domenica 26 marzo 2017

65 Storia del ragazzino buono (di Mark Twain)




Scritto intorno al 1865, questo racconto, come quello del ragazzino cattivo, rovescia la prospettiva comune sui ragazzi buoni, che non sono così fortunati come si legge nei libri della scuola domenicale; al protagonista vanno tutte storte, fino alla fine
Segue l’edizione originale del racconto.

C'era una volta un ragazzino buono che si chiamava Giacobbe Blivens. Obbediva sempre ai suoi genitori, per quanto assurde e irragionevoli fossero le loro pretese, e imparava sempre la lezione e non arrivava mai in ritardo alla scuola domenicale. Non giocava mai a boccette, nemmeno quando il suo naturale buonsenso gli diceva che era la cosa più redditizia che potesse fare. Nessuno degli altri ragazzi riusciva a vederci chiaro, in questo ragazzo: si comportava in modo tanto strano. Non diceva bugie, per conveniente che fosse; diceva che era male dire bugie, e questo gli bastava. Ed era così onesto da sembrare semplicemente ridicolo. Il curioso modo di fare di quel Giacobbe passava il segno. Non giocava a palline la domenica, non rubava i nidi, non dava monete rese roventi dal fuoco alle scimmie dei suonatori di organetto; non sembrava interessarsi a nessun genere di passatempo razionale. Perciò gli altri ragazzi ne parlavano fra loro, e cercavano di capirlo, ma non riuscivano a giungere a nessuna conclusione soddisfacente. Come ho già detto, potevano soltanto immaginarsi, vagamente, che fosse "infelice", e così lo avevano preso sotto la loro protezione, e non permettevano mai che gli capitasse qualcosa di male.
Questo ragazzino buono leggeva tutti i libri della scuola domenicale; erano il suo maggior divertimento. Il segreto era tutto lì. Credeva ai bambini buoni che si trovano nei libri della scuola domenicale; aveva in loro la massima fiducia. Aveva una gran voglia di incontrarne uno vivo, una volta o l'altra; ma non gli capitava mai: forse erano tutti morti prima che lui venisse al mondo. Ogni volta che leggeva la storia di un ragazzino particolarmente buono, girava in fretta le pagine per vedere come andava a finire, perché avrebbe voluto viaggiare per migliaia di miglia, pur di poterlo vedere; ma era inutile; quel ragazzino buono moriva sempre all'ultimo capitolo, e c'era la figura del funerale con tutti i parenti e tutti i bambini della scuola domenicale in piedi intorno alla fossa, con calzoni troppo corti e berretti troppo grandi, e tutti che piangevano dentro certi fazzolettoni di almeno un metro e mezzo di stoffa. Ogni volta la stessa delusione. Non riusciva mai a vedere uno di quei ragazzini buoni, dato che morivano sempre all'ultimo capitolo.
