte di una serie con tutti i mesi dell’anno, secondo il
gusto gotico che si era diffuso in Italia con Benedetto Antelami. Ludovico
Ariosto ha sicuramente visto queste sculture e questa, che raffigura un
cavaliere, può aver contribuito alla creazione del suo immaginario in tema di
cavalieri.
La scultura è una delle più raffinate del
ciclo dei Mesi ferrarese: il personaggio raffigurato tiene al braccio un grande
scudo a mandorla con al centro un umbone (una placca che serviva a far rimbalzare
le frecce nemiche) rilevato come una borchia; un mantello gli ricade dalla
spalla; i capelli si raccolgono in un ricciolo sulla nuca; i dettagli anatomici
del cavallo e la vegetazione ai piedi dello stesso sono particolarmente
precisi.
33- San Giorgio, di Cosmè Tura (1460-1465
circa)
La tavoletta faceva parte, probabilmente,
di un lavoro più ampio dipinto per le portelle di un altarolo (cioè un altare
portatile) commissionato da qualcuno degli Este. Rappresenta san Giorgio (uno
dei santi protettori di Ferrara) nell’atto conclusivo della sua vicenda,
quando, appiedato, recide con la spada la testa del drago.
34- Profilo di donna guerriera con elmo,
di Marco Zoppo (1448-1478)
Il disegno raffigura una giovane donna, di
profilo e a mezzo busto, le spalle leggermente ruotate e il braccio tronco,
quasi a dare l’impressione che sia la riproduzione di una scultura
frammentaria. Colpisce l’elmo, particolarmente fantasioso, con la visiera che
sembra un mostro con una coda sporgente che sorregge un nano, la protezione per
la nuca, una voluta sopra l’orecchio che diventa un serpente con una testa
d’uomo.
La donna guerriera era un personaggio di
grande successo nella letteratura rinascimentale: la troviamo nel Morgante di Luigi Pulci, nell’Orlando innamorato del Boiardo e, naturalmente, nell’Orlando furioso
(Bradamante, capostipite della casa d’Este, e Marfisa).
35- Scipione l’Africano, Bottega di Andrea
della Robbia (primi anni del XVI secolo)
Il generale romano Scipione, famoso per
aver sconfitto il cartaginese Annibale, è raffigurato di profilo, vestito di
una fantasiosa armatura, che reca sul petto una testa simile a una Gorgone, un
figura mostruosa della mitologia greca. L’elmo, dal quale partono nastrini
svolazzanti, ha una struttura a conchiglia, con il cimiero a forma di drago,
dalle ali affini allo spallaccio squamato.
36- Iniziale miniata raffigurante il
profilo di un condottiero (settimo decennio del XV secolo)
Anche in questa miniatura, come nella
terracotta invetriata precedente, si vede un guerriero di profilo e molto
fantasioso, con un cimiero in forma di drago con le ali.
37- Ettore a cavallo, di Antonio Averlino
detto Filarete (1456)
Secondo il Boiardo prima e l’Ariosto poi,
i signori di Ferrara discendevano (attraverso Ruggiero) nientemeno che da
Ettore e da suo figlio Astianatte, personaggi omerici; Astianatte, infatti, non
viene ucciso come raccontavano le opere antiche, ma riesce a salvarsi riparando
in Sicilia, da dove generò la propria discendenza, tra cui appunto gli Estensi.
38- Odoberto d’Asburgo, di Albrecht Dürer
(1515-1516)
Il disegno rappresenta un uomo in
armatura, ispirato all’autore dal ritrovamento di una statua in pietra, che
raffigurava un personaggio vestito di corazza.
39- Le battaglie del Danese (1513)
Questa silografia è presente in una
edizione milanese de Le battaglie del
Danese, uno dei poemi cavallereschi più popolari della stagione precedente
all’apparizione dell’Orlando furioso. La silografia ritrae un
guerriero che si riposa dopo una battaglia, appoggiandosi allo scudo: indossa
un lungo corsaletto, non a maglia di ferro, ma a piastre rettangolari.
40- Marte, di Antonio Lombardo (1513-1515
circa)
Questo mezzorilievo marmoreo raffigurante
Marte nudo accanto alle armi e agli abiti militari, fu verosimilmente scolpito
nel secondo decennio del Cinquecento, durante il ducato di Alfonso I.
