In questo racconto, pubblicato
nel dicembre 1867 con il titolo “The Facts Concerning the Recent Resignation”,
Mark Twain immagina di aver trovato lavoro come scrivano (ossia dattilografo)
presso il Senato statunitense e di considerarsi, solo per questo, membro del
governo: naturalmente nessuno ascolterà le sue opinioni in tema di politica.
La satira dello scrittore
americano colpisce duramente i suoi obiettivi: sia il Congresso, ossia il
Parlamento, le cui decisioni potrebbero condurre al disastro («come ben può avvenire»), sia la
gente comune: esilaranti sono i consigli dello scrivano per sterminare gli
indiani.
Ho dato le dimissioni. Pare che
il governo vada avanti più o meno come prima, ma, ciononostante, gli manca un
raggio della ruota. Ero scrivano del Comitato Senatoriale di Conchiliologia e
ho mandato al diavolo l’impiego. Era evidente, e la vedevo con chiarezza, la
tendenza da parte degli altri membri del governo a impedirmi di avere voce in
capitolo negli organi consultivi della nazione, e quindi non mi è stato più
possibile restare in carica e salvare, al tempo stesso, il mio orgoglio. Se dovessi
raccontare nei minimi particolari tutti gli oltraggi che si sono accumulati su
di me nei sei mesi in cui ho fatto parte del governo in funzione ufficiale, la
narrazione riempirebbe un volume. Mi nominarono scrivano di quel Comitato di
Conchiliologia, e poi non mi assegnarono un amanuense per giocarci a bigliardo.
Avrei anche sopportato quel posto, pur solitario com’era, se negli altri membri
del gabinetto avessi riscontrato quella cortesia che mi era dovuta. Invece no. Ogniqualvolta
vedevo che il capo di un dipartimento seguiva una strada sbagliata, abbandonavo
tutto quanto e andavo da lui e cercavo di riportarlo sulla retta via, come era
mio dovere; e non una volta, dico una, sono stato ringraziato. Andai, con le
migliori intenzioni del mondo, dal Ministro della Marina e gli dissi:
«Eccellenza, secondo me l’ammiraglio Farragut, là in Europa,
non fa altro che qualche scaramuccia, un po’ qua, un po’ là: una specie di
scampagnata. Ora, tutto questo andrà anche benone, ma io non la vedrei in
questa luce. Se non trova da combattere sul serio, se ne torni a casa. È
inutile che un uomo abbia tutta una flotta per farsi una gita di piacere. È
troppo dispendioso. Sia chiaro: io non ho niente contro le gite di piacere che
siano ragionevoli, che siano economiche. Per esempio, potrebbero andar giù per
il Mississippi con una zattera…»
Avreste dovuto sentire che sfuriata! Roba da far pensare che
io avessi commesso non so che delitto. Ma io non feci una piega. Dissi che una
gita in zattera nel Mississippi era una cosa a buon mercato, piena di
semplicità repubblicana e senza pericoli di sorta. Dissi che, per una
tranquilla gita di piacere, non c’era niente che valesse una zattera. Allora il
Ministro della Marina mi chiese chi ero; e quando gli dissi che facevo parte
del governo, volle sapere in quale funzione. Risposi, senza sottolineare la
stranezza della domanda da parte di un membro dello stesso governo, che ero lieto
di informarlo che ero scrivano del Comitato Senatoriale di Conchiliologia. Allora
sì, ci fu una burrasca coi fiocchi! Finì con l’ordinarmi di abbandonare l’edificio
e di badare, per l’avvenire, esclusivamente ai fatti miei. Il mio primo impulso
fu di farlo licenziare. Ma la cosa avrebbe danneggiato altre persone, oltre a
lui, e a me non avrebbe poi giovato gran che, e così lasciai perdere.
