Quale potere ha il signor
Hyde sul dottor Jekyll, se questi ha persino fatto testamento presso l’avvocato
Utterson, stabilendo che in caso di morte o anche di semplice scomparsa tutti i
suoi beni passino al misterioso personaggio? L’avvocato vuole saperne di più e
si apposta in modo da incontrarsi con il signore Hyde; ma, quando l’incontro
avviene, la sua inquietudine, anziché diminuire, aumenta ancor di più.
Dal romanzo di Stevenson
sono state tratte numerose versioni cinematografiche: le due migliori sono,
secondo me, quella del 1932 diretta da Rouben Mamoulian e quella del 1941 di
Victor Fleming. Alla fine del secondo capitolo trovi due fotogrammi tratti da
quest’ultimo film, con la magnifica ambientazione in una Londra notturna e
nebbiosa, quale viene descritta da Stevenson nell’episodio in cui Utterson
incontra Hyde.
ALLA RICERCA DEL SIGNOR HYDE
Quella sera il signor Utterson
fece ritorno al suo appartamento di scapolo più tetro che mai e si sedette a
tavola senza alcun piacere. La domenica, quando la cena era finita, aveva
l'abitudine di sedersi accanto al caminetto con un libro di arida devozione sul
leggio e rimanervi fin quando l'orologio della chiesa accanto non batteva
mezzanotte; allora se ne andava a letto con animo sereno e riconoscente. Quella
sera, invece, non appena la tovaglia fu tolta, prese una candela e se ne andò
nello studio. Qui aprì la cassaforte, prese dal cassetto più riposto un
documento sulla cui busta c'era scritto “Testamento del dottor Jekyll”, e si
sedette con aria accigliata a studiarne il contenuto.
Il testamento era olografo, poiché
il signor Utterson, sebbene l'avesse preso in custodia dopo che era stato
redatto, si era rifiutato di dare la benché minima assistenza alla sua stesura.
Esso stabiliva non solo che in caso di morte di Henry Jekyll, MD, DCL, LLD, FRS
(1), tutti i suoi averi sarebbero passati nelle mani del suo «amico e
benefattore Edward Hyde», ma che, in caso di «scomparsa o di assenza
inspiegabile per un periodo superiore ai tre mesi» del dottor Jekyll, il
suddetto Edward Hyde sarebbe subentrato al suddetto Henry Jekyll senza indugio
e libero da qualsiasi onere o obbligo, all'infuori del pagamento di alcune
piccole somme ai domestici del dottore. Da parecchio tempo quel documento era
una spina nel cuore per l'avvocato. Lo offendeva sia come legale sia come uomo
amante di una vita moralmente sana e vissuta nel rispetto della tradizione, per
il quale la bizzarria ha in sé qualcosa di indecente. Fino a quel momento
l'indignazione nasceva dal fatto di non saper nulla a proposito del signor
Hyde; ora, con un rovesciamento improvviso, dal fatto di sapere. Era una
faccenda già abbastanza brutta quando quel nome non era altro che un nome, di
cui non riusciva a sapere di più. Diventava peggiore allorché quel nome cominciava
a rivestirsi di connotati odiosi, e dalle nebbie indefinite e fuggenti che per tanto
tempo avevano eluso i suoi occhi, balzava fuori improvviso e preciso il presentimento
di un demonio.
«Pensavo che si trattasse di
follia», disse mentre riponeva nella cassaforte l'odioso documento; «ma ora
comincio a temere che si tratti d'infamia».
Dopo di che soffiò sulla candela,
si infilò il pastrano, e si diresse verso Cavendish Square, quella cittadella
della medicina dove il suo amico, il grande dottor Lanyon, abitava e riceveva i
suoi numerosi pazienti. «Se c'è qualcuno che ne sa qualcosa, questi è il dottor
Lanyon», si era detto.
Il maggiordomo lo conosceva e lo
fece entrare; lo introdusse senza farlo attendere direttamente nella sala da
pranzo dove il dottore stava seduto tutto solo a bere del vino. Questi era un
uomo cordiale, in buona salute, vivace e rubicondo, con capelli folti prematuramente
imbiancati e un modo di fare vivace e deciso. Quando vide Utterson si alzò
dalla poltrona e gli andò incontro tendendo le braccia. La sua cordialità
poteva apparire alquanto affettata, ma nasceva da un sentimento genuino. Quei
due, infatti, erano vecchi amici, compagni di scuola e di collegio, rispettosi
entrambi di se stessi e l'uno dell'altro, e, cosa che non sempre ne consegue,
capaci di godere la reciproca compagnia.
