La prima parte di questo
meraviglioso racconto comprende il diario di Adamo: senza indicazioni temporali
precise (a parte i giorni della settimana, o gli anni che passano), Adamo
cresce nel Parco delle Cascate del Niagara, un po’ selvatico, un po’
sperimentatore, incapace comunque di capire chi è Eva e da dove vengono i
figli: quei “cosi” a cui mettere la museruola e che fanno tanto rumore. Solo alla
fine, dopo anni di vita in comune, Adamo riuscirà ad ammettere che gli
dispiacerebbe vivere senza la sua compagna, che all’inizio gli sembrava tanto
chiacchierona, un po’ vanesia, molto pazza.
Parte prima – Dal diario di Adamo
(passi scelti)
Lunedì
Questo nuovo animale dai capelli
lunghi comincia a scocciarmi. Ciondola da per tutto e mi segue ovunque. Non mi
piace, non sono abituato ad aver compagnia. Vorrei che se ne stesse con le
altre bestie… Oggi è nuvoloso, c’è vento di levante. Probabili piogge, qui da
noi… Noi? Dove ho pescato questa
parola? Ora ricordo: il nuovo animale ne fa uso.
Martedì
Ho esaminato la grande cascata. È
la cosa più bella di tutta la proprietà, penso. Il nuovo animale la chiama
Cascate del Niagara: perché poi, non lo so. Dice che hanno l’aria delle Cascate del Niagara. Questa non è una ragione; è
pura ostinazione e imbecillità. Non ho alcuna possibilità di dare io stesso un
nome alle cose. Il nuovo animale ne dà uno a tutto ciò che si incontra, prima
ancora che io abbia il tempo di protestare, e sempre con lo stesso pretesto: ha l’aria di quella cosa. C’è il dronte,
ad esempio. Dice che appena uno lo guarda, così, dopo una sola occhiata, vede
che «ha l’aria di un
dronte». E lui dovrà tenersi quel nome, senza dubbio. Mi scoccia
irritarmi per questa cosa, comunque non importa. Dronte! Ha l’aria di un dronte
come ce l’ho io!
Mercoledì
Mi sono costruito un riparo
contro la pioggia, ma non l’ho potuto avere tutto per me. Il nuovo animale ci è
entrato, naturalmente senza permesso. Quando ho tentato di cacciarlo fuori, ha
versato acqua dai fori con cui guarda e poi se l’è asciugata col dorso delle
zampe e ha fatto un rumore come fanno gli altri animali quando sono in
difficoltà. Vorrei che non sapesse parlare; parla sempre, sempre. Questo
potrebbe apparire un meschino insulto, un’accusa contro il povero animale, ma
non è così. Non avevo mai sentito prima la voce umana e ogni suono nuovo e
strano che rompe il silenzio solenne di questa sognante solitudine offende le
mie orecchie e mi sembra una nota falsa. E questo suono nuovo è così vicino, è
proprio alle mie spalle, vicino alle mie orecchie, prima da un lato poi
dall’altro e io sono abituato soltanto a suoni che sono più o meno distanti.
Venerdì
Per quanto mi sforzi di
impedirla, questa faccenda di dare nomi va avanti ininterrottamente. Avevo
trovato un gran bel nome per la proprietà, musicale e grazioso: «GIARDINO DELL’EDEN». In privato continuo a chiamarlo
così, ma non posso più farlo in pubblico. Il nuovo animale dice che è tutto
boschi e rocce e vedute panoramiche e perciò non ha affatto l’aria di un
giardino. Dice che ha l’aria di un
parco e che non somiglia a nient’altro che a un parco. Di conseguenza, senza
consultarmi, è stato rinominato «PARCO
DELLE CASCATE DEL NIAGARA».
E per me questo è proprio una prepotenza. E già c’è un cartello: “Si prega di
non calpestare l’erba”. La mia vita non è più felice come una volta.
