La seconda parte del racconto è
centrata sul diario di Eva: è più lunga, perché Eva parla molto di più di
Adamo. La donna è anche più intelligente, almeno in apparenza: dà un nome a
tutte le cose, inventa il fuoco (e provoca gli incendi), vuole verificare
scientificamente i fenomeni naturali (e se ciò non è possibile, bisogna
accontentarsi di sapere quello che si sa). Lavora molto più di Adamo, che
sembra nato per non far niente. È
anche più sensibile: soffre, si dispera, ha paura, idolatra i figli. Soprattutto
ama il suo uomo, senza il quale non può vivere, perché è più debole di lui: per
questo, se non è possibile morire assieme, si augura che la prima a farlo sia
lei.
Parte seconda – Diario di Eva
(tradotto dall’originale)
Sabato
Ora ho compiuto quasi un giorno
intero. Sono arrivata ieri. Almeno così mi sembra. E credo sia così, perché se
è esistito un giorno-prima-di-ieri, quando quel giorno c'era non c'ero io,
altrimenti me ne ricorderei. Naturalmente è possibile che quel giorno ci sia
stato e che io non me ne sia accorta. Benissimo; da ora in poi starò molto
attenta e se mai ci saranno dei giorni-prima-di-ieri, ne prenderò nota. La cosa
migliore sarà cominciare bene e fare in modo che le mie memorie non si
presentino confuse, perché l'istinto mi dice che saranno proprio questi i
particolari ai quali un giorno gli storici daranno peso. Infatti ho la sensazione
di essere un esperimento ed è esattamente come un esperimento che mi sembra di
sentirmi; sarebbe impossibile, per chiunque, sentirsi un esperimento più di
quanto mi ci senta io: perciò sto convincendomi che io sono proprio questo: un esperimento, appunto, e nulla di più.
Ma se sono un esperimento, lo
sono per intero? No, credo di no; credo che il resto ne sia parte.
Io ne sono la parte più
importante, ma penso che il resto abbia anch’esso una particina nella faccenda.
La mia posizione è definita, oppure devo starci attenta e averne cura?
Probabilmente dovrò averne cura. L'istinto mi dice che l'attenzione eterna è il
prezzo della supremazia. (Per essere giovane come sono, quest'ultima frase mi
pare molto intelligente!)
Oggi ogni cosa ha un aspetto
migliore di ieri. Nella fretta di mettere un termine al giorno di ieri le
montagne erano state abbandonate in uno stato deplorevolmente lacero ed era
tale la quantità di resti e di macerie che ricopriva una parte dei bassopiani
che l'immagine era piuttosto desolante. Opere d'arte di grande nobiltà e
bellezza non dovrebbero conoscere la fretta; e non c'è dubbio che questo nuovo
mondo è un'opera maestosamente nobile e splendida. Senza alcun dubbio è stupendamente
prossimo alla perfezione, nonostante la scarsità del tempo. In certi punti ci
sono troppe stelle e troppo poche in altri, ma sono sicura che a questo si può
porre rimedio in un attimo. La notte scorsa la luna si è liberata, è scivolata
verso il basso ed è uscita dal disegno: una perdita gravissima; al solo
pensarci mi si spezza il cuore. Non esistono un ornamento e una decorazione che
possano reggere al suo confronto, tanto è bella e rifinita con cura. La si
sarebbe dovuta fissare meglio. Se soltanto potessimo riaverla.
Ma naturalmente nessuno sa dove
sia andata a finire. Inoltre, la persona che la troverà, chiunque sia, la
nasconderà; lo so perché lo farei anch'io. Penso che sarei capace di essere
onesta nei confronti di tutto il resto, ma ormai ho cominciato a rendermi conto
che la vena più profonda della mia natura è l'amore per ciò che è bello, una
vera e propria passione; sarebbe pericoloso affidarmi la luna di qualcun altro
nel caso che quest'ultimo non sapesse che la persona che ne è in possesso sono
io. Potrei rinunciare a una luna se la trovassi di giorno, perché avrei paura
che qualcuno mi vedesse; ma nel caso la trovassi nel buio sono certa che mi
inventerei una qualche scusa per tenermela. Perché adoro le lune: sono così
carine e romantiche. Come mi piacerebbe che ce ne fossero cinque o sei; non
andrei mai a letto; non mi stancherei mai di starmene sdraiata sulla riva
muschiosa, con lo sguardo rivolto verso di loro. Anche le stelle sono belle. Ne
vorrei un paio, me le metterei nei capelli. Ma ho la sensazione che non
riuscirò mai ad averle. Vi sorprenderebbe scoprire quanto siano lontane, perché
non sembrano così distanti. Quando la notte scorsa, per la prima volta, sono
apparse, ho provato a tirarne giù qualcuna con un bastone, ma con mia grande
sorpresa non sono riuscita a toccarle; poi ho provato con delle zolle di terra,
ci ho provato e riprovato tanto da restare, alla fine, senza forze, ma non sono
riuscita a colpirne una, mai.
Il fatto è che sono mancina e non
mi riesce di tirare come si deve. Anche quando prendevo per bene di mira la
stella che volevo colpire, colpivo l'altra, sebbene qualche volta ci sia
arrivata vicinissima, perché ho visto la macchia nera della zolla penetrare le
aureole dorate delle stelle, credo quaranta o cinquanta volte e mancarle per
un'inezia; se solo fossi riuscita a resistere appena un po' di più una, forse,
sarei riuscita a colpirla.
Così per un po' ho pianto,
reazione naturale, credo, per una della mia età, poi, dopo essermi riposata, ho
preso un cestino e mi sono incamminata alla volta di un posto, sul bordo
estremo del cerchio, là dove le stelle erano vicine alla terra e dove avrei
potuto raccoglierle con le mani e sarebbe stato molto meglio così, perché in
quel modo avrei potuto coglierle amorevolmente, senza spezzarle. Ma era più
lontano di quanto pensassi e alla fine dovetti rinunciarvi; ero stanca al punto
da non riuscire a trascinarmi un passo più in là; e avevo un gran male ai
piedi.
