Questa è la prima novella della
terza giornata, quella retta da Neifile, la quale ha scelto come argomento per
i racconti di questo giorno l’ingegnosità con cui raggiungere una cosa molto
desiderata o recuperarne una perduta.
La storia di Masetto che,
fingendosi muto, si introduce in un monastero femminile, con lo scopo di
giacere con tutte le giovani suore che là vi stanno, appartiene a quel gruppo
di novelle decisamente erotiche che costellano l’opera del Boccaccio; si tratta
però di un erotismo visto con estrema naturalezza, qualcosa di assolutamente
insopprimibile nella vita umana, e quindi di non condannabile.
Masetto da Lamporecchio si fa
mutolo e diviene ortolano di uno monistero di donne, le quali tutte concorrono
a giacersi con lui.
Bellissime donne, assai sono di
quegli uomini e di quelle femine che sì sono stolti, che credono troppo bene
che, come ad una giovane è sopra il capo posta la benda bianca e in dosso
messale la nera cocolla, che ella più non sia femina né più senta de’ feminili
appetiti se non come se di pietra l’avesse fatta divenire il farla monaca; e se
forse alcuna cosa contra questa lor credenza n’odono, così si turbano come se
contra natura un grandissimo e scelerato male fosse stato commesso, non
pensando né volendo aver rispetto a sé medesimi, li quali la piena licenzia di
poter far quel che vogliono non può saziare, né ancora alle gran forze
dell’ozio e della sollecitudine. E similmente sono ancora di quegli assai che
credono troppo bene che la zappa e la vanga e le grosse vivande e i disagi
tolgano del tutto a’ lavoratori della terra i concupiscibili appetiti e rendan
loro d’intelletto e d’avedimento grossissimi. Ma quanto tutti coloro che così
credono sieno ingannati, mi piace, poi che la reina comandato me l’ha, non
uscendo della proposta fattaci da lei, di farvene più chiare con una piccola
novelletta.
In queste nostre contrade fu, ed
è ancora, un munistero di donne assai famoso di santità (il quale io non nomerò
per non diminuire in parte alcuna la fama sua), nel quale, non ha gran tempo,
non essendovi allora più che otto donne con una badessa, e tutte giovani, era
un buono omicciuolo d’un loro bellissimo giardino ortolano: il quale, non
contentandosi del salario, fatta la ragion sua col castaldo delle donne, a
Lamporecchio, là onde egli era, se ne tornò. Quivi, tra gli altri che
lietamente il raccolsono, fu un giovane lavoratore forte e robusto e secondo
uomo di villa con bella persona, il cui nome era Masetto; e domandollo dove
tanto tempo stato fosse. Il buono uomo, che Nuto avea nome, gliele disse: il
qual Masetto domandò, di che egli il monistero servisse.
A cui Nuto rispose: «Io lavorava un lor
giardino bello e grande e oltre a questo andava alcuna volta al bosco per le
legne, attigneva acqua e faceva cotali altri servigetti; ma le donne mi davano
sì poco salaro, che io non ne poteva appena pur pagare i calzari. E oltre a
questo, elle son tutte giovani e parmi ch’elle abbiano il diavolo in corpo, ché
non si può far cosa niuna al lor modo. Anzi, quand’io lavorava alcuna volta
l’orto, l’una diceva: ‘Pon qui questo’, e l’altra: ‘Pon qui quello’, e l’altra
mi toglieva la zappa di mano e dicea: ‘Questo non sta bene’, e davanmi tanta
seccaggine, che io lasciava stare il lavorio e uscivami dell’orto: sì che, tra
per l’una cosa e per l’altra, io non vi volli star più e sommene venuto. Anzi
mi pregò il castaldo loro, quando io me ne venni, che, se io n’avessi alcuno
alle mani che fosse da ciò, che io gliele mandassi, e io gliele promisi; ma
tanto il faccia Dio san delle reni, quanto io o ne procaccerò o ne gli manderò
niuno».
A Masetto, udendo egli le parole
di Nuto, venne nell’animo un disidero sì grande d’esser con queste monache, che
tutto se ne struggeva, comprendendo per le parole di Nuto che a lui dovrebbe
poter venir fatto di quello che egli disiderava; e avvisandosi che fatto non
gli verrebbe se a Nuto ne dicesse niente, gli disse: «Deh, come ben facesti a venirtene! Che è uno umo a
star con femine? Egli sarebbe meglio a star con diavoli: elle non sanno delle
sette volte le sei quello che elle si vogliono elleno stesse».
