È il seguito de LA MANIFESTAZIONE DEL PRIMO MAGGIO – prima parte
In fondo alla strada, la madre vedeva una
parete grigia di uomini tutti uguali, senza volto, che chiudevano l’ingresso
alla piazza.
Sulla spalla di ciascuno luccicava, fredda
e sottile, la punta aguzza della baionetta. E da quella parete, immobile e
silenziosa, spirava sugli operai una ventata gelida che colpiva il petto della
donna e le penetrava nel cuore.
Ella si lanciò in mezzo alla folla, nel
punto in cui le persone da lei conosciute che stavano accanto alla bandiera si
confondevano con le sconosciute, come se si appoggiassero su di esse. Si trovò
stretta, a fianco a fianco, a un uomo alto e rasato che, cieco da un occhio,
per guardarla voltò la testa.
«Tu che fai? Chi sei?» le chiese.
«Sono la madre di Pavel Vlassov!» rispose
lei, sentendo che le ginocchia cominciavano a tremarle e che il labbro
inferiore si abbassava involontariamente.
«Ah!» esclamò l’uomo.
«Compagni!» gridava Pavel «Sempre avanti!
non abbiamo altra via!»
Si fece silenzio, un silenzio di attesa.
La bandiera si alzò, ondeggiò e, volteggiando come pensosa al di sopra della
gente, mosse verso la grigia muraglia di soldati. La madre ebbe un brivido,
chiuse gli occhi e mandò un’esclamazione soffocata. Pavel, Andréj, Sàmojlov e
Mazin si staccarono, soli, dalla folla.
Ma nell’aria si levò, lenta e trepida, la
voce fresca di Fédja Mazin che intonoò:
Voi
cadeste vittime…
Gli fecero eco due voci, basse e dolenti
come sospiri:
Nella
lotta fatale…
La gente si mosse in avanti, camminando a
passo cadenzato. E, imperiosa e risoluta, risonò la nuova canzone:
Tutto
ciò che potevate
Per
essa avete dato…
che si snodava
come un nastro lucente dalla voce di Fédja.
Per
la libertà…
fecero eco i
compagni.
«Ah!» gridò malignamente qualcuno che
stava in disparte «Cantano la messa funebre, questi figli di cani!»
«Dàgli, dàgli!» risonò una voce indignata.
La madre si strinse le mani al petto, si
voltò indietro e vide che la folla, che prima occupava tutta la strada. Si era
fermata esitante e guardava allontanarsi gli uomini con la bandiera. Li seguiva
qualche diecina di persone, ma a ogni passo qualcuno si tirava in disparte,
come se il terreno in mezzo alla strada fosse incandescente e scottasse i
piedi.
Finiranno
i soprusi…
profetizzava la
canzone di Fédja.
Il
popolo risorgerà…
rispondeva,
minaccioso e sicuro, un coro di voci possenti.
Ma fra lo scorrere armonioso del canto si
udivano voci sommesse:
«Ora dà il comando!»
«Crociatèt!»
risonò un grido acuto.
E nell’aria scintillarono serpeggiando le
baionette, si abbassarono e si allinearono di fronte alla bandiera. Pareva di
scorgere nel loro scintillio un sorriso maligno…
«Ma-arch!»
«Vengono!» disse l’uomo cieco di un occhio
e, cacciandosi le mani in tasca, si tirò in disparte a rapidi passi.
La madre guardava, guardava senza batter
ciglio. La grigia onda dei soldati si mosse e, stendendosi per tutta la
larghezza della strada, avanzò freddamente, portandosi dinanzi un rado pettine
d’acciaio dai denti scintillanti. La madre si avvicinò a grandi passi al figlio
e vide che Andréj camminava davanti a Pavel e lo riparava con il suo lungo
corpo.
«Cammina di fianco, compagno!» gli gridò
bruscamente Pavel.
Andréj cantava con le mani incrociate
dietro la schiena e la testa alta. Pavel lo urtò sulla spalla e ripeté:
«Di fianco! Non hai il diritto di
camminare davanti alla bandiera!»
«Scioglietevi!» ordinò con voce acuta un
ufficialetto, agitando la sciabola lucente. Procedeva alzando molto le gambe e,
senza piegare le ginocchia, batteva le suole a terra con aria provocante. Gli
occhi della madre furono colpiti dalla lucentezza dei suoi stivali.
