5.
Pochi giorni dopo questi
avvenimenti, Virginia e il suo ricciuto cavaliere uscirono a cavallo sui prati
di Brockley, dove la fanciulla si strappò così malamente la veste di amazzone
nel saltare una siepe che, di ritorno a casa, preferì passare dalla scala di
servizio per non essere vista in quella guisa. Mentre attraversava di corsa il
vestibolo attiguo alla Sala degli arazzi, la cui porta era per caso aperta,
ebbe l'impressione di vedervi dentro qualcuno, e pensando si trattasse della
cameriera di sua madre, che qualche volta si metteva a lavorare lì, affacciò la
testa per chiederle di rattopparle il vestito. Ma con sua immensa sorpresa si
trattava invece del fantasma di Canterville in persona. Era seduto accanto alla
finestra, assorto nella contemplazione dell'oro consunto degli alberi e della
danza impazzita delle foglie rosse giù per il lungo viale. Teneva la testa
appoggiata ad una mano e tutto il suo atteggiamento esprimeva uno stato di
depressione indicibile. Aveva un aspetto tanto misero e tanto mal ridotto che
la piccola Virginia, il cui primo impulso era stato di fuggire, si sentì
invadere da una profonda compassione e decise di cercare di confortarlo. Il
passo della fanciulla era così leggero, e così greve era la malinconia dello
spettro, che questi non si accorse della sua presenza finché lei non gli ebbe
rivolta la parola.
«Mi spiace tanto per lei» incominciò Virginia «ma i miei fratelli ritornano domani a Eton, e
perciò, se lei si comporterà come si deve, nessuno la disturberà più».
«Comportarmi come si deve!» replicò il fantasma, volgendosi stupito a guardare la
graziosa fanciulla che aveva avuto il coraggio di parlargli. «È semplicemente ridicolo
chiedermi una cosa simile! Io devo far risuonare le mie catene, e mugolare
attraverso i buchi delle serrature, e passeggiare di notte per la casa, se è
questo ciò a cui tu alludi. È
la mia unica ragione di esistere».
«Non è affatto una buona ragione, e lei sa benissimo
di essere stato molto ma molto cattivo. Ce lo disse la signora Umney, proprio
il giorno del nostro arrivo, che lei ha assassinato sua moglie».
«Be', lo ammetto» rispose il fantasma «ma si tratta di una pura e semplice questione di
famiglia che non riguarda nessun altro».
«È un grave peccato ammazzare chicchessia!» osservò Virginia, la
quale aveva a volte una dolce gravità puritana, ereditata forse da un suo
lontano antenato della Nuova Inghilterra.
«Oh, detesto la severità da due soldi! Basta con l’etica
astratta! Mia moglie era una donna bruttissima, non mi inamidava mai le
gorgiere come piaceva a me, e non capiva un'acca in fatto di cucina. Perbacco,
avevo preso un daino magnifico nella foresta di Hogley, un due anni superbo, e
vuoi sapere come me lo fece servire in tavola? Be', ormai la cosa non ha più
importanza, è passato tanto tempo da allora, e non trovo che sia stato molto
carino da parte dei suoi fratelli farmi morire di fame, anche se gli avevo
accoppata la sorella».
«L'hanno fatta morire di fame, signor fantasma? Sir
Simon, voglio dire. Vuole mangiare qualcosa? Ho nella mia borsetta un panino
imbottito. Posso offrirglielo?».
«No, grazie, ormai non mangio più da secoli: comunque
è un gesto molto gentile, il tuo, e tu sei immensamente più carina di tutto il
resto della tua orribile, villana, volgare, disonesta famiglia!».