Ma poi, partito il lor ragionare,
cominciò Masetto a pensare che via dovesse tenere a dovere potere esser con
loro; e conoscendo che egli sapeva ben fare quegli servigi che Nuto diceva, non
dubitò di perder per quello, ma temette di non dovervi esser ricevuto per ciò
che troppo era giovane e appariscente. Per che, molte cose divisate seco,
imaginò: «Il luogo
è assai lontano di qui e niuno mi vi conosce; se io so far vista d’esser
mutolo, per certo io vi sarò ricevuto».
E in questa imaginazion fermatosi,
con una sua scure in collo, senza dire ad alcuno dove s’andasse, in guisa d’un
povero uomo se n’andò al monistero: dove pervenuto entrò dentro e trovò per ventura
il castaldo nella corte, al quale, faccendo suoi atti come i mutoli fanno,
mostrò di domandargli mangiare per l’amor di Dio e che egli, se bisognasse, gli
spezzerebbe delle legne. Il castaldo gli diè da mangiar volentieri, e appresso
questo gli mise innanzi certi ceppi che Nuto non aveva potuti spezzare, li
quali costui, che fortissimo era, in poca d’ora ebbe tutti spezzati. Il
castaldo, che bisogno avea d’andare al bosco, il menò seco, e quivi gli fece
tagliar delle legne; poscia, messogli l’asino innanzi, con suoi cenni gli fece
intendere che a casa ne le recasse. Costui il fece molto bene, per che il
castaldo a far fare certe bisogne che gli eran luogo più giorni vel tenne: de
quali avvenne che uno la badessa il vide e domandò il castaldo chi egli fosse.
Il quale le disse: «Madonna, questi è un
povero uomo mutolo e sordo, il quale un di questi dì ci venne per limosina, sì
che io gli ho fatto bene, e hogli fatte fare assai cose che bisogno c’erano. Se
egli sapesse lavorar l’orto e volesseci rimanere, io mi credo che noi n’avremmo
buon servigio, per ciò che egli ci bisogna, e egli è forte e potrebbene l’uomo
fare ciò che volesse: e oltre a questo non vi bisognerebbe d’aver pensiero che
egli motteggiasse queste vostre giovani».
A cui la badessa disse: «In fè di Dio tu di’ il
vero! sappi se egli sa lavorare e ingegnati di ritenercelo; dagli qualche paio
di scarpette, qualche cappuccio vecchio, e lusingalo, fagli vezzi, dagli ben da
mangiare».
Il castaldo disse di farlo. Masetto
non era guari lontano, ma faccendo vista di spazzar la corte tutte queste
parole udiva e seco lieto diceva: «Se
voi mi mettete costà entro, io vi lavorerò sì l’orto, che mai non vi fu così
lavorato».
Ora, avendo il castaldo veduto
che egli ottimamente sapeva lavorare e con cenni domandatolo se egli voleva
star quivi e costui con cenni rispostogli che far voleva ciò che egli volesse,
avendolo ricevuto, gl’impose che egli l’orto lavorasse e mostrogli quello che a
fare avesse; poi andò per altre bisogne del monistero e lui lasciò. Il quale
lavorando l’un dì appresso l’altro, le monache incominciarono a dargli noia e a
metterlo in novelle, come spesse volte avviene che altri fa de’ mutoli, e
dicevangli le più scellerate parole del mondo, non credendo da lui essere intese;
e la badessa, che forse stimava che egli così senza coda come senza favella
fosse, di ciò poco o niente si curava.
Or pure avvenne che, costui un dì
avendo lavorato molto e riposandosi, due giovinette monache, che per lo
giardino andavano, s’appressarono là dove egli era e lui che sembiante facea di
dormire cominciarono a riguardare. Per che l'’una, che alquanto era più
baldanzosa, disse all’altra: «Se
io credessi che tu mi tenessi credenza, io ti direi un pensiero che io ho avuto
più volte, il quale forse anche a te potrebbe giovare».
L’altra rispose: «Dí sicuramente, ché per certo io nol dirò mai a
persona».