Non riuscii a ritornare a casa;
era troppo lontana e cominciava a fare freddo; ma trovai delle tigri e mi
accoccolai fra di loro: è stata una cosa adorabile, piacevolissima e il loro
alito era gradevole e profumato, perché si nutrono di fragole. Non avevo mai
visto una tigre prima di allora, ma in un attimo le riconobbi dalle strisce. Se
riuscissi a procurarmi una di quelle pelli, me ne farei un grazioso vestitino.
Oggi comincio a capire meglio che
cosa siano le distanze. Il desiderio di impossessarmi di tutto ciò che fosse
carino era così forte che, come stordita, allungavo la mano per afferrarlo e a
volte era troppo lontano, a volte invece, quando era a mezzo palmo da me, avevo
la sensazione che fosse a un palmo - e ahimè tra noi c'erano anche delle spine!
Mi sono presa una bella lezione e ne ho anche ricavato un assioma – il mio
primo assioma – tutto di testa mia. Dopo
che la spina ha lasciato il suo segno, l'Esperimento la teme. Penso che,
per essere giovane come sono, sia un gran bell'assioma.
Ieri pomeriggio, da lontano, ho
seguito l'altro Esperimento, volevo capire a che cosa potesse servire. Ma non
ci sono riuscita. Credo sia un uomo. Non ne avevo mai visto uno, ma
quell'essere gli assomigliava. Verso di lui mi rendo conto di provare una curiosità
più forte di quella che provo nei confronti di qualsiasi altro rettile. Ammesso
che sia un rettile e io credo lo sia; infatti ha capelli arruffati e occhi
azzurri e sembra un rettile. Non ha fianchi; ha una forma affusolata come
quella di una carota; quando sta in piedi si allarga come un argano, per questo
penso sia un rettile, anche se è possibile che sia una questione di struttura.
In un primo momento ne avevo
paura; tutte le volte che si voltava mi mettevo a correre, perché pensavo che
mi avrebbe inseguita, poi, poco alla volta mi resi conto che stava
semplicemente cercando di far perdere le proprie tracce, così, da quel momento,
non ne ebbi più timore e lo pedinai per parecchie ore, standogli alle spalle,
alla distanza di circa dieci metri e questo fatto lo rendeva nervoso, infelice.
Alla fine la cosa lo preoccupò parecchio, così si arrampicò su un albero. Per
un po' rimasi a aspettare, poi ci rinunciai e tornai a casa.
Oggi si è ripetuta la stessa
storia. Ancora una volta sono riuscita a farlo finire sull'albero.
Domenica
È ancora lì in cima. Si direbbe che stia riposando.
Ma è un trucco: la domenica non è giornata di riposo; è il sabato che è stato
destinato a tale scopo. A me dà l'impressione di essere una creatura alla
quale, più che qualsiasi altra attività, interessa il riposo. Dovessi riposare
così a lungo, io mi stancherei moltissimo. Solo a starmene seduta a guardare un
albero, mi stanco. Non riesco a capire a che cosa possa servire, quell'essere;
non una volta che sia riuscita a vederlo fare qualcosa, una cosa qualsiasi.
Ieri sera hanno restituito la
luna, ne ho provato una felicità immensa! Penso che si siano comportati molto
onestamente. Poi è riscivolata verso il basso e ancora una volta è caduta
fuori, ma non ho provato tristezza; quando si hanno dei vicini simili non c'è
di che preoccuparsi; la riporteranno dov'era. Vorrei tanto fare qualcosa che
provasse la mia gratitudine. Vorrei fare aver loro delle stelle, perché noi qui
ne possediamo fin troppe. Voglio dire io, non noi, perché mi sembra di capire che al rettile cose del genere
proprio non interessino.
Ha gusti volgari e non è neppure
gentile. Ieri sera, nell'ora del crepuscolo, quando andai a vederlo, era
strisciato verso il basso e stava cercando di acchiappare i pesciolini
screziati che giocano nello stagno e fui costretta a tirargli addosso delle
zolle di terra, per far sì che li lasciasse in pace e se ne tornasse
sull'albero. Mi domando se è a questo che quell'essere serve. Dunque non ha un
cuore? Non sente nessuna pietà per quelle minuscole creature? È possibile che sia stato
progettato e costruito perché compisse gesti così poco carini? Ne ha proprio
l'aria. Una delle zolle lo colpì dietro l'orecchio e il rettile usò la parola.
La cosa mi diede un'eccitazione intensa, perché era la prima volta che in vita
mia sentivo la parola venire da un essere che non fossi io. Non ho capito le
parole, ma mi sono parse molto eloquenti.
Scoperto che il rettile sapeva
parlare, ricominciai a provare interesse nei suoi confronti, perché io adoro
parlare. Parlo tutto il giorno, parlo anche nel sonno, e dico cose molto
interessanti, ma se solo avessi qualcuno con cui parlare, direi cose ancora più
interessanti e non smetterei mai, se solo qualcuno lo volesse.
Se questo rettile è un uomo e non
è un «coso», allora
non è neppure «esso»,
vero? «Esso»
sarebbe scorretto dal punto di vista grammaticale, non vi pare? Dovrebbe essere
un «egli». Sì,
penso che sia così. Quindi, se così fosse, è nel modo seguente che l'analisi
grammaticale dovrebbe svolgersi: nominativo, «egli»; dativo, «lui»; possessivo, «suo». Benissimo, fino a prova contraria, considererò
il «coso» un uomo e
continuerò a chiamarlo così finché non dimostrerà di essere qualcos’altro. Sarà
più comodo così, piuttosto che avere tante incertezze.
La domenica dopo
Per tutta la settimana non ho
fatto che stargli dietro per cercare di fare conoscenza. Visto che era timido,
è toccato a me occuparmi delle chiacchiere, ma lui non se ne è risentito.
Sembrava gli desse piacere che io fossi lì, ho usato moltissimo il «noi», che è così
socievole, dal momento che lui, al vedersi incluso, si sentisse lusingato.
