Questa novella venne
pubblicata per la prima volta nel 1880 nella rivista La Rassegna settimanale,
poi nel 1883 nella raccolta Novelle rusticane. Il protagonista anticipa in
parte il mastro-don Gesualdo del romanzo omonimo; qui è un popolano, che riesce
a comperare un poco alla volta i beni del padrone per cui lavora da giovane e
che il signore perde a causa dei suoi vizi e della sua “minchioneria”. Ma il
possesso della roba, intesa proprio come beni materiali, terre, vigne, uliveti,
e simili, diventa per questo contadino analfabeta un’ossessione, che lo porta
alla follia. Anche lui, perciò, diventa un “vinto”, un uomo travolto dalla vita,
come tanti personaggi del Verga verista.
Il
viandante che andava lungo il Biviere di Lentini (1), steso là come un pezzo di
mare morto, e le stoppie riarse della Piana di Catania, e gli aranci sempre
verdi di Francofonte, e i sugheri grigi di Resecone, e i pascoli deserti di
Passaneto e di Passanitello (2), se domandava, per ingannare la noia della
lunga strada polverosa, sotto il cielo fosco dal caldo, nell'ora in cui i
campanelli della lettiga (3) suonano tristamente nell'immensa campagna, e i
muli lasciano ciondolare il capo e la coda, e il lettighiere canta la sua
canzone malinconica per non lasciarsi vincere dal sonno della malaria: - Qui di
chi è? - sentiva rispondersi: - Di Mazzarò -. E passando vicino a una fattoria
grande quanto un paese, coi magazzini che sembrano chiese, e le galline a
stormi accoccolate all'ombra del pozzo, e le donne che si mettevano la mano
sugli occhi per vedere chi passava: - E qui? - Di Mazzarò -. E cammina e
cammina, mentre la malaria vi pesava sugli occhi, e vi scuoteva all'improvviso
l'abbaiare di un cane, passando per una vigna che non finiva più, e si
allargava sul colle e sul piano, immobile, come gli pesasse addosso la polvere,
e il guardiano sdraiato bocconi sullo schioppo, accanto al vallone, levava il
capo sonnacchioso, e apriva un occhio per vedere chi fosse: - Di Mazzarò -. Poi
veniva un uliveto folto come un bosco, dove l'erba non spuntava mai, e la
raccolta durava fino a marzo. Erano gli ulivi di Mazzarò. E verso sera, allorché
il sole tramontava rosso come il fuoco, e la campagna si velava di tristezza,
si incontravano le lunghe file degli aratri di Mazzarò che tornavano adagio
adagio dal maggese (4), e i buoi che passavano il guado lentamente, col muso
nell'acqua scura; e si vedevano nei pascoli lontani della Canziria, sulla
pendice brulla, le immense macchie biancastre delle mandre di Mazzarò; e si
udiva il fischio del pastore echeggiare nelle gole, e il campanaccio che
risuonava ora sì ed ora no, e il canto solitario perduto nella valle. - Tutta
roba di Mazzarò. Pareva che fosse di Mazzarò perfino il sole che tramontava, e
le cicale che ronzavano, e gli uccelli che andavano a rannicchiarsi col volo
breve dietro le zolle, e il sibilo dell'assiolo nel bosco. Pareva che Mazzarò
fosse disteso tutto grande per quanto era grande la terra, e che gli si
camminasse sulla pancia. - Invece egli era un omiciattolo, diceva il
lettighiere, che non gli avreste dato un baiocco (5), a vederlo; e di grasso
non aveva altro che la pancia, e non si sapeva come facesse a riempirla, perché
non mangiava altro che due soldi di pane; e sì ch'era ricco come un maiale; ma
aveva la testa ch'era un brillante, quell'uomo.