Sabato
Il nuovo animale mangia troppa
frutta. Tra un po’, con ogni probabilità, noi
esauriremo le scorte. Ancora quel “noi”; è una parola sua; anche mia, adesso, a forza di sentirla così spesso. Un bel po’
di nebbia, stamani. Per conto mio, con la nebbia non esco. Il nuovo animale sì.
Esce con qualsiasi tempo e poi ti piomba dentro con i piedi pieni di fango. E
parla. Prima questo posto era così piacevole e tranquillo.
Domenica
È passata, finalmente. Questo
giorno sta diventando sempre più insopportabile. Era stato scelto e messo da
parte lo scorso Novembre come giorno di riposo. Già ne avevo sei alla
settimana, prima. Stamani ho trovato l’animale che provava a far cadere a colpi
di zolla le mele dall’albero proibito.
Lunedì
Il nuovo animale dice che il suo
nome è Eva. Va bene, non ho niente in contrario. Esso dice che serve per
chiamarlo, quando voglio che venga. Gli ho risposto che allora è superfluo. La
parola evidentemente mi ha fatto crescere nella sua considerazione ed è
certamente una parola tonda e piena e si presta ad essere ripetuta. Esso dice
che non è un esso ma una lei. Avrei qualche dubbio, comunque per
me fa lo stesso, cosa lei sia mi sarebbe indifferente se stesse per conto suo e
non parlasse.
Martedì
Lei ha disseminato l’intera
proprietà di nomi esecrabili e scritte offensive:
Di
qua per il gorgo
Da
questa parte per l’isola delle Capre.
AlLa
caverna dei venti: da questa parte.
Lei dice che questo parco sarebbe
un bel posticino di villeggiatura, se ci fosse una tassa d’ingresso. Posticino
di villeggiatura… un’altra delle sue invenzioni – solo parole, senza
significato. Che cos’è un posticino di villeggiatura? Ma è meglio non
chiederglielo, è così fanatica nel dare spiegazioni.
Venerdì
Ha cominciato a supplicarmi di smettere
di saltar giù dalle Cascate. Chissà poi perché. L’ho sempre fatto: il tuffo e
l’eccitazione e il senso di fresco… mi sono sempre piaciute queste cose.
Pensavo che le Cascate ci fossero proprio per questo. Non se ne può fare altro
uso, mi sembra, e devono esser state fatte per qualcosa. Lei dice che sono state
fatte solo per scenografia: come il rinoceronte e il mastodonte. Sono saltato
giù dalle cascate in un barile – ma non le andava bene. Ci sono andato giù in
una botte – non andava bene neppure così. Ho nuotato nel gorgo e nelle rapide
col costume di foglia di fico. Si è danneggiato parecchio. Per cui, noiose
lamentele per la mia stravaganza. Qui mi si ostacola in tutto. Quello che mi ci
vuole è cambiare aria.
Sabato
Lo scorso Martedì notte sono
scappato; ho camminato per due giorni, mi sono costruito un altro rifugio, in
un luogo nascosto, ed ho cancellato le mie tracce meglio che ho potuto, ma lei
mi ha dato la caccia grazie a una bestia che ha addomesticato e che chiama
lupo, ed è arrivata facendo ancora quel rumore lamentoso e buttando fuori acqua
da quelle cose che usa per guardare. Sono stato costretto a tornare con lei, ma
tra un po’ scapperò ancora, non appena se ne presenterà l’occasione. Lei si è
messa a fare un sacco di cose stupide: tra le altre, a cercare di capire perché
gli animali chiamati leoni e tigri vivono di erba e fiori mentre, così dice
lei, il tipo di dentatura che hanno mostra che dovrebbero mangiarsi l’un
l’altro. Questa è una cosa stupida, perché per far ciò dovrebbero ammazzarsi a
vicenda e questo introdurrebbe quello che, a quanto mi risulta, è chiamato
“morte” e la morte, come mi è stato detto, non è ancora entrata nel Parco. Il
che, da un certo punto di vista, è un peccato.
Domenica
È passata, finalmente.
Lunedì
Credo di aver capito a cosa serve
la settimana: per dare il tempo di riposarsi dalle fatiche della domenica.