Mercoledì
Ora, quando siamo insieme ci
troviamo proprio bene e ogni giorno che passa ci conosciamo un po' di più. Non
tenta più di evitarmi, buon segno, e lascia anche capire che gli piace avermi
con sé. Questo fatto a me dà piacere e io mi do un gran da fare per essergli il
più utile possibile, così che la sua stima cresca. Ultimamente mi sono
completamente accollata il compito di dare un nome alle cose e il mio gesto lo
ha molto sollevato, perché non è troppo dotato sotto questo aspetto e di questo
mi è, in maniera evidente, grato. Non è in grado di farsi venire in mente un
solo nome razionale che lo riscatti ai miei occhi, ma io faccio in modo che non
si accorga che so di questo suo difetto. Così, ogni volta che appare una nuova
creatura, io le do il nome prima ancora che il suo goffo silenzio ne tradisca
l'imbarazzo. Così facendo, in diverse occasioni, gli ho risparmiato attimi di
difficoltà. Io, quel suo difetto, non ce l'ho. Nel momento stesso in cui il mio
sguardo si posa su un animale, so di che animale si tratta. Non ho bisogno di
rifletterci su neppure un attimo; subito mi viene la parola esatta, proprio
come per ispirazione, e non c'è dubbio che sia così, perché ho la certezza che
un secondo prima quella parola non era dentro di me. Si direbbe che, per sapere
di che animale si tratti, la forma di quell'animale e il modo in cui si muove
mi siano sufficienti. Quando per la prima volta fece la sua comparsa il dronte,
lui pensò che si trattasse di una lince. Glielo lessi negli occhi. Ma gli venni
in aiuto. E fui molto attenta nel farlo in modo che il suo orgoglio non ne
fosse ferito. Con grande semplicità, e come se fossi piacevolmente sorpresa,
cominciai a parlare e, senza nemmeno avere l'aria di chi gli stesse fornendo
un'importante informazione, dissi: «Guarda,
guarda, sembra impossibile, ma quello è un dronte!» E, senza avere per niente l'aria di farlo, gli
spiegai come ero riuscita a capire che era di un dronte che si trattava. Fu
chiaro che era pieno di ammirazione, anche se mi venne il sospetto che si fosse
un po' risentito del fatto che io ne conoscessi il nome e lui no. Che mi
ammirasse, mi diede molto piacere e prima di addormentarmi quel pensiero mi
ritornò alla mente più di una volta, riempiendomi di gioia. Come può farci
felice una piccola cosa, quando sentiamo di averla meritata!
Giovedì
Il mio primo dolore. Ieri mi ha
evitata, mi ha anche dato la sensazione che non volesse sentirmi parlare. Non
riuscivo a crederci, pensai che ci fosse qualcosa di sbagliato perché a me
piaceva tantissimo stare con lui e ascoltarlo parlare e allora com'era
possibile che fosse scortese con me che non gli avevo fatto niente? Ma alla
fine sembrò che fosse proprio così, allora mi allontanai e andai a sedermi,
tutta sola, nel posto in cui lo vidi per la prima volta, la mattina in cui
fummo creati, quando non sapevo che cosa fosse e mi era del tutto indifferente;
ora però quel posto era un posto di tristezza, ogni più piccola cosa parlava di
lui e avevo il cuore a pezzi. Non riuscii a capire con chiarezza perché fosse
così, quella che sentivo infatti era una sensazione nuova, mai provata prima di
allora, completamente misteriosa e non riuscivo a spiegarmela.
Ma quando venne la notte non ce
la feci a sopportare la solitudine e andai al rifugio che aveva costruito, per
chiedergli che cosa avevo fatto che non andava, per sapere come avrei potuto
porvi rimedio così da riguadagnarmi la sua dolcezza; ma lui mi cacciò fuori,
sotto la pioggia, e quello fu il mio primo dolore.
Domenica
Adesso è tornato il sereno e sono
felice; ma ho passato giorni molto tristi; quando mi riesce, cerco di non di
pensarci.
Ho cercato di tirare giù dall'albero
qualcuna di quelle mele, per lui, ma non mi riesce di imparare a tirare come si
deve. Non ce l'ho fatta ma penso che le mie buone intenzioni gli abbiano dato
piacere. Sono mele proibite. Dice che mi metterò nei guai; ma perché
preoccuparmene, purché riesca a fargli piacere?
Lunedì
Stamattina gli ho detto come mi
chiamo, speravo che gli interessasse. Ma non gliene è importato nulla. Strano.
Se mi dicesse il suo nome, a me importerebbe. Credo risuonerebbe al mio
orecchio più dolce di qualsiasi altro suono.
Parla pochissimo. Forse perché
non è intelligente e gli dispiace e cerca di nasconderlo. È un gran peccato che
faccia così perché che cosa è mai l'intelligenza? È il cuore che conta. Come vorrei fargli capire che
un cuore sensibile e generoso conta molto, molto di più, e senza quel cuore
l'intelletto è ben misera cosa.
Anche se parla pochissimo ha un
vocabolario notevole. Stamattina ha usato una parola che mi ha sorpreso per la
sua bellezza, ovviamente si è reso conto lui stesso del fatto che si trattasse
proprio di una bella parola perché subito dopo l'ha reinserita ben due volte,
come per caso. Anche se il trucco non gli è riuscito troppo bene, è stata la
dimostrazione che è dotato di una discreta percezione, seme che, se verrà
coltivato come si deve, darà senza dubbio buoni frutti.
Ma dove è andato a trovare quella
parola? Penso di non averla mai usata.
No, il mio nome non ha provocato
in lui il benché minimo interesse. Ho cercato di nascondere la mia delusione ma
penso di non esserci riuscita. Mi sono allontanata e sono andata a sedermi
sulla riva muschiosa, con i piedi nell'acqua. È lì che vado quando sento il bisogno di compagnia,
di qualcuno da guardare, di qualcuno con cui chiacchierare. Non è che mi basti,
quel corpo bianco, grazioso, dipinto nello stagno… tuttavia è pur sempre
qualcosa, e qualcosa è meglio della solitudine totale.
Parla quando parlo io; quando
sono triste è triste; mi rincuora con la sua simpatia; mi dice: «Non essere depressa,
povera piccola priva di amici; sarò io la tua amica». E lo è davvero, una buona amica, l'unica che ho; è
mia sorella.