Allora la baldanzosa incominciò: «Io non so se tu t’hai
posto mente come noi siamo tenute strette, né che mai qua entro uomo alcuno osa
entrare se non il castaldo ch’è vecchio e questo mutolo; e io ho più volte a
più donne che a noi son venute udito dire che tutte l’altre dolcezze del mondo
sono una beffa a rispetto di quella quando la femina usa con l’uomo. Per che io
m’ho più volte messo in animo, poiché con altrui non posso, di volere con questo
mutolo provare se così è; e egli è il miglior del mondo da ciò costui, ché,
perché egli pur volesse, egli nol potrebbe né saprebbe ridire: tu vedi ch’egli
è un cotal giovanaccio sciocco, cresciuto innanzi al senno. Volentieri udirei
quello che a te ne pare».
«Oimè!»
disse l’altra «che
è quel che tu di’? non sai tu che noi abbiam promesso la verginità nostra a
Dio?»
«Oh»
disse colei «quante
cose gli si promettono tutto il dì, che non se ne gli attiene niuna! se noi
gliele abbiam promessa, truovisi un’altra o dell’altre che gliele attengano».
A cui la compagna disse: «O se noi ingravidassimo,
come andrebbe il fatto?»
Quella allora disse: «Tu cominci a aver
pensiero del mal prima che egli ti venga; quando cotesto avvenisse, allora si
vorrà pensare; egli ci avrà mille modi da fare sì che mai non si saprà, pur che
noi medesime nol diciamo».
Costei, udendo ciò, avendo già
maggior voglia che l’altra di provare che bestia fosse l’uomo, disse: «Or bene, come faremo?»
A cui colei rispose: «Tu vedi ch’egli è in su
la nona: io mi credo che le suore sieno tutte a dormire, se non noi; guatiamo
per l’orto se persona ci è, e s’egli non c’è persona, che abbian noi a far se
non a pigliarlo per mano e menarlo in questo capannetto, là dove egli fugge
l’acqua, e quivi l’una si stea dentro con lui e l’altra faccia la guardia? Egli
è sì sciocco, che egli s’acconcerà comunque noi vorremo».
Masetto udiva tutto questo
ragionamento, e disposto a ubidire niuna cosa aspettava se non l’esser preso
dall’una di loro. Queste, guardato ben per tutto e veggendo che da niuna parte
potevano esser vedute, appressandosi quella, che mosse avea le parole, a
Masetto, lui destò, e egli incontanente si levò in piè; per che costei con atti
lusinghevoli presolo per la mano, e egli faccendo cotali risa sciocche, il menò
nel capannetto, dove Masetto senza farsi troppo invitare quel fece che ella
volle. La quale, sì come leale compagna, avuto quel che volea, diede all’altra
luogo, e Masetto, pur mostrandosi semplice, faceva il lor volere; per che,
avanti che quindi si dipartissono, da una volta in sú ciascuna provar volle come il mutolo sapeva
cavalcare: e poi, seco spesse volte ragionando, dicevano che bene era così
dolce cosa, e più, come udito aveano; e prendendo a convenevoli ore tempo, col
mutolo s’andavano a trastullare.
Avvenne un giorno che una lor
compagna, da una finestretta della sua cella di questo fatto avvedutasi, a due
altre il mostrò; e prima tennero ragionamento insieme di doverle accusare alla
badessa, poi, mutato consiglio e con loro accordatesi, partefici divennero del
poder di Masetto: alle quali l’altre tre per diversi accidenti divenner
compagne in varii tempi. Ultimamente la badessa, che ancora di queste cose non
s’accorgea, andando un dì tutta sola per lo giardino, essendo il caldo grande,
trovò Masetto, il quale di poca fatica il dì per lo troppo cavalcar della notte
aveva assai, tutto disteso all’ombra d’un mandorlo dormirsi; e avendogli il
vento i panni dinanzi levati indietro, tutto stava scoperto. La qual cosa
riguardando la donna, e sola vedendosi, in quel medesimo appetito cadde che cadute
erano le sue monacelle; e destato Masetto seco nella sua camera nel menò, dove
parecchi giorni, con gran querimonia dalle monache fatta che l’ortolano non
venia a lavorar l’orto, il tenne, provando e riprovando quella dolcezza la quale
essa prima all’altre solea biasimare.
