Chi sono il dottor Jekyll e il
signor Hyde che sono accomunati nel titolo di questo famoso romanzo? E che cosa
c’è di così strano nella loro vicenda? Il primo capitolo ci presenta in modo
diretto soltanto il secondo dei due personaggi, un uomo violento e che mette
inquietudine solo a vederlo, per qualcosa di deforme (ma indefinibile) che egli
ha nell’aspetto e nel comportamento; l’altro, il dottor Jekyll, uomo di
assoluta irreprensibilità nella Londra vittoriana, sembra avere qualcosa a che
fare con il signor Hyde per qualche peccato di gioventù, che lo ha messo a
rischio di essere ricattato. La realtà, però, è molto più complessa di così.
STORIA DI UNA PORTA
Il signor Utterson, di
professione avvocato, era un uomo dall'aspetto burbero, mai illuminato da un
sorriso; freddo, asciutto e impacciato nel parlare, restio ai sentimenti,
magro, allampanato, trasandato e tetro; ma nonostante tutto con un che di
amabile. Nelle riunioni con gli amici, quando il vino era di suo gradimento,
nei suoi occhi appariva un barlume di profonda umanità, qualcosa che non riusciva
mai a tradursi in parole; che si esprimeva non solo dopo il pranzo nei tratti
silenziosi del volto, ma più spesso e più apertamente nelle azioni della vita.
Era severo con se stesso: quando era solo beveva gin per castigare la sua
predilezione per i vini di pregio, e, pur amando il teatro, non ne varcava la
soglia da ormai venti anni. Con gli altri invece dimostrava una notevole
tolleranza e talvolta si stupiva, quasi con invidia, di fronte al vitalismo che
li spingeva a commettere dei crimini. Nei casi più gravi era disposto ad
aiutare più che a condannare. «Io sto dalla parte di Caino», era solito dire
con una punta di eccentricità; «lascio che mio fratello vada al diavolo come
meglio preferisce». Avendo tale disposizione d'animo, gli capitava spesso di
essere l'ultima conoscenza rispettabile e l'estrema influenza benefica nella
vita di individui giunti al limite della degradazione. E a costoro, fin tanto
che venivano nel suo studio, mai aveva mostrato il benché minimo mutamento nel
suo modo di fare.
Certo la cosa non era difficile per il signor
Utterson, poiché egli era l'uomo più riservato che potesse esistere, e persino
le sue amicizie sembravano basarsi su un'analoga tolleranza e bonomia. È
caratteristica dell'uomo senza pretese accettare il suo cerchio di amici così
come gli viene offerto dalle mani del caso, e così faceva l'avvocato. Aveva per
amici i propri consanguinei o persone che conosceva da moltissimo tempo; i suoi
affetti, come l'edera, crescevano col passare del tempo e non richiedevano
qualità particolari nell'oggetto. Di questo tipo era il legame che lo univa al
signor Richard Enfield, suo lontano parente e noto uomo di mondo. Erano in
molti a chiedersi che cosa quei due trovassero l'uno nell'altro o quali
argomenti potessero avere in comune. Chi li incontrasse durante le loro
passeggiate domenicali raccontava che i due non si scambiavano parola, avevano
lo sguardo assente e accoglievano con evidente sollievo la comparsa di un
amico. Tuttavia i due uomini tenevano in gran conto queste passeggiate e le
consideravano il momento più prezioso della settimana; e, pur di non spezzarne
la continuità, non solo rinunciavano a occasioni di piacere ma resistevano
persino al richiamo del lavoro.
