martedì 28 febbraio 2017

57 Il fantasma di Canterville - parte 7 (di Oscar Wilde)



7.
Quattro giorni dopo il verificarsi di questi strani avvenimenti, un funerale mosse da Canterville Chase verso le undici di notte. Il carro funebre era tirato da otto cavalli neri, ciascuno dei quali recava in capo un gran ciuffo svolazzante di piume di struzzo, e il cofano di piombo era ricoperto di un ricco drappo color porpora sul quale erano ricamate in oro le insegne dei Canterville. Al lato del carro e degli equipaggi camminavano i domestici con torce accese: tutta la processione aveva un aspetto estremamente suggestivo. Lord Canterville apriva il corteo: era venuto apposta sin dal Galles per presenziare alle esequie e sedeva nel primo cocchio, insieme con la piccola Virginia.
Seguivano poi il ministro degli Stati Uniti e sua moglie, quindi Washington e i tre ragazzi, e finalmente nell'ultima vettura la signora Umney. Era opinione generale che, dal momento che la povera donna era stata spaventata dallo spettro per oltre cinquant'anni, aveva il diritto di accompagnarlo di persona alla sua ultima e definitiva dimora. Una grande fossa era stata scavata in un angolo del cimitero, proprio sotto il vecchio albero di tasso, e il rito funebre fu celebrato con grande solennità dal reverendo Augustus Dampier. Quando la cerimonia ebbe termine, i domestici, secondo un'antica tradizione della famiglia dei Canterville, spensero le torce e, mentre la bara veniva calata nella tomba, Virginia si fece innanzi e vi pose sopra una grande croce fatta di rami di mandorlo intrecciati, bianchi e rosa. In quel momento la luna uscì da dietro una nuvola, inondando della sua argentea silenziosa luce il piccolo cimitero, e da un boschetto lontano un usignolo prese a cantare. La fanciulla si rammentò della descrizione che il fantasma le aveva fatto del giardino della morte; i suoi occhi si riempirono di lacrime, e durante il ritorno a casa non proferì una sola parola.
Il mattino seguente, prima che lord Canterville rientrasse in città, il signor Otis volle avere un colloquio con l'antico proprietario del castello a proposito dei gioielli che il fantasma aveva regalato a Virginia. Si trattava di gioielli meravigliosi, soprattutto una certa collana di rubini con un'antica montatura alla veneziana, un esemplare veramente splendido di oreficeria del secolo sedicesimo, il cui valore era così enorme che il signor Otis provava grande scrupolo a permettere che sua figlia lo accettasse. «»
«Mio caro lord» disse a lord Canterville «so che nel suo paese la manomorta si applica non soltanto alla terra, ma a qualunque bagatella, perciò mi rendo perfettamente conto che questi gioielli sono, o perlomeno dovrebbero essere, eredità della sua famiglia. Io mi sento pertanto tenuto a chiederle di portarli a Londra con sé, e di considerarli semplicemente come una parte di beni di sua proprietà che le è stata restituita in circostanze insolite. In quanto alla mia figliola, non è che una bambina e per il momento non sente, per fortuna, alcuna inclinazione per inutili oggetti di lusso. Inoltre mia moglie, che in fatto di arte non è un'autorità da poco, avendo avuto il privilegio, da ragazza, di passare a Boston numerose stagioni invernali, mi ha fatto presente che si tratta di gemme di grande pregio monetario che potrebbero rendere immensamente se vendute ad un intenditore. Tenuto conto di tutto ciò, mio caro lord Canterville, sono certo che lei comprenderà benissimo come io non possa permettere che esse rimangano in possesso di un membro della mia famiglia. Del resto, orpelli e cianfrusaglie simili, per quanto adatti o necessari alla dignità dell'aristocrazia britannica, sarebbero assolutamente fuori luogo tra gente che è stata educata ai severi e secondo me immortali princìpi della semplicità repubblicana. La pregherei solamente di lasciarmi la scatola, perché Virginia è desiderosa di conservarla come ricordo del suo infelice e traviato antenato. D'altro canto è una scatola molto vecchia e in pessimo stato, e spero che non avrà alcuna difficoltà ad accondiscendere alla sua richiesta. Per quel che mi concerne, confesso che sono molto stupito che una mia figliola dimostri simpatia per una qualsivoglia forma di medievalismo, e posso spiegarmi la cosa solo con il fatto che Virginia è nata in uno dei vostri sobborghi londinesi poco dopo un viaggio di mia moglie ad Atene».
Lord Canterville stette ad ascoltare molto gravemente il discorso del degno ministro, tirandosi di tanto in tanto i baffi grigi per nascondere un sorrisetto involontario, e quando Mister Otis ebbe finito, gli strinse cordialmente la mano e disse: «Mio caro ministro, la sua graziosa figliola ha reso al mio sfortunato avo, sir Simon de Canterville, un servigio inestimabile, e la mia famiglia ed io ci sentiamo infinitamente in debito con lei per il coraggio e il sangue freddo che ha saputo dimostrare. È indubbio che i gioielli le appartengono sacrosantamente e, perbacco, io credo che se fossi tanto crudele da portarglieli via, quel sacripante di un mio trisavolo salterebbe fuori dalla sua tomba in capo a quindici giorni, e mi farebbe vedere i sorci verdi per tutto il resto della mia esistenza. In quanto al fatto che siano beni mobili spettanti per tradizione all'erede legale, non è ritenuto bene mobile per tradizione tutto quanto non è citato in un testamento o documento legale, e l'esistenza di queste gemme è sempre stata ignorata. Le garantisco di non avere maggiore diritto a reclamarli come miei di quanto non ne possa avere il suo maggiordomo, e quando la signorina Virginia sarà cresciuta, sono certo che sarà contenta di avere delle belle cose da mettersi indosso. Del resto, signor Otis, lei sta dimenticando di aver acquistato castello e fantasma in blocco, perciò qualunque cosa fosse appartenuta al fantasma diventava sua automaticamente: infatti, nonostante le attività che Sir Simon esercitava per i corridoi di notte, egli in realtà era morto dal punto di vista legale, e lei ha avuto la sua proprietà per diritto di regolare acquisto».
Il signor Otis si rammaricò moltissimo del rifiuto di lord Canterville, e lo pregò di recedere dalla sua decisione, ma l'onesto nobiluomo fu irremovibile. Infine il ministro si persuase ad accettare il dono che il fantasma aveva fatto a sua figlia, e quando nella primavera del 1890, la giovane duchessa di Cheshire fu presentata per la prima volta a Corte in occasione del suo matrimonio, i suoi gioielli furono l'oggetto dell'ammirazione generale. Virginia aveva infatti ricevuto la corona nobiliare, che è la meta più ambita di tutte le buone piccole bambine americane, sposandosi con il suo piccolo innamorato non appena questi aveva raggiunto la maggiore età. Erano entrambi così carini, e si volevano tanto bene, che tutti rimasero entusiasti di quel matrimonio, all'infuori della vecchia marchesa di Dumbleton, che aveva cercato di accalappiare il duca per una almeno delle sue sette figlie zitelle, e aveva dato a questo scopo non meno di tre costosissimi pranzi, e strano a dirsi, all'infuori dello stesso signor Otis.
Personalmente, il ministro degli Stati Uniti nutriva per il giovane duca una simpatia vivissima, ma in teoria era contrario ai titoli, e per usare le sue parole «aveva il timore che in mezzo alla debilitante influenza di un'aristocrazia assetata di piacere, i sani princìpi della semplicità repubblicana venissero a poco a poco dimenticati». Le sue obiezioni, tuttavia, furono smantellate a una a una, e io credo che mentre si avviava su per la navata della chiesa di San Giorgio, in Hanover
Square, con sua figlia al braccio, non c'era un uomo più orgoglioso di lui in tutta l'Inghilterra.
I giovani duchi, terminato il loro viaggio di nozze, vennero a Canterville Chase, e lo stesso giorno del loro arrivo, nel pomeriggio, si recarono al piccolo cimitero solitario presso la pineta. Dapprincipio vi erano state non poche difficoltà a proposito dell'iscrizione per la pietra tombale di sir Simon, ma alla fine si era deciso di incidervi sopra semplicemente le iniziali del vecchio gentiluomo, unitamente ai versi dipinti sulla finestra della biblioteca. La duchessa aveva portato con sé alcune rose bellissime che sparse sulla fossa, e dopo essere rimasti per qualche istante immersi in un raccoglimento silenzioso, i due giovani si avviarono passo passo verso il coro in rovina dell'antica abbazia. Qui la duchessa sedette su una colonna caduta, mentre suo marito le si accoccolò ai piedi a fumare una sigaretta e a guardarla nei dolcissimi occhi. Improvvisamente il giovane buttò la sigaretta, le prese una mano e le disse: «Virginia, una moglie non dovrebbe avere nessun segreto per il proprio marito!».
«Ma, mio caro Cecil! Io non ho segreti per te!».
«Sì, che ne hai» le rispose il giovane sorridendo. «Tu non mi hai mai detto quello che è accaduto quando ti sei chiusa lassù col fantasma».
«Non l'ho mai detto a nessuno, Cecil» rispose Virginia gravemente.
«Lo so, ma a me potresti dirlo».
«Oh, ti prego, non chiedermi nulla, Cecil, non posso dirtelo. Povero sir Simon. Io gli debbo moltissimo. Sì, non ridere, Cecil, è proprio come ti dico. Egli mi ha fatto comprendere che cos'è la vita, e che cosa significa la morte, e perché l'amore sia più forte dell'una e dell'altra».
Il duca si alzò e baciò appassionatamente sua moglie.
«Tieniti pure il tuo segreto fino a quando io potrò avere il tuo cuore» mormorò.
«Il mio cuore tu l'hai sempre avuto, Cecil».
«Però ai nostri bambini lo racconterai un giorno, vero?».
Virginia arrossì.