Questa tempera mette in scena l’episodio tratto dalla Legenda aurea di Jacopo da Varagine, in cui si narra che il drago, che da tempo costringe la città libica di Selene a sacrificargli pecore e giovani estratti a sorte, viene trafitto dal cavaliere Giorgio proprio mentre si appresta a divorare la figlia del re. I tre protagonisti sono in primo piano, di profilo: la principessa assiste alla scena con le mani giunte in atto di preghiera; il drago ad ali spiegate e la bocca spalancata sembra più spaventato che spaventoso, mentre viene trafitto; Giorgio è rivestito dell’armatura, in sella a un cavallo bianco bardato di rosso. L’imponente massa della caverna, tana del drago, separa il primo piano dallo sfondo, con una successione di campi coltivati e un lungo viale che conduce alla città circondata da mura e in parte inerpicata sulla collina. Il dipinto è semplice, i tre personaggi come stilizzati, e tuttavia numerosi sono i simboli allusivi alla vittoria del bene sul male, della luce sulle tenebre.
41- Lesena con trofei, di Agostino Busti
detto Bambaia (1515-1523)
La lesena appartiene al monumento al duca
Gaston de Foix, nipote del re francese Luigi XII, che morì a 23 anni nel 1512
durante la battaglia di Ravenna, che vide fronteggiati da una parte un’alleanza
di cui faceva parte anche Alfonso I con la sua artiglieria, dall’altra la Lega
Santa di papa Giulio II. All’episodio l’Ariosto dedicò alcune ottave dell’Orlando
(canto XIV).
42- Ritratto di guerriero con scudiero
detto “Gattamelata”, di Giorgio da Castelfranco detto Giorgione (1501 circa)
Un giovane condottiero, dalla bellezza
stilizzata e languido nell’espressione (come piaceva alle corti rinascimentali)
sostiene la preziosa elsa del suo spadone, mentre con l’altra mano indica la
celata (il copricapo senza cimiero) in primo piano. Dietro di lui uno scudiero
di profilo regge l’asta dello stendardo e gli porta la “barbozza”, la parte
della celata che serviva a proteggere la parte inferiore del viso. La pittura è
tutta giocata sulla resa luministica, in particolare attraverso i riflessi
sulle armature e la linea sottile sulla mazza in primo piano: probabilmente
questi elementi erano il frutto dei colloqui che Giorgione ebbe con Leonardo,
quando lo incontrò a Venezia nel 1500, a proposito della diversa natura della
luce. Giorgione si era esercitato sul tema nello stesso anno dell’incontro con
Leonardo, producendo la pala di Castelfranco.
43- Giuditta con la testa di Oloferne, di
Vincenzo Catena (1525 circa)
Oltre alle donne guerriere (nobili come
Bradamante o ostili e selvagge come le Amazzoni), nell’immaginario
rinascimentale vi era un’altra figura di donna particolarmente amata: Giuditta,
l’eroina biblica, che, facendo innamorare di sé il nemico assiro Oloferne,
riesce a tagliargli la testa e a permettere agli israeliti di scacciare gli
assiri. Simbolo di virtù e coraggio, di bellezza e di fascino seduttivo,
Giuditta è qui raffigurata di tre quarti e a mezza figura, con la mano destra
sullo spadone e il braccio sinistro sul parapetto in cui giace la testa di
Oloferne (elementi derivati dal Giorgione), mentre la finestra aperta sul
paesaggio rimanda alla lezione belliniana.
44- Spada detta “di Boabdil” (fine del XV
secolo)
Spade come questa vengono dette di
Boabdil, il nome con cui in Europa era noto Maometto XII, l’ultimo emiro di
Granada, conquistata dagli spagnoli nel 1492, lo stesso anno della scoperta
dell’America, 24 anni prima della prima pubblicazione dell’Orlando furioso.
Si tratta di spade a lama dritta, spesso
sontuosamente decorate e con un’elsa particolare: le due estremità del
gavigliano escono dalla bocca di una genetta (un piccolo mammifero maculato) e
scendono parallelamente alla lama. Tali armi evocano quell’aristocrazia
cavalleresca musulmana, che veniva contrapposta a quella cristiana, pur
condividendo con essa gli stessi ideali legati alla corte, al valore e all’onore.