Fu durante una di queste
passeggiate errabonde che il caso li portò in una via secondaria di un popoloso
quartiere di Londra. La strada, che durante la settimana era piena di fiorenti
commerci, appariva piccola e tranquilla. Gli abitanti dovevano essere tutti
agiati e decisi a fare ancora di più con spirito di emulazione. Dovevano
investire l'eccedenza dei loro guadagni in lavori di abbellimento, poiché le
facciate delle botteghe lungo la via avevano una certa aria invitante, simili a
una fila di sorridenti commesse. Persino la domenica, quando le sue attrattive
più manifeste erano celate e, in proporzione, vi passava poca gente, la via
risplendeva in contrasto con gli squallidi dintorni come un fuoco nella
foresta: con le imposte dipinte di fresco, gli ottoni ben lucidati, la nota di
lindore e gaiezza che diffondeva, attraeva e seduceva in un attimo l'occhio del
passante. Due porte prima di un angolo della via, sulla sinistra di chi andasse
verso est, la fila di botteghe era interrotta dall'ingresso su un cortile, e
proprio in quel punto un edificio dall'aspetto sinistro protendeva sulla strada
il suo frontone. Era a due piani, non aveva finestre, solo una porta al piano
inferiore e una cieca superficie di muro scolorito a quello superiore; sotto
ogni aspetto l'edificio mostrava i segni di una prolungata, sordida
trascuratezza. La porta, che non aveva né campanello né batacchio, era
scrostata e piena di screpolature. I vagabondi si accoccolavano nella sua
rientranza e accendevano i fiammiferi sui battenti; i bambini giocavano al
mercato sui gradini; gli scolari avevano provato i loro coltellini sulle
modanature, e per almeno una generazione nessuno era venuto a cacciar via
questi visitatori occasionali o a ripararne gli sfregi. Il signor Enfield e
l'avvocato camminavano sull'altro lato di quella via secondaria, ma quando
furono all'altezza della porta il primo alzò il bastone e la indicò al
compagno.
«Hai mai notato quella porta?»,
gli chiese; e alla sua risposta affermativa aggiunse: «nella mia mente quella
porta è collegata a una storia molto strana».
«Davvero?», disse il signor
Utterson con un leggero cambiamento di voce. «E di che cosa si tratta?».
«Ecco, è successo così», rispose il signor
Enfield. «Stavo tornando a casa da un qualche posto in capo al mondo. Erano
circa le tre di un buio mattino d'inverno. La mia strada passava attraverso una
parte della città in cui non c'era nulla da vedere all'infuori dei lampioni:
una via dopo l'altra, e tutta la gente a dormire; una via dopo l'altra, tutte
illuminate come per una processione e tutte vuote come una chiesa. Alla fin
fine mi ritrovai in quello stato d'animo in cui si tende l'orecchio e si
comincia a desiderare la presenza di un poliziotto. Improvvisamente vidi due
figure: una era un uomo piuttosto piccolo che camminava pesantemente ma di buon
passo in direzione est, l'altra era una bambina di otto o dieci anni che
correva a più non posso giù per una via traversa. Ebbene, amico mio, fu
inevitabile che i due si scontrassero all'angolo della via, e proprio lì
accadde la cosa orribile: l'uomo calpestò tranquillamente il corpo della
bambina e la lasciò urlante sul selciato. A sentirla raccontare non sembra
nulla, ma a vederla era una scena orrenda. Quello non era un uomo, ma piuttosto
un maledetto Juggernaut (1). Diedi un grido di allarme, mi gettai
all'inseguimento, afferrai per il colletto quel tipo e lo riportai indietro là
dove c'era già un gruppo di persone intorno alla bambina che ancora strillava.
Quello sembrava del tutto indifferente e non oppose alcuna resistenza, ma mi
gettò un'occhiata così minacciosa che mi fece venire i sudori come dopo una
corsa. Le persone accorse erano i familiari della piccola, che a quanto risultò
era stata spedita a chiamare un medico, e poco dopo sopraggiunse il medico
stesso. Secondo il quale la bambina non aveva nulla di grave, era solo spaventata.