E la prima volta che mi abbandonò…
ah, non lo dimenticherò mai! Mai e poi mai! Il cuore mi pesava dentro, come
piombo! Dissi: «Era
tutto ciò che avevo e ora se ne è andata!» Al colmo della disperazione, aggiunsi: «Spezzati cuore mio; non
sopporto più di vivere!»
e nascosi il viso tra le mani, e niente riuscì a sollevarmi. Poi scostai le
mani e di lì a poco eccola là, ancora una volta, bianca, luminosa, bella; mi
buttai fra le sue braccia.
Fu un momento di felicità
completa; avevo conosciuto la felicità prima di allora, ma mai in un modo così
intenso, fu un momento di estasi. Da allora in poi le diedi la mia totale
fiducia. A volte se ne stava lontana - forse un'ora, forse un'intera giornata -
ma io la aspettavo e non avevo nessun dubbio; mi dicevo: «È impegnata, oppure è
partita per un lungo viaggio, ma tornerà».
Ed era vero: ritornò puntualmente. La notte, se era buio, non veniva, perché
era un piccolo essere timido; ma quando splendeva la luna, sì. Io non ho paura
del buio, ma lei è più giovane di me; è nata dopo. Sono stata da lei più e più
volte, per me è il rifugio in cui trovo conforto, quando la mia vita è
difficile. E lo è quasi sempre.
Martedì
Ho lavorato tutta la mattina per
apportare miglioramenti alla proprietà; gli sono stata lontana di proposito
perché speravo che così si sentisse solo e venisse da me. Inutilmente.
A mezzogiorno ho finito la mia
giornata di lavoro e per svagarmi mi sono messa a giocherellare con le api e le
farfalle, mi sono data alla pazza gioia tra i fiori, quelle creature stupende
che rubano al cielo il sorriso di Dio e lo conservano dentro di sé. Li ho
raccolti e ne ho intrecciato ghirlande con le quali ho rivestito il mio corpo
mentre consumavo il pranzo: a base di mele naturalmente; poi mi sono seduta
nell'ombra ad aspettarlo piena di desiderio. Ma lui non è venuto.
Non importa. Non sarebbe successo
assolutamente niente, perché i fiori non lo interessano. Li chiama robaccia,
non li distingue l'uno dall'altro e pensa che sia segno di superiorità pensarla
come la pensa lui. Non lo interesso io, non lo interessano i fiori, non lo
interessa il cielo ornato di stelle la sera… Esiste qualcosa che lo interessi
oltre ai tuguri che si costruisce per rintanarvisi dentro così da proteggersi
dalla buona pioggia che cade pulita; all'infuori dei meloni su cui picchia per
vedere se sono maturi; all'infuori dell'uva che controlla grappolo per
grappolo; all'infuori della frutta da albero che lui palpeggia per vedere se
viene bene?
Ho messo un ramoscello secco
sulla terra e ho cercato di farci dentro un buco usandone un altro, volevo
realizzare un mio piccolo piano ma immediatamente mi sono presa uno spavento
terribile. Dal buco si è alzata una nebbiolina bluastra, trasparente e sottile,
ho lasciato cadere tutto e sono scappata. Ho pensato fosse uno spirito e mi
sono presa una paura! Poi mi sono guardata alle spalle e lo spirito non mi
seguiva; allora mi sono appoggiata a una roccia per riposarmi della corsa,
ansimavo e mi tremavano le gambe; ho aspettato che le gambe e le braccia
smettessero di tremarmi e ridiventassero salde. Poi, muovendomi cautamente,
sono lentamente tornata carponi verso il punto da cui ero fuggita, mi guardavo
intorno con circospezione, pronta a scappare se fosse stato il caso; e quando
sono stata di nuovo vicina ho spiato da dietro un cespuglio di rose, dopo
averne separato i rami (speravo che l'uomo fosse nei paraggi, perché avevo
un'aria deliziosamente astuta e graziosa) ma lo spirito era scomparso. Mi sono
avvicinata ed ecco che nel buco si raccoglieva un briciolo di polvere finissima
e rosa. Ci ho messo dentro il dito perché volevo sentirne la consistenza e ho
gridato «Ahi!», poi l'ho tirato fuori.
È stato un dolore
lacerante. Mi sono messa il dito in bocca; dopo, tra gemiti e saltelli, prima
su un piede poi sull'altro, sono riuscita in un attimo ad alleviare la
sofferenza; allora ho provato una grande curiosità e ho cominciato a esaminare
il tutto.
Ero curiosa di sapere che cosa
fosse la polvere rosa. All'improvviso me ne è venuto in mente il nome, anche se
non l'avevo mai sentito prima di allora. Era il fuoco! Ne ero certa più di qualsiasi altra cosa al mondo! Per
questo, senza esitare gli diedi quel nome: fuoco.
Avevo creato qualcosa che prima
non esisteva; alle ricchezze immense del mondo avevo aggiunto qualcosa di
nuovo; nel rendermene conto ho sentito orgoglio per l'impresa compiuta e sono
stata sul punto di mettermi a correre per cercarlo, per raccontarglielo, nella
speranza di salire nella sua stima… ma ci ho pensato su e non l'ho fatto. No…
non gliene sarebbe importato niente. Mi avrebbe chiesto a cosa mai potesse
servire e che cosa avrei potuto rispondergli? Infatti non serviva a niente: ma
era bello, semplicemente bello…
Così ho sospirato e non ci sono
andata. Perché il mio fuoco non serviva a niente; non serviva a costruire una
capanna, non serviva a migliorare la qualità dei meloni, non serviva a
accelerare il raccolto; non aveva nessuna utilità, era una sciocchezza, così
vana; egli l'avrebbe disprezzato, avrebbe detto parole dure. Ma ai miei occhi
quel fuoco non andava disprezzato; ho detto «Fuoco, io ti amo; tu deliziosa creatura rosa sei
bella… e questo è quanto basta!»
e stavo per stringerlo al seno. Ma non l'ho fatto. Poi ne ho ricavato un'altra
massima, tutta di testa mia, che però era così simile alla prima da far sospettare
che ne fosse un plagio.
«Dopo che il fuoco l'ha scottato, l'Esperimento lo
teme».