Giacobbe aveva la nobile ambizione di essere messo in un libro della scuola domenicale. Desiderava esserci messo con le figure che lo rappresentassero nell'azione gloriosa di rifiutare di dire una bugia alla mamma, e lei che piangeva di gioia; e figure che lo rappresentassero in piedi sulla soglia di casa mentre dava un soldino a una povera mendicante con sei bambini, e le diceva di spenderlo con larghezza ma non con prodigalità, perché la prodigalità è peccato; e figure in cui rifiutava con magnanimità di denunciare il ragazzino cattivo che lo aspettava sempre in agguato dietro l'angolo, quando tornava da scuola, e gli dava colpi sulla testa col righello, e poi lo rincorreva fino a casa, facendo: "Ih, ih!", mentre camminava. Questa era l'ambizione del giovane Giacobbe Blivens. Voleva essere messo in un libro della scuola domenicale. Qualche volta si sentiva un po' a disagio a pensare che i ragazzini buoni morivano sempre: gli piaceva vivere, capirete, e quella era la cosa più sgradevole dell'essere un ragazzino di un libro della scuola domenicale. Sapeva che essere buoni non fa bene alla salute; sapeva che essere troppo buoni come i ragazzini dei libri era più fatale del mal sottile, sapeva che nessuno di loro era mai riuscito a resistere a lungo, e lo addolorava il pensiero che, se lo avessero messo in un libro, non l'avrebbe mai visto; e che, anche se fossero riusciti a pubblicarlo prima della sua morte, il libro non sarebbe stato popolare, senza in fondo la figura del suo funerale. Non sarebbe stato un gran che, un libro della scuola domenicale che non fosse in grado di riportare i consigli da lui dati alla comunità, in punto di morte. Così, alla fine, si dovette decidere, naturalmente, a fare del suo meglio, date le circostanze: vivere virtuosamente e tirare in lungo il più possibile, e tenere pronto il suo discorso funebre per quando fosse suonata la sua ora. Ma, chi sa perché, a questo ragazzino buono non ne andava mai bene una. Mai niente gli riusciva come riusciva ai ragazzini buoni dei libri. Questi se la passavano sempre allegramente, e erano i ragazzini cattivi a rompersi le gambe; ma nel caso suo ci doveva essere qualche ingranaggio fuori posto da qualche parte, e gli capitava proprio tutto l'opposto. Quando trovò Jim Blake che rubava le mele, e andò sotto l'albero per leggergli la storia del ragazzino cattivo che cadde dal melo del vicino e si ruppe un braccio, Jim cadde, sì, giù dall'albero, ma cadde addosso a lui e ruppe il braccio a lui, e Jim non si fece proprio niente. Giacobbe non riusciva a farsene una ragione. Nei libri non c'era niente di simile.
E una volta che certi ragazzini spingevano nel fango un povero cieco, e Giacobbe accorse per aiutarlo e riceverne la benedizione, il cieco non lo benedisse proprio per niente, ma gli diede una gran botta sulla capoccia con il bastone e disse che ci si provasse un'altra volta a dargli le spinte e poi a fare finta di aiutarlo. Questo non concordava con nessun libro. Giacobbe li rilesse tutti per controllare.
Una delle cose che Giacobbe voleva era di trovare un cane zoppo e randagio, affamato e perseguitato, e portarselo a casa e coccolarlo e ottenerne eterna gratitudine. E finalmente ne trovò uno e ne fu tutto contento, e se lo portò a casa e lo nutrì, ma quando andò per coccolarlo, il cane gli si avventò contro e gli strappò di dosso tutti i vestiti, meno quelli che aveva davanti, e fece di lui uno spettacolo strabiliante. Consultò i testi più autorevoli, ma non riuscì a spiegare la cosa. Era della stessa razza dei cani che si trovano nei libri, ma si comportava in modo molto diverso. Qualsiasi cosa facesse, questo ragazzo era sempre nei guai. Le stesse cose per le quali i ragazzi dei libri erano ricompensati risultavano essere le cose meno redditizie nelle quali potesse investire il suo capitale.
Una volta, mentre andava alla scuola domenicale, vide certi ragazzini cattivi che partivano in barca a vela per una gita di piacere. Ne fu preoccupatissimo, perché dalle sue letture aveva imparato che i ragazzi che vanno in barca la domenica immancabilmente annegano. Perciò si precipitò su di una zattera per avvisarli, ma uno dei tronchi gli rotolò sotto i piedi e piombò nel fiume. Un uomo lo ripescò abbastanza presto, e il dottore gli pompò fuori l'acqua e poi gli rimise in moto i polmoni, ma aveva preso freddo e stette a letto malato per nove settimane. La cosa più inspiegabile di tutta quanta la faccenda fu però che i ragazzini cattivi con la barca se la spassarono per tutto il giorno e poi arrivarono a casa vivi e vegeti, proprio in maniera sorprendente. Giacobbe Blivens disse che non c'era niente di simile nei libri. Era addirittura ammutolito.
