In questo brano, tratto da
“Memoria della Resistenza”, l’autore descrive i suoi diversi sentimenti nei
riguardi dei fascisti, che hanno portato l’Italia alla dittatura e alla seconda
guerra mondiale, e dei tedeschi, che l’hanno occupata dopo l’armistizio dell’8
settembre 1943. Ma si chiede, con incredibile capacità critica, per quanto
ancora l’Italia potrà essere ammorbata dalla mentalità fascista, che ispira i
comportamenti osservati per le strade di Firenze e che qui descrive, con pochi
ma efficaci tratti.
Firenze, novembre 1943
È cominciata in pieno per me l’esperienza della
doppia vita, una singolare esperienza che molti uomini della Resistenza
conoscono e, al ricordo, appare densa di eventi, tesa e felice. Ogni giorno si
apre con un programma preciso e rigoroso, ma è insieme aperto all’imprevisto.
Ogni sera si compie un bilancio i cui fili si intrecciano in una partita doppia
di apparenza e realtà. Apparenza è il vivere ed il muoversi come gli altri,
discutere di futilità, sedere al tavolo di un ristorante, rievocare, con mio
padre, eventi lontani.
Ma mio padre, le vetrate degli
alberghi e dei ristoranti, il tepore della biblioteca, il rosso dei tramonti,
tutto ciò, giorno dopo giorno, è come lo sfondo eguale e indistinto sul quale
prende corpo l’immagine vera della mia vita: gli incontri rapidi, lo scambio di
una notizia o di un giornale, la visita alla fucina di campagna dove si
forgiano i chiodi a tre punte (1), la rete sempre più fitta e continua che si
stende su Firenze, e i cui nodi andiamo faticosamente stringendo quartiere per
quartiere, strada per strada, onde avvolgerne, a sua insaputa, il tedesco e il
fascista.
Il tedesco e il fascista: quale
ignobile conclusione, per l’esasperato nazionalismo di quest’ultimo, fare da
servo agli stranieri nella caccia agli italiani. Conosco troppo bene i tedeschi
per riuscire ad odiarli, e troppo bene i fascisti per riuscire ad odiarli. Ma i
sentimenti che gli uni e gli altri mi suscitano sono tuttavia diversi. I
tedeschi sono una grande macchina irrazionale che ruota e macina, ben oleata, in
un flusso continuo. Il problema, con loro, è di inceppare questa macchina, di
immettere un pugno di sabbia nei suoi meccanismi e nei suoi ingranaggi: altro,
per ora, non possiamo fare. Ma a un automa si guarda senza ira; lo si affronta
e si lotta per scomporlo nelle sue parti e renderlo innocuo, come innocui, e
per certi aspetti patetici, così sovente avevo visto i singoli tedeschi, con i
loro irrisolti abissi di orgoglio e di frustrazione nella vita di ogni giorno,
con la loro inettitudine a cavarsela, a salvarsi, dopo la sconfitta sul Don (2).
I fascisti no: essi mi appaiono
come insetti striscianti, che si nutrono delle gocce di grasso che la macchina
dell’esercito tedesco lascia cadere. Proprio perché sono individui, e sordidi
individui per lo più, occorre schiacciarli ad uno ad uno, come si calpesta uno
scarafaggio od un verme – con un senso di ribrezzo. E poi, i tedeschi sono
stranieri, finiranno per tornarsene a casa loro. I fascisti sono qui, e qui
rimarranno a contaminare, sordida lebbra, la nostra stessa vita. Li
ritroveremo, con il sorriso o con la grinta, sul pianerottolo di casa nostra,
ci urteranno negli autobus o nei tram, ci sederanno accanto al cinematografo.
Stolidi e furbi, si rintaneranno nelle cellule del corpo della nazione, di
nuovo, poco a poco, potranno farla marcire.