Tematica 5: IL MERAVIGLIOSO (Sale 7 e 8):
45- San Giorgio e il drago, di Paolo di
Dono detto Paolo Uccello (1440 circa)
Questa tempera mette in scena l’episodio tratto dalla Legenda aurea di Jacopo da Varagine, in cui si narra che il drago, che da tempo costringe la città libica di Selene a sacrificargli pecore e giovani estratti a sorte, viene trafitto dal cavaliere Giorgio proprio mentre si appresta a divorare la figlia del re. I tre protagonisti sono in primo piano, di profilo: la principessa assiste alla scena con le mani giunte in atto di preghiera; il drago ad ali spiegate e la bocca spalancata sembra più spaventato che spaventoso, mentre viene trafitto; Giorgio è rivestito dell’armatura, in sella a un cavallo bianco bardato di rosso. L’imponente massa della caverna, tana del drago, separa il primo piano dallo sfondo, con una successione di campi coltivati e un lungo viale che conduce alla città circondata da mura e in parte inerpicata sulla collina. Il dipinto è semplice, i tre personaggi come stilizzati, e tuttavia numerosi sono i simboli allusivi alla vittoria del bene sul male, della luce sulle tenebre.
I temi dell’immaginario ariostesco sono
qui tutti presenti: Giorgio rimanda ai tanti cavalieri del Furioso, il drago alle orribili creature che minacciano cavaliere e
donzelle, la principessa alle figure di Angelica e Olimpia, sottratte alle
fauci di un’orrenda creatura dal salvifico intervento di Ruggiero e di Orlando.
Inoltre la storia del cristiano Giorgio
che converte la pagana Selene salvando la fanciulla dal drago trova
corrispondenza in uno dei temi che fanno da sfondo al poema ariostesco: la
guerra tra l’esercito cristiano di Carlo Magno e quello saraceno di Agramante.
In un paesaggio roccioso, tra il verde de prato e l’azzurro del cielo attraversato da sottilissime nubi dorate, san Giovanni (esiliato nell’isola di Patmos, dove compose l’Apocalisse) sta placidamente sdraiato, con la testa avvolta in un copricapo di foggia orientale a pieghe che richiamano quelle delle rocce circostanti. Un’aquila è appollaiata sul braccio destro del santo e sembra anch’essa immersa nella lettura del libro.
46- Le Livre de Mélusine, di Jean d’Arras
(1478)
Probabilmente Ariosto conosceva il libro
di Jean d’Arras, di cui qui si espone la prima edizione a stampa; alcuni
episodi del Livre de Mélusine hanno delle corrispondenze con il Furioso.
47- Teseo e il Minotauro, del Maestro dei
cassoni Campana (1510-1515 circa)
Il pannello è il terzo di quattro tavole che raccontano il mito di
Teseo, Arianna e il Minotauro: vi si racconta l’arrivo a Creta di Teseo (figlio
del re di Atene) con la nave dei giovani che sono destinati ad essere
sacrificati al Minotauro; il suo incontro con le figlie di Minosse (re di
Creta), Arianna e Fedra, la prima delle quali gli rivela lo stratagemma del
filo per orientarsi nel labirinto in cui vive la creatura mostruosa; la
sconfitta del mostro e la successiva partenza di Teseo da Creta con le due
donne.
Il modo in cui viene raffigurato Teseo,
tutto vestito della sua armatura di tipo moderno (nel senso di cinquecentesco),
fa pensare non tanto a un eroe greco, quanto a un paladino di Carlo Magno come
Orlando, o a un cavaliere della Tavola rotonda come Lancillotto.
In mostra si possono vedere due libri a
stampa di inizio Cinquecento, uno con il poema in ottave l’Innamoramento di Galvano,
di Evangelista Fossa, l’altro (anch’esso in ottave) con il poema Morgante Maggiore di Luigi Pulci. Entrambi
contengono illustrazioni.