Quando si fu rimesso, era un po' scoraggiato, ma decise di continuare a provare lo stesso. Sapeva che le esperienze fatte fino ad allora non erano quello che ci voleva per andare a finire in un libro, ma, siccome non aveva ancora raggiunto il limite di vita assegnato ai ragazzini buoni, sperava di potere ancora compiere una qualche impresa, se fosse riuscito a tenere duro fino alla scadenza del suo termine. Se poi gli fosse mancato tutto il resto, avrebbe sempre potuto ricorrere al suo discorso in punto di morte.
Consultò i testi autorevoli e ci scoprì che ormai era giunto per lui il momento di andare in mare come mozzo. Andò a trovare il capitano di una nave e fece la sua domanda e, quando il capitano gli chiese i certificati, tirò fuori con orgoglio un libro premio e indicò le parole: "A Giacobbe Blivens, il suo affezionato maestro". Ma il capitano era un uomo rozzo e volgare e disse: - Oh mannaggia al libro! Quello non dimostrava che lui sapesse lavare i piatti e maneggiare il secchio dell'acqua sporca e gli sembrava di capire che non aveva bisogno di lui. Questa fu, decisamente, la cosa più straordinaria che fosse mai successa a Giacobbe in vita sua. Il complimento di un insegnante su di un libro premio non aveva mai mancato di risvegliare le più dolci emozioni dei capitani di lungo corso e di aprire la strada a tutte le cariche onorifiche e redditizie della professione... mai, in nessuno dei libri che aveva letto. Non poteva credere ai propri orecchi.
Questo ragazzino ebbe sempre la vita difficile. Non gli succedeva mai niente che concordasse coi testi autorevoli. Alla fine, un giorno, mentre era a caccia di ragazzini cattivi da ammonire, ne trovò un mucchio nella vecchia fonderia, intenti a fare uno scherzetto a quattordici o quindici cani che avevano legato insieme in lunga processione e che stavano per ornare con delle latte vuote di nitroglicerina legate strette alle loro code.
Giacobbe si sentì toccare il cuore. Si mise a sedere su una delle latte (non badava alle macchie d'unto, quando si trattava del dovere) e, afferrato il primo cane della fila per il collare, rivolse lo sguardo carico di rimprovero sul malvagio Tom Jones. Proprio in quel momento però entrò, pieno d'ira, il segretario comunale, McWelter. Tutti i ragazzi cattivi scapparono, ma Giacobbe Blivens, conscio della propria innocenza, si alzò e cominciò uno di quei solenni discorsetti da libro di scuola domenicale che cominciano: "Oh, signore!", in assoluto disaccordo col fatto che nessun ragazzo, buono o cattivo che sia, comincia mai un'osservazione con un: "Oh, signore!". Ma il segretario comunale non aspettò di sentire il resto. Prese Giacobbe Blivens per un orecchio, gli fece fare un mezzo giro e gli allungò una sculacciata nella retroguardia; e, in un attimo, quel ragazzino buono schizzò come un proiettile attraverso il tetto e volteggiò verso il sole con dietro i frammenti dei quindici cani, tutti in fila come la coda di un aquilone. E sulla faccia della terra non rimase nessuna traccia del segretario comunale, né della vecchia fonderia; e quanto al giovane Giacobbe Blivens, dopo tutte le pene che si era dato per preparare il suo discorsetto in punto di morte, gli mancò l'occasione per farlo, a meno che lo facesse agli uccelli; poiché, sebbene il suo busto scendesse giù veramente bene sulla cima di un albero nella provincia vicina, il resto della sua persona venne distribuito in diverse proporzioni in quattro dipartimenti diversi, e così bisognò fare cinque inchieste, per stabilire se era morto o no, e come era andata. Non si era mai visto un ragazzo tanto sparpagliato - [Questa catastrofe alla glicerina è presa a prestito dalla cronaca di un foglio volante, del cui autore farei il nome, se lo sapessi - MT].
In questo modo morì, il ragazzino buono che fece del suo meglio, ma non ci riuscì, alla maniera dei libri. Tutti i ragazzini che fecero come lui prosperarono, tutti meno lui. Il suo caso è veramente degno di nota. Probabilmente non lo si spiegherà mai.