56 Il fantasma di Canterville - parte 6 (di Oscar Wilde)



6.
Circa dieci minuti più tardi suonò la campana per il tè, e poiché Virginia non si fece vedere, la signora Otis mandò di sopra uno dei valletti a cercarla. Ma questi tornò di lì a poco dicendo che non aveva trovato la signorina Virginia da nessuna parte. Poiché essa aveva l'abitudine di scendere ogni sera in giardino a raccogliere fiori per la tavola, la signora Otis non si preoccupò affatto, a tutta prima, ma quando scoccarono le sei e Virginia non comparve ancora, cominciò ad agitarsi seriamente, e mandò i ragazzi a cercarla, mentre lei e il signor Otis frugavano ogni angolo della casa. Alle sei e mezzo i ragazzi tornarono senza aver trovato la minima traccia della sorella. Erano tutti, ora, in uno stato di grande agitazione e non sapevano più che fare e dove andare, quando il signor Otis si rammentò a un tratto di aver dato il permesso, pochi giorni prima, ad una tribù di zingari di accamparsi nel parco. Partì quindi subito per Blackfell Hollow, dove si trovavano gli zingari, una spedizione composta di lui stesso, di suo figlio maggiore e di due garzoni di fattoria. Il piccolo duca di Cheshire, che l'angoscia aveva reso letteralmente pazzo, supplicò disperatamente che gli fosse concesso di accompagnarli, ma il signor Otis non glielo permise perché temeva che ci sarebbe stato un po' di parapiglia. Giunto però sul posto, non gli rimase che constatare che gli zingari se ne erano andati, e anzi, a giudicare dalle apparenze, la loro partenza doveva essere recente e determinata da cause improvvise, perché il fuoco da campo era ancora acceso e sul prato erano sparse vettovaglie. Mandò allora Washington e i due uomini a frugare la regione, mentre egli correva a casa a spedire telegrammi a tutti gli ispettori di polizia della Contea, supplicandoli di ricercare una fanciulla che doveva essere stata certamente rapita da una banda di zingari o di vagabondi. Fece sellare il cavallo e, dopo aver insistito perché sua moglie e i figli si mettessero a tavola, si avviò lungo la strada di Ascot accompagnato da un ragazzo di scuderia. Non aveva percorso un paio di miglia quando sentì un risuonare di zoccoli alle sue spalle: si volse e vide che il giovane duca di Cheshire lo aveva raggiunto in groppa al suo puledro, tutto infuocato in viso e senza berretto. «La supplico Mister Otis» lo implorò il ragazzo «ma io non posso mangiare finché Virginia non è stata ritrovata. La prego, non sia in collera con me. Se lei ci avesse permesso di fidanzarci l'anno scorso questa disgrazia non sarebbe successa. Non mi rimanderà indietro, vero? Non posso tornare indietro, non voglio!».
Il ministro non poté trattenersi dal sorridere alla vista di quel monello così pieno di ardire e di grazia giovanile; lo commuoveva anche profondamente la sua devozione per Virginia: si chinò dunque sulla sella, gli batté amichevolmente sulle spalle e gli disse: «Va bene, Cecil, se non vuoi proprio tornare indietro immagino che dovrò lasciarti venire con me, però appena saremo ad Ascot bisognerà che ti trovi un cappello!».
«Io voglio trovare Virginia, altro che cappello!» ribatté il giovane duca ridendo, e insieme proseguirono al galoppo verso la stazione ferroviaria. Lì giunti, il signor Otis si informò presso il capostazione se fosse stata vista sulla banchina una ragazza corrispondente alla descrizione che fece di Virginia, ma nessuno seppe dirgli nulla di preciso. Il capostazione si affrettò tuttavia a telefonare a tutti i posti di servizio della linea e gli assicurò che si sarebbe fatto l'impossibile per trovarla. Dopo aver acquistato un cappello per il giovane duca presso un mercante di articoli vari che stava per chiudere i battenti, il signor Otis proseguì la sua corsa a cavallo verso Bexley, un villaggio distante circa quattro miglia, che gli era stato descritto come una delle località preferite di solito dagli zingari, essendo situato presso una grossa borgata. Andarono a svegliare la guardia campestre, ma non poterono ottenere da lei alcuna informazione utile, e dopo avere perlustrato l'intera borgata puntarono i musi dei loro cavalli sulla via di casa e furono di ritorno alla Chase verso le undici di sera, stanchi morti e col cuore affranto. Washington e i gemelli li stavano aspettando alla cancellata muniti di lanterne, poiché il viale era completamente al buio. Di Virginia neppure la minima traccia. Gli zingari furono sopresi in un campo a Brockley, ma la fanciulla non era con loro, ed essi poterono spiegare la loro partenza improvvisa giustificandosi di essersi sbagliati sulla data della fiera di Chorton: se ne erano andati in fretta e furia per timore di arrivarvi in ritardo. Anzi, si erano mostrati molto addolorati nell'apprendere la scomparsa di Virginia, poiché erano molto riconoscenti al signor Otis che aveva permesso loro di accamparsi nel parco, e quattro di essi erano rimasti indietro per aiutare nelle ricerche. Lo stagno delle carpe era stato sondato, l'intera località era stata perlustrata da cima a fondo, ma senza alcun risultato. Era evidente che, per qualche notte almeno,
Virginia era perduta per loro e fu in uno stato di profonda depressione che il signor Otis e i ragazzi si avviarono verso il castello, seguiti dal garzone di scuderia che teneva per la briglia i due cavalli e il puledro. Nel vestibolo trovarono un gruppo di domestici spaventati, e sul divano del salotto la signora Otis, quasi fuori di sé per la paura e l'inquietudine, che si faceva bagnare continuamente la fronte dalla vecchia governante di casa con compresse d'acqua di colonia. Il signor Otis volle che sua moglie si sforzasse a mangiare qualcosa a tutti i costi e ordinò la cena per l'intera famiglia. Fu un pasto malinconico, nessuno parlò; persino i gemelli erano ammutoliti e desolati perché erano affezionatissimi alla loro sorellina. Quando ebbero finito di pranzare, malgrado le suppliche e le preghiere del piccolo duca, Mister Otis volle che andassero tutti quanti a coricarsi perché, disse, quella notte non restava nulla di meglio da fare; il mattino seguente avrebbe telefonato subito a Scotland Yard perché gli mandassero al più presto degli agenti investigativi. Proprio nel momento in cui uscivano dalla sala da pranzo, la mezzanotte incominciò a rintoccare dall'orologio della torre e quando scoccò l'ultimo colpo si sentì un boato e un grido subitaneo, acutissimo: uno spaventevole scoppio di tuono scosse la casa, un accordo di musica celeste echeggiò nell'aria, un pannello in cima alla scalinata si spalancò con grande fragore, e sul pianerottolo apparve Virginia, pallida e bianca, con un piccolo scrigno tra le mani. In un attimo tutti le furono intorno. La signora Otis la strinse appassionatamente a sé, il duca quasi la soffocò di baci, mentre i gemelli eseguivano intorno al gruppo una selvaggia danza guerriera.
«Ma in none di Dio, bambina, dove sei stata?» gridò il signor Otis furibondo, poiché pensava che sua figlia si fosse divertita a giocare loro un brutto scherzo. «Cecil ed io abbiamo corso per tutta la Contea in cerca di te, e tua madre è quasi morta di paura. Non devi più fare tiri del genere!».
«Tranne che al fantasma! Tranne che al fantasma!» urlarono i gemelli, mentre balzellavano tutt’intorno, continuando le loro capriole.
«Tesoro mio! Grazie al cielo sei di nuovo qui con noi! Non devi più staccarti da me!» mormorò la signora Otis baciando la figliola che tremava tutta, e lisciando l'oro arruffato dei suoi capelli.
«Papà», spiegò Virginia con voce tranquilla, «sono stata col fantasma. Adesso è morto e bisogna che tutti voi veniate a vederlo. È stato molto cattivo, ma si è sinceramente pentito di tutto il male che ha commesso, e mi ha dato questa bellissima scatola piena di gioielli, prima di morire».
Tutti la fissarono sbalorditi, ma Virginia era molto calma e seria e, volgendosi, li guidò attraverso l'apertura formatasi nel rivestimento di legno giù per un angusto corridoio segreto: Washington illuminava il cammino con una candela accesa che aveva tolto dalla tavola. Giunsero infine a una grande porta di quercia tempestata di borchie rugginose. Non appena Virginia l'ebbe toccata, questa girò su pesanti cardini e tutti si trovarono in una stanzetta bassa, dal soffitto a volta, munita di un'unica finestrella a grata. Un enorme anello di ferro era infisso nel muro e incatenato ad esso stava un lunghissimo scheletro, disteso in tutta la sua lunghezza sul pavimento di pietra: pareva stesse cercando di afferrare con le dita rattrappite una brocca e un tagliere di foggia antica, che erano stati messi fuori dalla sua portata. La brocca doveva essere stata piena d'acqua, un tempo, perché era coperta internamente di una muffa verdastra. Sul tagliere non era rimasto che un mucchietto di polvere. Virginia s'inginocchiò accanto allo scheletro, e congiungendo le sue piccole mani prese a pregare in silenzio, mentre gli altri stavano a contemplare stupefatti la terribile tragedia il cui segreto era finalmente chiaro a tutti.
«Ehi!» esclamò a un tratto uno dei gemelli, che si era messo a guardare fuori della finestra per cercare di capire in quale ala del castello si trovasse precisamente quella stanza. «Guardate un po'! Il vecchio mandorlo secco è tutto un boccio! Vedo benissimo i fiori alla luce lunare».
«Dio gli ha perdonato!» disse gravemente Virginia, levandosi in piedi, e una luce soprannaturale parve per un attimo illuminarle il volto.

