venerdì 24 novembre 2017

135 Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde – capitolo 9 (di Robert Louis Stevenson)



Il lettore che legge per la prima volta questo romanzo scopre in questo penultimo capitolo la verità sullo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde. Lascio perciò che ad essa si avvicini passo dopo passo, come ho fatto lo scrittore inglese.

IL RACCONTO DEL DOTTOR LANYON
Quattro giorni fa, il nove di gennaio, ricevetti con la posta della sera una lettera raccomandata. Riconobbi la calligrafia dell'indirizzo come quella del mio collega e vecchio compagno di scuola Henry Jekyll. La cosa mi sorprese molto, poiché non avevamo l'abitudine dì comunicare per iscritto; l'avevo visto la sera prima e avevo persino cenato con lui, e non riuscivo a trovare qualcosa nei nostri rapporti che potesse giustificare un tale formalismo. Il contenuto accrebbe la mia sorpresa. Ecco quanto vi era scritto:

9 gennaio 18…
Caro Lanyon,
tu sei uno dei miei più vecchi amici, e per quanto possiamo talvolta aver avuto opinioni diverse su questioni scientifiche, non ricordo che il nostro affetto sia mai venuto meno, almeno da parte mia. Non c'è stato giorno in cui, se tu mi avessi detto: «Jekyll, la mia vita, il mio onore, la mia ragione dipendono da te», non avrei sacrificato la mia fortuna e la mano sinistra per aiutarti. Lanyon, la mia vita, il mio onore, la mia ragione sono alla tua mercé. Se questa notte non mi vieni in aiuto, io sono finito. Dopo un tale esordio, potresti pensare che stia per chiederti qualcosa di disonorevole. Giudica tu stesso.
Voglio che questa notte tu rinvii tutti i tuoi impegni; sì, anche se ti dovessero chiamare al capezzale di un imperatore. Voglio che tu prenda una carrozza, a meno che la tua sia già pronta al portone, e che tu venga immediatamente a casa mia con questa lettera di istruzioni. Ho già dato disposizioni a Poole, il mio maggiordomo, che troverai ad attenderti insieme con un fabbro. Dovete forzare la porta del mio studio in cui devi entrare da solo e aprire la vetrina sulla sinistra contrassegnata dalla lettera E, rompendo la serratura se fosse chiusa. Prenderai il quarto cassetto dall'alto con tutto il suo contenuto così come si trova, oppure il terzo dal basso, il che è la stessa cosa. Nello stato d'animo in cui mi trovo ho il folle terrore di darti istruzioni sbagliate, ma anche se dovessi sbagliare, potrai riconoscere il cassetto da ciò che contiene: alcune polveri, una fiala, un libretto d'appunti. Ti prego di riportare con te, a Cavendish Square, questo cassetto esattamente come lo troverai.
Questa è la prima parte del servigio che ti chiedo; e ora la seconda. Se ti metti in moto non appena riceverai questa lettera, dovresti essere di ritorno molto prima di mezzanotte; ti lascio un tale margine di tempo non solo per il timore di quei contrattempi che non si possono né evitare né prevedere, ma perché, per ciò che rimane da fare, è preferibile scegliere un'ora in cui i domestici siano già a letto. Allora devo chiederti di farti trovare solo a mezzanotte nel tuo ambulatorio, di ricevere un uomo che si presenterà a mio nome e di consegnargli il cassetto che avrai portato con te dal mio studio. Avrai compiuto, così, un'azione di cui ti sarò eternamente grato. Se tu dovessi insistere per avere spiegazioni, cinque minuti dopo ti renderai conto che questi dettagli sono di importanza vitale e che se ne trascurassi anche uno solo, per quanto bizzarri possano apparire, potresti ritrovarti sulla coscienza la colpa della mia morte o il naufragio della mia mente.
Il solo pensiero di una simile possibilità mi fa mancare il cuore e tremare i polsi, anche se ho fiducia che non prenderai alla leggera questo mio appello. Ti chiedo di pensare a me in quest'ora difficile, oppresso da una cupa angoscia che nessuna immaginazione potrebbe esagerare, solo in luoghi sconosciuti, eppure sicuro che, se solo mi verrai in aiuto, tutte queste pene svaniranno come il racconto di una fiaba. Aiutami, mio caro Lanyon, e salva
il tuo amico H.J.
P.S. Avevo già chiuso la lettera quando un nuovo timore mi ha fatto gelare il sangue. Può darsi che la posta non m'assista e che questa mia non ti arrivi prima di domani mattina. In tal caso, caro Lanyon, fa' ciò che ti ho chiesto nel corso della giornata, quando ti è più comodo, e aspetta il mio messaggero per mezzanotte. Potrebbe allora essere troppo tardi, e se la notte passerà senza che accada nulla, saprai di aver visto per l'ultima volta Henry Jekyll.