THE STORY OF THE GOOD LITTLE BOY

Once there was a good little boy by the name of Jacob Blivens. He always obeyed his parents, no matter how absurd and unreasonable their demands were; and he always learned his book, and never was late at Sabbath-school. He would not play hookey, even when his sober judgment told him it was the most profitable thing he could do. None of the other boys could ever make that boy out, he acted so strangely. He wouldn’t lie, no matter how convenient it was. He just said it was wrong to lie, and that was sufficient for him. And he was so honest that he was simply ridiculous. The curious ways that that Jacob had, surpassed everything. He wouldn’t play marbles on Sunday, he wouldn’t rob birds’ nests, he wouldn’t give hot pennies to organ-grinders’ monkeys; he didn’t seem to take any interest in any kind of rational amusement. So the other boys used to try to reason it out and come to an understanding of him, but they couldn’t arrive at any satisfactory conclusion. As I said before, they could only figure out a sort of vague idea that he was “afflicted,” and so they took him under their protection, and never allowed any harm to come to him.
This good little boy read all the Sunday-school books; they were his greatest delight. This was the whole secret of it. He believed in the good little boys they put in the Sunday-school books; he had every confidence in them. He longed to come across one of them alive once; but he never did. They all died before his time, maybe. Whenever he read about a particularly good one he turned over quickly to the end to see what became of him, because he wanted to travel thousands of miles and gaze on him; but it wasn’t any use; that good little boy always died in the last chapter, and there was a picture of the funeral, with all his relations and the Sunday-school children standing around the grave in pantaloons that were too short, and bonnets that were too large, and everybody crying into handkerchiefs that had as much as a yard and a half of stuff in them. He was always headed off in this way. He never could see one of those good little boys on account of his always dying in the last chapter.
Jacob had a noble ambition to be put in a Sunday school book. He wanted to be put in, with pictures representing him gloriously declining to lie to his mother, and her weeping for joy about it; and pictures representing him standing on the doorstep giving a penny to a poor beggar-woman with six children, and telling her to spend it freely, but not to be extravagant, because extravagance is a sin; and pictures of him magnanimously refusing to tell on the bad boy who always lay in wait for him around the corner as he came from school, and welted him over the head with a lath, and then chased him home, saying, “Hi! hi!” as he proceeded. That was the ambition of young Jacob Blivens. He wished to be put in a Sunday-school book. It made him feel a little uncomfortable sometimes when he reflected that the good little boys always died. He loved to live, you know, and this was the most unpleasant feature about being a Sunday-school-book boy. He knew it was not healthy to be good. He knew it was more fatal than consumption to be so supernaturally good as the boys in the books were he knew that none of them had ever been able to stand it long, and it pained him to think that if they put him in a book he wouldn’t ever see it, or even if they did get the book out before he died it wouldn’t be popular without any picture of his funeral in the back part of it. It couldn’t be much of a Sunday-school book that couldn’t tell about the advice he gave to the community when he was dying. So at last, of course, he had to make up his mind to do the best he could under the circumstances—to live right, and hang on as long as he could, and have his dying speech all ready when his time came.
But somehow nothing ever went right with the good little boy; nothing ever turned out with him the way it turned out with the good little boys in the books. They always had a good time, and the bad boys had the broken legs; but in his case there was a screw loose somewhere, and it all happened just the other way. When he found Jim Blake stealing apples, and went under the tree to read to him about the bad little boy who fell out of a neighbor’s apple tree and broke his arm, Jim fell out of the tree, too, but he fell on him and broke his arm, and Jim wasn’t hurt at all. Jacob couldn’t understand that. There wasn’t anything in the books like it.
And once, when some bad boys pushed a blind man over in the mud, and Jacob ran to help him up and receive his blessing, the blind man did not give him any blessing at all, but whacked him over the head with his stick and said he would like to catch him shoving him again, and then pretending to help him up. This was not in accordance with any of the books. Jacob looked them all over to see.
