Compresa nella raccolta “Vita dei campi” del 1880, questa breve novella non è tra le migliori del Verga; eppure è una delle più note. Lo stesso Verga la riscrisse qualche anno dopo, con la collaborazione di Giuseppe Giacosa, come atto unico per il teatro; essa fu poi trasformata in opera lirica dai librettisti Giovanni Tagioni-Tozzetti e Guido Menasci e dal musicista Pietro Mascagni, entrando nel repertorio dei teatri lirici di tutto il mondo. Vi si narra una storia di amore e tradimento, naturalmente con finale tragico, secondo quello che un tempo veniva chiamato “delitto d’onore” e che in Italia venne abrogato soltanto nel 1981.
Turiddu
Macca, il figlio della gnà (1) Nunzia, come tornò da fare il soldato, ogni
domenica si pavoneggiava in piazza coll'uniforme da bersagliere e il berretto rosso,
che sembrava quello della buona ventura, quando mette su banco colla gabbia dei
canarini. Le ragazze se lo rubavano cogli occhi, mentre andavano a messa col
naso dentro la mantellina, e i monelli gli ronzavano attorno come le mosche.
Egli aveva portato anche una pipa col re a cavallo che pareva vivo, e accendeva
gli zolfanelli sul dietro dei calzoni, levando la gamba, come se desse una
pedata. Ma con tutto ciò Lola di massaro Angelo non si era fatta vedere né alla
messa, né sul ballatoio, ché si era fatta sposa (2) con uno di Licodia, il
quale faceva il carrettiere e aveva quattro muli di Sortino in stalla. Dapprima
Turiddu come lo seppe, santo diavolone! voleva trargli fuori le budella della
pancia, voleva trargli, a quel di Licodia! Però non ne fece nulla, e si sfogò
coll'andare a cantare tutte le canzoni di sdegno che sapeva sotto la finestra
della bella.
-
Che non ha nulla da fare Turiddu della gnà Nunzia, - dicevano i vicini, - che
passa la notte a cantare come una passera solitaria?
Finalmente
s'imbatté in Lola che tornava dal viaggio alla Madonna del Pericolo (3),
e al vederlo, non si fece né bianca né rossa quasi non fosse stato fatto suo.
-
Beato chi vi vede! - le disse.
-
Oh, compare Turiddu, me l'avevano detto che siete tornato al primo del mese.
-
A me mi hanno detto delle altre cose ancora! - rispose lui. - Che è vero che vi
maritate con compare Alfio, il carrettiere?
-
Se c'è la volontà di Dio! - rispose Lola tirandosi sul mento le due cocche del
fazzoletto.
-
La volontà di Dio la fate col tira e molla come vi torna conto! E la volontà di
Dio fu che dovevo tornare da tanto lontano per trovare ste belle notizie, gnà
Lola!
Il
poveraccio tentava di fare ancora il bravo, ma la voce gli si era fatta roca;
ed egli andava dietro alla ragazza dondolandosi colla nappa del berretto che
gli ballava di qua e di là sulle spalle. A lei, in coscienza, rincresceva di
vederlo così col viso lungo, però non aveva cuore di lusingarlo con belle
parole.
-
Sentite, compare Turiddu, - gli disse alfine, - lasciatemi raggiungere le mie
compagne. Che direbbero in paese se mi vedessero con voi?...
-
È giusto, - rispose Turiddu; - ora che sposate compare Alfio, che ci ha quattro
muli in stalla, non bisogna farla chiacchierare la gente. Mia madre invece,
poveretta, la dovette vendere la nostra mula baia, e quel pezzetto di vigna
sullo stradone, nel tempo ch'ero soldato. Passò quel tempo che Berta filava (4),
e voi non ci pensate più al tempo in cui ci parlavamo dalla finestra sul cortile,
e mi regalaste quel fazzoletto, prima d'andarmene, che Dio sa quante lacrime ci
ho pianto dentro nell'andar via lontano tanto che si perdeva persino il nome
del nostro paese. Ora addio, gnà Lola, facemu cuntu ca chioppi e scampau (5), e la nostra amicizia finiu.
La
gnà Lola si maritò col carrettiere; e la domenica si metteva sul ballatoio,
colle mani sul ventre per far vedere tutti i grossi anelli d'oro che le aveva
regalati suo marito. Turiddu seguitava a passare e ripassare per la
stradicciuola, colla pipa in bocca e le mani in tasca, in aria d'indifferenza,
e occhieggiando le ragazze; ma dentro ci si rodeva che il marito di Lola avesse
tutto quell'oro, e che ella fingesse di non accorgersi di lui quando passava.
-
Voglio fargliela proprio sotto gli occhi a quella cagnaccia! - borbottava.
Di
faccia a compare Alfio ci stava massaro Cola, il vignaiuolo, il quale era ricco
come un maiale, dicevano, e aveva una figliuola in casa. Turiddu tanto disse e
tanto fece che entrò camparo (6) da massaro Cola, e cominciò a bazzicare per la
casa e a dire le paroline dolci alla ragazza.
-
Perché non andate a dirle alla gnà Lola ste belle cose? - rispondeva Santa.