50- La liberazione di Andromeda, di Piero
di Cosimo (1510 circa)
Il dipinto illustra la storia (raccontata
dal poeta romano Ovidio nelle Metamorfosi)
di Perseo, figlio di Giove, che dopo aver ucciso l’orribile Medusa, si imbatte
in Andromeda, figlia del re d’Etiopia, che, incatenata a una rupe, sta per
essere sacrificata a un mostro marino; innamoratosi di lei, Perseo sconfigge il
mostro e sposa la fanciulla.
Piero di Cosimo usa tutta la sua
immaginazione (si notino ad esempio gli strumenti musicali, magnifici ma
improbabili) per dipingere questo soggetto, che ha sicuramento ispirato l’Ariosto
per il suo poema: nel canto X con la liberazione di Angelica da parte di
Ruggero, nel canto XI con quella di Olimpia da parte di Orlando. Entrambe le
fanciulle erano state offerte in pasto ad un mostro marino ed entrambe vengono
salvate da un eroe: proprio come in Ovidio.
51- Charta del navicare per le isole
novamente trovate in la parte de l’India (detta del Cantino), di anonimo portoghese (1501-1502)
La carta del Cantino è così denominata da
Alberto Cantino, ambasciatore presso la corte portoghese di ercole I d’Este,
che gliel’aveva richiesta per essere al corrente dei viaggi di esplorazione nel
nuovo mondo. Si tratta, infatti, di uno dei primi documenti che registrano le
scoperte di Colombo dopo i primi tre viaggi (1493, 1493 e 1498) e l’apertura di
una nuova via marittima verso le Indie, effettuata da Vasco da Gama nel 1497. La
costruzione della carta è basata su un sistema di rose dei venti, provenienti
dalla tradizione nautica medievale; due sistemi di rose sono centrati sulle
isole del Capo Verde e sulla penisola del Deccan, e risultano tangenti al
centro dell’Africa, dove è posizionata una complessa ed estremamente decorativa
rosa dei venti, con trentadue direzioni.
Oltre alla perfezione cartografica e al
suo valore storico-scientifico (vi è tracciata anche la “Raya”, la linea di
demarcazione tra l’area di influenza portoghese e quella spagnola, stabilita
nel Trattato di Tordesillas del 1494), il documento è una vera e propria opera
d’arte, con numerosi elementi interessanti: la veduta di Venezia, quella di Gerusalemme,
il “Castello damina” (un fortilizio portoghese nel Golfo di Guinea, costruito
nel 1484), il paesaggio brasiliano con tre pappagalli e uno sfondo di alberi e
acque azzurre (ricorda che la costa brasiliana è stata toccata per la prima
volta nell’aprile del 1500 da Pedro Alvarez Cabral).
La carta è stata disegnata da un anonimo
cartografo portoghese, probabilmente a Lisbona, tra il dicembre 1501 e l’ottobre
1502
Si tratta del primo atlante geografico a
stampa e della prima raccolta di immagini (26 mappe) incise su rame, con il
testo della Geographia dell’astronomo
greco Claudio Tolomeo, che i primi umanisti intitolarono erroneamente Cosmographia. Ne furono stampate 500
copie, di cui solo 26 sono oggi censite.
Tematica 6: ORLANDO IN CAMPO (Sale 9 e 10)
53- Orlando furioso, di Ludovico Ariosto
(1516)
Si tratta di uno dei 12 esemplari
superstiti della prima edizione (1516) dell’Orlando
furioso, quello che si è conservato
meglio (si trova alla British Library di Londra). È naturalmente privo dei 6
canti che Ariosto aggiunse alla stesura definitiva del 1532.
54- Venere pudica, di Alessandro Filipepi
detto Sandro Botticelli e bottega (1485-1490 circa)
Questa Venere è una replica, isolata su
fondo scuro, dell’omonima protagonista della celeberrima Nascita di Venere conservata al Museo degli Uffizi di Firenze. I critici
sono discordi tra chi la ritiene opera prevalentemente di Sandro Botticelli con
interventi di allievi della sua bottega, e chi la considera soprattutto opera
di bottega con qualche intervento del Botticelli.
