Il professor Murray Ringold,
vecchio insegnante di inglese, racconta a un suo ex allievo, Nathan Zuckerman,
la storia del suo fratello minore Ira, di cui Nathan è stato amico. Nel brano
qui riportato narra in particolare un episodio accaduto nel 1920 nel quartiere
italiano di Newark, dove un vecchio calzolaio decise di organizzare un pomposo
funerale per l’essere da lui più amato: il suo canarino Jimmy!
Il brano è tratto dal
romanzo “Ho sposato un comunista”, pubblicato da Einaudi con la traduzione di Vincenzo Mantovani.
- Conosci la storia del funerale del canarino in
quello che una volta era il primo distretto, quando uno dei calzolai del posto
seppellì il suo canarino? Questo ti farà capire com’era tosto Ira… e quanto
poco lo era. Fu nel 1920. Io avevo tredici anni e Ira sette, e in Boyden
Street, a due strade dalla nostra casa popolare, c’era un ciabattino,
Russomanno, Emidio Russomanno, un vecchio dall’aria misera, piccino, con due grandi
orecchie e una faccia smunta e la barba bianca sul mento e, sulle spalle, un
abito liso di cent’anni prima. Russomanno, per avere un po’ di compagnia,
teneva in bottega un canarino. Il canarino si chiamava Jimmy e Jimmy visse a
lungo e poi Jimmy mangiò qualcosa che non avrebbe dovuto mangiare e morì.
- Russomanno era distrutto, e allora ingaggiò una
fanfara da parate, noleggiò un carro funebre e due carrozze tirate da cavalli,
e dopo che il canarino venne esposto in una specie di camera ardente sopra un banco
della bottega – con tanto di fiori, candele e un crocifisso – ci fu una
processione per le strade dell’intero distretto, una processione che passò
davanti al negozio di generi alimentari Del Guercio, dove avevano i frutti di
mare fuori nelle ceste e una bandiera americana in vetrina, davanti al banco di
frutta e verdura Melillo, davanti al forno Giordano, davanti al forno
Mascellino, davanti all’Arre’s Italian Tasty Crust Bakery. Passò davanti alla
macelleria Biondi e alla selleria De Lucca e al garage De Carlo e al Caffè
D’Innocenzo e alla calzoleria Parisi e al negozio di biciclette Nole e alla
latteria Celentano e alla sala biliardi Grande e al salone di barbiere Basso e
al salone di barbiere Esposito e al banchetto dei lustrascarpe con le due poltrone
vecchie e graffiate per accomodarsi nelle quali i clienti dovevano montare
sull’alta pedana.
- Tutto sparito da quarant’anni. Nel ’53 il
municipio sventrò l’intero quartiere italiano per far posto a una fungaia di
alti palazzoni popolari ad affitto moderato. Nel ’94 fecero saltare i palazzoni
davanti alla tivù. Ormai non ci viveva più nessuno da una ventina d’anni.
Inabitabili. Oggi non resta più nulla. St. Lucy e basta. L’unica cosa che è
rimasta in piedi. La chiesa parrocchiale, ma senza parrocchia e senza
parrocchiani.
- Il Caffè Nicodemi nella Settima Avenue e il Caffè
Roma nella Settima Avenue e la banca D’Auria della Settima Avenue. Era la banca
dove, prima che scoppiasse la seconda guerra mondiale, concedevano crediti a
Mussolini. Quando Mussolini invase l’Etiopia, il prete suonò le campane della
chiesa per mezz’ora. Qui in America, nel primo distretto di Newark.
- Il pastificio e la fabbrica di addobbi e il
marmista e il teatro di marionette e il cinematografo e i campi di bocce e la
fabbrica di ghiaccio e la tipografia e i vari circoli e ristoranti. Davanti al
ritrovo abituale del gangster Ritchie Boiardo, il Victory Café. Negli anni
Trenta, quando uscì di prigione, Boiardo costruì il Vittorio Castle all’angolo
dell’Ottava con Summer. Quelli del mondo dello spettacolo venivano apposta da
New York per cenare al Castle. Il Castle è dove Joe DiMaggio andava a mangiare
quando veniva a Newark. Il Castle è dove DiMaggio e la sua ragazza fecero la
festa di fidanzamento. Era dal Castle che Boiardo spadroneggiava sul primo
distretto. Ritchie Boiardo dominava gli italiani nel primo distretto e Longy
Zwillman dominava gli ebrei nel terzo distretto, e questi due gangster erano
sempre in guerra.