Dopo aver parlato del più e del
meno, l'avvocato portò il discorso sull'argomento che spiacevolmente
preoccupava la sua mente.
«Suppongo, Lanyon, che tu e io
siamo i più vecchi amici di Henry Jekyll».
«Preferirei che gli amici fossero
più giovani», rispose ridacchiando il dottor Lanyon. «Ma credo che sia così. E
con ciò? Lo vedo di rado, ora».
«Davvero!», disse Utterson.
«Credevo foste legati da comuni interessi».
«Lo eravamo», fu la risposta. «Ma
da dieci anni ormai Henry Jekyll è diventato troppo stravagante per me. Ha cominciato
a ragionare, o piuttosto a sragionare, in modo strano, e sebbene continui ad
avere affetto per lui, per amore dei vecchi tempi, come si dice, l'ho visto e
lo vedo pochissimo. Non c’è amicizia che tenga», aggiunse il dottore diventando
improvvisamente paonazzo, «davanti alle sue assurdità pseudoscientifiche!».
Questo breve scatto di collera fu
un sollievo per il signor Utterson. “I loro contrasti sono solo di carattere
scientifico”, pensò, e poiché non aveva alcuna passione per la scienza (a meno
che si trattasse di passaggi di proprietà), aggiunse: “Se non è che questo!”.
Lasciò qualche secondo all'amico perché ritrovasse la calma e quindi gli fece
la domanda per la quale era venuto.
«Hai mai avuto occasione di
incontrare un suo protégé, un certo
Hyde?», gli chiese.
«Hyde?», ripeté Lanyon. «Mai
sentito. Mai in vita mia».
Queste furono le informazioni che
l'avvocato riportò a casa, a quel grande scuro letto in cui si rigirò fino a
quando le ore piccole del mattino cominciarono a crescere. Fu una notte di
scarso riposo per la sua mente assillata da interrogativi nel buio assoluto
della stanza. Quando le campane della chiesa così opportunamente vicina alla
sua casa batterono le sei, il signor Utterson stava ancora esaminando il
problema. Fino ad allora lo aveva interessato solo dal punto di vista intellettuale,
ma ecco che anche la sua immaginazione ne era coinvolta o, meglio, soggiogata;
e mentre stava disteso o si rigirava nel letto nel buio assoluto della camera
dalle pesanti tende, il racconto del signor Enfield ripassava davanti agli
occhi della sua mente come una sequenza di immagini luminose. Vedeva la lunga
fila di lampioni nella città notturna, poi la figura di un uomo che camminava
velocemente e quella di una bambina che correva verso casa di ritorno dal medico;
poi i due si scontravano, e quello Juggernaut umano calpestava la bambina e proseguiva
incurante delle sue urla. Oppure vedeva la camera di una casa lussuosa dove il suo
amico giaceva addormentato, sognando e sorridendo ai suoi sogni; poi la porta
della camera si apriva, le cortine del letto venivano scostate, il dormiente
veniva destato ed ecco! accanto al letto compariva un essere a cui era dato
ogni potere, che lo obbligava ad alzarsi nel cuore della notte e a fare ciò che
gli veniva ordinato. Questa figura nei due diversi ruoli ossessionò l'avvocato
per tutta la notte; e se ogni tanto si appisolava, era solo per vederla
scivolare ancora più furtivamente attraverso le case addormentate, o muoversi ancor
più velocemente fino al capogiro, attraverso il più vasto labirinto di una
città illuminata dai lampioni, schiacciando una bambina a ogni angolo di strada
e lasciandola urlante in terra. E tuttavia quell'essere non aveva un volto
attraverso cui poterlo riconoscere; anche nel sogno non aveva volto o ne aveva
uno che gli sfuggiva e si dissolveva davanti agli occhi. Fu così che nella
mente dell'avvocato nacque e crebbe la curiosità, forte e determinata, di
vedere le fattezze del vero signor Hyde. Pensava che se solo avesse potuto
posare per una volta lo sguardo su di lui, il mistero si sarebbe diradato e
forse sarebbe svanito del tutto, come capita alle cose misteriose quando
vengono esaminate da vicino. Avrebbe forse potuto trovare una ragione di quella
strana predilezione o di quel legame (chiamatelo come vi pare), e persino delle
clausole strabilianti del testamento del suo amico. E, inoltre, doveva essere
una faccia che valeva la pena di vedere: la faccia di un uomo spietato, una faccia
la cui sola comparsa aveva suscitato nel poco impressionabile Enfield un odio
pertinace.