One thing that Jacob wanted to do was to find a lame dog that hadn’t any place to stay, and was hungry and persecuted, and bring him home and pet him and have that dog’s imperishable gratitude. And at last he found one and was happy; and he brought him home and fed him, but when he was going to pet him the dog flew at him and tore all the clothes off him except those that were in front, and made a spectacle of him that was astonishing. He examined authorities, but he could not understand the matter. It was of the same breed of dogs that was in the books, but it acted very differently. Whatever this boy did he got into trouble. The very things the boys in the books got rewarded for turned out to be about the most unprofitable things he could invest in.
Once, when he was on his way to Sunday-school, he saw some bad boys starting off pleasuring in a sailboat. He was filled with consternation, because he knew from his reading that boys who went sailing on Sunday invariably got drowned. So he ran out on a raft to warn them, but a log turned with him and slid him into the river. A man got him out pretty soon, and the doctor pumped the water out of him, and gave him a fresh start with his bellows, but he caught cold and lay sick abed nine weeks. But the most unaccountable thing about it was that the bad boys in the boat had a good time all day, and then reached home alive and well in the most surprising manner. Jacob Blivens said there was nothing like these things in the books. He was perfectly dumfounded.
When he got well he was a little discouraged, but he resolved to keep on trying anyhow. He knew that so far his experiences wouldn’t do to go in a book, but he hadn’t yet reached the allotted term of life for good little boys, and he hoped to be able to make a record yet if he could hold on till his time was fully up. If everything else failed he had his dying speech to fall back on.
He examined his authorities, and found that it was now time for him to go to sea as a cabin-boy. He called on a ship-captain and made his application, and when the captain asked for his recommendations he proudly drew out a tract and pointed to the word, “To Jacob Blivens, from his affectionate teacher.” But the captain was a coarse, vulgar man, and he said, “Oh, that be blowed! that wasn’t any proof that he knew how to wash dishes or handle a slush-bucket, and he guessed he didn’t want him.” This was altogether the most extraordinary thing that ever happened to Jacob in all his life. A compliment from a teacher, on a tract, had never failed to move the tenderest emotions of ship-captains, and open the way to all offices of honor and profit in their gift—it never had in any book that ever he had read. He could hardly believe his senses.
This boy always had a hard time of it. Nothing ever came out according to the authorities with him. At last, one day, when he was around hunting up bad little boys to admonish, he found a lot of them in the old iron-foundry fixing up a little joke on fourteen or fifteen dogs, which they had tied together in long procession, and were going to ornament with empty nitroglycerin cans made fast to their tails. Jacob’s heart was touched. He sat down on one of those cans (for he never minded grease when duty was before him), and he took hold of the foremost dog by the collar, and turned his reproving eye upon wicked Tom Jones. But just at that moment Alderman McWelter, full of wrath, stepped in. All the bad boys ran away, but Jacob Blivens rose in conscious innocence and began one of those stately little Sunday-school-book speeches which always commence with “Oh, sir!” in dead opposition to the fact that no boy, good or bad, ever starts a remark with “Oh, sir.” But the alderman never waited to hear the rest. He took Jacob Blivens by the ear and turned him around, and hit him a whack in the rear with the flat of his hand; and in an instant that good little boy shot out through the roof and soared away toward the sun, with the fragments of those fifteen dogs stringing after him like the tail of a kite. And there wasn’t a sign of that alderman or that old iron-foundry left on the face of the earth; and, as for young Jacob Blivens, he never got a chance to make his last dying speech after all his trouble fixing it up, unless he made it to the birds; because, although the bulk of him came down all right in a tree-top in an adjoining county, the rest of him was apportioned around among four townships, and so they had to hold five inquests on him to find out whether he was dead or not, and how it occurred. You never saw a boy scattered so.—[This glycerin catastrophe is borrowed from a floating newspaper item, whose author’s name I would give if I knew it.—M. T.]
Thus perished the good little boy who did the best he could, but didn’t come out according to the books. Every boy who ever did as he did prospered except him. His case is truly remarkable. It will probably never be accounted for.




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