La Venere botticelliana ebbe un notevole
successo e molte sue copie apparvero nelle case dei fiorentini: anche contro di
esse (dato il soggetto profano se non proprio lascivo) si scagliò il frate ferrarese
Girolamo Savonarola alla fine del Quattrocento, che a Firenze predicò la
penitenza e la lotta contro la corruzione e il vizio; finì con l’essere
scomunicato e bruciato su un rogo nel 1498.
Quando Botticelli dipingeva queste donne
nude, mascherandole da divinità antiche, Ariosto era ancora un fanciullo;
quando il poeta era adulto, la pittura aveva già trovato una nuova sensualità.
55- Elmo corinzio (seconda metà del VI
secolo a.C.)
Si tratta di un elmo in bronzo fuso,
variamente decorato e originariamente anche con la calotta rivestita di
tessuto; proviene dalla Puglia meridionale e probabilmente è appartenuto a un
esponente del ceto guerriero aristocratico.
56- Tragoediae, di Lucio Anneo Seneca (XIV
secolo)
Nel manoscritto presente alla mostra con
le tragedie del poeta Seneca, si vede una miniatura raffigurante la messa in
scena in un teatro antico di forma semicircolare della tragedia Hercules furens (Ercole furioso). L’Ercole
senecano riecheggia nell’impazzimento di Orlando raccontato da Ariosto.
57- Figura maschile in piedi che lacera un
cartiglio, di Giuliano Giamberti detto Giuliano da Sangallo (1510 circa)
Il disegno rappresenta un uomo anziano,
con barba e baffi fluenti, rivestito in parte d’un mantello, nell’atto di
stracciare con entrambe le mani un cartiglio, mentre ai suoi piedi giace un
libro aperto ma rovesciato.
58- Orlando furioso, di Ludovico Ariosto
(1526)
In questa edizione popolareggiante del
1526 dell’Orlando furioso, stampata a Venezia, si trova (caso unico) una
silografia grossolana divisa in 4 scomparti con il momento dell’impazzimento di
Orlando (canto XXIII).
59- San Giovanni a Patmos, di Cosmè Tura
(1470-1475 circa)
In un paesaggio roccioso, tra il verde de prato e l’azzurro del cielo attraversato da sottilissime nubi dorate, san Giovanni (esiliato nell’isola di Patmos, dove compose l’Apocalisse) sta placidamente sdraiato, con la testa avvolta in un copricapo di foggia orientale a pieghe che richiamano quelle delle rocce circostanti. Un’aquila è appollaiata sul braccio destro del santo e sembra anch’essa immersa nella lettura del libro.
Il dipinto evoca un passo dell’Orlando furioso (canto XXXIV), quello dell’incontro nel Paradiso terrestre
tra Astolfo e l’evangelista, immaginato come un vegliardo vestito di rosso e di
bianco, bianchi i capelli, bianca la folta barba, che guiderà Astolfo sulla
luna per recuperare il senno di Orlando impazzito. Sulla luna, infatti, va a
finire tutto ciò che si perde qui sulla terra, per nostro difetto, o per colpa
di tempo, o di Fortuna.
60- Dante e Virgilio scendono verso le
Malebolge in groppa a Gerione, del Maestro delle Vitae Imperatorum (1440 circa)
Si tratta di un commento all’Inferno di
Dante in pergamena e con oltre 100 miniature, appartenuto al duca di Milano
Filippo Maria Visconti. Nella miniatura visibile alla mostra Dante e Virgilio
scendono in groppa al diavolo Gerione lungo il burrone che li porterà a
Melbolge, allontanandosi dagli usurai seduti sul sabbione arroventato e
sferzati da una pioggia di fuoco. Tra i dannati si vede (con al collo una borsa
con una scrofa azzurra) Reginaldo Scrovegni, padre di Enrico (il committente
della Cappella degli Scrovegni a Padova) e noto all’epoca proprio perché
praticava l’usura.
61- Globo dell’obelisco vaticano (prima
metà del I secolo d.C.)