A partire da quel momento il
signor Utterson cominciò a tener d'occhio la porta nella stradina delle
botteghe. Al mattino prima dell'apertura degli uffici, sul mezzogiorno quando
gli affari erano molti e il tempo era poco, di notte sotto lo sguardo velato
della luna cittadina, con ogni tipo di luce e a tutte le ore, nel trambusto o
in solitudine, lo si poteva vedere al suo posto di osservazione.
«Se lui è il signor Hyde, io sarò
il signor Seek» (2), aveva pensato.
E, alla fine, la sua pazienza fu
premiata. Era una notte bella e senza pioggia, l'aria sapeva di gelo, le strade
erano pulite come il pavimento di una sala da ballo; le lampade che nessun
vento faceva ondeggiare formavano sul selciato un disegno regolare di luci e di
ombre. Verso le dieci, quando le botteghe erano ormai chiuse, quella strada secondaria
appariva deserta e silenziosa, nonostante il brontolio sommesso che giungeva
dalla Londra circostante. Anche i minimi suoni giungevano a distanza: da
entrambi i lati della via si poteva udire il suono domestico delle case vicine
e si sentiva il rumore dei passi di un viandante molto prima che questi
arrivasse. Il signor Utterson era al suo posto di guardia da alcuni minuti
quando avvertì un passo, strano e leggero, che si avvicinava. Nel corso delle
sue perlustrazioni notturne si era abituato all'effetto curioso con cui i passi
di una singola persona, per quanto ancora molto lontana, risaltano
distintamente al di sopra dell'esteso brontolio e frastuono della città. Eppure
mai la sua attenzione era stata colpita in maniera così precisa e netta; fu
quindi con un superstizioso presentimento di vittoria che si ritrasse
nell'angolo di accesso al cortile.
I passi si avvicinavano
velocemente e si fecero d'improvviso più forti quando svoltarono l'angolo della
via. Sporgendosi dall'androne l'avvocato poteva ormai rendersi conto con che
tipo d'uomo aveva a che fare. Era basso, vestito in modo molto comune, ma anche
da quella distanza il suo aspetto gli comunicò una sensazione spiacevole.
L'uomo si diresse verso la porta, attraversando la strada per fare più in
fretta, e nel frattempo tirò fuori dalla tasca una chiave come uno che si
avvicini alla propria casa.
Il signor Utterson si fece
avanti, e mentre quello passava lo toccò sulla spalla: «Il signor Hyde,
suppongo?».
Il signor Hyde si ritrasse,
emettendo un sibilo nel riprendere fiato; ma lo spavento fu solo d'un attimo:
senza guardare in faccia l'avvocato gli rispose freddamente: «Sì, questo è il
mio nome. Che cosa vuole?».
«Vedo che sta entrando in casa»,
replicò l'avvocato. «Io sono un vecchio amico del dottor Jekyll. Sono il signor
Utterson di Gaunt Street. Deve aver già sentito il mio nome. Dal momento che
l'ho incontrata, pensavo che mi avrebbe potuto far entrare».
«Non troverà il dottor Jekyll,
non è in casa», rispose il signor Hyde infilando la chiave. E poi, di colpo,
senza alzare gli occhi, «come fa a conoscermi?», domandò.
«E lei, mi farebbe un favore?»,
disse il signor Utterson.
«Con piacere», rispose l'altro.
«Di che si tratta?».
«Mi permetterebbe di vedere la
sua faccia?», disse l'avvocato.
Il signor Hyde sembrò esitare; e
poi, dopo un istante di riflessione, alzò il volto con aria di sfida. I due si
guardarono fissamente per alcuni secondi. «Ora sarò in grado di riconoscerla»,
disse il signor Utterson. «Potrebbe essere utile».
