domenica 7 gennaio 2018

154 Il Cinque maggio (di Alessandro Manzoni)



Quando Manzoni seppe che Napoleone era morto, in tre giorni (dal 18 al 20 luglio 1821) scrisse questa ode, che divenne ben presto famosa in tutta Europa (Goethe la tradusse in tedesco). Vi si descrive la vicenda dell’uomo Napoleone, secondo tre momenti: dapprima la grandezza del suo operato, la sua potenza che ha segnato il destino dell’Europa, sicuramente perché Dio ha voluto così. Quindi le grandezze e le miserie della sua vita, le vittorie e le sconfitte, il trono e l’esilio. Infine i suoi ultimi anni nell’isola di Sant’Elena, dove alla disperazione di fronte alla caduta, si contrappone la salita al cielo dovuta alla misericordia della fede in Dio. Napoleone appare così come sospeso tra due abissi contrapposti: il nulla della sua vita passata, con le sue glorie effimere, e il nulla della morte, in cui però palpita la mano paterna del divino, con la sua promessa di eternità.

Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,

muta pensando all'ultima
ora dell'uom fatale;
né sa quando una simile
orma di pie' mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.

Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sònito
mista la sua non ha:

vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al sùbito
sparir di tanto raggio;
e scioglie all'urna un cantico
che forse non morrà.

Dall'Alpi alle Piramidi,
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
dall'uno all'altro mar.

Fu vera gloria? Ai posteri
l'ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
più vasta orma stampar.

La procellosa e trepida
gioia d'un gran disegno,
l'ansia d'un cor che indocile
serve, pensando al regno;
e il giunge, e tiene un premio
ch'era follia sperar;

tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte sull'altar.

Ei si nomò: due secoli,
l'un contro l'altro armato,
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe' silenzio, ed arbitro
s'assise in mezzo a lor.

E sparve, e i dì nell'ozio
chiuse in sì breve sponda,
segno d'immensa invidia
e di pietà profonda,
d'inestinguibil odio
e d'indomato amor.

Come sul capo al naufrago
l'onda s'avvolve e pesa,
l'onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere
prode remote invan;

tal su quell'alma il cumulo
delle memorie scese.
Oh quante volte ai posteri
narrar se stesso imprese,
e sull'eterne pagine
cadde la stanca man!

Oh quante volte, al tacito
morir d'un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,
le braccia al sen conserte,
stette, e dei dì che furono
l'assalse il sovvenir!

E ripensò le mobili
tende, e i percossi valli,
e il lampo de' manipoli,
e l'onda dei cavalli,
e il concitato imperio
e il celere ubbidir.

Ahi! forse a tanto strazio
cadde lo spirto anelo,
e disperò; ma valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere
pietosa il trasportò;

e l'avvïò, pei floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
dov'è silenzio e tenebre
la gloria che passò.

Bella Immortal! Benefica
Fede ai trïonfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
ché più superba altezza
al disonor del Gòlgota
giammai non si chinò.

Tu dalle stanche ceneri
sperdi ogni ria parola:
il Dio che atterra e suscita,
che affanna e che consola,
sulla deserta coltrice
accanto a lui posò.

PARAFRASI:

Egli fu [cioè non è più, è morto]. Come immobile,
dopo aver esalato l’estremo respiro,
se ne stette il suo corpo senza memoria
rimasto privo di un’anima così grande,
così colpita, stordita
sta la terra all’annuncio [della morte di Napoleone],

muta ripensando all’ultima
ora dell’uomo fatale [in quanto aveva guidato il destino di un’epoca];
e non sa quando un’uguale
orma di piede mortale
verrà a calpestare
la sua polvere insanguinata.

Il mio genio [la mia ispirazione di poeta] vide lui
sfolgorante sul trono e tacque;
quando, con rapido mutamento di vicende,
cadde [a Lipsia], risorse [per i “cento giorni”] e crollò [a Waterloo],
esso non mescolò la sua voce
al rumore di mille altre voci:

puro da lodi servili
e da oltraggi codardi,
[il mio genio] s’innalza ora commosso all’improvviso
sparire di un tale raggio [cioè Napoleone];
e dedica a quella tomba un canto
che forse resterà immortale.

Dalle Alpi [la campagna d’Italia] alle Piramidi [la campagna d’Egitto],
dal Manzanarre [il fiume di Madrid] al Reno [in Germania],
il fulmine di quell’uomo sicuro
arrivava subito dopo il baleno [cioè Napoleone realizzava subito ciò che pensava];
scoppiò da Scilla [lo stretto di Messina] al Tanai [antico nome del Don, allude alla Russia],
da un mare all’altro.

Fu vera gloria? Ai posteri
la difficile sentenza: noi
chiniamo la fronte davanti al Massimo
Fattore [cioè Dio], che in lui volle
stampare una traccia più grande
del suo spirito creatore.

