L’invasione del Mata Gato
consiste nell’occupazione delle terre di un ricco ladrone da parte di una massa
di miserabili (i veri protagonisti del romanzo “I guardiani della notte”, del
1964), che vi costruiscono la propria favela: tra questi spicca Colpo-di-Vento,
che per un certo periodo ha aiutato i moribondi a passare a miglior vita ed ora
si è dedicato alla scienza, o Negro Massu sfrattato dalla baracca in cui vive da
anni senza pagare mai l’affitto e che crede che ciò che è del governo è del
popolo, o dona Filó, che affitta i propri sette figli a un’organizzazione che
chiede l’elemosina in città.
Aveva esagerato Cuica quando, nel
lungo titolo della sua storia in versi, parla di un quartiere costruito dal
popolo in 48 ore. Esattamente una settimana gli ci era voluto per acquisire
l’aspetto di un quartiere, a quella invasione, la prima portata ad effetto
nella città di Bahia. Oggi il Mata Gato è un quartiere vero e proprio, e vi
sorge perfino la facciata adorna di una delle Panetterie Madrid, appartenente
alla rete del Pepe Ottocento, situata esattamente di fronte alla casa di Negro
Massu. Altre invasioni si sono realizzate poi con successo, interi quartieri
sono nati dalle parti della Liberdade, nel Nordest di Amaralina, si è avuta
l’invasione di Chimbo al Rio Vermelho, e gli Alagados, con la loro città sulle
acque. I poveri debbono vivere, abitare da qualche parte, nessuno è in grado di
restare indefinitamente affidato alla grazia del buon Dio, deve pur avere un
tetto sulla testa; e chi ce li ha i soldi per pagare l’affitto?
Perfino noi, nottambuli
impenitenti, abbiamo bisogno di tanto in tanto di reclinare la testa da qualche
parte, di andarcene a casa nostra. Vivere senza una casa è impossibile, lo
stesso Colpo-di-Vento, tipo senza orari né impiego fisso, a cacciar rane e
topi, serpenti, lucertole verdi e altri animali per i laboratori di analisi,
abituato al vento e alla pioggia, cui piaceva dormire sulla sabbia della
spiaggia e ivi rovesciar mulatte, visto che ne andava pazzo: perfino
Colpo-di-Vento la cui natura a tutto si adatta, ha provato come i suoi animali
la necessità di trovarsi una tana ove infilarsi. Fu lui per così dire il
precursore dell’invasione.
In quei terreni del Mata Gato si
era costruito, con le foglie dei cocchi, pezzi di legno, tavolette recuperate
dalle casse e altri materiali gratuiti, una casupola per abitarci. Si muoveva
nei paraggi, alla ricerca di animali. Non mancavano, nel torrentello vicino,
rospi e ranocchie, bastava scendere un po’ verso la foce del fiume. Topi di
ogni specie e misura ce n’era d’avanzo là intorno, specialmente in una cascina
non lontana, sulla strada di Brotas. Nella boscaglia delle colline dei dintorni
si trovava di tutto: lucertole, serpenti velenosi e no, lucertoloni, teiú (1),
a volte qualche lepre o qualche volpe. E pesci di fiume e di mare per
l’alimentazione. A parte i granchi di vario tipo.
Aveva tirato su la sua baracca e
vi aveva abitato per lungo tempo senza essere disturbato. Distante dal centro,
quasi non veniva mai nessuno a trovarlo, solo quando si trascinava dietro un
amico per uno stufato di pesce, o una mulatta a veder la luna. Mai si era
preoccupato Colpo-di-Vento, di verificare se quei terreni così vasti e
abbandonati avessero un padrone, se stesse o no commettendo un atto illegale
nel tirar su la sua misera baracchetta.
Fu quello che disse a Massu una
volta che il negro comparve nei paraggi, invitato da lui a mangiare uno stufato
di pesce. Colpo-di-Vento cucinava bene, era un asso per preparare la moqueca (2)
di pesce: rombi, triglie, carpe, dentici, pescati da lui stesso. Quante volte
non portava in regalo a Tibéria o a Mastro Manuel pesci di quattro cinque
chili, o infilate di sardine, polipi, razze? E andava a cucinare la moqueca,
andando avanti e indietro sul peschereccio di Manuel, sorridendo a Maria Clara,
oppure circondato dalle ragazze della «casa» di Tibéria. Uno stufato di pesce
preparato da Colpo-di-Vento era roba da leccarsi i baffi.