Ultimamente della sua camera alla
stanzia di lui rimandatolone e molto spesso rivolendolo e oltre a ciò più che
parte volendo da lui, non potendo Masetto sodisfare a tante, s’avvisò che il
suo esser mutolo gli potrebbe, se più stesse, in troppo gran danno resultare; e
per ciò una notte, colla badessa essendo, rotto lo scilinguagnolo cominciò a
dire: «Madonna, io
ho inteso che un gallo basta assai bene a diece galline, ma che diece uomini
posson male o con fatica una femina sodisfare, dove a me ne convien servir
nove; al che per cosa del mondo io non potrei durare, anzi sono io, per quello
che infino a qui ho fatto, a tal venuto che io non posso fare né poco né molto;
e per ciò o voi mi lasciate andar con Dio o voi a questa cosa trovate modo».
La donna, udendo costui parlare
il quale ella teneva mutolo, tutta stordì e disse: «Che è questo? Io credeva che tu fossi mutolo».
«Madonna,»
disse Masetto «io
era ben così ma non per natura, anzi per una infermità che la favella mi tolse,
e solamente da prima questa notte la mi sento essere restituita, di che io lodo
Idio quant’io posso».
La donna sel credette e
domandollo che volesse dir ciò che egli a nove aveva a servire. Masetto le
disse il fatto; il che la badessa udendo, s’accorse che monaca non avea che
molto più savia non fosse di lei; per che, come discreta, senza lasciar Masetto
partire, dispose di voler con le sue monache trovar modo a questi fatti, acciò
che da Masetto non fosse il monistero vituperato. E essendo di quei dì morto il
lor castaldo, di pari consentimento, apertosi tra tutte ciò che per adietro da
tutte era stato fatto, con piacer di Masetto ordinarono che le genti circunstanti
credettero che, per le loro orazioni e per gli meriti del santo in cui intitolato
era il monistero, a Masetto stato lungamente mutolo la favella fosse
restituita; e lui castaldo fecero e per sì fatta maniera le sue fatiche
partirono, che egli le poté comportare. Nelle quali, come che esso assai
monachin generasse, pur sì discretamente procedette la cosa, che niente se ne
sentì se non dopo la morte della badessa, essendo già Masetto presso che
vecchio e disideroso di tornarsi ricco a casa; la qual cosa, saputa, di leggier
gli fece venir fatto.
Così adunque Masetto vecchio,
padre e ricco, senza aver fatica di nutricare figliuoli o spesa di quegli, per
lo suo avvedimento avendo saputo la sua giovanezza bene adoperare, donde con
una scure in collo partito s’era se ne tornò, affermando che così trattava
Cristo chi gli poneva le corna sopra ’l cappello.
Miniatura del XV secolo per un'edizione francese del decameron, raffigurante due momenti della novella del
Boccaccio
PARAFRASI IN ITALIANO MODERNO
Masetto da Lamporecchio si fa
muto e diventa ortolano d’un monastero di donne, che tutte quante concorrono a
giacersi con lui.
Bellissime donne, sono numerosi
gli uomini e le femmine così stolti, da credere troppo bene che una giovane cui
venga messa sopra il capo la benda bianca e addosso la nera cocolla [cioè che abbia indossato l’abito monacale]
non sia più femmina e non senta più gli appetiti femminili se non come se l’avesse
fatta diventare di pietra l’essere diventata monaca: e se per caso sentono dire
qualcosa contro questa loro credenza, se ne turbano come se un grandissimo e
scellerato male fosse stato commesso contro natura, senza pensare né considerare
sé stessi, che la completa licenza di poter fare ciò che vogliono non può rendere
sazi, nemmeno con le grandi forze dell’ozio e della sollecitudine. E similmente
ci sono tanti che sono convinti che la zappa e la vanga e i cibi grossolani e i
disagi tolgano completamente ai contadini le brame amorose e li rendano ottusi
d’intelletto e di accorgimento. Ma quanto s’ingannino tutti costoro, dato che
la regina me l’ha comandato [si tratta di
Neifile, la donzella regina della terza giornata], non uscendo dall’argomento
scelto da lei, mi piace confermarvelo con una piccola novelletta.
In queste nostre contrade c’era e
c’è ancora un monastero femminile assai famoso per santità (che io non nominerò
per non diminuire in alcun modo la sua fama) nel quale, non molto tempo fa,
quando non vi vivevano che otto donne con una badessa, c’era un buon ometto
ortolano di un loro bellissimo giardino: il quale, non contento del salario,
fatti i conti con il castaldo [cioè l’amministratore]
delle donne, a Lamporecchio [borgo del
Pistoiese], il suo paese, se ne tornò. Qui, tra gli altri che lietamente l’accolsero,
c’era un giovane lavoratore forte e robusto e di bella persona per quanto
contadino, il cui nome era Masetto; che gli chiese dove fosse stato tutto quel
tempo. Il buon uomo, che si chiamava Nuto, glielo disse; e Masetto gli domandò
che cosa facesse al monastero.
