Pubblicato
a puntate sulla rivista “All the Year Round” tra il 1860 e il 1861, “Grandi
speranze” è un tipico romanzo di formazione, che racconta la maturazione dell’orfano
Pip dalla primissima infanzia all’età di circa quarant’anni. Considerato un
classico della letteratura vittoriana e uno dei più grandi romanzi di Dickens, alterna
profonde riflessioni sul carattere e il comportamento degli esseri umani a
annotazioni satiriche e a volte comiche che ne rendono la lettura avvincente e
godibilissima; a cominciare da questo primo capitolo in cui il protagonista
bambino si imbatte nell’ambiente lugubre di un cimitero in un evaso dalla
vicina galera.
CAPITOLO I
Il
cognome di mio padre essendo Pirrip e il mio nome di battesimo Philip, la mia
lingua infantile non riuscì mai a cavare da entrambi nulla di più lungo o di
più esplicito che Pip. Così mi chiamai Pip, e Pip finii per essere chiamato.
Che il cognome di mio padre fosse Pirrip, lo dico sulla
fede della sua lapida e di mia sorella – la signora Gargery – che sposò il
fabbro. Poiché non ho mai visto né mio padre né mia madre, e non ho mai visto
ritratti di nessuno dei due (i loro giorni avendo preceduto di gran lunga l’era
dei fotografi), le mie prime fantasticherie sul loro aspetto fisico furono
irragionevolmente dedotte dalle loro pietre sepolcrali. La forma delle lettere
su quella di mio padre mi suggerì la strana idea che fosse un uomo tozzo,
quadrato, scuro, dai capelli neri e ricci. Dai caratteri e dalla forma
dell’iscrizione «E Georgiana, Moglie del Sullodato», trassi la fanciullesca
conclusione che mia madre fosse lentigginosa e malaticcia. A cinque piccole
losanghe di pietra, lunghe quarantacinque centimetri l’una, disposte in
bell’ordine lungo la tomba e consacrate alla memoria di cinque miei fratellini
- che rinunciarono eccessivamente presto a tentar di guadagnarsi il pane in
questa lotta di tutti contro tutti -, sono debitore della credenza,
religiosamente intrattenuta, che fossero nati tutti quanti sulla schiena e con
le mani in tasca, e che, in questo stato d’esistenza, non le avessero mai
tirate fuori.
Abitavamo nella zona paludosa giù dal fiume, a venti miglia
- dati i serpeggiamenti del fiume - dal mare. Credo di aver avuto la prima
percezione, estremamente vivida e netta, dell'identità delle cose, in un rigido
memorabile pomeriggio, all'imbrunire. Fu allora che scoprii con certezza che
quel luogo desolato coperto di ortiche era il cimitero; e che Philip Pirrip,
defunto di questa parrocchia, e anche Georgiana moglie del sullodato, erano
morti e sepolti; e che Alexander, Bartholomew, Abraham, Tobias e Roger, bambini
del sunnominato, erano anch'essi morti e sepolti; e che la piatta distesa fosca
al di là del cimitero, intersecata da canali, argini e barriere, su cui
pascolava sparso il bestiame, era la palude; e che la bassa linea livida più
giù era il fiume; e che la tana remota e selvaggia da cui si scatenava il
vento, era il mare; e che il mucchietto di brividi che sentiva crescere la
paura di ogni cosa e si metteva a piangere, era Pip.
«Smettila di far rumore!» gridò una voce terribile, mentre
un uomo sbucava tra le tombe, di fianco al portico della chiesa. «Sta’ zitto, piccolo
demonio, o ti taglio la gola!»
Un uomo spaventoso, vestito di ruvido panno grigio, con un
grosso cerchio di ferro alla gamba. Un uomo senza cappello, con le scarpe rotte
e un vecchio straccio legato intorno alla testa. Rimasto a macerare nell'acqua,
a soffocare nel fango, azzoppato da pietre, ferito da sassi, punto da ortiche,
graffiato da rovi; un uomo zoppo e tremante, truce e torvo, che batteva i denti
afferrandomi per il mento.