Infatti,
colla testa come un brillante, aveva accumulato tutta quella roba, dove prima
veniva da mattina a sera a zappare, a potare, a mietere; col sole, coll'acqua,
col vento; senza scarpe ai piedi, e senza uno straccio di cappotto; che tutti
si rammentavano di avergli dato dei calci nel di dietro, quelli che ora gli
davano dell'eccellenza, e gli parlavano col berretto in mano (6). Né per
questo egli era montato in superbia, adesso che tutte le eccellenze del paese
erano suoi debitori; e diceva che eccellenza vuol dire povero diavolo e cattivo
pagatore; ma egli portava ancora il berretto, soltanto lo portava di seta nera,
era la sua sola grandezza, e da ultimo era anche arrivato a mettere il cappello
di feltro, perché costava meno del berretto di seta. Della roba ne possedeva
fin dove arrivava la vista, ed egli aveva la vista lunga - dappertutto, a
destra e a sinistra, davanti e di dietro, nel monte e nella pianura. Più di
cinquemila bocche (7), senza contare gli uccelli del cielo e gli animali della
terra, che mangiavano sulla sua terra, e senza contare la sua bocca la quale
mangiava meno di tutte, e si contentava di due soldi di pane e un pezzo di
formaggio, ingozzato in fretta e in furia, all'impiedi, in un cantuccio del
magazzino grande come una chiesa, in mezzo alla polvere del grano, che non ci
si vedeva, mentre i contadini scaricavano i sacchi, o a ridosso di un pagliaio,
quando il vento spazzava la campagna gelata, al tempo del seminare, o colla
testa dentro un corbello (8), nelle calde giornate della mèsse. Egli non beveva
vino, non fumava, non usava tabacco, e sì che del tabacco ne producevano i suoi
orti lungo il fiume, colle foglie larghe ed alte come un fanciullo, di quelle
che si vendevano a 95 lire. Non aveva il vizio del giuoco, né quello delle
donne. Di donne non aveva mai avuto sulle spalle che sua madre, la quale gli
era costata anche 12 tarì (9), quando aveva dovuto farla portare al camposanto.
Era
che ci aveva pensato e ripensato tanto a quel che vuol dire la roba, quando
andava senza scarpe a lavorare nella terra che adesso era sua, ed aveva provato
quel che ci vuole a fare i tre tarì della giornata, nel mese di luglio, a star
colla schiena curva 14 ore, col soprastante a cavallo dietro, che vi piglia a
nerbate se fate di rizzarvi un momento. Per questo non aveva lasciato passare
un minuto della sua vita che non fosse stato impiegato a fare della roba; e
adesso i suoi aratri erano numerosi come le lunghe file dei corvi che
arrivavano in novembre; e altre file di muli, che non finivano più, portavano
le sementi; le donne che stavano accoccolate nel fango, da ottobre a marzo, per
raccogliere le sue olive, non si potevano contare, come non si possono contare
le gazze che vengono a rubarle; e al tempo della vendemmia accorrevano dei
villaggi interi alle sue vigne, e fin dove sentivasi cantare, nella campagna,
era per la vendemmia di Mazzarò. Alla mèsse poi i mietitori di Mazzarò
sembravano un esercito di soldati, che per mantenere tutta quella gente, col biscotto
alla mattina e il pane e l'arancia amara a colazione, e la merenda, e le
lasagne alla sera, ci volevano dei denari a manate, e le lasagne si
scodellavano nelle madie larghe come tinozze. Perciò adesso, quando andava a
cavallo dietro la fila dei suoi mietitori, col nerbo in mano, non ne perdeva d'occhio
uno solo, e badava a ripetere: - Curviamoci, ragazzi! - Egli era tutto l'anno
colle mani in tasca a spendere, e per la sola fondiaria (10) il re si pigliava
tanto che a Mazzarò gli veniva la febbre, ogni volta.
Però
ciascun anno tutti quei magazzini grandi come chiese si riempivano di grano che
bisognava scoperchiare il tetto per farcelo capire (11) tutto; e ogni volta che
Mazzarò vendeva il vino, ci voleva più di un giorno per contare il denaro,
tutto di 12 tarì d'argento, ché lui non ne voleva di carta sudicia (12) per la
sua roba, e andava a comprare la carta sudicia soltanto quando aveva da pagare
il re, o gli altri; e alle fiere gli armenti di Mazzarò coprivano tutto il
campo, e ingombravano le strade, che ci voleva mezza giornata per lasciarli
sfilare, e il santo, colla banda, alle volte dovevano mutar strada, e cedere il
passo.