Al che Nuto rispose: «Lavoravo un grande e bel
giardino delle monache e talvolta andavo nel bosco per la legna, attingevo l’acqua
e facevo altri lavoretti di questo tipo; ma le donne mi davano così poco
salario, che io non potevo nemmeno pagarmi i calzari. E oltre a questo, esse
sono tutte giovani e mi sembra che abbiano il diavolo in corpo, perché non si
può far nulla secondo il loro modo. Anzi, quando talora io lavoravo l’orto, una
diceva: ‘Metti qui questo’, e l’altra: ‘Metti qui quello’ e un’altra mi
toglieva la zappa di mano e diceva: ‘Questo non va bene’, insomma, mi seccavano
talmente, che io lasciavo perdere ciò che stavo facendo e me ne uscivo dall’orto:
cosicché per una cosa e per l’altra, non ho più voluto star lì e me ne sono
venuto via. Anzi il loro castaldo mi pregò, quando me ne sono partito, che se
conoscevo qualcuno adatto, glielo mandassi e io glielo promisi: ma che Dio gli
faccia sane le reni, quanto io gli trovi qualcuno e glielo mandi».
A Masetto, udendo le parole di
Nuto, venne nell’animo un desiderio così grande di essere con quelle monache,
che se ne struggeva tutto, comprendendo dalle parole di Nuto che qualcosa di
ciò che egli desiderava egli lo poteva avere; e rendendosi conto che nulla gli
veniva, se ne parlava con Nuto, gli disse: «Deh, come hai fatto bene a venirtene via! A cosa si riduce
un uomo a stare con le femmine? Sarebbe meglio stare con i diavoli: esse non
sanno sei volte su sette ciò che esse stesse vogliono».
Ma poi, cessato il loro colloquio, Masetto cominciò a
pensare a quale via seguire per poter essere con le monache; considerando che
egli sapeva fare bene i servigi descritti da Nuto, non dubitò che per questo
motivo non fosse accolto, ma temette di essere rifiutato in quanto era tanto
giovane e tanto appariscente. Finché, dopo aver pensate tante cose tra sé,
immaginò: «Il luogo è assai lontano da qui e là nessuno mi conosce; se faccio
finta d’esser muto, di sicuro io vi sarò ricevuto».
E fattosi sicuro in questa sua immaginazione, con una sua
scure al collo, senza dire ad alcuno dove se n’andava, in guisa d’un povero
uomo se n’andò al monastero: quando ci arrivò, vi entrò e per caso trovò nella
corte il castaldo, al quale, con i gesti tipici dei muti, fece capire che gli
chiedeva qualcosa da mangiare per l’amor di Dio e che, se ne aveva bisogno, gli
poteva spaccare della legna. Il castaldo gli diede volentieri da mangiare, e
dopo questo gli mise davanti certi ceppi che Nuto non aveva potuto spaccare e
che egli invece, fortissimo com’era, spaccò tutti in poco tempo. Il castaldo,
che aveva bisogno di andare nel bosco, lo portò con sé e qui gli fece tagliare
della legna: poi, messogli l’asino davanti, a cenni gli fece intendere che la
portasse a casa. Costui lo fece molto bene, per cui il castaldo lo tenne con sé
per più giorni per fare certi lavori di cui aveva bisogno: finché un giorno
accadde che la badessa lo vide e domandò al castaldo chi fosse.
E questi disse: «Madonna, è un povero muto e sordo, che
qualche giorno fa è arrivato qui a chiedere l’elemosina, sicché io gliel’ho
fatta e gli ho chiesto di fare alcuni lavori di cui c’era bisogno. Se egli
sapesse lavorare l’orto e volesse restare qui, credo che noi ne avremmo un buon
servizio, dato che ne abbiamo bisogno ed egli è forte e se ne potrebbe fare
quel che si vuole: oltre a questo non dovremmo neanche preoccuparci che egli
prendesse in giro queste vostre giovani».
Al che la badessa disse: «In fede di Dio tu dici il vero! Accertati
che egli sappia lavorare e ingegnati a trattenerlo: dagli qualche paio di
scarpe, qualche vecchio cappuccio, e lusingalo, fagli vezzi, dagli da mangiar
bene».