Leggendo questa lettera mi convinsi che il mio collega era impazzito; ma, sinché non fosse provato al di là di ogni possibile dubbio, mi sentivo in obbligo di fare quanto mi veniva chiesto. E quanto meno capivo di questo guazzabuglio, tanto meno ero in grado di valutarne l'importanza. Certo non potevo trascurare un appello di tal fatta senza assumermi una grave responsabilità. Di conseguenza mi alzai da tavola, presi una carrozza e mi recai immediatamente a casa di Jekyll. Il maggiordomo mi stava aspettando; anche lui aveva ricevuto con lo stesso giro di posta una lettera raccomandata con relative istruzioni e aveva subito mandato a chiamare un fabbro e un falegname. I due arrivarono mentre stavamo ancora parlando, e tutti insieme ci recammo nella sala chirurgica del vecchio dottor Denman, da cui si accede, come sicuramente sai, direttamente allo studio privato di Jekyll. La porta era robusta e la serratura delle migliori: il falegname disse che per forzarla sarebbe occorso molto lavoro e avrebbe causato non pochi danni; anche il fabbro aveva dei problemi, ma sapeva il fatto suo, e nel giro di due ore l'uscio venne abbattuto. La vetrina contrassegnata con la lettera E era aperta: ne estrassi il cassetto, lo coprii con della paglia, lo avvolsi in un foglio e lo portai a casa mia in Cavendish Square.
Qui ne esaminai il contenuto. Le polveri erano incartate con cura, ma non con quella precisione che è propria del farmacista, dal che dedussi che erano state preparate da Jekyll; quando aprii una delle bustine vi trovai quel che mi sembrò un sale cristallino di colore bianco del tipo comune. Passai poi alla fiala che era piena per circa metà di un liquido color rosso sangue, dall'odore molto acre, che doveva contenere fosforo e un etere volatile. Non fui in grado di identificare gli altri componenti.
In quanto al libretto di appunti, era uno dei soliti: tra il poco che vi era annotato, conteneva una serie di date. Coprivano un arco di tempo di diversi anni, ma notai che le registrazioni si interrompevano bruscamente circa un anno fa. Qua e là, accanto a una data, c'era una breve osservazione, non più di una parola in genere: «doppio» compariva sei volte su un totale di parecchie centinaia di registrazioni, e una volta, proprio all'inizio, e seguita da molti punti esclamativi, v'era l'espressione «fiasco totale!!!». Tutto ciò aumentava la mia curiosità ma non mi dava niente di preciso. Avevo di fronte a me una fiala contenente una qualche tintura, una bustina di sali e la registrazione di una serie di esperimenti che (come spesso capitava a Jekyll) non avevano portato a nessun risultato concreto. In qual modo l'onore, la sanità mentale, la vita del mio incostante amico potevano dipendere dalla presenza di questi oggetti in casa mia? E perché il suo messo poteva recarsi senza problemi in un luogo e non in un altro? E anche ammettendo che ci fosse qualche impedimento, perché doveva essere ricevuto nel massimo segreto? Più ci riflettevo sopra e più mi convincevo di avere a che fare con un caso di malattia mentale; e dopo aver congedato i domestici per la notte, caricai la mia vecchia pistola in modo da potermi difendere se ce ne fosse stato bisogno.
Mezzanotte era appena risuonata nel cielo di Londra quando udii bussare sommessamente alla porta. Andai io stesso ad aprire e vidi un uomo piuttosto piccolo acquattato dietro una colonna del portico.
«Viene da parte del dottor Jekyll?», chiesi.
Rispose di sì con un fare impacciato e quando lo invitai ad entrare mi obbedì gettando uno sguardo indagatore dietro di sé verso la piazza buia. Non lontano c'era un poliziotto che veniva verso di noi con la lanterna in mano; mi sembrò che a quella vista il mio visitatore sussultasse e si affrettasse ad entrare.
