lunedì 25 settembre 2017

109 Così gl'interi giorni in lungo incerto (di Ugo Foscolo)



Anche questo sonetto fu scritto (forse nel 1801) per Isabella Roncioni, qui presentata come causa d’un amore infelice, che provoca una dolente solitudine. Pur non perfetto (l’ultima terzina è generica e l’ultimo verso è preso tale e quale da un mediocre poeta contemporaneo, Luigi Lamberti) questo sonetto rispetto ai precedenti appare più maturo, poiché certi accorgimenti stilistici (l’avverbio che apre il componimento, il ricorso a numerosi enjambements) danno al componimento un ritmo continuo, melodico, meditativo, come se la poesia fosse il risultato di un lungo soliloquio interiore, di una vasta analisi spirituale, debitrice del Petrarca ma anche originale e decisamente romantica.

Così gl’interi giorni in lungo incerto
sonno gemo! ma poi quando la bruna
notte gli astri nel ciel chiama e la luna,
e il freddo aer di mute ombre è coverto;

dove selvoso è il piano e più deserto
allor lento io vagando, ad una ad una
palpo le piaghe onde la rea fortuna,
e amore e il mondo hanno il mio core aperto.

Stanco mi appoggio or al troncon d’un pino,
ed or prostrato ove strepitan l’onde,
con le speranze mie parlo e deliro.

Ma per te le mortali ire e il destino
spesso obliando, a te, donna, io sospiro:
luce degli occhi miei, chi mi t’asconde?

PARAFRASI:

Così gemo per giorni interi in un lungo [in quanto viene a mancare la nozione del tempo]
incerto sonno! ma poi quando l’oscura
notte richiama in cielo gli astri e la luna,
e l’aria fredda è piena di mute ombre;

dove la pianura è selvosa e maggiormente deserta
vagando io allora lento, ad una ad una
palpo le ferite che l’avversa fortuna,
e l’amore e gli uomini hanno aperto nel mio cuore.

Mi appoggio stanco al tronco d’un pino,
e sfinito ora dove le onde [del mare] strepitano,
parlo con le mie speranze e deliro.

Ma spesso dimenticando per te le ire del mondo
e il mio destino, a te, donna, io sospiro:
luce degli occhi miei, chi ti nasconde a me?






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