- Davanti alla dozzina di bar del quartiere il
corteo si snodò da est a ovest, a nord su per una strada e a sud giù per quella
dopo, fino ai Bagni Municipali di Clifton Avenue: il modello architettonico più
stravagante del primo distretto dopo la chiesa e la cattedrale, la sede dei
vecchi e massicci bagni pubblici dove mia madre ci portava a fare il bagno da
bambini. Ci andava anche mio padre. Doccia gratis e un soldino per
l’asciugamano.
- Il canarino venne messo in una piccola bara bianca
issata sulle spalle di quattro portatori. Si radunò una grande folla, lungo il
percorso della processione si schierarono forse diecimila persone. La gente si
pigiava sulle scale antincendio e sui tetti delle case. Intere famiglie si
sporgevano dalle finestre delle case popolari per assistere allo spettacolo.
- Russomanno viaggiava nella carrozza dietro la
bara, Emidio Russomanno che piangeva mentre tutti gli altri abitanti del primo
distretto ridevano. Qualcuno rideva così forte che finì èer rotolarsi per
terra. Ridevano tanto da non riuscire a stare in piedi. Ridevano persino i portatori.
Era contagioso. Rideva il tizio che guidava il carro funebre. In segno di
rispetto verso il padrone del canarino, la gente sul marciapiede si sforzava di
resistere fino a quando era passata la carrozza di Russomanno, ma per la
maggior parte dei presenti era troppo comico, specie per i bambini.
- Il nostro era un piccolo quartiere brulicante di
bambini: bambini nei vicoli, bambini pigiati sui gradini dei portoni, bambini
che uscivano a frotte dalle case popolari e correvano da Clifton Avenue fino a
Broad Street. Per tutto il giorno e, d’estate, per metà della notte si potevano
sentire questi bambini che gridavano: - Guaglio’! Guaglio’! – Ovunque uno
volgesse lo sguardo, bande di bambini, battaglioni di bambini: che tiravano
monetine, giocavano a carte, facevano rotolare i dadi, giocavano a biliardo,
leccavano gelati, giocavano a palla, accendevano falò, spaventavano le bambine.
Solo le suore armate di righello potevano controllare questi bambini. Migliaia
e migliaia erano, tutti sotto i dieci anni. Ira era uno di loro. Migliaia e
migliaia di rissosi bambinetti italiani, i figli degli italiani che posavano i
binari della ferrovia e lastricavano le strade e scavavano le fogne, i figli
dei venditori ambulanti e degli operai di fabbrica e degli straccivendoli e dei
baristi. Bambini chiamati Giuseppe e Rodolfo e Raffaele e Gaetano, e un solo
bimbo ebreo chiamato Ira.
- Be’, gli italiani si divertivano un mondo. Non
avevano mai visto una cosa come il funerale di quel canarino. E non videro mai
più una cosa simile. Certo, c’erano già stati cortei funebri prima di quello, e
bande che suonavano marce funebri e persone in lutto che riempivano le strade.
Tutto l’anno c’erano feste con processioni per tutti quei santi che si erano
portati dall’Italia, centinaia e centinaia di persone che veneravano lo
speciale santo della loro congregazione religiosa mettendosi tutte in
ghingheri, sventolando lo stendardo ricamato del patrono e portando ceri grossi
come cavacopertoni. E per Natale c’era il presepio di Santa Lucia, la copia di
un villaggio napoletano che rappresentava la nascita di Gesù, popolato da cento
statuine italiane comprendenti Maria, Giuseppe e il Bambino. C’erano gli
zampognari italiani che sfilavano con un Bambino di gesso e, dietro il Bambino,
la gente in processione che cantava inni natalizi in italiano. E nelle strade
gli ambulanti che vendevano le anguille per la cena della vigilia. La gente
usciva in folla per le manifestazioni religiose, e attaccava biglietti da un
dollaro al mantello della statua di gesso del santo del momento, e dalle
finestre delle case faceva piovere petali di fiori come i coriandoli di nastro
per telescrivente di Wall Street. Liberavano anche uccelli dalle gabbie,
colombe che volavano impazzite sopra la folla da un palo del telefono all’altro.