La tempestosa e trepidante
gioia di un grande progetto,
l’ansia di un cuore che ribelle
si fa servo, ma pensa già al regno;
e lo raggiunge, e ottiene un premio
che sembrava folle sperare;

tutto egli provò: la gloria maggiore dopo i pericoli,
la fuga e la vittoria,
la reggia e il triste esilio;
due volte nella polvere [allude alle sconfitte di Lipsia e di Waterloo],
due volte sull’altare [sul trono, quando si proclamò imperatore e quando vi ritornò dopo l’Elba].

Egli disse il suo nome: due secoli [il Settecento e l’Ottocento],
uno armato contro l’altro [poiché avevano idee diverse],
si rivolsero a lui sottomessi,
come aspettando da lui il loro destino;
egli fece fare silenzio, e come arbitro
si sedette in mezzo a loro.

Eppure sparì, e i giorni nell’ozio
finì in un’isola così piccola [Sant’Elena],
oggetto di immensa invidia [per la gloria accumulata]
e di profonda pietà [per la sua caduta],
di odio che non si estingue [da parte dei suoi nemici]
e di amore indomabile [da parte di chi credeva in lui].

Come sulla testa del naufrago
l’onda si abbatte e pesa,
l’onda sopra la quale appena prima alta
e aperta scorreva la vista del misero
a scorgere lontani approdi
ma invano [perché la gloria è effimera];

così su quell’anima scese
il cumolo delle memorie.
Oh quante volte egli per i posteri
cercò di scrivere di sé stesso [cioè cercò di scrivere le sue memorie],
ma sulle pagine eterne [così sarebbero diventate se le avesse scritte]
cadde la mano stanca!

Oh quante volte, al silenzioso
morire di un giorno ozioso,
chinati gli occhi fulminanti,
con le braccia conserte al petto,
se ne stette, e lo assalì il ricordo
dei giorni che furono!

E ripensò alle tende degli accampamenti
mobili [cioè che rapidamente si potevano spostare], alle trincee nemiche prese d’assalto,
ai lampi emanati dal suo esercito,
alla carica che si muoveva come un’onda dei cavalli,
ai comandi concitati
e alla pronta ubbidienza [dei soldati].

Ahi! forse di fronte a tanto strazio
cadde il suo spirito angosciato,
e si disperò; ma forte
dal cielo venne una mano,
e in un’aria più respirabile
lo trasportò pietosa;

e lo condusse, per i fioriti
sentieri della speranza,
ai campi eterni, al premio
che supera ogni desiderio,
dove la gloria passata
non è altro che silenzio e tenebre.

O splendida immortale! benefica
Fede abituata ai trionfi!
Scrivi anche questo, rallegrati:
poiché una grandezza più superba [di quella di Napoleone]
si era mai chinata di fronte
al momento infamante del Calvario [cioè, mai nessuno più grande di Napoleone si era umiliato davanti a Cristo].

Tu [Fede] dalle stanche ceneri
allontana ogni parola maledicente:
quel Dio che getta a terra e che fa risorgere,
che dà dolore e che consola,
sul letto di morte abbandonato
accanto a lui posò.

SINTESI DEL SIGNIFICATO DI QUESTA POESIA:

Egli è morto. E come è rimasto immobile il suo corpo, così la terra se ne resta sbigottita all’annuncio della sua scomparsa e non sa quando mai un altro uomo simile verrà a calpestarla. Io lo vidi quand’era luminoso sul trono, quando fu sconfitto, risorse e cadde definitivamente e non mescolai la mia voce a quella di mille altri, né per lodarlo servilmente, né per oltraggiarlo codardamente. Ma ora che non c’è più, voglio cantarne la grandezza, quando dalle Alpi all’Egitto, dalla Spagna alla Germania agiva rapido e le sue imprese sconvolsero il mondo da un luogo all’altro. Solo i posteri potranno dire se la sua fu vera gloria; noi possiamo soltanto vedere in lui impressa l’orma di Dio. Da quando immaginò tremante la sua gloria, e con spirito ribelle servì gli altri, pensando però di giungere lui stesso al trono; e l’ottenne, anche se sembrava una follia sperarlo. Egli provò ogni cosa: la gloria dopo il pericolo, la sconfitta e la vittoria, la corona e l’esilio e per ben due volte. Bastò che egli si presentasse e due secoli gli si sottomisero; egli li zittì e ne divenne arbitro. Poi sparì, costretto a vivere prigioniero in un angolo di terra, ancora invidiato e compianto, odiato e amato con uguale intensità. Come il mare avvolge e trascina al fondo un naufrago, così il ricordo del passato gli si accumulò addosso; egli cercò di scrivere le sue memorie, ma non ci riuscì. Quante volte i ricordi lo oppressero nei suoi giorni oziosi, quando ripensava alle sue imprese e a come lui comandasse e gli altri, subito, ubbidivano! Quale strazio lo portò alla disperazione; ma proprio allora una mano pietosa lo aiutò e lo portò sui sentieri della speranza, verso il premio che supera ogni gloria terrena. O Fede, bella e immortale, che sei riuscita a piegare un uomo simile davanti a te! Allontana da lui ogni parola malvagia: perché Dio, che è capace di abbattere e di innalzare, di angosciare e di consolare, gli si posò accanto.

Oscar Rex, "È finita: Napoleone I a Sant’Elena"






























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