Sembra una buona idea… Lei si è nuovamente arrampicata su quell’albero. L’ho
fatta scendere a sassate. Lei ha detto che non c’era nessuno che la vedeva.
Sembra considerare questo una giustificazione sufficiente per provare qualunque
tipo di cosa pericolosa. Gliel’ho detto. La parola ‘giustificazione’ ha
suscitato la sua ammirazione: e anche invidia, mi è sembrato. È una bella
parola.
Giovedì
Lei mi ha detto che è stata fatta
da una costola presa dal mio corpo. Questo è per lo meno dubbio, a dir poco. Io
non mi sono accorto che mi mancasse alcuna costola… Ha dei problemi
coll’avvoltoio; dice che l’erba gli fa male, ha paura di non riuscire ad allevarlo,
pensa che sia stato fatto per vivere di carne decomposta. L’avvoltoio deve
cavarsela come può con quello che gli viene dato. Non possiamo rivoltare
l’intero schema per accontentare l’avvoltoio.
Sabato
Ieri è caduta nello stagno mentre
si stava specchiando, cosa che fa di continuo. Si è quasi soffocata e dice che
è stato molto sgradevole. Questo l’ha fatta soffrire per le creature che vivono
lì dentro, che lei chiama pesci, perché continua ad affibbiare nomi alle cose
che non ne hanno bisogno e che non ti ubbidiscono quando le chiami, il che non
la preoccupa affatto, visto che comunque è una tale zuccona; e allora ne ha
tirato fuori un mucchio ieri sera e li ha messi nel mio letto per tenerli
caldi, li ho osservati di quando in quando durante il giorno e non posso dire
che siano più contenti lì di quanto lo fossero prima: solo sono più tranquilli.
Appena cala la sera, li butterò fuori. Non dormirò ancora una volta con loro: li
trovo freddi, mollicci e sgradevoli da sdraiarcisi in mezzo quando uno non ha
nulla addosso.
Domenica
È passata, finalmente.
Martedì
Adesso si è messa con un
serpente. Gli altri animali sono contenti, perché faceva sempre degli
esperimenti con loro e li infastidiva; anch’io ne sono contento, perché il
serpente parla e questo mi dà un po’di tregua.
Venerdì
Lei dice che il serpente le
consiglia di provare i frutti di quell’albero e dice che il risultato sarà una
grande e bella e nobile conoscenza. Io le ho detto che ci sarebbe anche un
altro risultato: avrebbe fatto entrare la morte nel mondo. È stato un errore:
sarebbe stato meglio che mi fossi tenuto il commento per me. Le ha solo
suggerito un’idea: potrebbe salvare l’avvoltoio malato e dare carne fresca ai leoni
e alle tigri depresse. Io l’ho avvertita di tenersi lontana da quell’albero. Mi
ha detto che non lo avrebbe fatto. Prevedo guai. Me ne andrò via.