«Tu sei un angelo!» gridò il giovane duca e, gettandole le braccia al collo, la baciò.


55 Il fantasma di Canterville - parte 5 (di Oscar Wilde)



5.
Pochi giorni dopo questi avvenimenti, Virginia e il suo ricciuto cavaliere uscirono a cavallo sui prati di Brockley, dove la fanciulla si strappò così malamente la veste di amazzone nel saltare una siepe che, di ritorno a casa, preferì passare dalla scala di servizio per non essere vista in quella guisa. Mentre attraversava di corsa il vestibolo attiguo alla Sala degli arazzi, la cui porta era per caso aperta, ebbe l'impressione di vedervi dentro qualcuno, e pensando si trattasse della cameriera di sua madre, che qualche volta si metteva a lavorare lì, affacciò la testa per chiederle di rattopparle il vestito. Ma con sua immensa sorpresa si trattava invece del fantasma di Canterville in persona. Era seduto accanto alla finestra, assorto nella contemplazione dell'oro consunto degli alberi e della danza impazzita delle foglie rosse giù per il lungo viale. Teneva la testa appoggiata ad una mano e tutto il suo atteggiamento esprimeva uno stato di depressione indicibile. Aveva un aspetto tanto misero e tanto mal ridotto che la piccola Virginia, il cui primo impulso era stato di fuggire, si sentì invadere da una profonda compassione e decise di cercare di confortarlo. Il passo della fanciulla era così leggero, e così greve era la malinconia dello spettro, che questi non si accorse della sua presenza finché lei non gli ebbe rivolta la parola.
«Mi spiace tanto per lei» incominciò Virginia «ma i miei fratelli ritornano domani a Eton, e perciò, se lei si comporterà come si deve, nessuno la disturberà più».
«Comportarmi come si deve!» replicò il fantasma, volgendosi stupito a guardare la graziosa fanciulla che aveva avuto il coraggio di parlargli. «È semplicemente ridicolo chiedermi una cosa simile! Io devo far risuonare le mie catene, e mugolare attraverso i buchi delle serrature, e passeggiare di notte per la casa, se è questo ciò a cui tu alludi. È la mia unica ragione di esistere».
«Non è affatto una buona ragione, e lei sa benissimo di essere stato molto ma molto cattivo. Ce lo disse la signora Umney, proprio il giorno del nostro arrivo, che lei ha assassinato sua moglie».
«Be', lo ammetto» rispose il fantasma «ma si tratta di una pura e semplice questione di famiglia che non riguarda nessun altro».
«È un grave peccato ammazzare chicchessia!» osservò Virginia, la quale aveva a volte una dolce gravità puritana, ereditata forse da un suo lontano antenato della Nuova Inghilterra.
«Oh, detesto la severità da due soldi! Basta con l’etica astratta! Mia moglie era una donna bruttissima, non mi inamidava mai le gorgiere come piaceva a me, e non capiva un'acca in fatto di cucina. Perbacco, avevo preso un daino magnifico nella foresta di Hogley, un due anni superbo, e vuoi sapere come me lo fece servire in tavola? Be', ormai la cosa non ha più importanza, è passato tanto tempo da allora, e non trovo che sia stato molto carino da parte dei suoi fratelli farmi morire di fame, anche se gli avevo accoppata la sorella».
«L'hanno fatta morire di fame, signor fantasma? Sir Simon, voglio dire. Vuole mangiare qualcosa? Ho nella mia borsetta un panino imbottito. Posso offrirglielo?».
«No, grazie, ormai non mangio più da secoli: comunque è un gesto molto gentile, il tuo, e tu sei immensamente più carina di tutto il resto della tua orribile, villana, volgare, disonesta famiglia!».
«La smetta!» gridò Virginia, picchiando un piede per terra. «È lei, invece, maleducato, orribile e volgare! E in quanto a disonestà, lei sa benissimo chi ha rubato tutti i colori della mia scatola di pittura per tenere lustra e forbita quella ridicola macchia di sangue sul pavimento della biblioteca. All'inizio mi ha preso tutti i rossi, compreso il vermiglio, in modo che non ho più potuto fare nessun tramonto, poi mi ha soffiato il verde smeraldo e il giallo cromo, e alla fine non mi era rimasto più che l'indaco e il bianco di Cina, e non mi restava altro da fare che dipingere paesaggi al chiaro di luna che sono molto deprimenti da guardare e per giunta difficilissimi da ritrarre. Io non l'ho mai sbugiardata davanti agli altri, però, e ho sempre taciuto, benché fossi estremamente seccata, e trovassi la cosa semplicemente assurda, perché infatti chi ha mai visto una macchia di sangue color verde smeraldo?».
«A dire la verità» replicò il fantasma alquanto confuso «che altro potevo fare? È una cosa complicatissima, oggigiorno, trovare del sangue vero, e dal momento che era stato tuo fratello Washington a incominciare con il suo maledetto Detersivo Incomparabile, non vedevo il motivo per cui non avrei dovuto adoperare i tuoi colori. In quanto al colore, poi, è una pura questione di gusto. Noi Canterville, per esempio, abbiamo sangue blu, il sangue più blu di tutta l'Inghilterra, ma io lo so che a voi americani queste differenze di tinta non interessano».
«Lei non sa nulla di ciò che interessa a noi, e la cosa migliore che dovrebbe fare sarebbe quella di emigrare e di farsi una cultura. Mio padre sarebbe più che lieto di procurarle un passaggio gratuito in America, e per quanto vi sia una forte tassa sugli spiriti e gli alcoolici in genere, l'ufficio della dogana non le farà difficoltà, dato che i funzionari sono tutti democratici. Una volta a Nuova York, stia certo che avrà un successo formidabile. Conosco un sacco di gente che darebbe centomila dollari per avere un nonno, figurarsi poi se potesse trovare un fantasma di famiglia».
«Non credo che l'America mi piacerebbe».
«Forse perché noi non possediamo né rovine né antichità?» osservò Virginia con tono sarcastico.
«Né rovine né antichità» replicò il fantasma. «E allora che cos’altro sono la vostra flotta e le vostre maniere?»
«Addio! Vado a chiedere a papà di concedere ai gemelli una settimana di vacanza supplementare».
«Oh, ti prego, non te ne andare, Virginia!» gridò lo spettro. «Sono tanto solo e infelice e proprio non so quello che devo fare. Vorrei tanto andare a dormire e non posso».
«Questo è semplicemente ridicolo. Non ha che da mettersi a letto e spegnere la candela. Qualche volta è molto difficile stare svegli, soprattutto in chiesa, ma non è affatto difficile addormentarsi.
Persino i neonati lo sanno e non è che siano molto intelligenti, vero?».
«Io non dormo da trecento anni» disse tristemente il fantasma, e i begli occhi celesti di Virginia si spalancarono dallo stupore. «Da trecento anni non posso dormire, e sono tanto stanco».
Virginia si fece molto seria e le sue dolci labbra tremarono come petali di rosa al vento. Si accostò, gli si inginocchiò al fianco e lo fissò nel vecchio volto avvizzito.
«Povero, povero fantasma» mormorò con tenerezza «non c'è proprio un luogo dove possa trovar sonno?».
«Lontano di qua, oltre la pineta» rispose il fantasma con voce sommessa e sognante «c'è un piccolo giardino. Laggiù l'erba cresce alta e folta, lì fioriscono le gemme bianche della cicuta e lì l'usignolo canta tutta la notte. Tutta la notte, canta, e la fredda luna di cristallo si china a guardare, e l'albero del tasso distende le sue braccia gigantesche sui dormienti».
Gli occhi di Virginia si appannarono di lacrime ed essa si nascose il volto tra le mani.
«Lei sta parlando del giardino della morte» mormorò.
«Sì, la morte. Oh, la morte deve essere tanto bella. Poter giacere nella morbida terra bruna, con gli steli dell'erba che si agitano leggeri sopra il tuo capo, e ascoltare il silenzio. Non avere né ieri, né domani. Dimenticare il tempo, perdonare la vita, essere in pace. Tu potresti aiutarmi. Potresti aprire per me i battenti della Casa della Morte, poiché l'amore ti sta sempre vicino, e l'amore è più forte della morte».
Virginia tremò; un brivido glaciale le serpeggiò per la schiena, e per alcuni attimi regnò tra loro un silenzio sepolcrale. La fanciulla ebbe la sensazione di vivere come in un sogno terrificante.
Poi il fantasma riprese a parlare, e la sua voce assomigliava al sospiro del vento.
«Hai mai letto l'antica profezia che sta sulla finestra della biblioteca?».
«Oh, sì!» esclamò Virginia, alzando vivacemente il capo. «Tante volte! La conosco benissimo. È dipinta in strane lettere nere, ed è difficile da leggersi. Non sono che sei versi:
Se una fanciulla bionda riuscirà a strappare
Una preghiera dalle labbra di un peccatore,
Se lo sterile mandorlo darà il suo frutto,
E se una fanciulla gli donerà le sue lacrime,
Solo allora l’intera casa potrà riposare
E la pace discenderà sulla famiglia Canterville.
...Però non so che cosa significhino».
«Significano» disse tristemente il fantasma «che tu devi piangere per i miei peccati, perché io non ho lacrime, e pregare con me per la mia anima, perché io non ho fede, e poi, se tu sarai stata sempre buona, dolce e gentile, l'angelo della morte avrà pietà di me. Tu vedrai nell'oscurità ombre paurose, e voci malvagie ti sussurreranno all'orecchio, ma esse non ti faranno male, poiché contro la purezza di una creatura innocente le forze dell'inferno non possono prevalere».
Virginia non rispose, e il fantasma si torse le mani in preda alla disperazione guardando l'aureo capo reclino della fanciulla. Improvvisamente questa si alzò, pallidissima, con una strana luce negli occhi. «Io non ho paura» disse con fermezza «e chiederò all'angelo di avere pietà di te».
Il fantasma si levò con un debole grido di gioia, le prese la mano e inchinandosi gliela baciò con grazia antiquata. Le sue dita erano fredde come il ghiaccio e le labbra bruciavano come fiamma ardente, ma Virginia non tremò mentre lui la guidava attraverso la sala immersa nel crepuscolo. Sul verde sbiadito della tappezzeria erano ricamati minuscoli cacciatori: essi suonarono i loro corni ornati di nappe e con le piccole mani le fecero cenno di tornare indietro. «Torna indietro, piccola Virginia!» gridarono «torna indietro!».