Devo ammettere che questi particolari mi colpirono sfavorevolmente e mentre lo accompagnavo verso il mio ambulatorio ben illuminato tenni la mano sulla pistola. Qui ebbi modo di osservarlo bene. Non l'avevo mai visto prima; di questo ero certo. Come ho già detto, era piuttosto piccolo; ma ciò che mi colpì fu l'espressione sconvolgente del suo volto, che rivelava un grande vigore muscolare e insieme un'evidente debolezza di costituzione, e da ultimo, ma non meno importante, lo strano senso di disagio che la sua vicinanza provocava in me. Era come se i miei muscoli si andassero irrigidendo, e a ciò si accompagnava un rallentamento del battito cardiaco. Al momento l'attribuii a una mia idiosincrasia personale, a un'antipatia istintiva, e mi meravigliai solo dell'acutezza dei sintomi; ma ora ho motivo di credere che la causa giacca negli strati più profondi della natura umana e che si basi su principi più nobili che quello dell'odio.
Quest'uomo (che fin dal primo momento aveva suscitato in me ciò che posso solo definire come un misto di curiosità e di disgusto) era vestito in un modo che avrebbe reso ridicola qualunque altra persona: i suoi abiti, per quanto fossero di un tessuto costoso ed elegante, erano assolutamente troppo grandi per lui ... i pantaloni gli penzolavano sulle gambe ed erano arrotolati perché non toccassero terra, la vita della giacca gli arrivava all'altezza dei fianchi e il colletto gli copriva quasi le spalle. Ma, strano a dirsi, questo abbigliamento assurdo era ben lungi dal farmi ridere. Anzi, poiché nell'essenza stessa di quell'individuo che avevo di fronte c'era qualcosa di anormale e di mostruoso, qualcosa che mi colpiva, mi catturava e mi disgustava insieme, quest'altra incongruenza sembrava accordarsi perfettamente con quelle sensazioni e renderle più forti. E così al mio interesse circa la natura e il carattere di quell'uomo si aggiunse la curiosità di saperne qualcosa sulle origini, sulla vita, sulle sostanze e sulla posizione sociale. Queste mie osservazioni, che sulla carta hanno richiesto tanto spazio, non durarono che pochi secondi. Il mio visitatore era in uno stato di cupa agitazione.
«Ce l'ha?», gridò. «Ce l'ha?». La sua impazienza era tale che mi pose una mano sul braccio e fece per scuotermi.
Lo allontanai avvertendo una fitta gelida corrermi per le vene al contatto della mano. «La prego, signore», dissi. «Lei dimentica che non ho ancora avuto il piacere di fare la sua conoscenza. Si accomodi, per favore». Gli diedi l'esempio e mi misi a sedere nella mia solita poltrona cercando di comportarmi come abitualmente faccio con i miei pazienti, per quanto me lo consentivano l'ora tarda, la natura delle mie preoccupazioni e l'orrore che l'ospite mi ispirava.
«La prego di scusarmi, dottor Lanyon», rispose con tono abbastanza educato. «Lei ha perfettamente ragione; l'impazienza mi ha fatto dimenticare le buone maniere. Sono venuto qui su richiesta del suo collega, il dottor Jekyll, per una faccenda di una certa importanza; e mi è sembrato di capire...». S'interruppe portandosi una mano alla gola, e mi resi conto che, nonostante cercasse di controllarsi, era sull'orlo di un attacco isterico. «Mi è sembrato di capire, un cassetto...».
A questo punto ebbi pietà della sua angoscia e anche, forse, della mia crescente curiosità.
«Eccolo là, signore», dissi, indicandogli il cassetto che si trovava sul pavimento, dietro il tavolo, ancora avvolto nel foglio di carta.
Si precipitò verso di esso, poi si fermò e si portò una mano al cuore: lo sentii digrignare i denti sotto l'azione convulsa delle mascelle, mentre il suo volto impallidiva a tal punto che temetti per la sua vita e per il suo senno.
«Si calmi», dissi.
Si volse verso di me con un sorriso agghiacciante, e come mosso dalla disperazione strappò via il foglio. Alla vista del contenuto emise un unico sonoro singhiozzo di immenso sollievo che mi lasciò sbalordito. Un attimo dopo, con una voce che era ormai sotto controllo, mi chiese: «Ha una provetta graduata?».