Di fianco a lui, ma un po’ indietro,
camminava con passo pesante un uomo alto e rasato, dai grossi baffi bianchi,
che indossava un lungo soprabito grigio, foderato di rosso, e larghi pantaloni
dalle bande gialle. Anch’egli, come l’ucraino, teneva le mani dietro la schiena
e fissava Pavel, sollevando le folte sopracciglia.
La madre vedeva una grande quantità di
cose, dentro le urgeva un grido represso, pronto a prorompere a ogni sospiro,
ma lei lo tratteneva serrandosi il petto con le mani. La spingevano, lei
vacillava e andava avanti senza pensare, quasi priva di coscienza. Sentiva che
la gente alle sue spalle si faceva sempre meno numerosa; la fredda ondata che
avanzava la disperdeva…
Gli uomini della bandiera rossa e la siepe
degli uomini grigi si avvicinavano sempre più; si scorgevano chiaramente i visi
dei soldati, che formavano una stretta striscia di un giallo sudicio,
mostruosamente appiattita per tutta la larghezza della strada, e screziata in
maniera disuguale da occhi di diverso colore. Davanti scintillavano crudelmente
le punte aguzze delle baionette. Rivolte contro il petto della gente,
l’allontanavano senza neppur sfiorarla, e la disperdevano…
La madre udiva alle sue spalle lo
scalpiccio di coloro che fuggivano. Voci soffocate e agitate gridavano:
«Scioglietevi, ragazzi!»
«Vlassov, fuggi!»
«Torna indietro, Pavlucha!»
«Butta la bandiera, Pavel!» disse con voce
cupa Vessòvščikov «Dammela qui, la nascondo io!»
E afferrò l’asta con la mano; la bandiera
ondeggiò all’indietro.
«Lascia!» urlò Pavel.
Nikolàj ritrasse la mano, come se
gliel’avessero scottata. La canzone si spense. La gente si fermò, circondando
Pavel, ma egli riuscì a farsi strada e ad andare avanti. Si fece un silenzio
improvviso, assoluto, come se fosse caduto dall’alto ad avvolgere gli uomini di
una nuvola trasparente.
Sotto la bandiera non c’erano più che una
ventina di uomini, fermi e decisi, che attraevano a sé la madre, presa da un
senso di paura per loro e da un confuso desiderio di dir loro qualcosa…
«Prendetegliela, tenente!» risonò la voce
calma del vecchio alto che, con il braccio teso, indicava la bandiera.
L’ufficialetto si slanciò verso Pavel,
afferrò l’asta con una mano e gli gridò con voce acuta:
«Lasciala!»
«Giù le mani!» disse forte Pavel.
La bandiera rossa tremò nell’aria,
piegandosi a destra e a sinistra, poi, di colpo, si raddrizzò e l’ufficialetto,
rimbalzando all’indietro, cadde a terra. Davanti alla madre passò, con insolita
rapidità, Nikolàj con il braccio teso e il pugno serrato.
«Arrestateli!» urlò il vecchio, battendo
il piede a terra.
Alcuni soldati si slanciarono in avanti.
uno di essi agitò il calcio del fucile, la bandiera ebbe un fremito, si piegò
da un lato e scomparve in mezzo al grigio gruppo dei soldati.
«Ah!» esclamò qualcuno con voce
angosciata.
E la madre lanciò un urlo da belva. Le
rispose, levandosi dal gruppo dei soldati, la voce limpida di Pavel:
«Arrivederci, mamma! Arrivederci, cara!»
“È vivo! Ha pensato a me…” gridò due
volte, palpitando, il cuore della madre.
«Arrivederci, mammina!»
Sollevandosi sulla punta dei piedi,
agitando le braccia, ella cercava di vederli e scorgeva al di sopra delle teste
dei soldati il viso rotondo di Andréj che le sorrideva e la salutava…
«Figli miei! Andrjuša… Paša…» gridava la
donna.
«Arrivederci, compagni!» salutarono ancora
gli arrestati, tra la folla dei soldati.
Un’eco prolungata, rumorosa, fu la
risposta. Risonò dalle finestre, da ogni parte, dall’alto dei tetti…
La repressione della rivoluzione russa del 1905 in un
dipinto di Mark Beerdom; questo fatto storico può facilmente aver ispirato
Maksìm Gorkij per la pagina che hai appena letto
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