Nel brano tratto dalle prime pagine
dell’autobiografia Canetti riflette sulla sua città natale in Bulgaria e sulle
varie etnie che vi si potevano incontrare, a cominciare da quella
ebraico-spagnola della sua famiglia, che suscitava l’orgoglio della madre e i
turbamenti del giovane scrittore.
Rustschuk, sul basso Danubio, dove sono
venuto al mondo, era per un bambino una città meravigliosa, e quando dico che
si trova in Bulgaria ne do un’immagine insufficiente, perché nella stessa
Rustschuk vivevano persone di origine diversissima, in un solo giorno si
potevano sentire sette o otto lingue. Oltre ai bulgari, che spesso venivano
dalla campagna, c’erano molti turchi, che abitavano in un quartiere tutto loro,
che confinava col quartiere degli «spagnoli» (1), dove stavamo noi. C’erano
greci, albanesi, armeni, zingari. Dalla riva opposta del fiume venivano i
rumeni, e la mia balia, di cui però non mi ricordo, era una rumena. C’era anche
qualche russo, ma erano casi isolati.
Essendo un bambino non avevo una chiara
visione di questa molteplicità, ma ne vivevo continuamente gli effetti. Alcune
figure mi sono rimaste impresse nella memoria semplicemente perché
appartenevano a particolari gruppi etnici e si distinguevano dagli altri per
l’abbigliamento. Fra la servitù che ci passò per casa nel corso di quei sei
anni, una volta ci fu un circasso e più tardi un armeno. La migliore amica di
mia madre era Olga, una russa. Una volta alla settimana, nel nostro cortile
venivano gli zingari, tanti che mi parevano un popolo intero, e io mi sentivo
invaso da una grande spavento di cui parlerò più avanti.
Rustschuk era un’antica città portuale sul
Danubio e come tale aveva avuto la sua importanza. A causa del porto aveva
attirato persone da ogni parte, e del fiume si faceva un gran parlare. Si
raccontava degli anni eccezionali in cui il Danubio era gelato; delle corse in
slitta sul ghiaccio fino in Romania; dei lupi famelici che inseguivano i
cavalli che trainavano le slitte.
I lupi furono i primi animali feroci di
cui sentii parlare. Nelle fiabe che le mie bambinaie bulgare mi raccontavano
c’erano i lupi mannari, e una notte mio padre mi spaventò comparendomi davanti
con una maschera da lupo sul viso.
Mi sarà difficile dare un’immagine di
tutto il colore di quei primi anni a Rustschuk, delle passioni e dei terrori di
quel tempo. Tutto ciò che ho provato e vissuto in seguito era sempre già
accaduto a Rustschuk. Laggiù il resto del mondo si chiamava Europa e, quando
qualcuno risaliva il Danubio fino a Vienna, si diceva che andava in Europa.
L’Europa cominciava là dove un tempo finiva l’impero ottomano. La maggior parte
degli «spagnoli» erano ancora cittadini turchi. Sotto i turchi si erano sempre
trovati bene, meglio che gli schiavi cristiani dei Balcani. Ma poiché molti fra
gli «spagnoli» erano agiati commercianti, anche il nuovo regime bulgaro
intratteneva con loro buone relazioni, e Ferdinando, il re dal lungo regno, era
considerato un amico degli ebrei.
Le convinzioni che questi «spagnoli»
nutrivano erano piuttosto complicate. Erano ebrei osservanti, interessati alla
vita della loro comunità; pur senza fervori eccessivi, essa era al centro della
loro esistenza. Ma si consideravano ebrei di un tipo un po’ speciale, e ciò
dipendeva dalla loro tradizione spagnola. Nel corso dei secoli, dopo la loro
cacciata dalla Spagna, lo spagnolo che parlavano fra loro si era modificato
appena. Alcune parole turche erano entrate nella loro lingua, ma erano
chiaramente riconoscibili come tali e le cose che esse significavano potevano
essere dette quasi sempre anche con parole spagnole. Udii le prime canzoncine
infantili in spagnolo, udii anche antiche romances
spagnole, ma l’elemento dominante, al quale un bambino non poteva assolutamente
sottarsi, era la mentalità spagnola. Con ingenua presunzione si guardavano gli
altri ebrei dall’alto in basso, la parola «todesco» veniva sempre pronunciata
con intonazione sprezzante e stava a significare un ebreo tedesco o ashkenazi.
Sarebbe stato impensabile sposare una «todesca» e fra le molte famiglie che
conoscevo o di cui da bambino sentii parlare a Rustschuck, non ricordo un solo
caso nel quale si fosse verificato un matrimonio misto di quel tipo. Non avevo
ancora sei anni quando mio nonno mi mise in guardia da una simile mésalliance (2). Ma la cosa non si
esauriva in questa generica discriminazione. Fra gli stessi «spagnoli» c’erano
le «buone famiglie», che erano poi le famiglie facoltose da varie generazioni.