Il fantasma le strinse ancor più saldamente la mano e lei chiuse gli occhi alle loro lusinghe. Animali immondi con code di lucertole e occhi sgusciati la fissarono di soppiatto dalla cornice del caminetto scolpito e mormorarono: «Attenta, piccola Virginia! Attenta! Potrebbe darsi che non ti vediamo mai più!» Il fantasma accelerò la sua silenziosa fuga, e Virginia non gli diede retta. Quando furono arrivati in fondo alla sala, egli si fermò e borbottò alcune parole incomprensibili. Allora Virginia aprì gli occhi e vide il muro dissolversi lentamente, come una nebbia, e una grande caverna nera aprirsi dinanzi a lei. Un vento impetuoso e gelido li investì, ed essa sentì qualcosa che la tirava per il lembo del vestito. «Presto, presto» gridò il fantasma «altrimenti sarà troppo tardi». Un istante dopo, il rivestimento di legno si era già richiuso sopra di loro, e la Sala degli Arazzi rimase vuota.


54 Il fantasma di Canterville - parte 4 (di Oscar Wilde)



4.
Il giorno seguente il fantasma si sentì molto debole e stanco. La tremenda eccitazione di quelle ultime quattro settimane incominciava a produrre i suoi effetti. Aveva i nervi terribilmente scossi e trasaliva al minimo rumore. Si barricò in camera sua per cinque giorni consecutivi e alla fine decise di rinunciare al puntiglio della macchia di sangue sul pavimento della biblioteca. Dopo tutto, se la famiglia Otis non ne voleva sapere, era segno che non se la meritava. Si trattava chiaramente di individui appartenenti a un piano di esistenza basso e materialistico, del tutto incapaci di apprezzare il valore simbolico dei fenomeni sensibili. La questione delle apparizioni spettrali e lo sviluppo dei corpi astrali era, si capisce, una faccenda completamente diversa che sfuggiva al suo controllo. Era suo preciso dovere apparire nel corridoio una volta la settimana e borbottare parole sconnesse presso il grande finestrone, il primo e il terzo mercoledì di ogni mese, e non vedeva come avrebbe potuto onorevolmente sottrarsi a questi obblighi. Era verissimo che la sua era stata una vita malvagia, ma in tutte le cose attinenti al soprannaturale era di una coscienziosità estrema. Pertanto, nei tre sabati successivi seguitò ad attraversare come al solito il corridoio tra la mezzanotte e le tre del mattino, prendendo tutte le precauzioni per non essere né visto né udito. Si tolse gli stivali, cercò di camminare il più lievemente possibile sulle vecchie tavole del pavimento rose dai tarli, si avvolse in un ampio mantello di velluto nero, e fece uso del Lubrificante Solare per oliare le sue catene. Devo ammettere che il povero fantasma si rassegnò ad adottare quest'ultimo mezzo di protezione soltanto dopo lunghe esitazioni. Ma una notte, mentre la famiglia dormiva, entrò di soppiatto nella camera del signor Otis e ne asportò un flacone. A tutta prima si sentì un poco umiliato, ma aveva in definitiva sufficiente buon senso per riconoscere che si trattava di un ritrovato tutt'altro che disprezzabile e che in un certo qual modo serviva al suo scopo. Ma nonostante tutti questi riguardi, non era certo lasciato in pace. Incappava sempre in corde tese da una parte all'altra del corridoio, nelle quali inciampava al buio, e una volta che si era vestito nel costume di "Isacco il Nero", ovvero "Il Cacciatore della Foresta di Hogley", cadde malamente per essere scivolato su un piano inclinato tutto cosparso di burro che i gemelli avevano avuto cura di costruire dall'ingresso della Sala degli Arazzi fino alla sommità della scalinata di quercia. Quest'ultimo insulto lo mise in un furore tale che risolse di compiere un ultimo sforzo per tentare di affermare la propria dignità e la propria posizione sociale, e decise di far visita a quei due sfacciati studentelli di Eton, la notte seguente, nel suo celebre personaggio di "Rupert il Temerario", ovvero "Il Conte Decapitato".
Erano più di settant'anni che non faceva la sua apparizione in quel travestimento, da quando, precisamente, aveva talmente spaventato la graziosa lady Barbara Modish che questa aveva rotto il proprio fidanzamento con il nonno dell'attuale lord Canterville, ed era scappata a Gretna Green con il bellissimo Jack Castleton, dichiarando che per nulla al mondo si sarebbe rassegnata ad imparentarsi a una famiglia che permetteva ad un fantasma tanto mostruoso di passeggiare su e giù per la terrazza all'ora del crepuscolo. Il povero Jack era stato in seguito ucciso in un duello alla pistola da lord Canterville sul prato comunale di Wandsworth, e lady Barbara era morta di crepacuore a Tunbridge Wells prima della fine di quell'anno, cosicché, tutto sommato, il suo era stato un enorme successo. Si trattava però di una parte estremamente difficile, se è lecito adoperare un'espressione del gergo teatrale a proposito di uno dei più grandi misteri del soprannaturale, o per usare un termine più scientifico, dell'universo extranaturale, e gli ci vollero tre ore buone per i preparativi. Alla fine ogni cosa fu pronta, ed egli si sentì molto soddisfatto del suo aspetto. I grossi stivali di cuoio intonati al vestito erano un tantino troppo grandi per lui, e delle due pistole da sella che gli sarebbero servite ne poté trovare una sola; ma nel complesso era contento, perciò all'una e un quarto scivolò silenziosamente fuori del rivestimento di legno della parete e si avviò strisciando lungo il corridoio. Arrivato alla stanza occupata dai gemelli - che, sia detto tra parentesi, si chiamava la camera da letto azzurra a causa del colore dei suoi cortinaggi - trovò l'uscio socchiuso. Desiderando fare un ingresso teatrale, la spalancò del tutto con un gran colpo, ma nello stesso  momento un'enorme brocca d'acqua gli cadde addosso, bagnandolo fino alle midolla, e soltanto per qualche centimetro la sua spalla sinistra non fu colpita in pieno. Contemporaneamente si sentirono dal gran letto a due piazze risatine e squittii di allegria soffocati a stento tra le coperte. La scossa portata al suo sistema nervoso fu talmente forte che il poveretto volò alla propria camera più svelto che poté, e il giorno dopo dovette starsene a letto con un raffreddore tremendo. La sola cosa che lo consolava un poco in quella triste faccenda, era il fatto che per fortuna non si era portato la testa con sé, perché in caso contrario le conseguenze sarebbero state molto più gravi.
Da quella notte rinunciò ad ogni ulteriore tentativo d'incutere spavento a quella volgare famiglia americana, e si accontentò, di regola, di strisciare nei corridoi calzato di pantofole dalle suole di feltro, con una grossa sciarpa di lana rossa al collo per timore delle correnti d'aria e un minuscolo archibugio, in caso di attacco da parte dei gemelli. Ma l'ultimo colpo che egli doveva essere costretto a subire gli capitò il 19 settembre. Era sceso nel grande vestibolo centrale, sicuro che lì almeno nessuno lo avrebbe molestato, e si stava divertendo a fare commenti satirici sulle grandi fotografie di Saroni fatte al ministro degli Stati Uniti e a sua moglie, che avevano adesso preso il posto dei ritratti della famiglia Canterville. Era avvolto semplicemente ma lindamente in un lungo sudario, maculato qua e là con muschio di cimitero, si era legata la mascella con una striscia di lino giallo, e recava in spalla una piccola lanterna e una vanga da becchino. Si era abbigliato infatti per la parte di "Jack l'Affossatore", ovvero "Il Ladro di Cadaveri di Chertsey Barn", una delle sue interpretazioni più notevoli, interpretazione che i Canterville avevano tutte le ragioni di ricordare perfettamente perché da essa aveva avuto origine, in realtà, la lite con il loro vicino lord Rufford. Erano circa le due e un quarto del mattino e, per quanto aveva potuto controllare, nella casa tutto era quiete e silenzio. Ma mentre si stava avviando tranquillamente in biblioteca, per vedere se vi era rimasta qualche traccia della macchia di sangue, ecco che improvvisamente gli sbucarono addosso da un angolo buio due figure che agitavano selvaggiamente le braccia sopra il capo e gli fecero "Buuu!" nell'orecchio.
Colto da un panico anche troppo naturale, date le circostanze, corse a precipizio su per le scale, ma ecco anche lì Washington Otis ad aspettarlo con in mano la grossa pompa che serviva ad annaffiare il giardino. Sentendosi braccato da ogni parte dai propri nemici, e quasi sul punto di soccombere, fece appena in tempo ad eclissarsi nella grande stufa di ferro, che fortunatamente per lui non era accesa, e fu costretto a mettersi in salvo per la strada dei comignoli e dei tetti, giungendo nella propria camera in uno stato pietoso di sporcizia, di disordine e di disperazione. Dopo di ciò non fu più visto in nessuna spedizione notturna. I gemelli gli fecero la posta per parecchio tempo, cospargendo ogni notte i corridoi di gusci di noce, con grande fastidio dei servitori e dei familiari, ma senza alcun risultato. Era stato talmente ferito nei suoi sentimenti più intimi, che disdegnava ormai di apparire, era evidente. Di conseguenza il signor Otis riprese a redigere la sua storia del Partito Democratico, un'opera grandiosa alla quale lavorava da anni; la signora Otis organizzò una festa campestre meravigliosa che stupì tutta la regione; i ragazzi si dettero ai giochi del lacrosse, dell’euchre, del poker e ad altri svaghi nazionali americani, e Virginia cavalcò per i prati sul suo puledro, accompagnata dal giovane duca di Cheshire che era venuto a Canterville Chase a trascorrervi l'ultima settimana di vacanza. Era opinione generale che il fantasma fosse scomparso, e il signor Otis scrisse una lettera a questo proposito a lord Canterville, il quale rispose esprimendo il proprio compiacimento per la notizia e inviò le sue sentite congratulazioni alla  gentile consorte del ministro.
Gli Otis in realtà s'ingannavano, perché il fantasma era sempre nella casa, e sebbene fosse oramai pressoché un povero invalido, era ben lungi dal volere lasciare andare le cose com'erano, tanto più da quando aveva saputo che tra gli ospiti si trovava il giovane duca di Cheshire, il cui prozio, lord Francis Stilton, aveva scommesso una volta cento ghinee con il colonnello Carbury che avrebbe giocato a dadi con il fantasma di Canterville, ed era stato trovato l'indomani disteso sul pavimento della sala da gioco, totalmente paralizzato: e benché fosse vissuto poi fino a tarda età, non fu più in grado di dire altro che: "Doppio sei!".Lo scandalo ebbe una certa risonanza all’epoca, per quanto, per rispetto ai sentimenti delle due nobili famiglie, si era fatto di tutto per mettere a tacere la cosa, e si possono anzi trovare tutti i particolari relativi a questo tragico evento nel terzo volume di lord Tattle intitolato Memorie del Principe Reggente e dei suoi amici. Il fantasma era dunque logicamente molto ansioso di far vedere che egli non aveva ancora perduta tutta la sua influenza sugli Stilton con i quali, per giunta, era lontanamente imparentato, avendo una sua prima cugina sposato in seconde nozze il sire di Bulkeley, dal quale, come tutti sanno, discendono in linea genealogica i duchi di Cheshire. Predispose quindi ogni cosa per comparire al piccolo innamorato di Virginia nella sua famosa parte del "Monaco Vampiro", ovvero "Il Benedettino Dissanguato", visione talmente orrenda che quando la vecchia lady Sartup la scorse, il che accadde in una fatale vigilia di capodanno dell'anno 1764, diede in acute strida di spavento che culminarono in un violento attacco di apoplessia, e la disgraziata nobildonna decedette in capo a tre giorni, dopo aver diseredato i Canterville che erano i suoi parenti più prossimi, e lasciando invece tutto il proprio denaro al suo farmacista di Londra. All'ultimo momento, tuttavia, l'incubo dei gemelli gli impedì di abbandonare la sua cameretta segreta nell'ala sinistra del castello, e il giovane duca dormì in pace i suoi rosei sonni sotto il baldacchino piumato della cosiddetta Camera Reale, e poté sognare di Virginia indisturbato.