Mi sono messa di nuovo all’opera;
e dopo essere riuscita a produrre una quantità discreta di polvere di fuoco,
l'ho raccolta dentro una manciata di erba secca marrone, volevo portarla a
casa, tenerla sempre con me e giocarci; ma il vento ci ha soffiato sopra con
forza, la polvere si è sparsa ovunque intorno e mi ha colpita con violenza ed
io l'ho lasciata cadere e mi sono messa a correre. Quando mi sono girata
indietro, lo spirito azzurro era lassù in alto, come una nuvola si allontanava
disfacendosi e poi ricomponendosi in volute rotonde; subito pensai a un nome: fumo! Eppure, lo giuro, non avevo mai
sentito la parola fumo prima di allora.
In breve, faville luminose dal
colore giallorosso si alzarono tra il fumo e in un attimo diedi loro un nome: fiamme! Anche in questo caso il nome era
quello giusto, benché quelle che avevo davanti fossero di certo le prime fiamme
del mondo. Salirono sugli alberi e nel loro splendore facevano di tanto in
tanto capolino tra le ampie volute del fumo nella cui massa che andava
estendendosi e riversandosi quelle fiamme di quando in quando scomparivano;
l'entusiasmo e la gioia che ne provai furono tali che non riuscii a fare a meno
di battere le mani, ridere, ballare, era tutto così nuovo e strano, così bello,
così magnifico!
Lui arrivò di corsa, si fermò con
gli occhi spalancati, per molti minuti restò senza parole. Poi mi chiese che
cosa fosse. Fu un peccato che me lo chiedesse con una domanda così esplicita.
Perché naturalmente dovetti rispondergli e lo feci. Gli dissi che si trattava
del fuoco. Che gli desse fastidio il fatto che lo sapessi, e che fosse
costretto a chiedermelo, non è colpa mia; non avevo nessuna intenzione di
innervosirlo. Dopo un momento di silenzio mi chiese:
«E come è successo?»
Ancora una domanda esplicita cui
bisognava dare una risposta esplicita.
«L'ho fatto io.»
Il fuoco si stava allontanando
sempre di più. Egli si diresse al limite della zona bruciata e guardò a terra a
lungo, poi disse:
«E questi che cosa sono?»
«Tizzoni!»
Ne raccolse uno per guardarlo da
vicino, ma cambiò idea e lo rimise per terra. Poi se ne andò. Nulla lo interessa.
Ma tutto interessava me. C'era la
cenere grigia, morbida, delicata, carina… ho saputo immediatamente che cos’era. E la brace; riconobbi anche
quella.
Trovai le mele e ne raccolsi una
gran quantità, la cosa mi diede piacere, perché sono molto giovane e ho un buon
appetito. Ma ne fui delusa; erano scoppiate tutte ed erano rovinate. Così
sembrava; ma non era vero; erano migliori di quelle crude. Il fuoco è bello;
penso anche che un giorno o l'altro avrà una sua utilità.
Venerdì
Lui l'ho visto di nuovo, per un
attimo, lunedì scorso quando è scesa la notte, ma solo per un attimo. Speravo
che lodasse i tentativi che ho fatto per migliorare la proprietà, ci tenevo e
mi ero data un gran da fare. Ma non ne fu felice, si girò e se ne andò. C'era
anche un altro fatto che lo disturbava: ancora una volta avevo cercato di
convincerlo a non ritornare alle Cascate. L'avevo fatto perché il fuoco mi aveva
svelato una nuova passione, molto nuova e completamente diversa dall'amore, dal
dolore e dalle altre passioni che avevo già scoperto: era la paura. È terribile! Vorrei non averla mai scoperta; mi dà
momenti di grande tristezza, mi rovina gli istanti felici, mi fa rabbrividire e
tremare. Ma non mi riuscì di convincerlo, perché non ha ancora scoperto la
paura, e fu per questo che non gli fu possibile capirmi.
Martedì… Mercoledì… Giovedì… e
oggi: senza mai vederlo. È
lungo il tempo quando si è soli; eppure è meglio la solitudine piuttosto che non
essere ben accetti.
Dovevo avere un po’ di compagnia - fa parte della mia natura, penso
- così ho fatto amicizia con gli animali. Sono proprio deliziosi, e poi hanno
un'indole dolcissima e modi di fare molto educati; non tengono mai il broncio,
non ti fanno mai sentire di troppo, ti sorridono e agitano felici la coda se ne
hanno una, sono sempre disposti a giocare rotolandosi per terra, a fare delle
gite, oppure a seguirti qualsiasi cosa tu proponga loro. Li considero dei veri
gentiluomini. Per tutto questo periodo ci siamo divertiti tantissimo e io non
ho mai sentito la solitudine, mai. Io sola! No, non si direbbe proprio. Ne ho
sempre a nugoli intorno - a volte coprivano fino a quattro o cinque acri - non
li si può nemmeno contare; e quando ci si alza in piedi, su una roccia in mezzo
a loro e si rivolge lo sguardo tutto intorno, su quella morbida distesa di
pelliccia, il colore vivace, la luce, il riflesso del sole la fanno sembrare
così chiazzata e schizzata di allegri riflessi, così increspata in superficie
dalle strisce del pelo, che ti viene da pensare che si tratti di un lago, solo
che sai che non lo è; e una pioggia di uccelli socievoli e un vorticare
violento di ali; e quando il sole si posa su quelle superfici di ali in
continuo movimento, ne scaturisce un incendio di colori inimmaginabile, quasi
da accecarti completamente.
Abbiamo fatto gite lunghissime, e
sono stata nei più svariati posti, credo di aver visto il mondo intero, quasi,
quindi sono la prima viaggiatrice e anche l'unica. Quando siamo in cammino, la
vista è stupenda - non c'è niente al mondo di così bello. Per starmene più
comoda salgo in groppa a una tigre oppure a un leopardo, sono morbidi e hanno
schiene tornite che si adattano al mio corpo e poi sono animali così carini;
per viaggi più lunghi o per ammirare meglio il panorama uso l'elefante. Quando
ci devo salire lui mi solleva con la proboscide ma riesco a scendere da sola;
quando stiamo per fermarci si siede e io gli scivolo lungo la schiena.