Il castaldo disse che l’avrebbe fatto. Masetto non era molto
lontano, ma facendosi vedere che spazzava la corte udiva tutte queste parole e
lieto diceva tra sé: «Se voi mi mettete qua dentro, io di sicuro vi lavorerò l’orto,
ma in un modo che vi è mai stato lavorato».
Ora, avendo il castaldo visto che egli sapeva lavorare
ottimamente e domandatogli a cenni se voleva restar lì e avendogli egli
risposto a cenni che voleva fare tutto ciò che lui volesse, avendolo assunto,
gli ordinò di lavorare l’orto e gli mostrò ciò che doveva fare; poi se ne andò
per altre necessità del monastero e lo lasciò. Ed egli, lavorando un giorno
dopo l’altro, cominciò ad essere infastidito dalle monache, che lo canzonavano,
come succede spesse volte che si fa dei muti, e gli dicevano le più scellerate
parole del mondo, credendo che lui non le capisse; e la badessa, che forse pensava
che egli fosse senza coda com’era senza favella, non si preoccupa di ciò che
poco o niente.
Or però avvenne che un giorno, mentre costui avendo lavorato
molto si era messo a riposare, due giovani monache che se ne andavano per il
giardino si avvicinarono là dov’era lui ed egli, che faceva finta di dormire,
cominciarono a osservare; al che una, che era alquanto più baldanzosa, disse
all’altra: «Se io credessi che tu tieni per te un segreto, ti direi un pensiero
che ho avuto più volte e che forse potrebbe giovare anche a te».
L’altra rispose: «Su dimmelo, che non lo dirò certamente a
nessuno».
Allora la baldanzosa cominciò: «Io non so se tu hai mai
pensato a come noi siamo costrette da regole severe, che qua dentro mai alcun
uomo osa entrare se non il castaldo che è vecchio e questo muto; io ho sentito
dire diverse volte da tante donne che sono venute qui, che tutte le altre
dolcezze del mondo sono una beffa rispetto a quella che una donna prova con un
uomo. Per cui ho pensato molte volte, dato che non posso con altri, di voler
provare con questo muto se è proprio così; e costui è il migliore del mondo per
far questo, perché, se anche volesse, non potrebbe né saprebbe ridirlo a
nessuno: tu vedi che è un tal giovinastro sciocco, cresciuto prima del suo
cervello. Volentieri sentirei la tua opinione».
«Ohimè!» disse l’altra, «che cosa dici? non sai che abbiamo
promesso la nostra verginità a Dio?»
«Oh» disse quella «quante cose gli si promettono tutto il
giorno, che poi non se ne mantiene nessuna! Se noi gliel’abbiamo promessa, ne
troveremo un’altra o delle altre da mantenere».
Al che la compagna disse: «E se noi ingravidiamo, cosa
succederà?»
Quella allora disse: «Tu cominci a pensare al male
prima che esso venga: se anche succedesse questo, allora ci dovremo pensare; ci
saranno mille modi per far sì che non si sappia, basta che noi stesse non lo
diciamo».
Costei, udendo ciò, avendo già maggior voglia dell’altra di
provare che bestia fosse l’uomo, disse: «Or bene, come facciamo?»
Al che l’altra rispose: «Tu vedi che è la nona [l’ora della siesta]: io credo che le
suore stiano tutte dormendo, a parte noi; guardiamo in giro per l’orto se c’è
qualcuno, e se non c’è nessuno, che dobbiamo fare, se non prenderlo per mano e
portarlo in quel capannetto là, dove egli si ripara quando piove, e lì una se
ne sta con lui mentre l’altra fa la guardia? Egli è così sciocco, che farà
quello che noi vogliamo».
Masetto udiva tutto questo discorso e disposto a ubbidire
non aspettava altro che di esser preso da una di loro. Queste, guardato bene
dappertutto e visto che non potevano esser vedute da nessuna parte,
avvicinatasi quella che aveva parlato per prima a Masetto, lo svegliò ed egli
subito si levò in piedi; per cui costei con atti lusinghieri lo prese per mano
e, mentre lui faceva certe risa sciocche, lo portò nel capannetto, dove Masetto
senza farsi troppo invitare fece quello che lei volle. Ed ella, poiché era una
compagna leale, avuto quello che voleva, lasciò il posto all’altra e Masetto,
pur mostrandosi semplice, faceva quel che volevano; per cui, prima di andarsene
da lì, più di una volta entrambe vollero provare come il muto sapesse
cavalcare: e poi, ragionando tra loro spesse volte, dicevano che davvero era
una cosa dolce, anzi di più, come avevano sentito dire: e cogliendo il momento
opportuno, se ne andavano a trastullarsi col muto.