Mercoledì
Ho avuto un periodo di tempo ad
alti e bassi. L’altra notte sono fuggito, ho cavalcato un cavallo per tutta la
notte alla massima velocità a cui poteva andare, nella speranza di andarmene
dal Parco e nascondermi in qualche altro posto prima che cominciassero i guai;
ma non ce l’ho fatta. Un’ora circa dopo il levar del sole, mentre stavo
cavalcando in una piana fiorita dove migliaia di animali pascolavano,
sonnecchiavano o giocavano l’uno con l’altro secondo il loro estro,
all’improvviso scoppiò una tempesta e in un attimo la piana fu in un’agitazione
folle e ciascun animale prese ad assalire il proprio vicino. Sapevo cosa voleva
dire. Eva aveva mangiato il frutto e la morte aveva fatto il suo ingresso nel
mondo… Le tigri divorarono il mio cavallo, senza prestarmi attenzione quando
ordinai loro di smettere, e avrebbero mangiato anche me se fossi rimasto lì,
cosa che non feci, perché scappai precipitosamente… Poi ho trovato questo
posto, fuori dal Parco, ed è stato abbastanza confortevole per qualche giorno,
ma lei mi ha scovato. Mi ha scovato e ha dato il nome di Tonawanda al luogo,
dice che gli somiglia proprio. Di fatto non mi è dispiaciuto il suo arrivo,
perché qui di frutta da mangiare ce n’è proprio pochina, e lei ha portato un
po’ di quelle mele. Ho dovuto mangiarne, ero così affamato. È stato contro i
miei principi, ma ho scoperto che i principi sono veramente forti solo quando
uno è a stomaco pieno… Lei è arrivata tutta coperta di rami e foglie e quando
le ho chiesto cosa significasse quella sciocchezza e glieli ho tolti
strappandoli via, lei ha ridacchiato nervosa ed è arrossita. Non avevo mai
visto nessuno ridacchiare e arrossire prima d’ora e mi è sembrata una cosa
sconveniente e idiota. Lei mi ha detto che avrei capito presto da solo cosa
voleva dire. Aveva ragione. Pure affamato com’ero, misi giù la mela mangiata
solo a metà – certo la migliore che avessi mai visto, considerando lo stato
avanzato della stagione - e mi coprii di rami e ramoscelli che avevo buttati
via e mi rivolsi a lei con severità e le ordinai di andarne a prendere degli
altri e di smettere di dare di sé stessa uno spettacolo simile. Lei ubbidì,
dopo di che avanzammo quatti, quatti dove c’era stata la battaglia fra le
bestie feroci, ci procurammo delle pelli e le feci realizzare un paio di abiti
adatti per le occasioni solenni. Sono scomodi, è vero, ma sono decorosi, e
questo è quello che importa per i vestiti. Trovo che lei sia una buona
compagna. Mi rendo conto che sarei triste e depresso senza di lei ora che ho
perso la mia proprietà. Un’altra cosa: lei dice che ci è stato ordinato di
lavorare per vivere d’ora in poi. Lei sarà utile. Io sovrintenderò ai lavori.
Dieci giorni dopo
Lei accusa me di essere la causa del nostro disastro! Dice, apparentemente
convinta e sincera, che il Serpente l’aveva assicurata che le castagne, e non
le mele, erano il frutto proibito. Le ho detto che io allora ero innocente
perché non avevo mangiato castagne. Lei mi ha detto che il Serpente l’aveva
informata che “castagna” era un termine figurato che indica un vecchio scherzo
ammuffito. A sentir ciò sono impallidito, perché ho fatto diversi scherzi per
passare il tempo, e qualcuno sarebbe potuto essere di quel tipo, anche se
onestamente avevo creduto che fossero nuovi quando li avevo fatti. Lei mi ha
chiesto se ne avevo fatto uno proprio nel momento della catastrofe. Sono stato
costretto ad ammettere che ne avevo fatto uno per me stesso, anche se non ad
alta voce. Era questo. Pensavo alle Cascate e mi ero detto: “Come è bello
vedere quella gran massa d’acqua rovinare giù”. Poi in un secondo mi era
passato per la testa un pensiero e lo avevo lasciato librare, dicendo “Sarebbe
parecchio più spettacolare vederla rovinare su” e mi stavo quasi ammazzando
dalle risate, quando tutta la natura si lasciò andare a guerra e morte e
dovetti cercar scampo per sopravvivere. «Ecco» disse lei, trionfante «è proprio questo, il
Serpente ha citato proprio questa battuta, e l’ha chiamata la Prima Castagna e
ha detto che aveva la stessa età della creazione». Ahimè, sono proprio da biasimare. Se solo non
fossi stato spiritoso, oh, se solo non avessi avuto quel pensiero brillante!