Quando c’era la festa del patrono queste colombe forse avrebbero voluto non
avere mai visto l’esterno di una gabbia.
- Per la festa di San Michele gli italiani vestivano
una coppia di bambine da angioletti. Dalle scale antincendio ai lati della strada
le facevano dondolare sopra la gente con le corde alle quali le bambine erano
attaccate. Esili bimbette in camicia bianca con l’aureola e un paio d’ali sulle
spalle, e la folla ammutoliva, intimidita, quando comparivano lassù, recitando
una preghiera; e quando le bambine avevano finito di essere degli angeli la
folla andava in delirio. Era in quel momento che liberavano le colombe ed era
in quel momento che esplodevano i fuochi artificiali e qualcuno finiva
all’ospedale con due dita in meno.
- Spettacoli vivaci come questi, dunque, non erano
una novità per gli italiani del primo distretto. Buffi personaggi, stramberie
del vecchio continente, chiasso e liti, pittoresche esibizioni: niente di
nuovo. E nuovi non erano di certo i funerali. Durante l’epidemia influenzale
era morta tanta gente che si erano dovute allineare le bare sulla strada.
Millenovecentodiciotto. Le imprese di pompe funebri non ce la facevano più.
dietro le bare, lunghi i tre chilometri di strada fino allo Holy Sepulcher
Cemetery, le processioni da St. Lucy si susseguivano per tutta la giornata. Per
i bambini piccoli c’erano delle minuscole bare. Per seppellire tuo figlio
dovevi aspettare il tuo turno: dovevi aspettare che, prima, i tuoi vicini
seppellissero il loro. Terrore indimenticabile per un bambino. Eppure, due anni
dopo l’epidemia d’influenza il funerale di Jimmy il canarino… Be’, quello li
batté tutti.
- Tutti, quel giorno, si sbellicarono dalle risa.
Tutti tranne uno. Ira fu il solo, a Newark, a non apprezzare lo scherzo. Io non
riuscii a spiegarglielo. Ci provai, ma stentava a capire. Perché? Forse perché era
stupido, o forse perché non lo era. Forse, semplicemente, non amava le
carnevalate: molti utopisti sono così. O forse dipendeva dal fatto che nostra
madre era morta qualche mese prima e anche noi avevamo avuto il nostro
funerale, al quale Ira non avrebbe voluto partecipare. Lui avrebbe preferito
scendere in strada e prendere a calci un pallone, e mi pregò di non
costringerlo a cambiarsi per andare al cimitero. Cercò addirittura di
nascondersi in un armadio. Ma alla fine dovette venire con noi. Provvide mio
padre a convincerlo. E al cimitero rimase là a guardarci mentre noi la
seppellivamo, ma si rifiutò di darmi la mano e non mi permise di abbracciarlo. Si
limitò a scoccare occhiate bieche all’indirizzo del rabbino. A guardarlo in
cagnesco. Non volle essere toccato, né confortato da nessuno. E non pianse, non
versò una lacrima. Era troppo arrabbiato per piangere.
- Ma quando morì il canarino al funerale risero
tutti, tutti tranne Ira. Ira conosceva Jimmy solo per essere passato davanti
alla bottega del ciabattino mentre andava a scuola e per averne visto la gabbia
in vetrina. Non credo che fosse mai entrato nella bottega e tuttavia, a parte
Russomanno, fu l’unico dei presenti a sciogliersi in lacrime.
- Quando io
scoppiai a ridere (perché era buffo, Nathan, molto buffo), Ira perse ogni controllo. Fu la prima volta che lo
vidi comportarsi così. Alzò i pugni e si mise a gridare. Era, già allora, un
bambino grande e grosso, e io non riuscii a immobilizzarlo, e tutt’a un tratto
lo vidi avventarsi su un paio di ragazzi accanto a noi che stavano, anche loro,
ridendo come pazzi, e quando mi chinai per sollevarlo e impedirgli di farsi
massacrare da una torma di monelli, uno dei suoi pugni mi colpì sul naso. Mi ruppe
il naso qui alla radice, un bambino di sette anni. Sanguinavo, quel maledetto
naso si era rotto, evidentemente, e Ira allora scappò via.