Subito dopo andai dal Ministro della Guerra, il quale non
era affatto disposto a ricevermi finché non apprese che facevo parte del
governo. Se non avessi avuto per le mani un affare importante, non credo che
sarei riuscito a entrare. Gli chiesi un fiammifero (stava fumando), e poi gli
dichiarai che non avevo niente da ridire sulla sua difesa dei trattati di armistizio
del generale Lee e dei militari suoi colleghi, ma che non potevo approvare il
suo metodo di combattere gli indiani nelle Pianure. Gli dissi che combatteva a
gruppi troppo isolati. Avrebbe dovuto fare in modo di radunare più indiani…
radunarli in un punto comodo, dove ci fossero a disposizione viveri sufficienti
per le due parti, e poi fare un massacro generale. Gli dissi che per un indiano
non c’è niente di più convincente di un massacro generale. Se non d’accordo sul
massacro, gli dissi, l’alternativa più sicura, per un indiano, erano sapone e
istruzione. Sapone e istruzione non hanno effetto immediato come un massacro,
ma alla lunga sono più letali, perché un indiano semimassacrato si può rimettere,
ma se uno si prende la briga di istruirlo e di lavarlo, finisce, prima o poi,
col farlo fuori. È una cosa che gli mina l’organismo; che intacca le fondamenta
del suo essere. «Eccellenza,» dissi, «è giunta l’ora in cui le crudeltà più
raccapriccianti sono divenute una necessità. Infliggete sapone e sillabario a
ogni indiano che infesta le Praterie e annientatelo!»
Il Ministro della Guerra mi
domandò se ero membro del gabinetto, e io risposi di sì. Volle sapere quale
carica ricoprivo, e io gli dissi che ero scrivano al Comitato Senatoriale di
Conchiliologia. Allora fui messo agli arresti per oltraggio alle autorità e
privato della libertà personale per la maggior parte della giornata.
Per poco non decisi di starmene
zitto, da allora in poi, e di lasciare che il governo tirasse avanti alla meno
peggio. Ma il dovere mi chiamò, ed io obbedii. Feci visita al Ministro del
Tesoro.
Mi domandò:
«E voi, cosa volete?»
La domanda mi fece perdere le
staffe. Risposi:
«Punch al rum.»
Lui disse:
«Se avete qui affari che vi riguardano, esponeteli… e il più
brevemente possibile.»
Allora dissi che mi rincresceva
che egli avesse deciso di cambiare argomento così ex-abrupto, perché tale
condotta era altamente offensiva per me; ma, date le circostanze, avrei
lasciato correre e sarei venuto al fatto. Mi buttai quindi in un’animata
discussione con lui sull’eccessiva lunghezza del suo bilancio. Gli dissi che
era dispendioso, inutile, mal costruito; non conteneva brani descrittivi, né poesia,
né sentimento… né eroi, né trama, né illustrazioni… nemmeno incisioni in legno.
Non l’avrebbe letto nessuno, questo era evidente. Lo supplicai di non rovinarsi
la reputazione col far pubblicare roba del genere. Se sperava di conquistare un
giorno il successo letterario, doveva mettere nei suoi scritti più varietà. Doveva
guardarsi dagli aridi dettagli. Dissi che la grande popolarità degli almanacchi
era dovuta alle poesie e agli indovinelli, e che qualche indovinello qua e là
nel suo bilancio preventivo ne avrebbe facilitato la vendita più di tutte le
relazioni sul reddito interno che sarebbe riuscito a metterci dentro. Dissi tutte
queste cose in uno spirito di straordinaria benevolenza, e ciononostante il
Ministro del Tesoro fu colto da un violento accesso di furia. Arrivò persino a
dire che ero un somaro. Mi ricoprì di ingiurie nel modo più implacabile, e
disse che, se fossi tornato un’altra volta a impicciarmi degli affari suoi, mi
avrebbe buttato dalla finestra. Io dissi che, se non fossi riuscito a farmi
trattare col rispetto dovuto alle mie funzioni, avrei preso il cappello e me ne
sarei andato; e me ne andai davvero. Si era comportato proprio con un autore
esordiente. Questi tipi, quando buttano fuori il loro primo libro, credono
sempre di saperne più di tutti gli altri. Nessuno gli può dir niente.
Per tutto il tempo che feci parte
del governo parve che non potessi far niente, nelle mie funzioni ufficiali,
senza cacciarmi nei guai. Eppure non facevo nulla, non tentavo nulla che non
fosse, a mio giudizio, per il bene del paese. Forse era la sensazione irritante
dei torti subiti a portarmi a conclusioni errate e nefaste, ma certo mi pareva
che il Presidente del Consiglio, il Ministro della Guerra, il Ministro del
Tesoro e gli altri miei confrères
avessero, fin da principio, cospirato per estromettermi dall’amministrazione. Mentre
facevo parte del governo, assistetti a una sola riunione del Consiglio. E quella
mi bastò. L’usciere che stava alla porta della Casa Bianca non sembrava molto
disposto a introdurmi, finché non gli ebbi chiesto se gli altri membri del
Consiglio erano arrivati. Rispose di sì, e io entrai. Erano tutti lì, ma
nessuno mi offrì una seggiola. Mi fissavano come se fossi un intruso. Il Presidente
disse:
«E voi, signore, chi siete?».