A rappresentare il famoso viaggio sulla
Luna di Astolfo, i curatori della mostra hanno scelto questo globo in bronzo
dorato, databile al I secolo a.C., che è stato per secoli sulla sommità dell’obelisco
fatto trasportare a Roma da Caligola. Era considerato nel Medioevo la tomba di
Giulio Cesare. Nel 1586 l’obelisco venne traslato dove si trova ancor oggi,
cioè al centro di Piazza San Pietro, con una croce al posto della sfera. Questa
ha sulla superficie numerose ammaccature, dovute ai colpi sparati dagli
archibugi dei lanzichenecchi quando saccheggiarono Roma nel 1527. L’Ariosto l’ha
sicuramente visto negli anni dei suoi soggiorni romani.
Per Ariosto la luna è una sfera metallica,
«come un acciar che non ha macchia alcuna»; lo stesso diceva Leonardo pochi
anni prima, descrivendo il satellite terrestre come una palla d’oro brunito che
riflette lo splendore del sole.
La rotella, cioè uno scudo da parata, illustra nella faccia esterna l’episodio dell’Assedio di Cartagena, con i soldati che assaltano le mura della città, anche con l’aiuto di alcune scale. Nella parte interna c’è uno spazio rettangolare rosso, dove chi portava lo scudo metteva l’avambraccio, con sopra e sotto delle figure, rispettivamente Diana con le sue compagne e un cacciatore condotto da Cupido.
La miniatura, tratta da un codice del XV
secolo, rappresenta la luna, vista come responsabile della ruota della fortuna,
la quale viene mossa da un asino tenuto al laccio dalla Fortuna (la donna con
il viso coperto dai capelli): il senso della miniatura è che la fortuna umana è
variabile, come le fasi lunari.
63- Lettera a Lodovico Alamanni, di
Niccolò Machiavelli (17 dicembre 1517)
In questa lettera autografa il Machiavelli
(lo scrittore fiorentino considerato il fondatore della scienza politica) scrive:
«Io ho letto a questi dì Orlando furioso
dello Ariosto, e veramente el poema è bello tutto, et in di molti luoghi è
mirabile». Si tratta della più antica testimonianza che ci sia pervenuta in cui
un letterato apprezza il poema di Ariosto.
64- Melissa, di Giovanni Luteri detto
Dosso Dossi (1518 circa)
Il dipinto del 1518 circa è da considerarsi
come il primo esempio di un’opera pittorica ispirata al poema ariostesco, che
fu ispirazione di numerosi altri pittori, a testimonianza della fortuna che
esso ebbe.
In questa tela viene sintetizzata la
vicenda della maga Melissa, che, seduta all’interno di un cerchio magico, è
intenta ad annullare il sortilegio della malvagia Alcina, al fine di liberare
Ruggiero e i cavalieri che questa aveva trasformato in fiori, alberi e animali
(canto VIII). La maga Melissa svolge nel poema il ruolo di buona madrina e
profetessa della discendenza estense.
Tematica 7: UN POEMA IN TRASFORMAZIONE
(Sale 11 e 12)
65- Frammento manoscritto autografo
dell’Orlando furioso, di Ludovico Ariosto
Sono esposti in mostra due frammenti
manoscritti dell’Ariosto, relativi alle aggiunte all’edizione del 1532 del
poema; sono documenti preziosi, dato che non abbiamo alcuna testimonianza
scritta della prima edizione.
66- Archibugio a ruota (1520-1525 circa)
Gli archibugi della prima metà del XVI
secolo sono molto rari; l’esemplare che si può vedere nella mostra è dotato di
un meccanismo a ruota dentata, sfregando la quale contro un pezzo di pirite, si
provocava l’accensione della polvere da sparo, inserita nella canna con il
proiettile. Un archibugiere ben addestrato poteva sparare un proiettile di
piombo di 15-18 millimetri di calibro ogni 40-50 secondi.
Conosciuto e usato da circa due secoli, l’archibugio
era divenuto ai tempi dell’Ariosto l’arma di alcuni reparti militari, che
cominciavano a dimostrare la loro importanza tattica; ma era ancora considerato
un’arma “immorale”, poiché non consentiva più un rapporto “cortese” tra
avversari, ma poteva uccidere un uomo, anche un cavaliere, senza venire a
contatto con lui, e quindi senza affrontarlo alla pari. Nell’XI canto dell’Orlando furioso così il poeta parla delle armi da fuoco: «Come trovasti, o
scelerata e brutta / invenzïon, mai loco in uman core? / Per te la militar
gloria è distrutta, / per te il mestier de l’arme è senza onore; / per te è il
valore e la virtù redutta, / che spesso par del buono il rio migliore: / non
più la gagliardia, non più l’ardire / per te può in campo al paragon venire. / Per
te son giti ed anderan sotterra / Tanti signori e cavallieri tanti, / Prima che
sia finita questa guerra, / Che ‘l mondo, ma più Italia, ha messo in pianti».