Gli uccelli e gli animali vanno
molto d'accordo, e non si azzuffano su niente. Parlano tutti e parlano anche a
me, ma deve essere la lingua di un altro paese, perché io non riesco a capire
una sola parola di quello che dicono; nonostante questo spesso, quando rispondo
loro, mi capiscono, soprattutto il cane e l'elefante. Io ne ho vergogna. È la dimostrazione
infatti che sono più intelligenti di me, quindi mi sono superiori. Mi secca
perché voglio essere io l'Esperimento più importante e, come se non bastasse,
ho tutte le intenzioni di esserlo.
Ho imparato un certo numero di
cose ed ora sono una persona che si è fatta una cultura, ma all'inizio non era
così. All'inizio ero una persona ignorante. All'inizio l'esserlo mi dava molto
fastidio, perché a forza di guardare e guardare, non avevo mai la prontezza di
essere lì, nel momento in cui l'acqua scorreva verso l'alto, ma ora non
m'importa. Ho fatto esperimenti su esperimenti e ormai so che l'acqua non
scorre mai verso l'alto, se non quando è buio. So che questo accade quando è
buio, perché lo stagno non si prosciuga mai; naturalmente succederebbe così se
l'acqua non ritornasse nella notte. La cosa migliore è dimostrare ciò che si
vuole dimostrare con l'esperimento vero e proprio; è solo così che veramente si
capisce; mentre, se si è condizionati da teorie, congetture, ipotesi, non si
arriverà mai ad avere una cultura.
Ci sono cose che è impossibile
scoprire: ma è impossibile scoprirlo fondandosi su teorie e congetture; no, si
deve aver pazienza, si deve continuare a provare fino a scoprire che è
impossibile scoprire. Ed è bellissimo che sia così, in questo modo il mondo è
così affascinante. Se non ci fosse niente da scoprire, sarebbe noioso. Anche
cercare di scoprire e non scoprire è interessante allo stesso modo che cercare
di scoprire e scoprire, non c'è niente di cui io sia più sicura. Il segreto
dell'acqua fu un tesoro prezioso fino al giorno in cui non lo capii; in quel
momento la mia eccitazione si spense e ebbi come la sensazione di aver perduto
qualcosa.
Grazie agli esperimenti che so
che il legno galleggia, come anche le foglie secche, le penne degli uccelli e
molte altre cose; quindi grazie a queste prove tutte insieme capisci che anche
un sasso può stare a galla; ma si
deve accettare il fatto che questa è una semplice conoscenza teorica, perché -
almeno fino a oggi - non c'è stato modo di dimostrarlo. Ma io ne scoprirò uno…
e a quel punto l'entusiasmo svanirà. Cose come queste mi rattristano; infatti,
con il passare del tempo, quando avrò scoperto tutto, non ci saranno più
entusiasmi e io vado pazza per gli entusiasmi! La notte passata, solo a pensarci,
non riuscivo a dormire.
All'inizio non capivo a che cosa
ero destinata quando fui creata, ma ora penso di essere stata creata per
cercare i segreti di questo mondo meraviglioso, per essere felice e per
ringraziare il Creatore per averlo inventato.
Credo ci siano ancora molte cose
da imparare: me lo auguro. E credo anche che quelle cose dureranno ancora
settimane e settimane se io sarò moderata nel farlo e se non mi ci butterò
dentro a capofitto. Così almeno spero. Quando uno butta in aria una penna di
uccello, la penna svolazza nell'aria, si allontana e poi sparisce dalla nostra
vista; poi butti una zolla e la zolla non sparisce. Tutte le volte ritorna a
terra. Ci ho provato e riprovato ed è così. Sempre. Ma perché le cose vanno così?
Naturalmente non è che la zolla
ritorni, ma perché sembra che così
accada? La mia teoria è che sia una illusione ottica. Voglio dire, una delle
due lo è. Non so quale delle due lo sia. Potrebbe esserlo per la penna,
potrebbe esserlo per la zolla; non so dimostrare quale delle due lo sia, posso
solo provare che una delle due è un’illusione e lasciare che gli altri la
decidano.
Solo a guardarle, so che le
stelle non sono destinate a durare nel tempo. Ne ho viste alcune, tra le più
belle, sciogliersi e affondare nel cielo. E se può sciogliersene una, possono
sciogliersi tutte; e se tutte possono sciogliersi, è anche possibile che si
sciolgano tutte la stessa notte. Arriverà anche quel dispiacere, ne sono certa.
Voglio stare in piedi tutte le notti e guardarle fino a quando riuscirò a stare
sveglia; mi imprimerò nella memoria quei campi scintillanti così da riuscire a
ricreare nell'immaginazione le miriadi deliziose di stelle e restituirle al
cielo buio e farle tornare a brillare di nuovo, voglio raddoppiarne il numero
attraverso il velo incerto delle lacrime che piangerò man mano che quelle
stelle mi saranno sottratte.
Un anno dopo
Adamo era già partito da una
settimana quando nacque Caino. Fu per me una grande sorpresa. Non mi ero
accorta che stesse per accadere qualcosa, ma è proprio come dice Adamo: «È l’imprevisto che accade».
Non sapevo inizialmente che cosa farne. Credetti fosse un
animale ma, ad un esame più attento, non sembrò esserlo, perché non aveva
denti, era quasi senza pelo, ed era un verme particolarmente indifeso. Alcuni dei
suoi tratti erano umani, ma non abbastanza da consentirmi di classificarlo
scientificamente un uomo.
Ben presto, tuttavia, cominciai ad interessarmi a lui, ogni
giorno di più: quell’interesse assunse a poco a poco un tono più caldo e
divenne affetto, quasi amore, ed infine idolatria. Diedi a quella creatura
tutto il mio animo, fui consumata da una gratitudine appassionata e dalla
felicità. La vita era diventata una continua beatitudine, un’estasi, un
rapimento, e ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, morivo dalla voglia che Adamo
tornasse e condividesse con me la mia insopportabile felicità.