Un anno dopo
Il «coso»
lo abbiamo chiamato Caino. Lei lo ha preso mentre io ero a metter trappole
sulle sponde settentrionali dell’Erie; lo ha preso nel boschetto un paio di
miglia dalla nostra spelonca, o forse saranno state quattro, lei non ne è
sicura. In qualche modo il «coso» somiglia a noi, e
potrebbe essere un nostro parente. Questo è quello che pensa lei, ma secondo me
si sbaglia. La differenza di dimensioni avvalora la conclusione che sia un tipo
di animale nuovo e diverso – un pesce, forse, anche se quando l’ho messo
nell’acqua per verificare, è affondato e lei si è tuffata e lo ha afferrato
prima che ci fosse l’opportunità che l’esperimento determinasse la cosa. Io
continuo a pensare che sia un pesce, ma lei è indifferente a cosa sia e non mi
lascia fare delle prove. Questo non lo capisco. L’arrivo della creatura sembra
aver cambiato tutto il suo modo di essere e l’ha resa irragionevole riguardo
agli esperimenti. Si occupa più di lui che degli altri animali, ma non sa
spiegare il perché. Ha la testa confusa, tutto lo dimostra. Qualche volta tiene
il pesce in braccio per mezza nottata, quando quello si lamenta e vuole andare
in acqua. In questi casi le esce acqua dai buchi che le servono per guardare,
dà dei colpetti sulla schiena al pesce e fa dei suoni con la bocca per
attirarne l’attenzione e rivela dispiacere e sollecitudine in cento modi. Non
l’ho mai vista fare così per un altro pesce e questo mi preoccupa molto. Aveva
l’abitudine di portare in giro le giovani tigri e ci giocava, prima che
perdessimo la nostra proprietà; ma era solo un gioco; non si preoccupava così
per loro quando non digerivano.
Domenica
Lei non lavora di domenica, ma
ciondola in giro e le piace che il pesce le si rotoli addosso, e fa un sacco di
rumori per divertirlo e fa finta di prendergli a morsi le zampe, cosa che lo fa
ridere. Non avevo mai visto prima d’ora un pesce che sapesse ridere. Mi vengono
dei dubbi… SAnche a me comincia a piacere la domenica: sovrintendere ai lavori tutta
la settimana stanca un bel po’! Ci dovrebbero essere più domeniche. Ai vecchi
tempi erano noiose, ma ora sono proprio comode.
Mercoledì
Non è un pesce. Non riesco
proprio a capire cosa sia. Fa dei curiosi rumori diabolici quando non è
soddisfatto e dice «guuguu» quando lo è. Non è uno
di noi, perché non cammina; non è un uccello, perché non vola; non è un rospo,
perché non salta; non è un serpente, perché non striscia; sono sicuro che non
sia un pesce, anche se non posso scoprire se nuoti o no. Se ne sta da una
parte, soprattutto sulla schiena, con i piedi all’insù. Non ho visto prima nessun
animale fare così. Le ho detto che credo che sia un enigma, ma lei è solo
rimasta ammirata dalla parola senza capirne il significato. A parer mio o è un
enigma o un imbroglio di non so che genere. Se muore, lo sezionerò per vedere
come sono fatti i vari pezzi. Non ho mai incontrato una cosa che mi lasciasse
così perplesso.
Tre mesi dopo
La perplessità aumenta invece di
diminuire. Dormo pochissimo. Il «coso» ha smesso di starsene
sdraiato e adesso se ne va in giro a quattro zampe. E tuttavia è diverso dagli
altri animali a quattro zampe per il fatto che le zampe anteriori sono
insolitamente corte e di conseguenza questo fa sì che la maggior parte della
sua persona si erga per aria in maniera scomoda e non è bello da vedere. È
fatto in gran parte come noi, ma il suo modo di spostarsi indica che non è
della nostra razza. Le corte zampe anteriori e le posteriori lunghe indicano
che è della famiglia dei canguri, ma è una notevole variante della specie, dato
che i canguri saltano mentre questo non lo fa mai. E tuttavia è una varietà
curiosa e interessante, che non è stata catalogata prima. Dato che l’ho
scoperto io, mi sono sentito giustificato nell’assicurarmi il riconoscimento
della scoperta, associando il mio nome al suo, per cui l’ho chiamato Cangurum Adamiense… Doveva essere un
esemplare giovane quando è arrivato, perché da allora è cresciuto notevolmente.