L’elogio più grande che si potesse sentir dire di una persona era che «es de
buena familia». Quanto spesso, fino alla noia, ho sentito ripetere questa frase
da mia madre! Quando andava in estasi per il Burgtheater (3), o leggeva
Shakespeare con me, ma anche molto più tardi, quando parlava di Strindberg (4),
che era diventato il suo autore prediletto, mai si vergognava di dire di se
stessa che veniva da una buona famiglia, che non ce n’era una migliore. Lei che
aveva fatto della letteratura delle grandi lingue europee, che sapeva
benissimo, il contenuto essenziale della propria esistenza, non avvertiva lo
stridore fra questo senso di appassionata universalità e l’arrogante orgoglio
di famiglia che continuava incessantemente ad alimentare.
Fin dal tempo in cui ero ancora
completamente in suo dominio – fu lei a schiudermi tutte le porte
dell’intelletto, e io la seguii con cieco entusiasmo – rimasi colpito da quella
contraddizione, che mi dispiaceva e mi turbava, e in ogni periodo della mia
giovinezza ne discussi con lei e gliela rinfacciai innumerevoli volte, senza che
ciò le facesse la minima impressione. Il suo orgoglio aveva trovato molto
presto i suoi canali e li seguiva imperterrito, e proprio questa angustia
mentale, che in lei non capivo, mi portò assai per tempo a schierarmi contro
ogni pregiudizio di nascita. Non riesco a prendere sul serio quelli che
coltivano un orgoglio di casta, qualunque esso sia: mi sembrano animali
esotici, ma anche un po’ ridicoli. Mi accorgo ad un tratto di avere pregiudizi
opposti, cioè contro le persone che danno una certa importanza alla loro
nascita altolocata. Ai pochi aristocratici con cui ho avuto rapporti di
amicizia, dovevo innanzitutto perdonare che parlassero di questa cosa, e se mai
avessero potuto immaginare la fatica che tutto ciò mi costava, certamente
avrebbero rinunciato alla mia amicizia. Tutti i pregiudizi sono determinati da
altri pregiudizi, e i più frequenti sono quelli che nascono dai loro opposti.
Va aggiunto poi che la casta alla quale
mia madre si vantava di appartenere, a parte la sua origine spagnola, era una
casta del denaro. Nella mia famiglia, e in particolare nella sua, ho visto che
cosa il denaro può fare alla gente. Ho scoperto che le persone peggiori sono
quelle dominate dalla passione del denaro. Ho imparato a conoscere tutti i
passaggi che dalla rapacità portano alla mania di persecuzione. Ho visto
fratelli che per avidità si sono rovinati a vicenda con processi di anni e
anni, e che sono andati avanti a processarsi fino a quando il denaro svanì
completamente. Eppure appartenevano a quella stessa «buona» famiglia di cui mia
madre andava tanto fiera. Lo vedeva anche lei, ne parlavamo spesso. La sua
intelligenza era penetrante, la sua conoscenza degli uomini si era formata
sulle grandi opere della letteratura universale, ma anche attraverso le proprie
personali esperienze. Conosceva benissimo i motivi insensati che avevano
portato i membri della sua famiglia a dilaniarsi a vicenda: avrebbe potuto con
facilità scriverci sopra un romanzo; ma la sua fierezza per quella stessa
famiglia non ne veniva scossa. Se fosse stato amore, avrei potuto anche
capirlo. Ma molti dei protagonisti di quelle vicende non li amava affatto,
alcuni li considerava addirittura persone indegne, altri li disprezzava, ma per
la famiglia in quanto tale provava solo orgoglio.
Una cosa ho capito tardi, ed è che io, se
si proietta tutto ciò sul piano dei più vasti rapporti umani, sono fatto
esattamente come lei. Ho passato la parte migliore della mia esistenza a
mettere a nudo le debolezze dell’uomo, quale ci appare nelle civiltà storiche.
Ho analizzato il potere e l’ho scomposto nei suoi elementi con la stessa
spietata lucidità con cui mia madre analizzava i processi della sua famiglia.
Ben poco del male che si può dire dell’uomo e dell’umanità io non l’ho detto. E
tuttavia l’orgoglio che provo per essa è ancora così grande che solo una cosa
io odio veramente: il suo nemico, la morte.
__________________________________________________________
(1)
Sono gli ebrei di origine spagnola, a cui appartiene la famiglia dello
scrittore
(2)
Matrimonio con una persona ritenuta di ceto sociale inferiore
(3)
Il teatro di Vienna, uno dei più importanti al mondo
(4)
August Strindberg, uno dei massimi letterati svedesi
Cartolina di
Rustschuk (o Ruse in italiano) del 1903
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.