67/68- Orlando furioso, di Ludovico
Ariosto (1516 e 1521)
Si possono vedere in mostra un esemplare
della prima stampa del 22 aprile 1516 e uno della seconda del 1521; in entrambe
le edizioni vi è una diversa silografia, con il motto che Ariosto ha messo a
conclusione del suo poema, ossia PRO BONO MALUM, che significa “Ho ricevuto
male in cambio di bene” e che non va interpretata come riferita alla scarsa
generosità degli Estensi, quanto piuttosto come un generale sentimento di
sfiducia nella gratitudine umana.
69- Ritratto di Andrea Doria, di
Sebastiano Luciani detto del Piombo (1526)
Questo ritratto di Andrea Doria
(ammiraglio della Repubblica di Genova) è contrassegnato dalla sagoma nera e
severa del personaggio, che proietta un’ombra cupa sul fondo grigio, e con la
mano in un gesto imperioso indica il parapetto in primo piano, su cui sono
evidenziati sei elementi marinareschi.
Di lui parla Ariosto nel canto XV,
dicendo: «Questo è quel Doria che fa dai pirati / sicuro il vostro mar per
tutti i lati». Le ottave che contengono questi versi sono state aggiunte nell’edizione
del 1532, in un episodio in cui si profetizza sulla sfericità della terra, sulle
future scoperte transoceaniche e sull’avvento dell’impero di Carlo V, che il
poeta presenta come una nuova età dell’oro.
70- Rotella da parata, di Polidoro Caldara
da Caravaggio (1525-1527 circa)
La rotella, cioè uno scudo da parata, illustra nella faccia esterna l’episodio dell’Assedio di Cartagena, con i soldati che assaltano le mura della città, anche con l’aiuto di alcune scale. Nella parte interna c’è uno spazio rettangolare rosso, dove chi portava lo scudo metteva l’avambraccio, con sopra e sotto delle figure, rispettivamente Diana con le sue compagne e un cacciatore condotto da Cupido.
La
compresenza di temi bellici e amorosi era tipica nella produzione di armi da
parata e corrisponde anche allo spirito cavalleresco dell’Orlando furioso,
presente già nel celebre inizio del poema: « Le donne, i cavallier, l'arme, gli
amori, / le cortesie, l'audaci imprese io canto».
71- Battaglia di Pavia con la cattura del
re di Francia, su disegno di Bernard van Orley (1528-1531)
Questo arazzo fa parte di una serie di
sette, donata dai Paesi Bassi all’imperatore Carlo V, per commemorare la
vittoria del suo esercito su quello del re francese Francesco I nella battaglia
di Pavia del 1525, durante la Guerra d’Italia.
In primo piano a sinistra si vede il re
francese che viene fatto scendere dal suo cavallo che è stato colpito, mentre
sul margine un generale dell’esercito imperiale osserva la scena scendendo di
sella. Al centro due cavalieri imperiali si affiancano a un personaggio in
sontuosi abiti civili (con una croce sul petto) che secondo alcuni studiosi
sarebbe Carlo III di Borbone, duca francese ma passato dalla parte di Carlo V.
Sulla destra due lanzichenecchi sembrano commentare ciò che sta accadendo.
Sullo sfondo, a sinistra si vede un
cavaliere francese ucciso da due nemici a cavallo, con dietro la fanteria
svizzera pronta a intervenire; al centro la cavalleria imperiale supera un
edificio fortificato e delle case coloniche; a destra la fanteria imperiale
marcia sventolando la bandiera.
La battaglia di Pavia è stata definita la
prima battaglia moderna, perché combattuta con armi che nulla hanno a che
vedere con gli armamenti medievali: le virtù cavalleresche di Alfonso d’Este,
che Ariosto esaltava nel suo poema, erano giunte alla fine della loro storia.