Anni quarto e
quinto
Finalmente Adamo tornò, ma non fu
del parere che si trattasse di un bambino. Era animato da buone intenzioni, era
affettuoso e buono, ma era prima uno scienziato e poi un uomo – era quella la
sua natura – e non poteva accettare nulla che non fosse scientificamente
provato. Le paure che ho sofferto, per tutto l’anno successivo, a causa dei
suoi esperimenti, sono indescrivibili. Adamo espose il bambino a tutti i disagi
che riuscì ad escogitare per poter stabilire a quale specie di uccello, di
rettile o quadrupede egli appartenesse, e a che cosa servisse; fui così
costretta a seguirlo notte e giorno, stanca e disperata, per alleviare le pene
del povero piccolo, ed aiutarlo a sopportarle meglio che potesse. Adamo credeva
lo avessi trovato nel bosco, ed io fui anche troppo lieta di lasciarglielo
credere, perché quell’idea lo indusse spesso a mettersi a caccia di un’altra
creatura, e questo concedeva al bambino e a me momenti beati di riposo e di
pace. Nessuno può immaginare il sollievo che provavo quando Adamo interrompeva
i suoi dolorosi esperimenti, raccoglieva le trappole e le esche e partiva per i
boschi. Appena scompariva alla vista, stringevo la mia preziosa creatura al
petto e la soffocavo di baci, piangendo di gratitudine. Il povero piccolo
essere sembrava capire che qualcosa di piacevole ci era accaduto, e si metteva
a tirar calci e a lanciar gridolini di gioia, e sulla sua bocca appiccicosa
appariva il sorriso felice dell’infanzia.
Anno decimo
Poi venne il piccolo Abele. Credo
che avessimo un anno e mezzo o due quando nacque Caino, e circa tre anni o tre
anni e mezzo quando Abele lo seguì.
Ormai Adamo aveva cominciato a
capire. A poco a poco i suoi esperimenti divennero sempre meno dolorosi e
finalmente un anno dopo la nascita di Gladys e di Edwina – quinto e sesto anno –
cessarono completamente.
Cominciò ad amare enormemente i
bambini, dopo averli classificati scientificamente, e da quel momento la
felicità è stata completa.
Dopo la caduta
Se guardo indietro, il Paradiso
Terrestre mi sembra un sogno. Era bello, più che bello, era un incanto; e ora
l'ho perso, e non lo rivedrò più. Ho perso il Paradiso Terrestre, ma ho trovato
lui e mi basta. Mi ama come meglio
può, io lo amo con tutta l'intensità della mia natura appassionata, e questa,
credo, è una caratteristica della mia giovane età e del mio sesso. Se mi
domando perché lo amo, scopro di non saperlo e non mi importa un gran che; per
questo credo che il mio genere di amore non sia il prodotto di ragionamenti e
statistiche, come l'amore che uno prova per i rettili e gli animali. Penso che
sia proprio così. Certi uccelli li amo per il loro canto; ma Adamo non lo amo
per come canta. No, proprio no; anzi, più canta e meno riesco a trovarlo
gradevole. E tuttavia gli chiedo di farlo, perché vorrei imparare ad amare
tutto quello che lo interessa. Sono sicura che ce la farò perché all'inizio non
potevo sopportarlo, ma adesso sì. Fa venire la pelle d'oca, ma non importa;
posso benissimo abituarmici.
Non è per la sua intelligenza che
lo amo: no, proprio no. Non è colpa sua se ha l'intelligenza che si ritrova, è
stato Dio a fargliela, non lui; Adamo è come Dio l'ha fatto, e questo è quanto
basta. Aveva i suoi buoni motivi; di questo
sono sicura.
Con il passare del tempo la sua
intelligenza si svilupperà, anche se non tutta d'un botto, credo; e d'altronde
non c'è fretta; va bene così com'è.
Non è per le sue maniere gentili
e attente o per la sua delicatezza che lo amo. No, sotto questo punto di vista,
ha grandi carenze, ma va bene così, e poi sta facendo dei miglioramenti.
Non è per la sua applicazione
costante al lavoro che lo amo… no, proprio no. Credo che lui sia fatto così e
non capisco perché me lo voglia nascondere. È questo il mio unico rammarico. Per il resto ora è
schietto e aperto. Sono sicura che, oltre a quello, non mi tiene nessun altro
segreto. Mi fa male che abbia un segreto tutto suo, a volte per questo non
riesco a dormire, solo a pensarci, ma riuscirò a non pensarci più; quel segreto
non riuscirà a sciupare la mia felicità che d'altronde è così grande che quasi
trabocca.
Non è per la cultura che ha che
lo amo: no, proprio no. È
un autodidatta e, a essere sinceri, sa un'infinità di cose, che però non sono vere.
Non è per la sua galanteria che
lo amo… no, proprio no. Ha parlato male di me, ma io non gliene voglio; penso
che sia una caratteristica del suo sesso, credo, e non è stato lui a creare il
suo sesso. Naturalmente io non l'avrei mai fatto, piuttosto sarei morta; ma
anche questa è una caratteristica del sesso, e non posso vantarmene, visto che
non sono stata io a creare il mio sesso.
E allora quale è mai il motivo
per cui lo amo? Semplicemente perché è maschio, credo.
Sotto sotto è un essere buono e per
questo lo amo, ma lo amerei anche se non lo fosse. Se mi picchiasse, se mi
maltrattasse, io continuerei ad amarlo. Lo so. È questione di sesso, credo.
È forte, è bello e per questo lo amo, e lo ammiro, e
ne sono fiera, ma riuscirei ad amarlo anche se queste qualità gli mancassero.
Se fosse un uomo senza qualità lo amerei lo stesso; se fosse a pezzi, lo amerei
lo stesso; mi ammazzerei di lavoro per lui, mi farei in quattro per aiutarlo e
pregherei e starei al suo capezzale, a vegliarlo, fino alla morte.
Sì, penso di amarlo per la semplice
ragione che è mio ed è maschio. Non ne esiste altra, mi sembra.
Per questo quindi penso che sia vero quello che ho detto fin dall'inizio: che
non sono stati né i ragionamenti, né le statistiche a dare vita a questa forma
di amore. Semplicemente succede… nessuno
è in grado di sapere come e non lo si riesce a spiegare. E poi non ce n'è
bisogno.
Ecco quello che penso. Ma non
sono altro che una giovane donna e sono stata la prima a occuparmi del problema
ed è possibile che, dato che non ne so molto e non ne ho una grande esperienza,
non abbia capito come stanno le cose per davvero.