Avvenne un giorno che una loro
compagna, accortasi di ciò che succedeva da una finestrella della sua cella, ad
altre due lo mostrò; e prima ragionarono insieme di doverle accusare alla
badessa, poi, mutato consiglio e accordatesi tra loro, divennero partecipi del
podere di Masetto: alle quali le altre tre per diversi accidenti divennero
compagne in tempi vari. Per ultima la badessa, che non si era accorta ancora di
queste cose, andando un giorno tutta sola per il giardino, facendo un gran
caldo, trovò Masetto, il quale si stancava di giorno con poco per il troppo
cavalcar di notte, che dormiva tutto disteso all’ombra d’un mandorlo; e
avendogli il vento sollevati sul davanti i panni, se ne stava tutto scoperto. La
qual cosa osservando la donna, e vedendo che era sola, cadde nello stesso
appetito in cui erano cadute le sue monachelle; e svegliato Masetto lo portò
con sé nella sua camera, dove per parecchi giorni, con gran lagnanza fatta
dalle monache che l’ortolano non veniva a lavorare l’orto, lo tenne, provando e
riprovando quella dolcezza che prima soleva biasimare alle altre.
Infine rimandatolo nella sua
stanza e più volte rivolendolo e inoltre volendo da lui più di una parte di lui
stesso, non potendo Masetto soddisfare tante donne, ritenne che il suo esser
muto poteva risultargli dannoso, se avesse continuato così; perciò una notte,
mentre stava con la badessa, rotto lo scilinguagnolo cominciò a dire: «Madonna, io ho inteso che un
gallo basta assai bene a dieci galline, ma che dieci uomini possono male o con
fatica soddisfare una femmina, mentre a me tocca servirne nove; al che io non
potrei farcela ancora, anzi io, per ciò che ho fatto finora, sono giunto a tal
punto che non posso fare più né poco né molto; perciò o voi mi lasciate andare
con Dio oppure trovare voi un rimedio a questa cosa».
La donna, udendo parlare colui che ella credeva muto, stordì
tutta e disse: «Che è questo? Io credevo che tu fossi muto».
«Madonna», disse Masetto «lo ero ma non per natura, bensì
per un’infermità che mi tolse la favella, e solo questa notte per la prima
volta me la sento restituita, della qual cosa lodo Iddio quanto posso».
La donna gli credette e gli domandò che cosa significava che
ne doveva servire nove. Masetto le spiegò il fatto; e udendo ciò la badessa s’accorse
che non c’era monaca che non fosse molto più saggia di lei: per cui, essendo
discreta, senza lasciare che Masetto se ne andasse, decise di trovare una
soluzione con le sue monache a questi fatti, affinché il monastero non fosse
svergognato da Masetto. Ed essendo in quei giorni morto il castaldo, trovandosi
d’accordo, manifestatosi tra tutte ciò che era successo per l’addietro,
disposero con piacere di Masetto che le genti attorno credessero che, per le
loro preghiere e per i meriti del santo a cui il monastero era intitolato,
fosse stata restituita la favella a Masetto che a lungo era stato muto; e
nominarono lui castaldo e ripartirono le sue fatiche in così fatta maniera, che
egli le poté sopportare. A causa delle quali, poiché egli generò molti
monachini, si sistemò la cosa in maniera così discreta, che non se ne seppe
niente finché la badessa morì, essendo già Masetto quasi vecchio e desideroso
di tornarsene ricco a casa sua; cosa che avvenne facilmente, quando la si
seppe.
Così dunque Masetto vecchio, padre e ricco, senza far fatica
per nutrire i figli e senza alcuna spesa per essi, per la sua avvedutezza
avendo saputo adoperare bene la sua giovinezza, se ne tornò là da dov’era
partito con una scure al collo, affermando che così Cristo trattava chi gli
poneva le corna sopra il cappello.
Quattro fotogrammi dal film “Il Decameron” di Pier Paolo Pasolini, del
1971:
1- Nuto racconta la sua esperienza al convento delle monache
2- Masetto ascolta
3- la suora baldanzosa
4- le suore esultano per il ritrovamento della favella da parte di
Masetto
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