-
La gnà Lola è una signorona! La gnà Lola ha sposato un re di corona (7), ora!
-
Io non me li merito i re di corona.
-
Voi ne valete cento delle Lole, e conosco uno che non guarderebbe la gnà Lola,
né il suo santo, quando ci siete voi, ché la gnà Lola, non è degna di portarvi
le scarpe, non è degna.
-
La volpe quando all'uva non poté arrivare...
-
Disse: come sei bella, racinedda (8)
mia!
-
Ohè! quelle mani, compare Turiddu.
-
Avete paura che vi mangi?
-
Paura non ho né di voi, né del vostro Dio.
-
Eh! vostra madre era di Licodia, lo sappiamo! Avete il sangue rissoso! Uh! che
vi mangerei cogli occhi.
-
Mangiatemi pure cogli occhi, che briciole non ne faremo; ma intanto tiratemi su
quel fascio.
-
Per voi tirerei su tutta la casa, tirerei!
Ella,
per non farsi rossa, gli tirò un ceppo che aveva sottomano, e non lo colse per
miracolo.
-
Spicciamoci, che le chiacchiere non ne affastellano sarmenti (9).
-
Se fossi ricco, vorrei cercarmi una moglie come voi, gnà Santa.
-
Io non sposerò un re di corona come la gnà Lola, ma la mia dote ce l'ho
anch'io, quando il Signore mi manderà qualcheduno.
-
Lo sappiamo che siete ricca, lo sappiamo!
-
Se lo sapete allora spicciatevi, ché il babbo sta per venire, e non vorrei
farmi trovare nel cortile.
Il
babbo cominciava a torcere il muso, ma la ragazza fingeva di non accorgersi,
poiché la nappa del berretto del bersagliere gli aveva fatto il solletico
dentro il cuore, e le ballava sempre dinanzi gli occhi. Come il babbo mise
Turiddu fuori dell'uscio, la figliuola gli aprì la finestra, e stava a chiacchierare
con lui ogni sera, che tutto il vicinato non parlava d'altro.
-
Per te impazzisco, - diceva Turiddu, - e perdo il sonno e l'appetito.
-
Chiacchiere.
-
Vorrei essere il figlio di Vittorio Emanuele per sposarti!
-
Chiacchiere.
-
Per la Madonna che ti mangerei come il pane!
-
Chiacchiere!
-
Ah! sull'onor mio!
-
Ah! mamma mia! -
Lola
che ascoltava ogni sera, nascosta dietro il vaso di basilisco, e si faceva
pallida e rossa, un giorno chiamò Turiddu.
-
E così, compare Turiddu, gli amici vecchi non si salutano più?
-
Ma! - sospirò il giovinotto, - beato chi può salutarvi!
-
Se avete intenzione di salutarmi, lo sapete dove sto di casa! - rispose Lola.
Turiddu
tornò a salutarla così spesso che Santa se ne avvide, e gli batté la finestra
sul muso. I vicini se lo mostravano con un sorriso, o con un moto del capo, quando
passava il bersagliere. Il marito di Lola era in giro per le fiere con le sue
mule.
-
Domenica voglio andare a confessarmi, ché stanotte ho sognato dell'uva nera
(10)! - disse Lola.
-
Lascia stare! lascia stare! - supplicava Turiddu.
-
No, ora che s'avvicina la Pasqua, mio marito lo vorrebbe sapere il perché non
sono andata a confessarmi.
-
Ah! - mormorava Santa di massaro Cola, aspettando ginocchioni il suo turno
dinanzi al confessionario dove Lola stava facendo il bucato dei suoi peccati. -
Sull'anima mia non voglio mandarti a Roma per la penitenza!
Compare
Alfio tornò colle sue mule, carico di soldoni, e portò in regalo alla moglie
una bella veste nuova per le feste.
-
Avete ragione di portarle dei regali, - gli disse la vicina Santa, - perché
mentre voi siete via vostra moglie vi adorna la casa (11)! -
Compare
Alfio era di quei carrettieri che portano il berretto sull'orecchio, e a sentir
parlare in tal modo di sua moglie cambiò di colore come se l'avessero
accoltellato.
-
Santo diavolone! - esclamò, - se non avete visto bene, non vi lascierò gli
occhi per piangere! a voi e a tutto il vostro parentado!
-
Non son usa a piangere! - rispose Santa, - non ho pianto nemmeno quando ho
visto con questi occhi Turiddu della gnà Nunzia entrare di notte in casa di
vostra moglie.
-
Va bene, - rispose compare Alfio, - grazie tante.
Turiddu,
adesso che era tornato il gatto, non bazzicava più di giorno per la stradicciuola,
e smaltiva l'uggia all'osteria, cogli amici. La vigilia di Pasqua avevano sul
desco un piatto di salsiccia. Come entrò compare Alfio, soltanto dal modo in
cui gli piantò gli occhi addosso, Turiddu comprese che era venuto per
quell'affare e posò la forchetta sul piatto.
-
Avete comandi da darmi, compare Alfio? - gli disse.
-
Nessuna preghiera, compare Turiddu, era un pezzo che non vi vedevo, e voleva
parlarvi di quella cosa che sapete voi.