53 Il fantasma di Canterville - parte 3 (di Oscar Wilde)



3.
Allorché i componenti della famiglia Otis si riunirono il mattino successivo intorno al tavolo della prima colazione, la questione del fantasma venne discussa particolareggiatamente. Com'era naturale, il ministro degli Stati Uniti era piuttosto seccato che il suo dono fosse stato accolto con tanto malgarbo. «Io non ho l'intenzione» disse «di recargli alcuna offesa personale, e se si considera il lunghissimo periodo di tempo da cui egli è ospite di questa casa, trovo che non sia affatto educato accoglierlo con lanci di cuscini». Osservazione molto giusta e saggia, alla quale, mi dispiace di doverlo ammettere, i gemelli si misero a ridere. «D'altro canto» proseguì il ministro «se lui si ostina a non adoperare il Lubrificante Solare ci vedremo costretti a togliergli le catene, perché sarebbe impossibile dormire, altrimenti, con quel chiasso tremendo proprio a due passi dalle stanze da letto».
Il resto della settimana trascorse senza che essi venissero più disturbati: l'unico fenomeno che seguitava ad attrarre la loro attenzione era il continuo rinnovarsi della macchia di sangue sul pavimento della biblioteca. Questo era certamente un fatto inesplicabile, dato che la porta della biblioteca veniva chiusa a chiave ogni sera da Mister Otis in persona e le finestre ermeticamente sbarrate dall'interno. Lo stesso colore, per così dire camaleontico, della macchia, era di per sé sconcertante e dava adito ad un mucchio di commenti. Alcune mattine era di un rosso cupo, quasi ruggine, altre volte diventava vermiglia, poi trascolorava in fosca porpora, e un giorno che si erano riuniti in biblioteca per la preghiera in comune, secondo il semplice rito della Libera Chiesa Episcopale Americana Riformata, la trovarono trasformata in un bel verde smeraldo. Questi mutamenti caleidoscopici, com'era logico, divertivano moltissimo tutti quanti, e ogni sera davano luogo a scommesse. L'unica persona che non prendesse parte a quegli spassi era la piccola Virginia che, chissà per quale inesplicabile motivo, appariva sempre molto preoccupata alla vista della macchia di sangue, e il mattino che la trovò color verde smeraldo quasi quasi si mise a piangere.
Il fantasma fece la sua seconda comparsa nella notte della domenica. Erano da poco andati a letto quando intesero un pauroso fracasso nel vestibolo. Si precipitarono tutti di sotto e constatarono che una enorme, antichissima armatura, si era staccata dal suo supporto ed era caduta sul pavimento di pietra, mentre il fantasma di Canterville, seduto su una poltrona dall'alto schienale, si stava soffregando le ginocchia con un'espressione di acuta sofferenza dipinta sul volto. I gemelli, che erano venuti armati dei loro scacciacani, si affrettarono a sparargli addosso due scariche di pallottoline, con quella precisione di mira che si può ottenere soltanto dopo lunghe e attente esercitazioni sul proprio maestro di calligrafia, mentre il ministro degli Stati Uniti gli puntò addosso il revolver e, seguendo le regole dell'etichetta californiana, gli ingiunse di alzare le mani. Il fantasma balzò in piedi con un urlo inumano di rabbia e guizzò tra loro, dileguò come una nebbia, spegnendo al suo passaggio la candela che Washington Otis teneva in mano e lasciandoli così immersi in un'oscurità completa. Arrivato che fu in cima alle scale, si riprese e decise di prorompere nel suo celebre scroscio di risa demoniache. Queste gli erano state estremamente utili in più di un'occasione. Si dice che avessero fatta diventare grigia, in una sola notte, la parrucca di lord Raker, e comunque era un fatto che, per causa loro, ben tre governanti francesi di lady Canterville si erano licenziate prima della fine del mese di prova. Pertanto egli fece la sua raccapricciante risata, finché l'antica volta non risuonò ripetutamente in ogni recesso; ma la sua eco paurosa si era appena spenta che un uscio si aprì e la signora Otis vi si affacciò avvolta in una veste da camera azzurro chiaro dicendogli: «Ho proprio paura che lei non stia affatto bene. Perciò le ho portato una bottiglia di sciroppo del Dottor Dobell. Se si tratta di indigestione lo troverà un rimedio veramente eccellente». Il fantasma le lanciò un'occhiata satanica di indignazione e incominciò subito a fare i preparativi necessari per potersi trasformare in un enorme cane nero, impresa per la quale era giustamente famoso e alla quale il medico di famiglia aveva sempre attribuito l'idiozia congenita dello zio di lord Canterville, l'onorevole Thomas Horton. Ma un rumore di passi che si avvicinavano lo fece recedere dal suo bieco proposito, e si accontentò pertanto di diventare appena appena fosforescente, dileguandosi con un profondo e funereo gemito proprio nel momento in cui i gemelli stavano per piombargli addosso.
Come egli fu nella sua stanza, le forze lo abbandonarono e cadde in preda ad una violenta agitazione. La volgarità dei gemelli e il rozzo materialismo della signora Otis erano, si capisce, molto spiacevoli, ma ciò che lo rendeva addirittura disperato era l'aver dovuto constatare di non essere stato capace d'indossare la cotta di maglia. Aveva sperato che persino degli americani moderni si sarebbero emozionati a vedere uno spettro in armatura, se non per altro motivo, almeno per rispetto del loro poeta nazionale Longfellow, sulle cui poesie così piene di grazia e di fascino egli stesso si era intenerito nelle lunghe ore d'ozio, mentre i Canterville erano in città. Era la sua armatura, per giunta: l'aveva indossata al torneo di Kenilworth, e ne era stato molto complimentato niente di meno che dalla Regina Vergine in persona. Tuttavia, non appena aveva tentato di mettersela, poc'anzi, il peso dell'enorme corazza e dell'elmo di acciaio lo avevano completamente sopraffatto, ed era caduto pesantemente sul pavimento di pietra sbucciandosi le ginocchia e ammaccandosi seriamente le nocche della mano destra. Dopo questa disavventura si ammalò gravemente per diversi giorni e non abbandonò la propria stanza se non per tenere in efficienza la macchia di sangue. Alla fine però, a forza di curarsi, si rimise in salute e decise di compiere un terzo tentativo per spaventare il ministro degli Stati Uniti e la sua famiglia. Scelse il 17 di agosto, che cadeva di venerdì, per fare la sua comparsa, e passò quasi l'intera giornata a rivedere il proprio guardaroba. Infine la sua scelta cadde su un grande cappello con la tesa all'ingiù ornato di una piuma rossa, di un sudario sfrangiato ai polsi e al collo, e di una daga arrugginita. Verso sera scoppiò un violento temporale accompagnato da pioggia, e il vento era così furibondo che tutte le porte e le finestre del vecchio castello tremavano con gemiti e scricchiolii paurosi. Era un tempo infernale, proprio come piaceva a lui. Il suo piano d'azione era il seguente: sarebbe entrato pian piano nella camera di Washington Otis, gli avrebbe borbottato parole sconnesse dai piedi del letto, poi si sarebbe pugnalato per tre volte alla gola al suono di una musica in sordina. Nutriva contro Washington un rancore particolare, sapendo perfettamente che era lui a togliere ogni giorno la famosa macchia di sangue dei Canterville, grazie a quel suo maledetto Detersivo Incomparabile Pinkerton. Dopo aver ridotto in uno stato di indicibile terrore quel giovane temerario e avventato, sarebbe passato nella stanza occupata dal ministro degli Stati Uniti e da sua moglie, dove avrebbe posato sulla fronte della signora Otis una mano umidiccia, mentre avrebbe sibilato nelle orecchie del suo tremebondo marito gli orrendi segreti della cappella mortuaria. In quanto alla piccola Virginia non aveva ancora deciso come comportarsi. In fondo essa non lo aveva mai né offeso né insultato, ed era graziosa e gentile. Pochi gemiti cavernosi dal guardaroba, pensò, sarebbero stati più che sufficienti, oppure, se non fosse riuscito a svegliarla, le avrebbe grattato la trapunta del letto con dita tremanti di paralisi. Ai gemelli, invece, era ben deciso a impartire una lezione coi fiocchi. Per prima cosa, naturalmente, si sarebbe seduto sui loro petti, in modo da provocare la sensazione soffocante dell'incubo.