«Certamente», replicò il signor
Hyde, «è stato un bene che ci siamo incontrati, e, a proposito, le devo dare il
mio indirizzo». E gli diede il numero di una via di Soho.
“Buon Dio!”, pensò il signor
Utterson, “forse anche lui ha pensato al testamento?”.
Ma tenne per sé i suoi pensieri e
si limitò a borbottare qualcosa per ringraziarlo dell'indirizzo.
«E allora», disse l'altro, «come
ha fatto a riconoscermi?».
«Dalla descrizione», fu la
risposta.
«La descrizione di chi?».
«Abbiamo degli amici in comune»,
disse il signor Utterson.
«Amici in comune?», gli fece eco
il signor Hyde con voce un po' roca. «E chi sono?».
«Jekyll, per esempio», disse
l'avvocato.
«Lui non le ha mai parlato di
me», gridò in preda all'ira il signor Hyde, «non pensavo che lei avrebbe
mentito».
«Suvvia!», disse il signor
Utterson, «non è questo il modo di parlare».
L'altro fece una risata
selvaggia, e un momento dopo, con rapidità sorprendente, aveva già aperto la
porta ed era scomparso nella casa.
Dopo che il signor Hyde l'ebbe
lasciato, l'avvocato rimase fermo per un po' in preda a un grave turbamento.
Poi riprese lentamente a risalire la via, fermandosi a ogni passo e portandosi
la mano alla fronte come chi sia profondamente perplesso. Il problema che stava
esaminando mentre camminava era di difficile soluzione. Il signor Hyde era pallido
e basso; dava un'impressione di deformità senza avere alcuna precisa
malformazione e aveva un sorriso ripugnante; nei suoi confronti si era comportato
con un misto odioso di paura e di arroganza; parlava con voce rauca, spesso
bisbigliando e interrompendosi...: tutti questi erano punti contro di lui.
Eppure, anche a prenderli tutti insieme, non bastavano a spiegare la ripugnanza
mai provata prima d'allora, l'odio e la paura che il signor Utterson aveva
sentito guardandolo. «Ci deve essere qualcos'altro», disse perplesso l'avvocato,
«c'è qualcosa di più, se solo riuscissi a dargli un nome. Dio mi perdoni, ma quello
non sembra un essere umano. Dà l'idea di un essere trogloditico. O forse può
essere la vecchia storia del dottor Fell (3)? O si tratta del riverbero di un
animo malvagio che emana fuori dal suo involucro di argilla trasfigurandolo?
Credo proprio sia questo; mio povero Henry Jekyll, se mai vidi l'impronta di
Satana su di un viso, l'ho scorta su quello del tuo nuovo amico!».
Oltre l'angolo di quella via
secondaria c'era una piazza circondata da antiche ed eleganti case, per la
maggior parte decadute dalla loro condizione d'un tempo e ora suddivise in
camere e appartamenti, e affittate a gente d'ogni sorta: cartografi, architetti,
avvocati di dubbia fama, agenti di ambigue imprese. Una casa, tuttavia, la
seconda dopo l'angolo, era rimasta indivisa; e fu proprio alla porta di questa
casa, che ancora conservava un aspetto di benessere e di agio, nonostante fosse
immersa nell'oscurità tranne per la lunetta sopra l'ingresso, che il signor
Utterson si fermò e bussò. Gli aprì un anziano domestico, vestito con eleganza.
«È in casa il dottor Jekyll,
Poole?», chiese l'avvocato.
«Vado a vedere, signor Utterson»,
disse Poole facendolo entrare in un'ampia e accogliente sala d'ingresso, dal
soffitto basso e dal pavimento a mattonelle, riscaldata (come si usa nelle case
di campagna) da un caminetto aperto e arredata con costosi mobili di quercia.
«Vuole attendere qui accanto al
camino, signore, o devo accompagnarla in sala da pranzo?».
«Attendo qui, grazie», disse
l'avvocato, che si avvicinò al caminetto e si appoggiò all'alto parafuoco.
Questa sala, in cui ora era rimasto solo, era la stanza preferita del suo amico
dottore; e Utterson ne parlava come del salotto più accogliente di Londra.