72- Spada di Francesco I (1505-1510 circa)
La spada magnificamente decorata in oro
smaltato è troppo preziosa, per essere stata destinata alla battaglia. L’elsa
ha la forma a croce tipica delle spade medievali ed è ricoperta da una spessa
foglia d’oro, cesellata e decorata con elementi a filigrana e impreziosita da un
motivo a smalto rosso, bianco e blu (quest’ultimo si è poco conservato). Nei due
bracci della guardia, in entrambi i lati, è incisa in smalto bianco opaco una
citazione dal Magnificat: FECIT POTENTIAM / IN BRACHIO SVO, cioè “ha spiegato
la potenza del suo braccio”. Il codolo (la parte tra il manico e la coccia) è
ornato con un motivo a candelabro e una salamandra distesa tra le fiamme.
La spada appartenne al re francese
Francesco I fino alla disfatta che questi subì a Pavia nel 15125, quando gli
venne presa da un generale spagnolo di Carlo V; nel 1808 Napoleone Bonaparte la
fece prelevare dalla Real Armeria di Madrid e la tenne nel suo studio fino al
1815.
Quest’arma meravigliosa, di sapore ancora
medievale, ricorda le mitiche spade (la Durlindana di Orlando, la Balisarda di
Ruggiero, la flamberga di Rinaldo) che gli eroi delle leggende carolinge si
disputarono.
73- Leda e il cigno, copia da Michelangelo
Buonarroti (dopo il 1530)
Alfonso d’Este che conobbe Michelangelo
quando stava lavorando alla Cappella Sistina, desiderava ardentemente un
dipinto del grande artista. Michelangelo dipinse per il duca di Ferrara l’opera
“Leda e il cigno”, ma quando il messo del duca andò a Firenze dove l’artista si
trovava e definì il dipinto “poca cosa”, il Buonarroti si indispettì, si
rifiutò di consegnare il dipinto e, anzi, lo regalò a un suo discepolo, che lo
vendette al re di Francia Francesco I. Il dipinto era però nato proprio
sfortunato: finì bruciato sul rogo, per motivi moralistici, infatti il soggetto
raffigurato sembrava troppo “spinto” (la copia esposta alla mostra è una delle
più antiche che si conoscano).
74- Il baccanale degli Andrii, di Tiziano
Vecellio (1522-1524)
Come nel dipinto precedente, anche in
questo l’erotismo è molto evidente; lo è anche nel poema ariostesco.
Tiziano ha dipinto la sua tela su
commissione di Alfonso I d’Este, riferendosi al tema del baccanale degli
Andrii, raccontato dallo scrittore greco Filostrato il Vecchio (III secolo d.C.)
nell’opera intitolata Immagini, ma
introducendovi numerose varianti: Bacco (il dio del vino) non è qui
rappresentato (forse è imbarcato sulla nave che sta prendendo il largo), ma i
vari personaggi ben si adattano al tema dell’ebbrezza e della perdita del
pudore, connesse a una festa dove il vino scorre in abbondanza; in particolare
si nota la ninfa addormentata sulla destra, nuda e in una posa molto sensuale.
Accanto a lei un putto sta facendo la pipì e al centro c’è un foglio di musica,
su cui si legge “Qui boyt et ne reboyt / ne seet qui boyre soit”, cioè “Chi
beve e non ribeve / non sa cosa sia il bere”.
75- El ingenioso hidalgo don Quixote de la
Mancha, di Miguel de Cervantes (1605)
In mostra è esposta la prima edizione
della prima parte del Don Chisciotte,
il poema che porta a compimento l’evoluzione del romanzo cavalleresco, dopo
Ariosto. Il mondo della cavalleria è ormai finito e don Chisciotte può lottare
solo contro i mulini a vento; la vena umoristica di Cervantes era in fondo già
stata anticipata dall’Orlando furioso, nei numerosi episodi in cui
anche il mondo cortese, che tanto piaceva agli Estensi e al Rinascimento in
generale, viene un po’ ridicolizzato.
Per i testi ho seguito in gran parte gli interventi di diversi studiosi, raccolti nel catalogo della mostra.
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