Poi, dato che avevano i letti vicini, si sarebbe messo in mezzo assumendo l'aspetto di un cadavere verde e freddo come il ghiaccio, finché quelli si fossero sentiti immobilizzati dal terrore, e infine avrebbe gettato il sudario e si sarebbe messo a strisciare per la stanza con ossa calcinate e un'unica pupilla roteante, nella personificazione di "Daniele il Muto", ovvero "Lo Scheletro del Suicida", un rôle nel quale più di una volta era stato di effetto strepitoso e che egli considerava in tutto e per tutto eguale alla sua celebre creazione di "Martino il Maniaco", ovvero il "Mistero Mascherato".
Alle dieci e mezzo udì la famiglia che andava a coricarsi. Fu disturbato per un certo tempo da urla e sghignazzate selvagge - i gemelli, naturalmente, i quali si stavano certamente divertendo prima di mettersi a dormire - ma alle undici e un quarto tutta la casa era immersa nel silenzio, e come scoccò la mezzanotte egli uscì dal suo rifugio. Il gufo batteva le ali contro le vetrate, il corvo gracchiava appollaiato in cima all'antico tasso, il vento errava gemendo attorno al castello come un'anima in pena, ma la famiglia Otis dormiva, inconsapevole della propria sorte, e alto sopra i rumori della pioggia e della tempesta il fantasma poté distinguere il sonoro russare del ministro degli Stati Uniti. Emerse cautamente dal pannello di legno che rivestiva la parete, con un sorriso malvagio sulla bocca avvizzita e crudele, e la luna si nascose la faccia dietro ad una nuvola mentre egli passava davanti al finestrone dove le sue insegne e quelle di sua moglie assassinata splendevano in campo azzurro e oro. Avanti, avanti; egli procedette, scivolando silenzioso come un'ombra malefica, e la stessa tenebra parve inorridire al suo passaggio. Ad un certo momento gli sembrò di udire un appello lontano, e si fermò, ma non era che l'abbaiare di un cane della Cascina Rossa, ed egli riprese ad avanzare, borbottando strane maledizioni del sedicesimo secolo e brandendo di quando in quando la daga rugginosa nell'aria notturna. Giunse infine all'angolo del corridoio che conduceva nella camera dello sfortunato Washington. Sostò per un istante: il vento gli faceva svolazzare intorno al capo le lunghe ciocche grigie, e scompigliava in pieghe fantastiche, grottesche, l'orrore senza nome del suo sudario. Quindi la pendola suonò il quarto ed egli comprese che l'ora era venuta. Ridacchiò tra sé, lugubremente, e svoltò l'angolo; ma subito cadde all'indietro con un gemito spaventoso di lamento e si nascose la faccia sbiancata tra le mani lunghe e ossute. Proprio davanti a lui si ergeva uno spettro mostruoso, immobile come un'immagine scolpita e allucinante come il sogno di un pazzo. Aveva il cranio calvo e lucido, e un riso osceno pareva gli avesse distorto i lineamenti in un ghigno perpetuo. Dagli occhi uscivano bagliori di luce scarlatta, la bocca era un vasto gorgo di fuoco, e un lenzuolo ributtante, simile al suo, ricopriva come neve immobile quella forma gigantesca. Sul suo petto era appeso un cartello vergato in strani caratteri antichi, che assomigliava a qualche bando vergognoso, a qualche testimonianza di peccati orrendi, a qualche spaventoso calendario del crimine, e alto nella mano destra impugnava un falcetto d'acciaio scintillante.
Non avendo mai visto uno spettro in vita sua, era troppo logico che il povero fantasma ne fosse terribilmente spaventato, e dopo un'altra fuggevole occhiata alla paurosa apparizione, fuggì precipitosamente nella propria stanza, inciampando nel sudario mentre correva lungo il corridoio, e alla fine lasciò cadere la spada negli stivaloni da caccia del ministro, dove fu trovata dal maggiordomo l'indomani mattina. Una volta al sicuro nel segreto del proprio appartamento, si lasciò cadere sul letto, un modesto pagliericcio, e nascose la faccia sotto le coperte. Dopo qualche tempo, l'antico spirito dei Canterville ebbe infine il sopravvento in lui, ed egli decise che sarebbe andato a parlamentare con l'altro fantasma non appena fosse spuntata l'alba. Perciò, proprio mentre l'aurora stava tingendo d'argento le cime dei colli, ritornò nel punto in cui i suoi occhi si erano posati per la prima volta sulla truce apparizione, poiché aveva riflettuto che, dopo tutto, due fantasmi valgono meglio di uno solo e che forse, con l'aiuto del suo nuovo amico, avrebbe potuto agire con maggiore efficacia contro i gemelli. Come fu giunto all'angolo del corridoio, uno spettacolo terribile si offrì alla sua vista. Qualcosa doveva certamente essere accaduto allo spettro, perché la luce era del tutto scomparsa dalle sue occhiaie vuote, il falcetto luccicante gli era caduto di mano, ed esso se ne stava poggiato contro il muro in una postura molto scomoda ed innaturale. Il fantasma diede un balzo e lo afferrò tra le braccia; ma, con suo grande orrore, la testa si staccò dal busto e scivolò a terra, il corpo assunse una posizione recline, ed egli si trovò a stringere una tenda da letto in cotonina bianca, con una scopa, un coltellaccio da cucina, e una zucca vuota ai piedi. Incapace di comprendere questa strana trasformazione, s'impadronì con ansia febbrile della scritta misteriosa ed ecco che nel grigio chiarore del mattino poté leggere queste inquietanti parole:
IL FANTASMA DE OTIS
Unico Fantasma Autentico e Originale
Guardatevi dalle Imitazioni
Tutti gli altri sono falsi

Ad un tratto capì ogni cosa. Era stato gabbato, burlato e sconfitto! Lo sguardo fiero dei Canterville gli balenò negli occhi: fece scricchiolare l'una contro l'altra le gengive sdentate, e levando alte sopra il capo le mani scheletriche giurò, secondo la pittoresca fraseologia dell'antica scuola, che allorquando Cantachiaro avesse fatto echeggiare due volte il suo allegro corno, imprese di sangue sarebbero state ordite e l'Omicidio si sarebbe aggirato per la contrada con passi felpati. Aveva appena terminato di proferire questo terribile giuramento, che dal tetto ricoperto di tegole rosse di un lontano cascinale, un gallo cantò. Il fantasma rise un lungo, sommesso, amaro riso, e attese. Attese per lunghe ore, ma il volatile, chissà per quale motivo, non cantò la seconda volta. Infine, alle sette e mezzo, il sopraggiungere delle cameriere lo costrinse ad abbandonare la sua veglia minacciosa, ed egli ritornò incespicando di stanchezza nella propria camera, rimuginando sulle sue vane speranze e sui suoi propositi così miseramente frustrati. Prese poi a consultare vari libri di cavalleria antica, e scoprì che in ogni occasione in cui quel giuramento era stato pronunciato, Cantachiaro aveva cantato sempre una seconda volta. «Maledetto volatile!» borbottò tra sé «e dire che nei bei tempi passati gli avrei trapassato la gola con la mia lancia appuntita e lo avrei fatto cantare per me nell'angoscia della morte!». Poco dopo si ritirò entro un comodo sarcofago di piombo dove rimase a riposare fino a tarda sera.