Ne vedo un gruppo, questo
pomeriggio, al “Grande Italia”. Se ne stanno a gambe larghe, stivaloni ed
orbace (3), aquile e pendagli (4), sulle loro sedie, a godersi il sole
novembrino. I tavolini sono colmi di bottiglie e bottigliette; quando passa una
donna urlano e ammiccano. A un tratto uno si alza, va incontro a una biondina
impacciata, una ragazzetta; quella tenta di sfuggire, il fascista la afferra ai
polsi, le cerca la bocca, ma la biondina, con uno strappo, si libera. Il
fascista le fa un gestaccio e tutti ridono sgangherati. La gente guarda e tace.
Ed eccone un altro entrare con
aria prepotente e furtiva in una salumeria. Si avvicina al banco, chiede del
padrone, questo arriva pulendosi le mani nel grembiule. Non sento che cosa si
dicono, ma il fascista passa nel retrobottega; dopo un poco ne esce con un
involto che, dalla forma, si palesa per un grosso salame. «Potete stare tranquillo» dice
al padrone. Come lo avrà ricattato, quale insulsa minaccia avrà rivolto? Quando
esce, il salumiere mi guarda e allarga le braccia.
Ma il luogo dove sembra convergere la vitalità dei fascisti
è il bordello (5). Ce n’è uno sulla strada che mi porta a casa, e sempre una
frotta di militi sembra sorvegliarne la porta. Urlano e schiamazzano, si
chiamano per nome, si domandano com’è andata. «Vieni giù» gridano a una donna
che appare per un momento alla finestra di fronte. Una sera, doveva essere un
loro scherzo, tra i militi scorsi un’ausiliaria (6) con la gonna nera, il
basco, un alto cinturone. Erano fermi davanti all’uscio, sotto la luce rossa, e
confabulavano; infine si decisero a suonare ed entrarono tutti insieme, la
donna in mezzo, cui un segno di esitazione restituì, presto cancellato, un
bagliore di dignità.
Verso costoro non c’è odio in me, ma disprezzo, e il senso
che la nostra battaglia è, insieme che politica, anche morale; più ancora
profonda la consapevolezza che, al di là dello stesso Fascismo, questa muta
meschina ed urlante rimarrà a lungo nelle case, nelle strade, negli uffici, nei
bar, intorno a noi. Quanto occorrerà per liberarla della sua miseria? Ma certo,
prima di allora, ancora ci soffocherà, forse prevarrà, inserita nella società emersa
dalla guerra e dalla Resistenza.
1) chiodi a tre punte =
dispositivi formati da un chiodo metallico a quattro punte, disposto in modo
che tre facciano da basamento e una sia sempre rivolta verso l’alto; venivano
usati, dopo averli disseminati su una strada, per forare gli pneumatici dei
veicoli militari nemici. Si chiamano anche piedi di corvo, o triboli
2) Don = il Don è un fiume della
Russia, lungo il cui corso mediano nel 1942 tedeschi e italiani subirono una
pesante sconfitta da parte dell’esercito russo, che portò alla liberazione
della città di Stalingrado. Mario Spinella vi aveva partecipato, in quanto
militare dell’esercito italiano
3) orbace = tessuto di lana, dal
filato irregolare, tipico della Sardegna, che durante il fascismo indicava la divisa
(fatta appunto con quel tessuto) indossata dai militi di quel partito
4) aquile e pendagli = sono le
varie decorazioni che i militi fascisti ostentavano sulle loro divise
5) bordello = casa in cui le
prostitute esercitavano il loro mestiere. In Italia vennero soppressi nel 1958,
in seguito alla battaglia per la loro chiusura portata avanti dalla senatrice
socialista Lina Merlin
6) ausiliaria = donna che
lavorava come volontaria in un corpo militarizzato della Repubblica Sociale
Italiana negli ultimi anni della Seconda guerra mondiale, con compiti di
soccorso infermieristico o di altra natura
Un gruppo di militi fascisti in orbace: Spinella li definisce “insetti
striscianti” da schiacciare “con un senso di ribrezzo”
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