Una volta ogni morte di papa gli
capitava di cucinarla nella sua capanna e d’invitare al Mata Gato un amico. Suo
cibo di tutti i giorni era un pezzetto di carne secca, un po’ di farina e
rapadura (3): Colpo-di-Vento si contentava di poco e c’erano stati tempi in
vita sua in cui non aveva neppure la carne secca, solo farina e rapadura. Erano
i tempi in cui lui si spostava per l’interno, esercitando la devota professione
di aiutare i moribondi a morire.
Sapete com’è: esistono di quei
moribondi ostinati, sempre sul punto di andarsene e renitenti alla partenza,
nient’affatto intenzionati a mollare il corpo, mettendoci giorni e giorni a
esalare l’ultimo respiro, complicando la vita di amici e parenti. Forse è
perché hanno ancora qualche peccato da scontare sulla terra, necessitano di
orazioni. Era appunto in quel tipo di orazioni che si era specializzato
Colpo-di-Vento, nell’aiutare quei moribondi difficili ad attraversare la porta
dell’altro mondo, lasciando la famiglia in pace con le sue lacrime protocollari
e i preparativi per il funerale, per i cibi e le bevande destinati alla veglia.
Di quelle veglie funebri spettacolari, con la cachaça (4) che correva a fiumi e
roba da mangiare degna d’una festa.
Chi aveva parenti condannati
acidi, duri a morire, attaccati alla lucernina della vita senza voler mollare,
già sapeva cosa fare: mandavano a chiamare Colpo-di-Vento, contrattavano le
condizioni di pagamento, lui non era esoso nei prezzi; poi lui s’incaricava del
defunto. Seduto accanto al letto, iniziava le orazioni, faceva coraggio al
parente:
«Coraggio, che Dio t’aspetta. Dio
con tutta la corte celeste.»
Con la sua voce profonda cantava:
«Ora pro nobis.»
C’erano altri e altre che
raccomandavano l’anima ai moribondi nelle vicinanze. Ma nessuno così rapido e
sicuro come Colpo-di-Vento. In mezz’ora, un’ora al massimo, il moribondo
spegneva la candela, se ne volava a godersi le delizie del paradiso promesso da
Colpo-di-Vento. Solo una condizione lui poneva alla famiglia prossima a
prendere il lutto: che lo lasciassero solo col tipo, non restassero a
disturbarlo con la loro presenza. Uscivano tutti; di fuori si udiva la voce di
Colpo-di-Vento in preghiera e consigli:
«Muori in pace, fratello, con
Gesù e Maria…»
Una volta, un parente più curioso
aveva aperto la porta all’improvviso e constatato l’estensione dell’aiuto di
Colpo-di-Vento. Che andava ben oltre la preghiera, visto che egli aiutava il
partente anche col gomito, ficcandolo nella pancia del suddetto, tagliandoli
quel po’ di fiato che ancora gli restava.
Il parente aveva fatto un baccano
d’inferno e così aveva avuto fine la carriera di Colpo-di-Vento come
raccomandator di moribondi. C’erano state minacce di vendetta che l’avevano
spinto a trasferirsi nella capitale. Aveva allora costruito la sua capanna al
Mata Gato e conosciuto Jesuíno Gallo Pazzo in occasione della dipartita del
marito di una comare del vecchio vagabondo, duro ad abbandonare le sue spoglie
mortali. In quell’epoca Colpo-di-Vento non si era ancora deciso a dedicare i
suoi talenti alla scienza, come importante collaboratore di laboratori di
ricerche.
Ma questo curioso e ricco passato
di Colpo-di-Vento poco interessa alla storia dell’invasione del Mata Gato. Ne
parliamo unicamente per constatare la presenza di almeno un abitante in quelle
terre, un bel po’ di tempo prima dell’arrivo di Massu.
Negro Massu, steso sulla sabbia,
sorbendosi una cachaça, il naso che aspirava l’odore appetitoso della moqueca;
guardava il paesaggio dintorno, il mare azzurro, la spiaggia candida, le palme
da cocco mosse dalla brezza, e chiedeva a se stesso perché mai non si era
trasferito ad abitare già da tempo. Era il luogo ideale per abitarci, non ci
sarebbe potuto essere luogo migliore.