Ma quella sera le vene
dell'avvocato erano pervase da un brivido; il volto di Hyde pesava nella sua
memoria ed egli provava (cosa in lui rara) nausea e disgusto per la vita. In
questo stato d'animo tetro gli sembrava di scorgere una minaccia nel tremolio
delle fiamme sui mobili ben lucidati e nel formarsi delle ombre sul soffitto.
Quando, poco dopo, Poole ritornò per annunciargli che il dottor Jekyll era
uscito, si vergognò di provare sollievo.
«Poole, ho visto il signor Hyde
entrare dalla porta della vecchia aula d'anatomia», disse. «È una cosa regolare
quando il dottor Jekyll non è in casa?».
«Del tutto regolare, signor
Utterson», rispose il domestico. «Il signor Hyde ha la chiave».
«Il vostro padrone sembra riporre
molta fiducia in quel giovanotto, Poole», continuò l'altro con aria assorta.
«Sì, signore, molta davvero»,
disse Poole, «Noi tutti abbiamo l'ordine di obbedirgli».
«Non mi pare di aver mai
incontrato il signor Hyde qui, vero?», chiese Utterson.
«Oh, no, signore. Non pranza mai
qui», rispose il maggiordomo. «In realtà lo vediamo molto poco in questa parte
della casa; per lo più entra ed esce dal laboratorio».
«Ebbene, buona notte, Poole».
«Buona notte, signor Utterson».
L'avvocato si diresse verso casa con
un grande peso sul cuore.
“Povero Harry Jekyll”, pensava, “temo
proprio che si trovi in cattive acque! È stato alquanto sregolato in gioventù;
certamente è passato molto tempo, ma per la legge del Signore non ci sono
limiti di tempo. Deve essere proprio così: il fantasma di qualche antico peccato,
il cancro di qualche segreta infamia, e il castigo arriva, pede claudo, anni
dopo che la memoria ha dimenticato e la pietà per se stessi ha perdonato la
colpa”.
E l'avvocato, impaurito da questo
pensiero, si mise a meditare sul suo passato, frugando in tutti gli angoli
della memoria, nel timore che qualche vecchia infamia potesse saltar fuori come
il fantoccio di una scatola a sorpresa. Il suo passato era senza colpa: pochi
uomini avrebbero potuto leggere la storia della propria vita con minore preoccupazione.
Eppure si sentiva terribilmente umiliato per le molte azioni cattive che aveva
compiuto, ma subito dopo lo pervadeva un senso di gratitudine sobria e timorosa
per le molte altre che era stato sul punto di fare e che aveva evitato. E
allora, tornando alla sua preoccupazione, intravvedeva un barlume di speranza.
“Questo signor Hyde”, si disse, “a
studiarlo bene, deve avere dei segreti: segreti orribili, a giudicare dalla sua
faccia; segreti al cui confronto anche il peggiore che il povero Jekyll potesse
nascondere sembrerebbe trasparente come la luce del sole. Le cose non possono
andare avanti così. Mi sento raggelare il sangue al pensiero di quell'essere
che si avvicina furtivo al letto di Harry: che risveglio, povero Harry! E che pericolo!
Se Hyde solo sospetta l'esistenza del testamento, gli verrà la fregola di
ereditare. Sì, devo fare qualcosa”, aggiunse, “se Jekyll me lo permetterà”. E
ancora una volta rivide con gli occhi della mente, limpide come un cristallo,
le strane disposizioni del testamento.
__________________________________________________________________
(1) MD, DCL, LLD, FRS = Doctor of
Medicine (Dottore in Medicina), Doctor of Civil Law (Dottore in Diritto Civile),
Doctor of Laws (Dottore in Leggi), Fellow of the Royal Society (Membro della Reale
Società).
(2) Si tratta di un gioco di
parole, basato sul nome inglese con cui si indica il gioco del nascondino:
hide-and-seek (letteralmente: nascondi e cerca).
(3) Si tratta dell’adattamento da
parte di Thomas Browne (scrittore e traduttore inglese del XVII secolo) di un
epigramma del poeta latino Marco Valerio Marziale: «Non mi piaci, Dr. Fell, /
ma non so dire perché; / so solo benissimo che / non mi piaci, Dr. Fell».
Il dottor Jekyll passeggia per Londra di notte; due fotogrammi dal film
di Victor Fleming con Spencer Tracy nel ruolo del protagonista
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