Tutta
quella roba se l'era fatta lui, colle sue mani e colla sua testa, col non
dormire la notte, col prendere la febbre dal batticuore o dalla malaria,
coll'affaticarsi dall'alba a sera, e andare in giro, sotto il sole e sotto la
pioggia, col logorare i suoi stivali e le sue mule - egli solo non si logorava,
pensando alla sua roba, ch'era tutto quello ch'ei avesse al mondo; perché non
aveva né figli, né nipoti, né parenti; non aveva altro che la sua roba. Quando
uno è fatto così, vuol dire che è fatto per la roba.
Ed
anche la roba era fatta per lui, che pareva ci avesse la calamita, perché la
roba vuol stare con chi sa tenerla, e non la sciupa come quel barone che prima
era stato il padrone di Mazzarò, e l'aveva raccolto per carità nudo e crudo ne'
suoi campi, ed era stato il padrone di tutti quei prati, e di tutti quei
boschi, e di tutte quelle vigne e tutti quegli armenti, che quando veniva nelle
sue terre a cavallo coi campieri (13) dietro, pareva il re, e gli preparavano
anche l'alloggio e il pranzo, al minchione, sicché ognuno sapeva l'ora e il
momento in cui doveva arrivare, e non si faceva sorprendere colle mani nel
sacco. - Costui vuol essere rubato per forza! - diceva Mazzarò, e schiattava
dalle risa quando il barone gli dava dei calci nel di dietro, e si fregava la
schiena colle mani, borbottando: «Chi è minchione se ne stia a casa», - «la
roba non è di chi l'ha, ma di chi la sa fare». Invece egli, dopo che ebbe fatta
la sua roba, non mandava certo a dire se veniva a sorvegliare la messe, o la
vendemmia, e quando, e come; ma capitava all'improvviso, a piedi o a cavallo
alla mula, senza campieri, con un pezzo di pane in tasca; e dormiva accanto ai
suoi covoni, cogli occhi aperti, e lo schioppo fra le gambe.
In
tal modo a poco a poco Mazzarò divenne il padrone di tutta la roba del barone;
e costui uscì prima dall'uliveto, e poi dalle vigne, e poi dai pascoli, e poi
dalle fattorie e infine dal suo palazzo istesso, che non passava giorno che non
firmasse delle carte bollate, e Mazzarò ci metteva sotto la sua brava croce (14).
Al barone non era rimasto altro che lo scudo di pietra (15) ch'era prima sul
portone, ed era la sola cosa che non avesse voluto vendere, dicendo a Mazzarò:
- Questo solo, di tutta la mia roba, non fa per te -. Ed era vero; Mazzarò non
sapeva che farsene, e non l'avrebbe pagato due baiocchi. Il barone gli dava
ancora del tu, ma non gli dava più calci nel di dietro.
-
Questa è una bella cosa, d'avere la fortuna che ha Mazzarò! - diceva la gente;
e non sapeva quel che ci era voluto ad acchiappare quella fortuna: quanti pensieri,
quante fatiche, quante menzogne, quanti pericoli di andare in galera, e come
quella testa che era un brillante avesse lavorato giorno e notte, meglio di una
macina del mulino, per fare la roba; e se il proprietario di una chiusa
limitrofa si ostinava a non cedergliela, e voleva prendere pel collo Mazzarò,
dover trovare uno stratagemma per costringerlo a vendere, e farcelo cascare,
malgrado la diffidenza contadinesca. Ei gli andava a vantare, per esempio, la
fertilità di una tenuta la quale non produceva nemmeno lupini, e arrivava a
fargliela credere una terra promessa, sinché il povero diavolo si lasciava
indurre a prenderla in affitto, per specularci sopra, e ci perdeva poi il
fitto, la casa e la chiusa, che Mazzarò se l'acchiappava - per un pezzo di
pane. - E quante seccature Mazzarò doveva sopportare! – I mezzadri che venivano
a lagnarsi delle malannate, i debitori che mandavano in processione le loro donne
a strapparsi i capelli e picchiarsi il petto per scongiurarlo di non metterli
in mezzo alla strada, col pigliarsi il mulo o l'asinello, che non avevano da
mangiare.