Quarant'anni dopo
La mia preghiera, il mio più
ardente desiderio, è che le nostre vite finiscano insieme: è un desiderio che
non sparirà mai dalla faccia della terra e che fino alla fine dei tempi vivrà
nel cuore di ogni sposa innamorata; quel desiderio avrà il mio nome.
Ma se la vita di uno di noi dovrà
per prima arrivare alla sua fine, è mia preghiera che quella vita sia la mia;
perché lui è forte, mentre io sono debole, perché io non gli sono indispensabile
tanto quanto lui lo è a me… la vita senza di lui non sarebbe vita; come farei a
sopportarla? Anche questa mia preghiera è immortale e fino a quando la mia
razza si perpetuerà non smetterà di essere pronunciata. Io sono la prima sposa
che sia mai esistita e la preghiera sarà ripetuta nell’ultima moglie.
Alla tomba di Eva.
ADAMO: Ovunque ella fosse, là era il Paradiso terrestre.
Pieter Paul Rubens, Adamo ed Eva (1628, Madrid, Museo del Prado)
In alcune edizioni del racconto
compaiono altri frammenti del diario di Adamo, che riporto qui sotto:
Estratto dal Diario di Adamo
Forse non dovrei dimenticare che
è giovanissima, nient'altro che una bambina, e essere più indulgente. Tutto la
incuriosisce, la infiamma, Eva è fuoco vivo; per lei il mondo è un oggetto
affascinante, pieno di meraviglie, misteri, gioie, quando trova un fiore che
non ha mai visto, il piacere che prova la lascia senza parole, sente il bisogno
di coccolarlo, di accarezzarlo, di annusarlo, di parlargli e di ricoprirlo di
nomi affettuosi. Va pazza per i colori: le rocce marroni, la sabbia gialla, le
rive muschiose grigie, le foglie verdi, il cielo azzurro; il color perla
dell'alba, le ombre viola sulle montagne, le isole d'oro al tramonto che
galleggiano su mari cremisi, la pallida luna che veleggia tra brandelli di
nuvole, i gioielli stellati che brillano nelle vastità dello spazio: niente di
tutto questo, per quanto mi riesce di capire, possiede un pur minimo valore
pratico, ma poiché è colorato e ha un aspetto maestoso, questo le basta e lei
ci perde il bene dell'intelletto. Se soltanto riuscisse a calmarsi, a stare
ferma almeno due minuti di seguito, sarebbe uno spettacolo riposante. Se così
fosse penso che mi piacerebbe starla a guardare; anzi sono sicuro che sarebbe
così, perché credo di essere sul punto di convincermi che Eva è una creatura
piuttosto bella: snella, sottile, ben fatta, dalle linee precise e rotonde,
agile, graziosa; una volta stava in piedi su una roccia, la figura bianca come
di marmo, inondata di sole, la testa piegata all'indietro e la mano che le
faceva schermo agli occhi, stava seguendo il volo di un uccello nel cielo, in
quell'occasione dovetti ammettere che era bella.
Lunedì, mezzogiorno
Se esiste una cosa, sulla faccia
della terra, per la quale lei non nutra interesse, sono le cose che piacciono a
me. Ci sono animali ai quali io personalmente mi sento indifferente, ma ai
quali non è indifferente lei. Non è in grado di fare discriminazioni, le
piacciono tutti, pensa che siano dei tesori, uno per uno, ogni nuovo arrivato è
il benvenuto; chiunque per la prima volta faccia la sua comparsa tra di noi è
il benvenuto. Quando il brontosauro possente fece a grandi passi irruzione
nella nostra vita, lei lo considerò un acquisto, io una calamità; e questo mi
sembra un bell'esempio dell'assenza di armonia che pervade le nostre reciproche
visioni del mondo. Voleva addomesticarlo. Io volevo fargli omaggio della casa e
traslocare. Lei pensava che trattandolo bene lo si sarebbe potuto rendere
docile e sarebbe stato un perfetto cucciolotto di casa; io le dissi che un
cucciolo alto sei metri e lungo venticinque non sarebbe stato l'animale ideale
da avere intorno, perché, anche se con le intenzioni migliori e senza
assolutamente voler far male a nessuno, il cucciolotto avrebbe potuto sedersi
sopra la casa e schiacciarla, infatti chiunque, solo a guardarlo negli occhi,
sarebbe stato in grado di capire che era un animale distratto. Nonostante
tutto, Eva si era messa in testa di tenere quel mostro, e non c'era modo di
farle cambiare idea. Pensava che con il brontosauro avremmo potuto aprire una
latteria e voleva che la aiutassi a mungerlo; ma io non volevo; era troppo
rischioso, a parte il fatto che il sesso non era quello giusto e che non
avevamo neppure una scala. Poi le venne voglia di salirgli in groppa per
ammirare il panorama. Come se fosse un albero abbattuto, la coda del
brontosauro si allungava sul terreno per dieci, quindici metri, così a Eva
venne in mente che avrebbe potuto arrampicarvisi sopra, ma si sbagliava; quando
raggiunse il punto più ripido scoprì che era troppo scivoloso e precipitò e si
sarebbe fatta male se non ci fossi stato io. E adesso ne era convinta? No. Non
c'è niente che la convinca, se non la dimostrazione; le teorie non sperimentate
non fanno per lei e non ne vuole sapere. È l'atteggiamento giusto, lo ammetto, mi attrae e mi
affascina; se stessi più a lungo con lei penso che adotterei quell'atteggiamento
anch'io. Bene, sul colosso di cui parlavo, Eva aveva un'ultima teoria: pensava
che, se fossimo riusciti a domarlo e a farcelo amico, avremmo potuto sistemarlo
sul fiume e usarlo come se fosse un ponte. Scoprimmo che era già più che
addomesticato - almeno per quanto lo riguardava - così Eva sperimentò la teoria
che aveva formulato, ma la teoria risultò sbagliata; tutte le volte che
riusciva a metterlo nel punto giusto del fiume e ritornava a riva per potersi
servire di lui per passare dall'altra parte, il brontosauro usciva dall'acqua e
la seguiva come se fosse stato un cucciolo gigantesco. Come d'altronde tutti
gli altri animali. Lo fanno tutti con Eva.
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