«Oh, non mi tagli la gola, signore!» supplicai
terrorizzato. «Non lo faccia, signore, la prego!»
«Dicci come ti chiami!» ripeté l’uomo. «Presto!»
«Pip, signore.»
«Di nuovo» disse l’uomo, fissandomi. «Più forte!»
«Pip. Pip, signore.»
«Dicci dove abiti» continuò l’uomo. «Butta fuori il posto!»
Puntai l'indice sulla landa piatta, verso il punto in cui
sorgeva il villaggio, circondato da ontani e capitozze, a un miglio o poco più
dalla chiesa.
Dopo avermi guardato per un attimo, mi mise a testa in giù
e mi svuotò le tasche. Non contenevano altro che un pezzo di pane. Quando la
chiesa si rimise a posto - poiché era stato talmente repentino e robusto da
mandarmela a gambe levate davanti agli occhi, e il campanile me l'ero visto
sotto i piedi - quando la chiesa si rimise a posto, dico, mi ritrovai seduto e tremante
su un'alta pietra tombale, mentre lui divorava il mio pane.
«Ehi, marmocchio,» disse leccandosi le labbra, «sai che hai
due belle guance grasse?»
Credo che lo fossero, anche se allora ero piccolo per la
mia età e nient'affatto robusto.
«Che mi venga un colpo se non me le mangerei,» disse
scuotendo minacciosamente la testa, «e se quasi non ho la voglia di farlo!»
Espressi la fervida speranza che non lo facesse e mi
aggrappai più fermamente alla pietra, sia per tenermi in equilibrio, sia per
trattenermi dal piangere.
«Allora sta a sentire!» disse l’uomo. «Dov'è tua madre?»
«Lì, signore!» dissi.
Sobbalzò, si slanciò in una breve corsa, si fermò e si
guardò alle spalle.
«Lì, signore!» spiegai timidamente. «E Georgiana. È lei mia
madre.»
«Ah!» disse tornando indietro. «E tuo padre è quello che
sta con tua madre?»
«Sissignore, proprio lui, defunto di questa parrocchia.»
«Ah!» borbottò allora, riflettendo. «E allora tu con chi
vivi… ammesso che ti si lasci cortesemente vivere, cosa che resta ancora da
decidere?»
«Con mia sorella, signore, la moglie di Joe Gargery il
fabbro, signore.»
«Il fabbro, eh?» disse lui, guardandosi la gamba.
Dopo aver lanciato parecchie occhiate torve a me e ad essa,
si avvicinò alla mia pietra tombale, mi afferrò per le braccia e mi inclinò più
indietro che poté, di modo che i suoi occhi mi guardavano imperiosi dall'alto e
i miei lo guardavano del tutto atterriti dal basso.
«Ora, sta a sentire» disse «giacché il punto è se ti lascio
vivere o no. Sai che cos'è una lima?»
«Sissignore.»
«E sai cosa sono i viveri?»
«Sissignore.»
A ogni domanda mi inclinava un po' più indietro, per
accrescere il mio senso di impotenza e pericolo.
«Tu trovami una lima.» Mi inclinò più indietro. «E viveri.»
Mi inclinò più indietro. «E me li porti.» Mi inclinò più indietro. «Se no, ti
strappo il cuore e il fegato.» Mi inclinò ancora più indietro.
Ero terrorizzato e mi girava talmente la testa, che mi
aggrappai a lui con tutt'e due le mani e dissi: «Se fosse così gentile da
rimettermi dritto, signore, forse non mi sentirei tanto male, e le baderei
meglio».