52 Il fantasma di Canterville - parte 2 (di Oscar Wilde)



2.
Il temporale imperversò furioso tutta la notte, ma non accadde nulla di notevole. La mattina seguente, tuttavia, quando scesero per la prima colazione, trovarono che la spaventosa macchia di sangue era ricomparsa sul pavimento. «Non credo possa essere colpa del Super Detersivo», osservò Washington «perché l'ho provato con tutto e mi ha sempre dato risultati perfetti. Dev'essere stato il fantasma». Di conseguenza fregò via la macchia una seconda volta, ma ecco che la seconda mattina era comparsa di nuovo. E ci fu anche la terza mattina, benché la biblioteca fosse stata chiusa a chiave la notte dal signor Otis in persona, il quale aveva poi portato via la chiave con sé. Tutta la famiglia cominciava ormai a interessarsi seriamente alla faccenda: al signor Otis venne il sospetto di essere stato forse un po' troppo dogmatico nel negare l'esistenza dei fantasmi, la signora Otis espresse l'intenzione di farsi socia dell'Associazione di Ricerche Psichiche, e Washington stilò una lunga lettera per i signori Myers & Podmore sulla permanenza delle macchie sanguigne allorché queste siano connesse con qualche delitto. Quella notte ogni dubbio intorno all'effettiva esistenza dei fantasmi fu dissipato per sempre.
Il giorno era stato caldo e soleggiato e quando, verso sera, l'aria rinfrescò, la famiglia Otis uscì in massa per una scarrozzata. Non rincasarono che alle nove, e consumarono un pasto leggero. Durante la conversazione non fu fatto il benché minimo accenno a spettri e fantasmi, di modo che mancavano anche quelle condizioni primarie di attesa ricettiva che spesso precedono il verificarsi di fenomeni psichici. Come mi narrò in seguito il signor Otis, il discorso cadde su quegli argomenti che formano di solito il nocciolo della conversazione tra gli americani colti delle classi superiori, come ad esempio l'enorme superiorità, quale attrice, della signorina Fanny Davenport al confronto di Sarah Bernhardt; la difficoltà di trovare granoturco acerbo, focacce di sorgo e pannocchie bollite nel latte anche nelle migliori case inglesi; l'importanza di Boston sullo sviluppo dell'anima universale; i vantaggi del bagaglio assicurato nei viaggi per ferrovia, e la dolcezza dell'accento di Nuova York in paragone alla pronuncia strascicata dei londinesi. Non si parlò neppure lontanamente di cose soprannaturali e tanto meno fu fatta alcuna allusione a sir Simon de Canterville. Alle undici la famiglia si ritirò e alle undici e mezzo tutte le luci erano spente. Poco tempo dopo il signor Otis venne però risvegliato da un curioso rumore che proveniva dal corridoio, proprio davanti all'uscio di camera sua. Risuonava come uno stridore di metallo che pareva farsi sempre più vicino ad ogni istante. Il ministro si alzò senza indugi, accese un fiammifero e guardò l'orologio. Era l'una esatta. Si sentiva calmissimo, e si tastò il polso per accertarsi di non essere febbricitante. Lo strano rumore continuava, accompagnato ora da un distinto strascicare di passi. Il ministro s'infilò le pantofole, tolse dal cassetto del tavolino da notte una minuscola fiala di forma oblunga, e aprì la porta. Diritto davanti a sé vide ergersi, nell'esangue luce lunare, un uomo dall'aspetto spaventoso. Aveva gli occhi rossi come due carboni ardenti: lunghi capelli grigi gli ricadevano per le spalle in ciocche incolte, e le vesti, di foggia antica, erano tutte lacere e imbrattate; dai polsi e dalle caviglie, infine, gli pendevano pesanti manette e catene arrugginite.
«Egregio signore», incominciò il signor Otis «sono costretto a pregarla di oliare un po' come si deve quelle sue catene, e le ho portato a questo scopo una bottiglietta di Lubrificante Solare Tammany. Me lo hanno garantito efficacissimo fin dalla prima applicazione; ne troverà la conferma nei numerosi attestati di alcuni tra i nostri maggiori dottori in teleologia. Glielo lascio qui per suo uso accanto alle candele della camera da letto, e sarò felicissimo di fornirgliene dell'altro, qualora ne avesse bisogno». Con queste parole, il ministro degli Stati Uniti posò la bottiglietta su un tavolo di marmo, chiuse la porta e si ritirò a riposare.
Per un attimo il fantasma di Canterville rimase letteralmente paralizzato dallo sdegno; quindi, dopo aver gettato con violenza la fiala sul lucido pavimento, svolazzò per il corridoio gemendo cupamente ed emanando una verde luce spettrale. Proprio nel momento in cui giungeva al sommo della grande scalinata di quercia, ecco che un uscio si spalancò lasciando intravvedere sulla soglia due figure biancovestite, e un grosso guanciale passò sibilando ad un pelo della sua testa. Non c'era evidentemente tempo da perdere; perciò adottando in tutta fretta la quarta dimensione come unica via di scampo, lo spettro svanì attraverso il rivestimento di legno della parete, restituendo alla casa quiete e silenzio.
Come ebbe raggiunta una piccola stanza segreta, nell'ala sinistra del castello, si appoggiò a un raggio di luna onde riprendere fiato e incominciò a riflettere sulla propria situazione. Mai, mai, nella sua brillante ed ininterrotta carriera tricentenaria, egli era stato così grossolanamente insultato. Ripensò alla vecchia duchessa da lui spaventata al punto di farla cadere in un attacco isterico, mentre si ammirava davanti allo specchio nei suoi pizzi e nei suoi diamanti: pensò alle quattro cameriere che aveva fatto uscire di senno, semplicemente sghignazzando alle loro spalle da dietro le tendine del guardaroba. Ripensò al Rettore della parrocchia al quale aveva spento la candela una notte che usciva tardi dalla biblioteca, e che da quella volta aveva dovuto essere affidato alle cure di sir William Gull, divenuto com'era un misero essere, sempre in preda a gravissime turbe nervose. E che dire della vecchia signora de Trémouillac la quale essendosi svegliata presto un mattino e avendo visto uno scheletro seduto in poltrona accanto al caminetto, intento a leggere il suo diario, era stata costretta a letto per ben sei settimane da un attacco di febbre cerebrale, e non appena ristabilita si era riconciliata con la Chiesa e aveva rotto ogni rapporto con quel noto scettico che era il signor Voltaire. Ripensò alla tremenda notte in cui il malvagio lord Canterville fu trovato rantolante nel proprio spogliatoio, con il fante di quadri mezzo infilato nella gola, e confessò sul punto di morire di aver sottratto a Charles Fox cinquantamila sterline al Casinò di Crockford, precisamente grazie a quella carta, e giurò che era stato il fantasma a fargliela ingoiare. Le sue grandi imprese gli tornarono tutte alla mente; dal maggiordomo che si era ucciso nella dispensa con un colpo di pistola per aver visto una mano verde battere contro i vetri della finestra, alla bellissima lady Stutfield, costretta a portare sempre annodato al collo un nastro di velluto nero per nascondervi l'impronta che cinque dita di fuoco le avevano lasciato sulla candida pelle, e che alla fine si era annegata nello stagno delle carpe, in fondo al Viale del Re. Con l'egoismo entusiastico dell'artista nato, riandò col pensiero alle sue trasformazioni più famose e sorrise amaramente tra sé, rammentando la sua ultima apparizione sotto le spoglie di "Ruben il Rosso", ovvero "L'Infante Strangolato"; il suo début nella personificazione di "Gibeone lo Smunto", e il furore che aveva suscitato in una languida sera di giugno limitandosi a giocare a birilli con le proprie ossa sul terreno del campo di tennis. Ebbene, dopo tutte queste gesta, dovevano venire quattro miserabili americani moderni a offrirgli del Lubrificante Solare e a buttargli dei cuscini in testa! Era una situazione assolutamente insopportabile. D'altronde mai nessun fantasma, nel corso della storia, era stato trattato a quel modo. Decise pertanto di vendicarsi adeguatamente, e rimase immerso sino allo spuntare del giorno in un atteggiamento di profonda meditazione.