«La smetta!»
gridò Virginia, picchiando un piede per terra. «È lei, invece, maleducato, orribile e volgare! E in
quanto a disonestà, lei sa benissimo chi ha rubato tutti i colori della mia
scatola di pittura per tenere lustra e forbita quella ridicola macchia di
sangue sul pavimento della biblioteca. All'inizio mi ha preso tutti i rossi,
compreso il vermiglio, in modo che non ho più potuto fare nessun tramonto, poi
mi ha soffiato il verde smeraldo e il giallo cromo, e alla fine non mi era
rimasto più che l'indaco e il bianco di Cina, e non mi restava altro da fare
che dipingere paesaggi al chiaro di luna che sono molto deprimenti da guardare
e per giunta difficilissimi da ritrarre. Io non l'ho mai sbugiardata davanti
agli altri, però, e ho sempre taciuto, benché fossi estremamente seccata, e
trovassi la cosa semplicemente assurda, perché infatti chi ha mai visto una
macchia di sangue color verde smeraldo?».
«A dire la verità» replicò il fantasma alquanto confuso «che altro potevo fare? È una cosa
complicatissima, oggigiorno, trovare del sangue vero, e dal momento che era
stato tuo fratello Washington a incominciare con il suo maledetto Detersivo
Incomparabile, non vedevo il motivo per cui non avrei dovuto adoperare i tuoi
colori. In quanto al colore, poi, è una pura questione di gusto. Noi Canterville,
per esempio, abbiamo sangue blu, il sangue più blu di tutta l'Inghilterra, ma
io lo so che a voi americani queste differenze di tinta non interessano».
«Lei non sa nulla di ciò che interessa a noi, e la
cosa migliore che dovrebbe fare sarebbe quella di emigrare e di farsi una
cultura. Mio padre sarebbe più che lieto di procurarle un passaggio gratuito in
America, e per quanto vi sia una forte tassa sugli spiriti e gli alcoolici in
genere, l'ufficio della dogana non le farà difficoltà, dato che i funzionari
sono tutti democratici. Una volta a Nuova York, stia certo che avrà un successo
formidabile. Conosco un sacco di gente che darebbe centomila dollari per avere
un nonno, figurarsi poi se potesse trovare un fantasma di famiglia».
«Non credo che l'America mi piacerebbe».
«Forse perché noi non possediamo né rovine né
antichità?» osservò
Virginia con tono sarcastico.
«Né rovine né antichità» replicò il fantasma. «E allora che cos’altro sono la vostra flotta e le vostre
maniere?»
«Addio! Vado a chiedere a papà di concedere ai
gemelli una settimana di vacanza supplementare».
«Oh, ti prego, non te ne andare, Virginia!» gridò lo spettro. «Sono tanto solo e
infelice e proprio non so quello che devo fare. Vorrei tanto andare a dormire e
non posso».
«Questo è semplicemente ridicolo. Non ha che da
mettersi a letto e spegnere la candela. Qualche volta è molto difficile stare
svegli, soprattutto in chiesa, ma non è affatto difficile addormentarsi.
Persino i neonati lo sanno e non
è che siano molto intelligenti, vero?».
«Io non dormo da trecento anni» disse tristemente il fantasma, e i begli occhi celesti
di Virginia si spalancarono dallo stupore. «Da trecento anni non posso dormire, e sono tanto
stanco».
Virginia si fece molto seria e le
sue dolci labbra tremarono come petali di rosa al vento. Si accostò, gli si
inginocchiò al fianco e lo fissò nel vecchio volto avvizzito.
«Povero, povero fantasma» mormorò con tenerezza «non c'è proprio un luogo dove possa trovar sonno?».
«Lontano di qua, oltre la pineta» rispose il fantasma con
voce sommessa e sognante «c'è
un piccolo giardino. Laggiù l'erba cresce alta e folta, lì fioriscono le gemme
bianche della cicuta e lì l'usignolo canta tutta la notte. Tutta la notte,
canta, e la fredda luna di cristallo si china a guardare, e l'albero del tasso
distende le sue braccia gigantesche sui dormienti».
Gli occhi di Virginia si
appannarono di lacrime ed essa si nascose il volto tra le mani.
«Lei sta parlando del giardino della morte» mormorò.