Negro Massu attraversava in quel
momento una seria crisi. Il padrone della baracca in cui alloggiava da anni, in
compagnia della sua nonnetta centenaria e del suo bambino piccolo, si era
stancato infine di continuare a richiedere l’affitto, in ritardo ormai di
quattro anni e sette mesi, il tempo esatto durante il quale Massu aveva abitato
là. Non aveva mai pagato un soldo. Non perché fosse per natura imbroglione: al
contrario, poche persone così serie e corrette come lui. Non pagava perché,
alla fine del mese, gli veniva sempre a mancare il denaro per l’affitto. A
volte, Massu faceva uno sforzo, metteva insieme alcuni nichel raccattati qua e
là, lavorando a portar carichi oppure al gioco del bicho (5), pensando
all’affitto da pagare, all’impegno assunto. Ma sempre, regolarmente, gli
capitava qualcosa d’inatteso, una celebrazione importante, una festa
imprescindibile, ed ecco che svanivano le riserve, quelle precarie economie.
Una volta il proprietario della
baracca, titolare di una macelleria nelle vicinanze, era andato a riscuotere
personalmente. Aveva trovato solo la negra vecchia Veveva (6), non aveva avuto
il coraggio di buttarla fuori, aveva lasciato un’ambasciata per Massu. Un’altra
volta, aveva trovato Massu in atto di accomodare il tetto che faceva acqua da
tutte le parti, il negro era arrabbiato, schifezza di tetto, una baracca di
merda, non serviva a niente, affitto carissimo, ed eccoti il macellaio a urlare
per avere i soldi dell’affitto, così, da un momento all’altro. Sbuffava il
negro, scese dal tetto, i muscoli che brillavano al sole, gridò più forte. Il
proprietario se n’era andato senza ulteriori discussioni, promettendo anzi di
far accomodare i buchi del tetto.
Ma recentemente una compagnia
aveva comprato terreno e baracca, il macellaio aveva venduto a prezzo piuttosto
conveniente perché non vedeva possibilità di cavarci niente, né pensava che
Massu se ne andasse tanto presto.
La compagnia ci avrebbe costruito
una fabbrica, avevano comprato una quantità di terreno tutto intorno, buttavano
giù case e baracche, davano un termine breve, un mese, per levarsi dai piedi. E
offrivano a tutti lavoro, nella costruzione prima, nella fabbrica poi. Negro
Massu aveva capito che non gli restava altro da fare che cercarsi un’altra
casa.
E là, sdraiato sulla sabbia,
mangiando il pesce eccellente, aveva interrogato Colpo-di-Vento: «Di chi è il
terreno per qui?»
Colpo-di-Vento aveva considerato
la domanda, pensieroso:
«So mica, no… Ci ha padrone no…»
«Tu ha già visto (7) terra non
aver padrone? Tutto ha padrone al mondo…»
«Penso che è del governo…»
«Be’, se è del governo è di noi
gente…»
«E è proprio davvero?»
«Allora tu non sa che governo è
lo stesso che popolo?»
«Tu ci crede che è? Il governo è
ma della polizia.»
«Tu non capisce. Io lo so, l’ho
perfino sentito dire in un comizio. Tu non frequenta comizi, per quello tu non
sa le cose…»
«Saperle perché? A che serve?»
Negro Massu lasciava che l’olio
gli colasse giù dagli angoli della bocca, stufato di pesce speciale! Posto
migliore per abitarci non c’era.
«Tu lo sa, Colpo-di-Vento, mi sa
che divento tuo vicino… Mi faccio una baracca per me. Per portarci la vecchina
e il bimbo…»
Colpo-di-Vento faceva un gesto
largo con la mano:
«Posto è che ce n’è davanzo,
fratellino. Anche foglie di cocco…»
Così fu che pochi giorni dopo
Negro Massu ricomparve in compagnia di Martim, di Ippisilonne, di Garofano-all’Occhiello,
di Jesuíno Gallo Pazzo (8). In un carretto portava del materiale, un seghetto,
un martello, chiodi. Colpo-di-Vento collaborava con un nuovo stufato di pesce.
L’unico a non essere venuto era Curió: era occupato con Madame Beatriz.