Mi diede una scrollata così energica, che la chiesa balzò
sopra la sua stessa banderuola; poi mi tenne dritto per le braccia in cima alla
tomba e disse queste orrende parole:
«Lima e viveri me li porti domattina presto. Me li porti alla
vecchia Batteria là dietro. Se lo farai, e ti guarderai dal dir parola o fare
cenno da cui risulti che hai visto una persona come me o una persona in
generale, hai salva la pelle. Se non lo farai, o ti scosterai nel più piccolo
particolare dalle mie parole, cuore e fegato ti saranno strappati, arrostiti e
mangiati. E guarda che non sono solo, come forse puoi credere. C'è un tizio
giovane nascosto qua intorno, che io in confronto sono un angelo. E proprio
adesso sta sentendo ogni parola. È un tizio che ha un sistema tutto suo,
segreto, di acchiappare un ragazzino e strappargli cuore e fegato. Un ragazzino
non ha scampo con un tipo come lui. Anche se chiude a chiave la porta di casa e
se ne sta al calduccio nel letto e si rimbocca le coperte e se le tira sopra la
testa e si sente sano e salvo, quel tizio lì gli si avvicina a passi felpati, e
lo scopre nudo. E proprio adesso faccio una gran fatica a impedirgli di
acchiapparti. È difficilissimo tenerlo lontano dalle tue viscere. Allora, che
mi dici?»
Risposi che gli avrei procurato la lima e tutti i bocconi
di cibo che fossi riuscito a racimolare, e che lo avrei raggiunto alla Batteria
la mattina presto.
«Di’ che Iddio ti fulmini se non lo fai!» ordinò l’uomo.
Lo dissi e lui mi mise a terra.
«Ora,» proseguì «ricorda che cos’hai promesso, ricordati
anche di quell'altro tizio e vattene a casa!»
«Buo… buonanotte, signore» balbettai.
«Proprio buona!» disse guardando intorno a sé la landa
umida e fredda. «Vorrei essere una rana. O un'anguilla!»
Mentre parlava, si strinse il corpo percorso da brividi tra
le braccia - abbracciandosi, come per tenersi insieme - e zoppicò verso il
basso muro della chiesa. Lo guardavo, mentre si allontanava aprendosi una
strada tra le ortiche e i rovi che cingevano i tumuli coperti d'erba, e ai miei
occhi di bambino pareva che sfuggisse alle mani dei morti che si protendevano
caute dalle tombe, per avvinghiarne le caviglie e tirarlo dentro.
Arrivato al basso muro della chiesa, lo superò come se
avesse le gambe intorpidite e rigide, e poi si voltò a guardare dov'ero. Quando
vidi che si girava, rivolsi il viso verso casa e usai al meglio le gambe. Ma
quasi subito mi guardai indietro e vidi che aveva ripreso a camminare verso il
fiume, ancora tenendosi stretto con tutt'e due le braccia e procedendo con i
piedi doloranti tra le grosse pietre sparse nella palude, che servivano da
guado quando pioveva forte o saliva la marea.
Quando mi fermai a guardarlo, la palude era solo una linea
orizzontale lunga e nera; e anche il fiume era solo una linea orizzontale,
molto più stretta, ancora non così buia; e il cielo era solo un insieme di
lunghe, rabbiose linee rosse frammiste a spesse linee nere. In riva al fiume
riuscivo a malapena a distinguere le uniche due cose nere che parevano ergersi
sul paesaggio piatto. Una era la boa che serviva da segnale ai marinai - simile
a una botte senza cerchi in cima a un palo - una brutta cosa, a vederla da
vicino; l'altra era una forca, da cui pendevano delle catene che un tempo
avevano avvinto un pirata. L'uomo zoppicando vi si avvicinava, quasi fosse il
pirata tornato in vita, disceso dalla forca e intenzionato a risalirvi per
impiccarsi un'altra volta. Nel pensarlo, trasalii dal terrore; e vedendo che le
bestie al pascolo alzavano la testa per guardarlo passare, mi chiesi se lo
pensavano anch'esse. Mi guardai tutt'intorno alla ricerca dell'orrendo giovane
senza scoprirne traccia. Ma a quel punto ero di nuovo pieno di paura e scappai
a casa senza fermarmi.
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