E la storia avrebbe potuto finir lì. Ma ci fu una circostanza curiosa: avevo
sviluppato un odio subitaneo nei confronti di quel tizio, e così pure i
familiari della bambina, il che era più che naturale. Ma ciò che mi colpì fu
l'atteggiamento del dottore. Era il solito medico dai modi spicci e bruschi, di
età e colorito indefiniti, con un forte accento edimburghese, e impressionabile
quanto un ciocco di legno. Ebbene, amico mio, aveva avuto la nostra stessa
reazione: ogni volta che guardava il prigioniero, lo vedevo sbiancare in volto
dalla voglia di fargli la pelle. Sapevo quello che aveva in mente, proprio come
lui sapeva quello che avevo io; ma poiché ammazzarlo era fuori discussione,
cercammo di fare quanto meglio possibile. Dicemmo a quell'uomo che avremmo
creato un tale scandalo su quella storia da far maledire il suo nome in tutta
Londra. Che, se avesse avuto degli amici o qualche credito, glieli avremmo
fatti perdere, e nel frattempo, mentre ce lo lavoravamo per bene, cercavamo di tenere
lontane da lui le donne che erano fuori di sé come arpie. Non ho mai visto
facce così piene d'odio; e in mezzo a quel cerchio c'era il nostro uomo, con
una sorta di ghigno gelido, spaventato anche lui, lo si vedeva bene, ma in
grado di tener testa alla situazione quanto Satana in persona. "Se volete
sfruttare questo incidente non posso oppormi", disse. "Qualunque
gentiluomo desidera evitare le scenate. Ditemi la cifra". Be', gli
scucimmo un centinaio di sterline per la famiglia della bambina. Lui chiaramente
non ne voleva sapere, ma c'era qualcosa di minaccioso in tutti noi per cui,
alla fine, accettò. A questo punto c'era da andare a prendere il denaro; e dove
credi che ci portò se non alla porta di quell'edificio? Fece saltar fuori una
chiave, entrò, e ritornò poco dopo con dieci sterline in oro e un assegno della
Banca Coutts (2) per il resto della cifra, pagabile al portatore e firmato da
un nome che non posso riferire, sebbene sia uno dei punti chiave della storia,
un nome comunque molto noto e che compare spesso sui giornali. La cifra non era
gran che, ma la firma valeva molto di più, ammesso che fosse autentica. Mi
permisi di far notare che tutta la faccenda sembrava sospetta, e che nella vita
reale un tizio non entra in una casa per la porta dello scantinato alle quattro
del mattino e ne esce con un assegno di quasi cento sterline firmato da
un'altra persona. Ma lui sogghignò tranquillamente e disse:
"Rassicuratevi. Resterò con voi fino a quando aprono le banche, e
incasserò io stesso l'assegno". Così ci incamminammo tutti quanti, il
dottore, il padre della bambina, il nostro amico ed io, e passammo il resto
della notte nel mio appartamento. Il giorno seguente, dopo aver fatto
colazione, andammo tutti quanti alla banca. Consegnai io stesso l'assegno,
dicendo che avevo ragione di ritenere fosse falsificato. Niente affatto. La
firma era autentica».
«Ahi, ahi!», fece il signor
Utterson.
«Vedo che tu la pensi come me»,
disse Enfield. «È una brutta storia. Quello era un individuo con cui nessuno
vorrebbe trattare, un essere veramente detestabile; mentre l'uomo che ha
firmato l'assegno è un modello di correttezza, ben conosciuto, e (quel che è
peggio) uno dei tuoi amici, il quale fa, come si suol dire, del bene. Ricatto,
suppongo: un uomo onesto costretto a pagare cifre esorbitanti per qualche
scappatella di gioventù. Ecco perché chiamo quell'edificio con la porta la Casa
del Ricatto. Sebbene anche questo, sai, non possa spiegare tutto», aggiunse; e
con queste parole sprofondò in uno stato di meditazione.
Ne fu distolto dal signor
Utterson che gli domandò improvvisamente: «E tu non sai se la persona che ha
firmato l'assegno abiti qui?».
«Bel posto, non è vero?», rispose
il signor Enfield. «No, abita in una piazza da qualche parte; ho avuto
occasione di vedere il suo indirizzo».
«E non hai preso informazioni
sulla... casa con la porta?», disse il signor Utterson.