-
Lo vedete quel che mangio io? - rispondeva lui, - pane e cipolla! e sì che ho i
magazzini pieni zeppi, e sono il padrone di tutta questa roba -. E se gli
domandavano un pugno di fave, di tutta quella roba, ei diceva: - Che, vi pare
che l'abbia rubata? Non sapete quanto costano per seminarle, e zapparle, e
raccoglierle? - E se gli domandavano un soldo rispondeva che non l'aveva.
E
non l'aveva davvero. Ché in tasca non teneva mai 12 tarì, tanti ce ne volevano
per far fruttare tutta quella roba, e il denaro entrava ed usciva come un fiume
dalla sua casa. Del resto a lui non gliene importava del denaro; diceva che non
era roba, e appena metteva insieme una certa somma, comprava subito un pezzo di
terra; perché voleva arrivare ad avere della terra quanta ne ha il re, ed esser
meglio del re, ché il re non può né venderla, né dire ch'è sua.
Di
una cosa sola gli doleva, che cominciasse a farsi vecchio, e la terra doveva
lasciarla là dov'era. Questa è una ingiustizia di Dio, che dopo di essersi
logorata la vita ad acquistare della roba, quando arrivate ad averla, che ne
vorreste ancora, dovete lasciarla! E stava delle ore seduto sul corbello, col
mento nelle mani, a guardare le sue vigne che gli verdeggiavano sotto gli
occhi, e i campi che ondeggiavano di spighe come un mare, e gli oliveti che
velavano la montagna come una nebbia, e se un ragazzo seminudo gli passava dinanzi,
curvo sotto il peso come un asino stanco, gli lanciava il suo bastone fra le
gambe, per invidia, e borbottava: - Guardate chi ha i giorni lunghi! costui che
non ha niente!
Sicché
quando gli dissero che era tempo di lasciare la sua roba, per pensare all'anima,
uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e andava ammazzando a colpi di
bastone le sue anitre e i suoi tacchini, e strillava: - Roba mia, vientene con
me!
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(1)
Biviere di Lentini = è il Lago di Lentini, nei pressi della cittadina omonima,
in provincia di Siracusa. Oggi la zona è bonificata, ma anticamente era una
delle terre più colpite dalla malaria.
(2)
Francofonte… Resecone… Passaneto… Passanitello = località in provincia di
Siracusa, situate a sud della Piana di Catania (che è la pianura a sud di
Catania), non distanti da Lentini.
(3)
Lettiga = mezzo di trasporto per persone, formato da un abitacolo con lunghe
stanghe poggiate sui fianchi dei muli.
(4)
Maggese = campo lasciato a riposo, perché recuperi in fertilità.
(5)
Baiocco = moneta di rame di scarso valore, usata negli Stati Pontifici fino al
1866.
(6)
Berretto = è il copricapo portato abitualmente dai contadini siciliani, in
contrapposizione ai cappelli di feltro usati dai “galantuomini”, i signori.
(7)
Bocche = persone che lavoravano alle sue dipendenze.
(8)
Corbello = cesto di media grandezza e di forma arrotondata, fatto di stecche o
di vimini.
(9)
Tarì = moneta d’oro o d’argento, di origine araba, usata in Sicilia.
(10)
Fondiaria = imposta sui fondi, cioè sulle proprietà terriere.
(11)
Capire = entrare.
(12)
Carta sudicia = carta moneta, sudicia perché facilmente deteriorabile e anche perché
dotata di un valore non proprio ma convenzionale, al contrario delle monete d’argento
o d’oro.
(13)
Campieri = i sorveglianti dei lavori agricoli, i custodi dei campi e del
bestiame, stipendiati dal proprietario a cui sono legati da contratti
rinnovabili annualmente.
(14)
Mazzarò è analfabeta e per firmare usa un segno a forma di croce.
(15)
Scudo di pietra = lo stemma della famiglia.
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