È cinque volte più grande adesso di quanto era all’inizio e quando è scontento
è capace di fare da ventidue a trentotto volte più rumore di quanto ne faceva all’inizio.
Le maniere forti non modificano il fenomeno ma ottengono l’effetto contrario.
Per questo motivo ho smesso di applicarle. Lei lo riconcilia con la persuasione
e dandogli le cose che (mi aveva detto in precedenza) non gli avrebbe mai dato.
Come ho già osservato, non ero a casa quando il «coso»
è arrivato e lei mi ha detto di averlo trovato nel bosco. Sembra strano che sia
l’unico esemplare, ma tuttavia deve essere così perché mi sono dato un bel da
fare in tutte le settimane passate cercandone un altro da aggiungere alla mia
collezione e per farlo giocare con questo qui, perché di sicuro allora sarebbe
più tranquillo e sarebbe più facile addomesticarlo. Ma non ne ho trovato alcuno,
né resti di alcuno e, ancor più strano, neanche alcuna traccia. Deve vivere per
terra, non può alzarsi; perciò, come se la può cavare senza lasciare nemmeno
una traccia? Ho messo una dozzina di trappole, ma senza risultato. Ho catturato
ogni tipo di animale di piccola taglia eccetto quello; animali che cadono in
trappola per semplice curiosità, penso, per vedere che ci fa il latte lì dentro.
Non lo hanno mai bevuto.
Tre mesi dopo
Il canguro continua a crescere,
cosa strana che mi lascia perplesso. Non ne ho mai visto uno che ci mettesse
tanto a crescere. Adesso ha del pelo sulla testa, non come quello del canguro
ma esattamente come i nostri capelli, con la sola differenza che è molto più
sottile e soffice e invece di essere nero è rosso. Penso che diventerò pazzo
sullo sviluppo capriccioso e tormentato di questa inclassificabile anomalia
zoologica. Se solo potessi prenderne un altro! Ma non c’è speranza; è una nuova
varietà ed è l’unico esemplare, è ovvio. Però ho catturato un vero canguro e l’ho
portato a casa, considerando che questo, essendo solo, avrebbe gradito la
compagnia di lui piuttosto che nessuno dei suoi simili, o di un qualche animale
di cui potesse sentire la vicinanza, o simpatizzare nella sua condizione di
solitario qui tra stranieri che non conoscono i suoi usi e le sue abitudini o
cosa fare per farlo sentire tra amici; ma è stato un errore. Alla vista del
canguro è andato in tali attacchi isterici, che mi ha convinto che non ne aveva
mai visto uno prima. Mi dispiace per il rumoroso animaletto, ma non c’è niente
che possa fare per farlo contento. Se potessi addomesticarlo… ma questo è fuori
questione, più ci provo e peggio ci riesco. Mi fa male al cuore vederlo nelle
sue piccole tempeste di sofferenza e collera. Volevo lasciarlo andar via, ma
lei non ne ha voluto sentir parlare. Mi è sembrato crudele e non da lei, ma
forse può aver ragione. Sarà più solo che mai perché se io stesso non riesco a
trovarne un altro, come potrà trovarlo lui?
Cinque mesi dopo
Non è un canguro. No, perché si
tiene in piedi attaccandosi al dito di lei e in questa maniera percorre qualche
passo sulle zampe posteriori e poi casca giù. Probabilmente è un qualche tipo
di orso, e tuttavia non ha la coda – per ora – e neppure il pelo, eccetto che
sulla testa. Continua a crescere e questa è una circostanza curiosa perché gli
orsi si sviluppano prima di quanto non faccia lui. Gli orsi sono pericolosi –
da dopo la nostra catastrofe – e non permetterò per molto tempo ancora che
questo qui continui a girare attorno senza museruola. Le ho proposto di tenerci
il canguro, a patto che lei mandasse via questo, ma non è servito: penso che
lei sia determinata a farci correre qualunque tipo di stupido rischio. Non era
così prima di perdere il senno.