«No, la discrezione me l'ha
impedito», fu la risposta. «Non mi va di chiedere; sa troppo di giudizio
universale. Fare una domanda è come mettere in moto una pietra. Te ne stai
seduto tranquillo sulla cima di una collina, e la pietra comincia a rotolare
mettendone in moto delle altre; e all'improvviso un qualche individuo innocuo
(l'ultima persona al mondo cui avresti pensato) si prende un colpo in testa mentre
sta lavorando nell'orto, e la famiglia è costretta a cambiar nome. No, signore,
ne ho fatto una regola di vita: più una faccenda puzza, meno domande faccio».
«Ottima regola», disse
l'avvocato.
«Però ho studiato il posto per
conto mio», proseguì il signor Enfield. «Non sembra una vera casa. Di porte c'è
solo quella, e nessuno vi entra o vi esce, fatta eccezione di tanto in tanto
per quel signore. Al primo piano ci sono tre finestre che danno sul cortile, al
piano terra nessuna; le finestre sono sempre chiuse, ma hanno i vetri puliti.
C'è poi un comignolo che di solito fuma; perciò qualcuno deve pur abitarci. E
tuttavia non è così certo, perché su quel cortile si affacciano tanti edifici
che è difficile dire dove finisca l'uno e dove cominci l'altro».
I due camminarono per un po' in
silenzio; poi: «Enfield», disse il signor Utterson, «quella tua regola è
ottima».
«Sì, lo credo anch'io», rispose
Enfield.
«Tuttavia», continuò l'avvocato,
«c'è una cosa che vorrei chiederti: vorrei sapere il nome dell'uomo che ha
calpestato la bambina».
«Be', non vedo che male possa
fare dirtelo. Il nome di quel tipo è Hyde».
«Mmm...», disse il signor
Utterson, «che tipo è?».
«Non è facile da descrivere. Nel
suo aspetto c'è qualcosa di sgradevole, di detestabile addirittura. Non ho mai
visto un uomo che mi riuscisse tanto odioso, eppure non ne so spiegare il
motivo. Deve avere qualche deformità; si avverte qualcosa di deforme in lui,
anche se non saprei localizzarlo. È un uomo dall'aspetto strano, eppure non
riesco a trovare in lui niente fuori dell'ordinario. Nossignore, non ci capisco
nulla, non sono in grado di descriverlo. E non è per mancanza di memoria,
perché anche in questo momento ce l'ho davanti agli occhi».
Il signor Utterson riprese a
camminare in silenzio, immerso nelle sue considerazioni. «Sei sicuro che abbia
usato una chiave?», domandò infine.
«Mio caro amico...», cominciò
Enfield, molto sorpreso.
«Sì, lo so», disse Utterson; «so
che deve sembrare strano. Il fatto è che, se non ti chiedo il nome dell'altra
persona, è perché lo conosco già. Vedi, Richard, la tua storia mi ha toccato da
vicino. Se sei stato impreciso su qualche punto, faresti bene a correggerlo».
«Avresti potuto avvisarmi»,
rispose l'altro con una punta di sdegno. «Sono stato scrupolosamente preciso, come
dici tu. Quel tizio aveva la chiave; non solo, ce l'ha ancora, perché gliel'ho
vista usare meno di una settimana fa».
Il signor Utterson emise un
profondo sospiro, ma non disse nulla; e il giovane riprese: «Ecco un'altra
lezione che mi insegna a non parlare. Mi vergogno della mia lingua troppo
lunga. Facciamo un patto: non ne parliamo più».
«Accetto di tutto cuore, Richard»,
disse l'avvocato. «Non ne parleremo più».
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(1) Juggernaut = Jagannâth,
divinità indù la cui statua, portata in processione su un pesante carro,
schiacciava a quanto pare vittime umane.
(2) Il nome di questa famosa
banca implica che il firmatario dell’assegno è persona facoltosa.
Il signor Hyde calpesta la bambina: illustrazione di Charles Raymond Macauley per un’edizione del
1904 del romanzo
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