51 Il fantasma di Canterville - parte 1 (di Oscar Wilde)


IL FANTASMA DI CANTERVILLE
Un romance material-idealista


1
Quando il signor Hiram B. Otis, ministro degli Stati Uniti, acquistò Canterville Chase, tutti gli dissero che stava commettendo una grande sciocchezza, pin quanto il luogo era senza dubbio infestato dagli spiriti. Lo stesso lord Canterville, persona scrupolosissima in materia d'onore, si era sentito in dovere di fargli presente la realtà dei fatti, quando giunse il momento di discutere le condizioni di acquisto col signor Otis.
«Neppure noi abbiamo più avuto il coraggio di abitarvi» spiegò lord Canterville «da quando la mia prozia, la vecchia duchessa di Bolton, si spaventò in modo tale che le prese un attacco di nervi dal quale non si riebbe mai completamente, per colpa di due mani scheletriche che le si posarono sulle spalle mentre si stava vestendo per scendere a pranzo. Mi sento tenuto a precisarle, signor Otis, che il fantasma è stato visto da diversi membri della mia famiglia tuttora viventi, come pure dal rettore della parrocchia, il reverendo Augustus Dampier, che è docente del King's College di Cambridge. Dopo il disgraziato incidente toccato alla duchessa, nessuna delle domestiche giovani volle più restare al nostro servizio, e persino lady Canterville stentava a prendere sonno, la notte, a causa dei misteriosi rumori che provenivano dal corridoio e dalla biblioteca».
«Mio egregio lord», fu la risposta del ministro «sono disposto a comprare in un solo blocco suppellettili e fantasma. Io sono nato in un paese moderno dove col denaro si può acquistare tutto, e con i nostri intraprendenti giovani che mettono a soqquadro il vostro vecchio mondo, e vi soffiano via le vostre migliori attrici e le vostre primedonne, sono certo che se in Europa esistesse davvero uno spettro, ce lo saremmo portato a casa nostra già da un pezzo e lo avremmo collocato in bella mostra in qualche museo o in qualche baraccone da fiera».
«Ho il convincimento che il fantasma esista realmente», replicò lord Canterville sorridendo, «per quanto può dirsi che abbia resistito alle offerte dei vostri dinamici impresari. È conosciuto da tre secoli, anzi dal 1584, per essere esatti, e non manca mai di fare la sua comparsa prima della morte di un membro della nostra famiglia».
«In quanto a questo, lord Canterville, egli si comporta come il medico di famiglia. Sta di fatto che i fantasmi non esistono e non credo che le leggi della natura subiscano speciali alterazioni per riguardo all'aristocrazia britannica».
«Certo in America siete tutti estremamente pratici», rispose lord Canterville che non aveva pienamente afferrato il senso dell'ultima frase detta da Mister Otis, «e se non le importa di avere uno spettro in casa, per me fa lo stesso. Però la prego di tenere presente che io l'ho avvertita».
Poche settimane dopo questo colloquio la compravendita del castello fu perfezionata, e al termine della stagione il ministro e la sua famiglia andarono a stabilirsi a Canterville Chase. Miss Otis, quando era la signorina Lucrezia R. Tappan, della Cinquantatreesima Strada Ovest, era stata una famosa bellezza nuovayorkese; ora era un'avvenente donna di mezza età, con due occhi magnifici e un profilo superbo. Molte signore americane, non appena abbandonano il loro paese natale, adottano un'aria da ammalate croniche, forse ritenendo che ciò sia una forma di raffinatezza europea: Miss Otis non era mai caduta in questo errore. Godeva di una salute di ferro e possedeva una vera miniera di meravigliosi istinti animali. A dire il vero, sotto molti punti di vista poteva essere scambiata per una inglese autentica, costituiva un fulgido esempio del fatto che noi in realtà abbiamo tutto in comune con gli americani, tranne, naturalmente, la lingua. Suo figlio maggiore, battezzato Washington dai genitori in un momento di patriottismo di cui egli non cessò mai di rammaricarsi, era un bel giovane biondo, che si era fatto strada nella diplomazia americana ballando il cotillon per tre stagioni consecutive al Casinò di Newport, ed anche a Londra era ben noto come ottimo ballerino. Le sue sole debolezze erano le gardenie e i titoli nobiliari. Per il resto, era un ragazzo di grande buon senso. Miss Virginia E. Otis era una ragazzina di quindici anni, graziosa e fragile come una cerbiatta, con una bella espressione di sicurezza e d'indipendenza nei grandi occhi azzurri. Era una meravigliosa amazzone, e aveva corso due volte in gara con lord Bolton attorno al parco, superandolo di una lunghezza e mezza, proprio di fronte alla statua di Achille, e suscitando un entusiasmo indescrivibile nel giovane duca di Cheshire, che le si era dichiarato seduta stante ed era stato rimandato a Eton quella sera stessa dai suoi tutori, in un torrente di lacrime. Dopo Virginia venivano i gemelli, soprannominati di solito "Stelle e Strisce" perché assaggiavano frequentemente il tocco della frusta. Erano due ragazzi simpaticissimi e, con la sola eccezione del degno ministro, i soli veri repubblicani della famiglia.
Poiché Canterville Chase dista sette miglia da Ascot, che è la stazione ferroviaria più vicina, il signor Otis aveva telegrafato perché venissero a  prenderli con una giardiniera, e tutta la famiglia si accomodò di ottimo umore sui sedili, per la breve scarrozzata. Era una deliziosa sera di giugno e l'aria era fragrante del profumo acuto dei pini. Di quando in quando si udiva il dolce richiamo del colombo selvatico o si intravvedeva, affondato tra le felci fruscianti, il petto dorato di un fagiano.
Gli scoiattoli occhieggiavano incuriositi al loro passaggio dall'alto dei faggi, e i conigli saltellavano per il sottobosco e su per i poggi muscosi, le candide code all'aria.
Non appena gli Otis ebbero imboccato il viale di Canterville Chase, il cielo si coprì all’improvviso di nuvole fosche, una strana immobilità parve imprigionare l'aria, un gran volo di corvi passò silenzioso sul loro capo e prima che raggiungessero la dimora grosse gocce di pioggia incominciarono a cadere.
A riceverli sulla soglia del castello trovarono una vecchia donna con un dignitoso abito di seta nera, con una cuffia e un grembiule bianco. Era la signora Umney, la governante che la signora Otis aveva acconsentito a tenere al proprio servizio per espressa richiesta di lady Canterville. La signora Umney fece a ciascuno un profondo inchino mentre scendevano di vettura e disse loro con un garbo compito e antiquato: «Vi auguro il benvenuto a Canterville Chase».
Seguendo i suoi passi, i membri della famiglia Otis passarono dal bel vestibolo in stile Tudor nella biblioteca che era una sala lunga e bassa rivestita di quercia nera, all'estremità della quale si trovava una grande finestra istoriata. Il tè era già apparecchiato su un tavolino e quelli, dopo essersi tolti gli spolverini da viaggio, presero a guardarsi intorno, mentre la signora Umney si occupava di loro.
A un tratto la signora Otis notò una macchia di colore rosso opaco che imbrattava il pavimento proprio vicino al caminetto e, senza rendersi minimamente conto di quel che in realtà significasse, l'additò alla signora Umney soggiungendo: «Credo che laggiù sia stato versato qualcosa».
«Infatti signora», rispose la vecchia governante sottovoce, «è stato versato del sangue, in quel punto».
«Che orrore!» gridò la signora Otis. «Non mi piace affatto che ci siano macchie di sangue in un salotto: bisogna farla togliere immediatamente».
La vecchia sorrise e disse con lo stesso tono di voce basso e misterioso: «È il sangue di lady Eleonore de Canterville, che fu assassinata in quel punto preciso dal proprio marito, sir Simon de Canterville, nel 1575. Sir Simon le sopravvisse di nove anni e poi scomparve subitamente in circostanze assai misteriose. Il suo corpo non è mai stato rinvenuto, ma il suo spirito peccatore vaga tuttora per il castello. La macchia di sangue è stata sempre molto ammirata da turisti e visitatori, e non è possibile toglierla».
«Sciocchezze!» gridò Washington Otis. «L’impareggiabile super-smacchiatore e detergente Pinkerton la farà sparire in due secondi», e prima che la governante, terrorizzata, avesse il tempo di aprire bocca, il giovanotto era già per terra e stava fregando energicamente il pavimento con un bastoncino che pareva una specie di cosmetico nero. Effettivamente, pochi istanti dopo, ogni traccia di sangue era scomparsa.
«Ero sicuro che il Pinkerton avrebbe dato un risultato immediato» esclamò il giovane trionfante, lanciando occhiate di soddisfazione ai congiunti che lo guardavano ammirati; ma aveva appena proferite queste parole che un tremendo guizzo di folgore luccicò nella sala buia e un pauroso scoppio di tuono li fece balzare in piedi; la signora Umney cadde a terra svenuta.
«Che clima spaventoso» osservò calmo il ministro, accendendosi un lungo sigaro. «Credo dipenda dall'eccesso di popolazione che affligge il vecchio continente e non permette una distribuzione uniforme per tutti i fenomeni atmosferici. Io sono sempre stato del parere che soltanto l'emigrazione può rimettere in sesto l'Inghilterra».
«Mio caro Hiram», esclamò la moglie «che cosa ce ne facciamo di una donna che sviene alla minima sciocchezza?».
«La multiamo, come si fa per la rottura delle stoviglie», le rispose il ministro, «vedrai che non sverrà più, d'ora in poi". E infatti di lì a pochi istanti la signora Umney si riebbe di colpo. La povera donna era indubbiamente fuori di sé, e con rotte parole supplicò il signor Otis di stare in guardia, che qualche guaio grosso si preparava a colpire il castello.
«Ho visto cose terribili con questi miei poveri occhi, signore; cose che farebbero rizzare i capelli in testa ad ogni buon cristiano. E quante notti insonni ho passato per i fenomeni spaventosi che si verificano in questa casa!».

Sia Mister Otis che sua moglie rassicurarono la brava donna che essi non avevano nessunissima paura dei fantasmi; e dopo aver invocato le benedizioni della Provvidenza sui suoi nuovi padroni e domandato un aumento di salario, la vecchia governante si ritirò a passi barcollanti nella propria camera.