Due settimane dopo
Ho esaminato la bocca del «coso». Non c’è ancora alcun
pericolo: ha solo un dente. E poi non ha ancora la coda. Adesso fa più rumore
di quanto ne facesse prima, soprattutto di notte. Ho traslocato, ma tornerò, di
mattina, per la colazione e per vedere se ha altri denti. Se mette su una bocca
piena di denti, sarà tempo che se ne vada, coda o non coda, perché un orso non
ha bisogno della coda per essere pericoloso.
Quattro mesi dopo
Sono stato fuori un mese a caccia
e a pesca, nella regione che lei chiama Buffalo; non so perché, a meno che non
sia perché là non ci sono bufali per niente. Nel frattempo l’orso ha imparato a
zampettare in giro da solo, reggendosi sulle zampe di dietro, e dice “pa-pa” e
“ma-ma”. Di sicuro è una nuova specie. Questa somiglianza delle parole può,
certo, essere solo casuale, e può non aver alcun significato, ma anche in
questo caso è straordinario ed è una cosa che nessun altro orso sa fare. Questa
imitazione del linguaggio, insieme alla generale assenza di pelo e alla totale
assenza di una coda, indica che si tratta di un nuovo tipo di orso. Gli studi
successivi su di lui saranno eccezionalmente interessanti. Nel frattempo me ne
andrò in una spedizione lontana tra le foreste del Nord e farò esaurienti
ricerche. Ce ne deve essere certamente un altro da qualche parte e questo qui
sarà meno pericoloso quando avrà un compagno della sua specie. Me ne andrò
immediatamente, ma prima metterò la museruola a questo.
Tre mesi dopo
È stata una caccia estenuante e
non ho avuto successo. Nel frattempo, senza muoversi da casa, lei ne ha
catturato un altro! Non ho mai visto una fortuna simile. Avrei potuto battere
questi boschi per cento anni e non mi sarei mai imbattuto in questa cosa.
Il giorno dopo
Ho confrontato il «coso» nuovo con quello
vecchio, ed è perfettamente chiaro che sono della stessa razza. Volevo imbalsamarne
uno per la mia collezione, ma lei non vuole, non so per quale motivo. Così ho
abbandonato l’idea, anche se penso che sia un errore. Sarebbe una perdita
irreparabile per la scienza se dovessero scomparire. Quello vecchio è più
domestico di prima e sa ridere e parlare come il pappagallo; questo,
indubbiamente, in quanto sta sempre insieme al pappagallo ed ha sviluppato in
sommo grado la facoltà di emulazione. Mi meraviglierei se fosse una nuova
specie di pappagallo, ma non devo meravigliarmi perché è stato già qualsiasi
altra cosa si potesse pensare, da quei primi giorni in cui era un pesce. Il «coso» nuovo è sgradevole ora
come lo era un tempo l’altro, ha la stessa carnagione tra il giallo-zolfo e il
rosso-carne-cruda e la stessa testa curiosa senza pelo. Lei lo chiama Abele.
Dieci anni dopo
Sono bambini: lo abbiamo scoperto
parecchio tempo fa. È stata la loro comparsa in quella forma piccola e immatura
che ci ha confuso; non c’eravamo abituati. Adesso ci sono anche delle bambine.
Abele è un bravo figliolo; ma se Caino fosse rimasto un orso, sarebbe stato
meglio. Dopo tutti questi anni, mi rendo conto che all’inizio mi ero sbagliato
nei confronti di Eva; è meglio vivere fuori dal Giardino con lei, che dentro
senza di lei. Da principio pensavo che lei parlasse troppo; ma adesso mi
dispiacerebbe sentire ammutolire quella voce e vederla uscire dalla mia vita.
Benedetta sia la “castagna” che ci ha uniti e mi ha fatto conoscere la bontà
del suo cuore e la dolcezza del suo spirito.
Masolino da Panicale, Tentazione di Adamo ed Eva (1424-25 circa,
Firenze, Chiesa di Santa Maria del Carmine)
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