- Non lo trovammo fino al giorno dopo. Aveva dormito
dietro la distilleria di Clifton Avenue. Non era la prima volta. Nel cortile,
sotto il piano di caricamento. La mattina mio padre lo trovò là. Lo prese per
la collottola e lo trascinò per tutta la strada fino all’aula della scuola dov’era
già cominciata la lezione. Quando i compagni lo videro, con quella tuta sporca
in cui aveva passato la notte, scaraventato nell’aula da suo padre,
cominciarono a gridare «Uee-uee», e da allora quello fu, per mesi, il nomignolo
di Ira. Uee-uee Ringold. Il ragazzo ebreo che aveva pianto al funerale del
canarino.
- Per fortuna, Ira era sempre più grosso degli altri
ragazzi della sua età, ed era forte, e sapeva giocare a pallone. Ira sarebbe
stato un grande atleta, se non fosse stato per gli occhi. Se riuscì a farsi
rispettare, in quel quartiere, fu perché era un bravo giocatore di pallone. Ma le
risse? Da allora in poi fu una rissa dopo l’altra. Fu in quel periodo che
nacque il suo estremismo.
- Fu una fortuna, sai, che non fossimo cresciuti con
gli ebrei poveri del terzo distretto. Crescendo nel primo distretto, Ira per
gli italiani fu sempre un estraneo, uno spaccone giudeo, e così, per grosso,
forte e bellicoso che fosse, Boiardo non gli riconobbe mai le doti di una
possibile recluta della mafia. Ma nel terzo distretto, tra gli ebrei, avrebbe
potuto andare diversamente. Là Ira non sarebbe stato il reietto ufficiale del
branco. Se non altro per la sua taglia, avrebbe probabilmente richiamato l’attenzione
di Longy Zwillman. Da quanto mi risulta, Longy, che aveva dieci anni più di
Ira, gli somigliava molto, da ragazzo: grosso, ostile e rabbioso, anche lui
aveva abbandonato gli studi, affrontava impavido ogni rissa e aveva l’autorità
di chi sa usare il cervello. Nel contrabbando degli alcolici, nel gioco, nelle
macchine a gettone, sui docks, nel movimento operaio e nell’edilizia, Longy
alla fine fece una bella carriera. Ma anche quando arrivò al vertice, quando
era socio di Bugsy Siegel, di Lansky e di Lucky Luciano, i suoi amici più
fidati erano quelli con i quali era cresciuto nelle strade, ragazzi ebrei del
terzo distretto come lui, per i quali un nonnulla era una provocazione. Niggy Rutkin,
il suo giustiziere. Sam Katz, la sua guardia del corpo. George Goldstein, il
suo contabile. Billy Tiplitz, il responsabile delle scommesse. Doc Stacher, la
sua calcolatrice. Abe Lew, il cugino di Longy, dirigeva per lui il sindacato
commessi negozi al dettaglio. Cristo, e Meyer Ellenstein, un altro ragazzo di
strada del ghetto del terzo distretto? Quando fu eletto sindaco di Newark,
Ellenstein per Longy diresse il municipio. O quasi.
- Ira avrebbe potuto diventare uno dei giannizzeri
di Longy, pronto a sbrigare lealmente tutti i loro «lavoretti». Era maturo per
il reclutamento. Non ci sarebbe stato nulla di aberrante: quei ragazzi erano
destinati a diventare dei criminali. Era il passo logico successivo. Avevano dentro
quella violenza che è una tattica indispensabile, nelle bande, per ispirare
timore e battere la concorrenza. Ira avrebbe potuto cominciare giù a Port
Newark, scaricando dai motoscafi il whiskey di contrabbando proveniente dal
Canada per accatastarlo nei camion di Longy, e avrebbe potuto finire, come
Longy, con una villa da miliardario a West Orange e una corda al collo.
- Com’è tutto casuale, vero? Chi possiamo diventare,
in che modo… Fu solo per una piccola casualità della geografia che Ira non ebbe
mai l’occasione di incontrare Longy. L’occasione d’intraprendere una brillante
carriera usando lo sfollagente sui concorrenti di Longy, mettendo i clienti di
Longy con le spalle al muro, sorvegliando i tavoli da gioco nei casinò di
Longy. L’occasione di concluderla testimoniando per un paio d’ore davanti alla
commissione Kefauver prima di tornare a casa e d’impiccarsi.
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