Turiddu
da prima gli aveva presentato un bicchiere, ma compare Alfio lo scansò colla
mano. Allora Turiddu si alzò e gli disse:
-
Son qui, compar Alfio.
Il
carrettiere gli buttò le braccia al collo.
-
Se domattina volete venire nei fichidindia della Canziria potremo parlare di
quell'affare, compare.
-
Aspettatemi sullo stradone allo spuntar del sole, e ci andremo insieme.
Con
queste parole si scambiarono il bacio della sfida. Turiddu strinse fra i denti
l'orecchio del carrettiere, e così gli fece promessa solenne di non mancare.
Gli
amici avevano lasciato la salsiccia zitti zitti, e accompagnarono Turiddu sino
a casa. La gnà Nunzia, poveretta, l'aspettava sin tardi ogni sera.
-
Mamma, - le disse Turiddu, - vi rammentate quando sono andato soldato, che
credevate non avessi a tornar più? Datemi un bel bacio come allora, perché
domattina andrò lontano.
Prima
di giorno si prese il suo coltello a molla, che aveva nascosto sotto il fieno,
quando era andato coscritto, e si mise in cammino pei fichidindia della
Canziria.
-
Oh! Gesummaria! dove andate con quella furia? - piagnucolava Lola sgomenta,
mentre suo marito stava per uscire.
-
Vado qui vicino, - rispose compar Alfio, - ma per te sarebbe meglio che io non
tornassi più.
Lola,
in camicia, pregava ai piedi del letto, premendosi sulle labbra il rosario che
le aveva portato fra Bernardino dai Luoghi Santi, e recitava tutte le avemarie
che potevano capirvi.
-
Compare Alfio, - cominciò Turiddu dopo che ebbe fatto un pezzo di strada
accanto al suo compagno, il quale stava zitto, e col berretto sugli occhi, -
come è vero Iddio so che ho torto e mi lascierei ammazzare. Ma prima di venir
qui ho visto la mia vecchia che si era alzata per vedermi partire, col pretesto
di governare il pollaio, quasi il cuore le parlasse, e quant'è vero Iddio vi ammazzerò
come un cane per non far piangere la mia vecchierella.
-
Così va bene, - rispose compare Alfio, spogliandosi del farsetto, - e
picchieremo sodo tutt'e due.
Entrambi
erano bravi tiratori; Turiddu toccò la prima botta, e fu a tempo a prenderla
nel braccio; come la rese, la rese buona, e tirò all'anguinaia.
-
Ah! compare Turiddu! avete proprio intenzione di ammazzarmi!
-
Sì, ve l'ho detto; ora che ho visto la mia vecchia nel pollaio, mi pare di
averla sempre dinanzi agli occhi.
-
Apriteli bene, gli occhi! - gli gridò compar Alfio, - che sto per rendervi la
buona misura.
Come
egli stava in guardia tutto raccolto per tenersi la sinistra sulla ferita, che
gli doleva, e quasi strisciava per terra col gomito, acchiappò rapidamente una
manata di polvere e la gettò negli occhi all'avversario.
-
Ah! - urlò Turiddu accecato, - son morto.
Ei
cercava di salvarsi, facendo salti disperati all'indietro; ma compar Alfio lo
raggiunse con un'altra botta nello stomaco e una terza alla gola.
-
E tre! questa è per la casa che tu m'hai adornato. Ora tua madre lascerà stare
le galline.
Turiddu
annaspò un pezzo di qua e di là tra i fichidindia e poi cadde come un masso. Il
sangue gli gorgogliava spumeggiando nella gola e non poté profferire nemmeno: -
Ah, mamma mia!
__________________________________________________________________
(1)
Gnà = signora, secondo l’abbreviazione del dialetto siciliano.
(2)
Si era fatta sposa = si era fidanzata.
(3)
Viaggio alla Madonna del Pericolo = pellegrinaggio a un luogo di devozione
popolare di Vizzini (in provincia di Catania), anticamente una grotta, poi
divenuto una chiesa nel 1850, pochi anni prima dell’epoca in cui è ambientata
la novella.
(4)
Il tempo che Berta filava è un modo di dire legato a una leggenda medievale e
significa un tempo remoto e definitivamente concluso.
(5)
Facemu cuntu ca chioppi e scampau =
proverbio siciliano che vuol dire letteralmente “facciamo conto che abbia
piovuto e spiovuto”; il senso è quello di “scordarsi tutta la confidenza che c’era
tra noi”.
(6) Camparo = addetto alla sorveglianza dei campi
(qui delle vigne).
(7) Re di corona = un vero re, con tanto di corona.
(8) Racinedda = vezzeggiativo siciliano, nel senso
di bella uva.
(9) Affastellare sarmenti = letteralmente “legare
in fastelli i rami delle viti”, ossia “lavorare”.
(10) Sognare uva nera = non so cosa significhi
secondo la tradizione siciliana; si intuisce, però, che si tratta di un sogno “peccaminoso”,
se richiede che ci si vada a confessare.
(11) Vi adorna la casa = vi tradisce.
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