domenica 24 settembre 2017

108 Perché taccia il rumor di mia catena (di Ugo Foscolo)



Anche questo sonetto è probabilmente dedicato a Isabella Roncioni, presentata ancora come una dea (divine sono le sue membra, immortale il suo sguardo), capace di placare i tormenti amorosi del poeta, che egli descrive a un solitario ruscello (reminiscenza petrarchesca), a cui si accosta ogni notte. Ma questi tormenti trovano infine la consolazione che tutti gli innamorati conoscono bene: il pianto liberatorio causato dall’amore, anch’esso dono divino, poiché giunge dalla donna amata.

Perché taccia il rumor di mia catena
di lagrime, di speme, e di amor vivo,
e di silenzio; ché pietà mi affrena
se con lei parlo, o di lei penso e scrivo.

Tu sol mi ascolti, o solitario rivo,
ove ogni notte amor seco mi mena,
qui affido il pianto e i miei danni descrivo,
qui tutta verso del dolor la piena.

E narro come i grandi occhi ridenti
arsero d’immortal raggio il mio core,
come la rosea bocca, e i rilucenti

odorati capelli, ed il candore
delle divine membra, e i cari accenti
m’insegnarono alfin pianger d’amore.

PARAFRASI:

Affinché taccia il rumore della mia catena [cioè della mia sofferenza]
vivo di lacrime, di speranza e di amore
e di silenzio; perché la pietà mi trattiene [cioè provo meno pietà di me stesso]
se parlo con lei, o penso e scrivo di lei.

Solo tu mi ascolti, rivo solitario,
dove l’amore mi conduce con sé ogni notte,
qui io affido [ad esso] il mio pianto e ragiono sulle mie sofferenze,
qui verso tutta la piena del mio dolore.

E narro come i suoi grandi occhi ridenti
bruciarono il mio cuore con il loro sguardo immortale,
come la rosea bocca e i lucenti

capelli odorosi e il candore
delle membra divine e il caro suono delle sue parole
mi hanno infine insegnato a piangere d’amore.




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