Gli porsi il mio biglietto da visita
ed egli lesse: «On. Mark
Twain, scrivano del Comitato Senatoriale di Conchiliologia». Poi mi squadrò da
capo a piedi, come se non mi avesse mai sentito nominare prima di allora. Il Ministro
del Tesoro disse:
«È quel somaro, quel rompiscatole che è venuto a
consigliarmi di mettere poesie e indovinelli nel bilancio, come se fosse un
almanacco».
Il Ministro della Guerra disse: «È quel visionario che è
stato da me ieri con il progetto di istruire a morte parte degli indiani e di
massacrarne il resto».
Il Ministro della Marina disse: «Riconosco in questo
giovanotto l’individuo che durante la settimana si è ripetutamente impicciato
degli affari miei. È preoccupato perché l’ammiraglio Farragut adopera tutta una
flotta per una gita di piacere, come lui la definisce. La sua proposta di una
certa insensata gita di piacere con una zattera è tanto assurda che non val la
pena di parlarne».
Io dissi: «Signori, scorgo qui una tendenza a gettare il
discredito su ogni atto della mia carriera politica; scorgo altresì una
tendenza a estromettermi dai Consigli della nazione. Oggi non mi è stato
inviato alcun avviso. È stato per un puro caso che ho appreso che ci sarebbe
stata una riunione del Consiglio. Ma sorvoliamo. Tutto ciò che desidero sapere
è: questa è una riunione del Consiglio o no?».
Il Presidente disse che lo era.
«Allora,» dissi, «passiamo immediatamente agli affari e non
perdiamo tempo prezioso in disdicevoli critiche delle nostre rispettive linee
di condotta politica.»
Il Presidente del Consiglio parlò
allora col suo tono benevolo, e disse: «Giovanotto,
voi siete vittima di un errore. Gli scrivani dei Comitati del Congresso non
sono membri del governo. E non lo sono neppure i portieri del Campidoglio, per
strano che ciò possa apparire. Quindi, per quanto noi possiamo desiderare la
vostra trascendente saggezza nelle nostre deliberazioni, non possiamo
legalmente avvalercene. Le assemblee della nazione dovranno procedere senza di
voi; se questo condurrà al disastro, come ben può avvenire, sia balsamo al
vostro spirito dolente il fatto che, con la parola e con l’azione, avete fatto
tutto quanto era in vostro potere per evitarlo. Abbiate la mia benedizione. Addio!».
Queste soavi parole placarono il mio animo sconvolto, e così
me ne andai. Ma i servi della nazione non hanno mai riposo. Avevo appena
raggiunto il mio stanzino al campidoglio, e posto i piedi sul tavolo come un
rappresentante del popolo, quando uno dei senatori del Comitato Conchiliologia
entrò furibondo e disse:
«Dove siete stato tutto il giorno?»
Osservai che, se la cosa poteva
interessare a qualcuno, oltre a me stesso, ero stato a una riunione del
Consiglio.
«A una riunione del Consiglio? Mi piacerebbe proprio sapere
che c’entrate voi con una riunione
del Consiglio.»
Dissi che c’ero stato per una
consultazione, ammesso e non concesso che la cosa lo riguardasse menomamente. Allora
lui diventò insolente, e finì col dire che mi cercava da tre giorni per farmi
copiare una relazione su guscioni, gusci d’uova, gusci d’ostrica e non che
altro connesso con la conchiliologia, e nessuno era riuscito a trovarmi.
Era troppo. Questa fu la goccia
che fece traboccare il vaso scritturale. Dissi: «Signore, credete che io mi metta a lavorare per sei dollari al giorno? Se avete queste idee,
permettetemi di consigliare al Comitato Senatoriale di Conchiliologia di
assumere qualcun altro. Io non sono schiavo di una fazione. Riprendetevi il
vostro degradante impiego. Datemi la libertà oppure la morte!».