Massu si tirò su la casina, e
venne perfino carina. Garofano-all’Occhiello, cui in gioventù avevano insegnato
il mestiere di imbianchino, aveva scelto i colori per porte e finestre, azzurro
e rosa, impugnato il pennellone. Lo faceva come semplice dilettante, per dare
una mano agli amici. In fondo aveva orrore di quel lavoro.
Seduto, Ippisilonne, la pancia
piena di pesce, guardava Garofano-all’Occhiello che dipingeva porte e finestre
mentre Massu, Martim e Jesuíno tiravano su le pareti, di fango pestato.
Sospirò:
«Mi viene una stanchezza a
vedervi lavorare…»
Era fatto così, Ippisilonne:
molto solidale con gli amici, ovunque si trovassero era con loro. Pronto a
collaborare con consigli e opinioni, intenditore di molte cose, un
intellettuale, leggeva riviste, perfino. Ma un fisico delicato, si stancava
facilmente.
Mentre costruivano, gustavano le
delizie del luogo. Quella sera Jesuíno fece l’elogio del Mata Gato cenando in
casa di Tibéria.
Massu traslocò, Tibéria venne a
fargli visita per vedere il figlioccio, lei e Jesus s’innamorarono del
paesaggio.
In tanti anni di duro lavoro, lei
a dirigere la pensione (9), lui a tagliare e cucire tonache (10), non erano
riusciti a mettere insieme il sufficiente per comprarsi una casa dove
invecchiare. Perché non farsela lì, poco a poco, comprando mattoni e calcina,
qualche po’ di pietre, un po’ di tegole per la copertura?
Con quelle due case, quella di
Massu, di fango battuto e legno, quella di Tibéria e Jesus di mattoni, ebbe
inizio l’invasione.
Come abbia fatto la notizia a
giungere a tanta gente non si è mai saputo. Ma una settimana dopo che Jesus
ebbe iniziato la sua casa, già trenta baracche all’incirca s’innalzavano al
Mata Gato in una straordinaria varietà di materiali, con una profusione di
ragazzini, di tutti i colori e di tutte le età. E ogni giorno arrivavano nuovi
carretti, portando gente e tavole, cassette, taniche, vecchi fogli di lamiera,
tutto quanto potesse servire come materiale da costruzione.
È d’uopo aggiungere che
Colpo-di-Vento nel frattempo aveva traslocato. Se n’era andato ad abitare ben
più lontano, abbandonando la sua capanna di paglia, subito occupata da dona
Filó, negoziante molto perseguitata dalla polizia, specialmente dal Tribunale
dei Minori. Commerciava detta signora in bambini, nella fattispecie i suoi
propri figli. Ne aveva sette, il più vecchio di nove anni, il più piccino di
cinque mesi, e li affittava, a un tanto al giorno, a mendicanti di sua
conoscenza per aiutarli nella raccolta delle elemosine. Filó aveva un figlio
all’anno, bastava che andasse a letto con un uomo, restava incinta, non c’era
verso d’impedirlo. Ognuno dei figli aveva un padre, lei non importunava nessuno
dei sette. Con gli stessi bambini si guadagnava da vivere, mentre il più
anziano già si preparava a far carriera fra i banditi minorili del porto. Lo
avevano già pizzicato a rapinare una pasticceria.
Così ebbe inizio l’invasione del
Mata Gato.
___________________________________________________________________
(1) Teiú = grandi lucertole che
vengono anche allevate e commercializzate.
(2) Moqueca = tipico piatto
brasiliano a base di pesce, verdure, spezie e latte di cocco.
(3) Rapadura = un dolce ottenuto
dal succo della canna da zucchero, consistente in zollette più o meno grandi
usate anche come dolcificante.
(4) Cachaça = un’acquavite
ottenuta dalla distillazione del succo di canna da zucchero.
(5) Bicho = gioco d’azzardo assai
diffuso in Brasile, una specie di Lotto ma illegale, gestito spesso da mafiosi.
(6) È la nonna quasi centenaria
dello stesso Negro Massu.
(7) L’uso errato della terza
persona del verbo al posto della seconda è tipico del dialetto di Bahia.
(8) Sono tutti personaggi che
compaiono nel romanzo con maggiore o minore importanza.
(9) La pensione = in realtà si
tratta di un bordello.
(10) Jesus è il marito di Tibéria
e fa il sarto per gli ecclesiastici.
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