Con un certo sforzo mi alzai dalla poltrona e gli diedi quello che mi aveva chiesto.
Mi ringraziò sorridendo con un cenno del capo; poi misurò alcune gocce della tintura rossa e vi aggiunse la polvere di una delle cartine. La miscela, che inizialmente era di una tonalità rossastra, cominciò ad assumere un colore più brillante man mano che i cristalli si scioglievano, a diventare effervescente e a emettere piccole esalazioni di vapore. Improvvisamente l'ebollizione cessò e nello stesso istante il composto divenne color porpora per poi mutarsi ancora una volta, più lentamente, in un verde acqua. Il mio visitatore che aveva seguito tutti questi mutamenti con occhio attento, sorrise, posò la provetta sul tavolo, si voltò e mi guardò con aria indagatrice.
«E ora», disse, «veniamo al resto. Vuol essere saggio? Vuole lasciarsi guidare? Lascerà che io prenda questa provetta e mi allontani da questa casa senza ulteriori spiegazioni? Oppure la sua curiosità è troppo forte per potervisi opporre? Ci pensi bene prima di rispondere, perché si farà come lei vorrà. Se così decide, lei rimarrà quello che era prima, né più ricco né più saggio, a meno che si voglia considerare una sorta di ricchezza dell'animo la consapevolezza di aver aiutato un uomo in pericolo mortale. Oppure, se deciderà nell'altro senso, dinanzi a lei si spalancheranno nuovi campi del sapere e nuove prospettive di gloria e di potere; qui, in questa stanza, adesso. Un prodigio in grado di far vacillare l'incredulità di Satana trafiggerà il suo sguardo».
«Signore», dissi, ostentando un sangue freddo che non avevo affatto, «lei parla per enigmi e forse non si stupirà se le dico che l'ascolto senza prestare grande fiducia alle sue parole. Ma ormai sono andato troppo avanti rendendole questi servigi incomprensibili e non posso certo fermarmi prima di vederne la conclusione».
«D'accordo», rispose il visitatore. «Ma ricordi il giuramento, Lanyon: ciò che avverrà è coperto dal segreto professionale. Ed ora, lei che così a lungo è rimasto attaccato a regole anguste e materiali, lei che ha negato le virtù della medicina trascendentale, lei che ha deriso chi le era superiore... guardi!».
Si portò il bicchiere alle labbra e ne bevve il contenuto tutto d'un fiato. Ci fu un grido: barcollò, vacillò, s'afferrò al tavolo a cui rimase aggrappato, sbarrando gli occhi iniettati di sangue e rantolando con la bocca spalancata; e mentre lo guardavo, sopravvenne, mi parve, un mutamento... sembrò gonfiarsi... il volto si fece improvvisamente scuro, i lineamenti parvero dissolversi e mutare... Un attimo dopo balzavo in piedi addossandomi alla parete, le braccia alzate per ripararmi da quel prodigio, la mente sopraffatta dal terrore.
«Oh Dio!», urlai, e ancora «oh Dio, oh Dio!»: là, di fronte a me, pallido e tremante, quasi svenuto, con le mani che annaspavano nel vuoto come chi riemerga dalla morte... c'era Henry Jekyll!
Mi è impossibile mettere per iscritto ciò che mi raccontò nell'ora che seguì; vidi quel che vidi, udii quel che udii, e la mia anima se ne ammalò. E ancor oggi che quella vista è svanita dai miei occhi, continuo a domandarmi se debbo crederci e non so dare una risposta. La mia vita è rimasta scossa alle radici; il sonno mi ha abbandonato; un terrore mortale mi accompagna ogni ora del giorno e della notte. Sento che i miei giorni sono contati e che la morte è vicina, eppure morirò nel dubbio. Quanto alla depravazione morale che quell'uomo mi rivelò, pur tra lacrime di rimorso, la sola memoria provoca in me un moto di orrore. Dirò un'unica cosa, Utterson (se potrai crederla) e sarà più che sufficiente. Per ammissione dello stesso Jekyll, la creatura che si introdusse nella mia casa quella notte era conosciuta con il nome di Hyde ed era ricercata in ogni angolo del paese come l'assassino di Carew.
HASTIE LANYON

Illustrazione dell’epoca della prima edizione del romanzo


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