Da quel momento non feci più parte del governo. Vilipeso dal
Ministero, vilipeso dal Consiglio, vilipeso alfine dal Presidente di un
comitato cui mi sforzavo di dar lustro, cedetti alla persecuzione, rigettai
lungi da me le seduzioni e i rischi della mia alta carica e, nell’ora del
periglio, abbandonai la patria sanguinante.
Ma avevo reso allo Stato certi servigi e mandai il conto:
STATI UNITI D’AMERICA
Dare all’On. Scrivano del
Comitato Senatoriale di conchiliologia, Dr. Mark Twain:
Per consultazione con il Ministro
della Marina……………………………… dollari
50
Per consultazione con il Ministro
della Guerra……………………………… » 50
Per consultazione con il Ministro
del Tesoro….……………………………. » 50
Per consultazione con la
Presidenza del Consiglio…………………………. (gratuita)
Per viaggi e spese per e da
Gerusalemme*, via Egitto, Algeri,
Gibilterra e Cadice, miglia
14.000 a cent. 20 al miglio………...................... »
2.800
Onorario di scrivano del Comitato
Senatoriale di Conchiliologia,
giorni 6 a dollari 6 al giorno…........................................................................… » 36
___________
Totale………………………………………....
dollari 2.986
*
I delegati del territorio mettono in conto i viaggi di andata e ritorno, anche
se, una volta arrivati, non tornano mai indietro. Perché a me vengano negati i
viaggi, proprio non riesco a capirlo
Non una sola voce di questo conto
mi è stata pagata, eccetto quella miseria di trentasei dollari come onorario di
scrivano. Il Ministro del Tesoro, perseguitandomi sino alla fine, cancellò con
un tratto di penna tutte le altre voci e annotò semplicemente in margine: «Non concesso». E così,
finalmente, la terribile alternativa è risolta. Il mio ripudio è cominciato! Il
paese è perduto. Per il momento, mi sono ritirato dalla vita pubblica. Restino pure
quegli scrivani che sono disposti a subire imposizioni. Ne conosco una quantità
nei vari ministeri, che non vengono mai informati di quando deve aver luogo una
seduta del Consiglio, e il cui parere sulla guerra, sulle finanze e sul
commercio non viene chiesto, quasi non facessero parte del governo, che stanno in ufficio, un giorno dopo l’altro, e
lavorano! Conoscono la propria importanza nei riguardi della nazione, e
inconsciamente lo dimostrano nel contegno, nel modo di ordinare il pranzo al
ristorante… ma lavorano. Ne conosco uno che deve appiccicare ogni sorta di
ritagli di giornali in un album… a volte fino a otto dieci ritagli al giorno. Non
lo fa bene, ma lo fa come meglio può. È un lavoro faticosissimo. Porta all’esaurimento
cerebrale. Eppure è pagato solo milleottocento dollari all’anno. Con un
cervello come il suo, quel giovanotto potrebbe ammucchiare migliaia e migliaia
di dollari, se volesse. Ma no, il suo cuore è tutto per la patria, ed egli la
servirà finché gli resterà un solo album di ritagli. E conosco scrivani che non
sanno scrivere tanto bene, ma che nobilmente depongono ai piedi della patria
tutto il sapere che posseggono, e sgobbano e soffrono per duemilacinquecento
dollari all’anno. A volte quello che scrivono deve essere riscritto da altri
scrivani, ma quando un uomo ha fatto del suo meglio per la patria, forse che la
patria dovrebbe lamentarsi? E poi ci sono impiegati che non hanno impiego e
aspettano aspettano aspettano che si faccia libero un posto… aspettano
pazientemente l’occasione di giovare alla patria, e, mentre aspettano,
ottengono, per tutta ricompensa, duemila dollari all’anno. È triste… è molto,
molto triste. Quando un membro del Congresso ha un amico di talento, ma non ha
a disposizione un impiego in cui le grandi capacità dell’amico si possano
esplicare, lo dona alla patria e gli dà un posto in un ministero. E là quell’uomo
deve faticare come uno schiavo per tutta la vita, lottare con una quantità di
documenti per il bene di un paese che non pensa mai a lui, che mai ha per lui
la minima comprensione… e tutto per due o tremila dollari all’anno. Quando avrò
completato la mia lista di tutti gli impieghi dei vari ministeri, con la nota
di quello che hanno da fare e di quello che guadagnano, vedrete che non c’è
neanche la metà degli impiegati che ci vorrebbero, e quelli che ci sono non
ricevono neanche la metà del salario che gli spetta.
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