sabato 22 luglio 2017

88 Libera nos a malo: capitolo 4 (di Luigi Meneghello)



Nel quarto capitolo di “Libera nos a malo” risultano più chiari i motivi per cui Meneghello ha scritto questo romanzo: non semplicemente per ricordare il passato, ma per investirlo di un significato adulto, tale da far emergere le contraddizioni tra ciò che è e ciò che appare. Le intenzioni dell’autore investono contemporaneamente le relazioni tra mondo infantile e mondo adulto, e tra dialetto e lingua italiana, con esiti esilaranti, come quel Perbenito Mosulini (tale appariva ai bambini l’invito a inneggiare “per Benito Mussolini”), o la storia di Giuliano che arrotava con l’organo genitale.

Al Solario si era “tutti compagni” (1) ancor più che altrove. Lo sentii dire anche a una delle donne che alla sera rivestivano i più piccoli: «Vedi? appena li vesti alla sera tornano signori e povaretti, ma di giorno sono tutti compagni».
Bisognava arrangiarsi, al Solario; era una piccola giungla verde popolata di energumeni come quello soprannominato Pessàta; questa era la nominaglia di casa sua, e non bisognava assolutamente usarla in sua presenza. Durante una partita lo accusai di mentire; dissi “busiàro” (2) e lui mi afferrò con la sinistra e a piccole fragnòccole di destra mi fece ritrattare. Dovetti dichiarare formalmente che non diceva bugie; mi allontanai alquanto e aggiunsi con ingannevole soavità: «Però dici pessàte». Le pessate sono pesciolini piccoli nel torrente; ma qui al Solario suonavano come bugie molto grosse. Avevo sufficiente vantaggio per riparare tra le Assistenti prima che mi prendesse, altrimenti non sarei qui a raccontarla.

C’era al Solario un signore che non vedemmo mai di persona, ma la sua presenza riempiva l’aria ogni pomeriggio; era nobile e milanese, e aveva abitudini scandalose.
Ci si metteva in fila indiana dopo la merenda, s’impugnavano gli orli delle mutandine tirandoli su per la coscia, per di dietro, fino a scoprire il più possibile del culetto, e si partiva in processione recitando:

El Conte da Milàn
co le braghe in man
col capèl de paja
Conte canàja!

A questo punto dopo un silenzio carico di furbizia la colonna si metteva a scandire con forza, come denunziando e sbeffeggiando:

Prete mas’cio! – Prete mas’cio!

Forse un parente del Conte? Forse il Conte stesso travestito da Prete, o il Prete truccato invano da Conte, per ricoprire di eleganza fittizia il desiderio di mostrare il sedere? Chi lo sa; quel che è sicuro è che anche tra la nobiltà e nel clero ci sono le canaglie, ed è un piacere smascherarle.

Le cose andavano così: c’era il mondo della lingua, delle convenzioni, degli Arditi, delle Creole, di Perbenito Mosulini, dei Vibralani; e c’era il mondo del dialetto, quello della realtà pratica, dei bisogni fisiologici, delle cose grossolane. Nel primo sventolavano le bandiere, e la Ramona brillava come il sole d’or: era una specie di pageant (3), creduta e non creduta. L’altro mondo era certo, e bastava contrapporli questi due mondi, perché scoppiasse il riso. Ridevamo recitando con le donne di servizio:

Bianco rosso e verde
color delle tre merde
color dei panezèi (4)
la caca dei putèi.

Questa però non era sentita come critica alla Bandiera della Patria: che c’entra? La bandiera si esponeva sul poggiuolo della zia Lena, e si descriveva nei Pensierini a scuola; le tre merde erano allineate in orto sotto la mura del Conte, lucide come di vernice, sorvolate dai mosconi; sopraggiungeva la Colomba e ci stendeva sopra il pannolino umido che soffocava i colori in una tabe giallastra.
Bianco rosso e verde era soltanto una frase in lingua; il resto era il suo counterpart (5) in dialetto. C’era però un contenuto polemico in tutto questo: si sentiva che il dialetto dà accesso immediato e quasi automatico a una sfera della realtà che per qualche motivo gli adulti volevano mettere in parentesi. Si sentiva anche che in questo gli adulti facevano la commedia, e si ammirava il modello (purtroppo inimitabile) del piccolo anonimo popolano che aveva radicalizzato la protesta fino a investire i rapporti fondamentali dell’uomo, Famiglia e Religione.
Aveva subìto fremendo certe imposizioni dei genitori: poi l’intervento gratuito dell’autorità ecclesiastica lo esasperava del tutto. Di questa esperienza ci ha lasciato lui stesso un conciso documento.

Me pare me mare
me manda cagare
el prete me vede
mi taco scoréde. (6)

Era evidentemente molto arrabbiato: ma è impensabile che a questo precorritore della gioventù bruciata, nell’atto di manifestare il suo sentimento, non venisse anche un po’ da ridere.

Si avvertiva che c’erano rapporti equivoci, oscuramente disonorevoli, tra gli adulti, le convenzioni della vita per bene, e la lingua. Questa loro commedia faceva perdere la pazienza.
Se il crocchio dei parenti ci prende in mezzo, e vuole a patti e modi che si dica qualcosa (qualcosa di bello, in italiano) alla Signora Lea, una dama di molto riguardo incontrata per strada: supposto che non si abbia voglia di dire nulla alla Signora Lea, e quei noiosi insistano, come si deve comportarsi per non perdere quel po’ di rispetto di sé?
«Cacapétolescorése,» disse rapidamente Bruno Erminietto alla Signora Lea, e fuggì a schinche (7).

In generale i difetti degli adulti si sentivano nell’aria. Ridevamo tra noi, avendo saputo che Giuliano era stato messo in prigione perché guzzava (8). C’era tuttavia un margine di dubbio dato che Giuliano faceva l’arrotino, che guzzare è il suo mestiere, e allora come mai l’avevano messo in prigione?
M’ingegnai con altre informazioni frammentarie di comporre una teoria che alla prima occasione esposi.
«Io lo so perché è in prigione Giuliano, è in prigione perché guzzava,» dissi a un gruppo di adulti. Osservai i segni del loro imbarazzo, poi aggiunsi casualmente: «Guzzava col ciccio».
Il risultato fu spettacoloso. Credevano di fare i furbi, di farmi passare per stupido, di nascondere a me che uno della lega, un ridicolo adulto per bene, aveva commesso la comica stramberia, palesemente illegale, di arrotare sulla sua mola non i coltelli e le forbici, ma il ciccio!

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(1) compagni = uguali
(2) busiàro = bugiardo
(3) pageant = spettacolo, messinscena
(4) panezèi = i pannolini dei neonati
(5) counterpart = controparte
(6) Mio padre mia madre / mi mandano a cacare / il prete mi vede / io inizio a scoreggiare
(7) schinche = rapidi spostamenti zigzaganti
(8) guzzava = arrotava

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