«Sì, la morte. Oh, la morte deve essere tanto bella.
Poter giacere nella morbida terra bruna, con gli steli dell'erba che si agitano
leggeri sopra il tuo capo, e ascoltare il silenzio. Non avere né ieri, né
domani. Dimenticare il tempo, perdonare la vita, essere in pace. Tu potresti aiutarmi.
Potresti aprire per me i battenti della Casa della Morte, poiché l'amore ti sta
sempre vicino, e l'amore è più forte della morte».
Virginia tremò; un brivido
glaciale le serpeggiò per la schiena, e per alcuni attimi regnò tra loro un
silenzio sepolcrale. La fanciulla ebbe la sensazione di vivere come in un sogno
terrificante.
Poi il fantasma riprese a
parlare, e la sua voce assomigliava al sospiro del vento.
«Hai mai letto l'antica profezia che sta sulla
finestra della biblioteca?».
«Oh, sì!»
esclamò Virginia, alzando vivacemente il capo. «Tante volte! La conosco benissimo. È dipinta in strane lettere
nere, ed è difficile da leggersi. Non sono che sei versi:
Se una fanciulla
bionda riuscirà a strappare
Una preghiera dalle
labbra di un peccatore,
Se lo sterile
mandorlo darà il suo frutto,
E se una fanciulla
gli donerà le sue lacrime,
Solo allora l’intera
casa potrà riposare
E la pace discenderà
sulla famiglia Canterville.
...Però non so che cosa
significhino».
«Significano»
disse tristemente il fantasma «che
tu devi piangere per i miei peccati, perché io non ho lacrime, e pregare con me
per la mia anima, perché io non ho fede, e poi, se tu sarai stata sempre buona,
dolce e gentile, l'angelo della morte avrà pietà di me. Tu vedrai nell'oscurità
ombre paurose, e voci malvagie ti sussurreranno all'orecchio, ma esse non ti
faranno male, poiché contro la purezza di una creatura innocente le forze
dell'inferno non possono prevalere».
Virginia non rispose, e il
fantasma si torse le mani in preda alla disperazione guardando l'aureo capo
reclino della fanciulla. Improvvisamente questa si alzò, pallidissima, con una
strana luce negli occhi. «Io
non ho paura» disse
con fermezza «e chiederò
all'angelo di avere pietà di te».
Il fantasma si levò con un debole
grido di gioia, le prese la mano e inchinandosi gliela baciò con grazia
antiquata. Le sue dita erano fredde come il ghiaccio e le labbra bruciavano
come fiamma ardente, ma Virginia non tremò mentre lui la guidava attraverso la
sala immersa nel crepuscolo. Sul verde sbiadito della tappezzeria erano
ricamati minuscoli cacciatori: essi suonarono i loro corni ornati di nappe e
con le piccole mani le fecero cenno di tornare indietro. «Torna indietro, piccola
Virginia!»
gridarono «torna
indietro!».
Il fantasma le strinse ancor più
saldamente la mano e lei chiuse gli occhi alle loro lusinghe. Animali immondi
con code di lucertole e occhi sgusciati la fissarono di soppiatto dalla cornice
del caminetto scolpito e mormorarono: «Attenta,
piccola Virginia! Attenta! Potrebbe darsi che non ti vediamo mai più!» Il fantasma accelerò la
sua silenziosa fuga, e Virginia non gli diede retta. Quando furono arrivati in
fondo alla sala, egli si fermò e borbottò alcune parole incomprensibili. Allora
Virginia aprì gli occhi e vide il muro dissolversi lentamente, come una nebbia,
e una grande caverna nera aprirsi dinanzi a lei. Un vento impetuoso e gelido li
investì, ed essa sentì qualcosa che la tirava per il lembo del vestito. «Presto, presto» gridò il fantasma «altrimenti sarà troppo
tardi». Un istante
dopo, il rivestimento di legno si era già richiuso sopra di loro, e la Sala
degli Arazzi rimase vuota.
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