domenica 30 ottobre 2016

21 - Orlando furioso - Canto quarto: ottave 16-41 (di Ludovico Ariosto)



LO SCONTRO TRA BRADAMANTE E IL MAGO ATLANTE

Bradamante offre il suo aiuto a Pinabello e insieme s’incamminano verso il castello di Atlante. Ma Pienabello, avendo saputo chi sia l’eroina, spinto dal feroce odio che ha verso la sua famiglia, la fa cadere a tradimento in una buca profonda. Qui la fanciulla trova una chiesa sotterranea, dove incontra la maga Melissa, che le rivela la futura grandezza della stirpe Estense, della quale ella e Ruggiero saranno i capostipiti. Poi le spiega che per affrontare il mago Atlante deve prima impadronirsi di un anello che rende invisibili e che rende vana ogni magia. Bradamante fa quanto la maga le ha detto e, munita del magico anello, va ad affrontare il mago: suona il corno e lo sfida a battaglia.

16
Non stette molto a uscir fuor de la porta
L’incantator, ch’udì ‘l suono e la voce.
L’alato corridor per l’aria il porta
contra costei, che sembra uomo feroce.
La donna da principio si conforta;
che vede che colui poco le nuoce:
non porta lancia né spada né mazza,
ch’a forar l’abbia o romper la corazza.
17
Da la sinistra sol lo scudo avea,
tutto coperto di seta vermiglia;
ne la man destra un libro, onde facea
nascer, leggendo, l’alta maraviglia:
che la lancia talor correr parea,
e fatto avea a più d’un batter le ciglia;
talor parea ferir con mazza o stocco,
e lontano era, e non avea alcun tocco.
18
Non è finto il destrier, ma naturale,
ch’una giumenta generò d’un Grifo:
simile al padre avea la piuma e l’ale,
li piedi anteriori, il capo e il grifo;
in tutte l’altre membra parea quale
era la madre, e chiamasi ippogrifo;
che nei monti Rifei vengon, ma rari,
molto di là dagli aghiacciati mari.
19
Quivi per forza lo tirò d’incanto;
e poi che l’ebbe, ad altro non attese,
e con studio e fatica operò tanto,
ch’a sella e briglia il cavalcò in un mese:
così ch’in terra e in aria e in ogni canto
lo facea volteggiar senza contese.
Non finzion d'’incanto, come il resto,
ma vero e natural si vedea questo.
20
Del mago ogn’altra cosa era figmento,
che comparir facea pel rosso il giallo;
ma con la donna non fu di momento,
che per l’annel non può vedere in fallo.
Più colpi tuttavia diserra al vento,
e quinci e quindi spinge il suo cavallo;
e si dibatte e si travaglia tutta,
come era, inanzi che venisse, istrutta.
21
E poi che esercitata si fu alquanto
sopra il destrier, smontar volse anco a piede,
per poter meglio al fin venir di quanto
la cauta maga istruzion le diede.
Il mago vien per far l’estremo incanto;
che del fatto ripar né sa né crede:
scuopre lo scudo, e certo si prosume
farla cader con l’incantato lume.
22
Potea così scoprirlo al primo tratto,
senza tenere i cavallieri a bada;
ma gli piacea veder qualche bel tratto
di correr l’asta o di girar la spada:
come si vede ch’all’astuto gatto
scherzar col topo alcuna volta aggrada;
e poi che quel piacer gli viene a noia,
dargli di morso, e al fin voler che muoia.
23
Dico che ‘l mago al gatto, e gli altri al topo
S’assimigliar ne le battaglie dianzi;
ma non s’assimigliar già così, dopo
che con l’annel si fe’ la donna inanzi.
Attenta e fissa stava a quel ch’era uopo,
acciò che nulla seco il mago avanzi;
e come vide che lo scudo aperse,
chiuse gli occhi, e lasciò quivi caderse.
24
Non che il fulgor del lucido metallo,
come soleva agli altri, a lei nocesse;
ma così fece acciò che dal cavallo
contra sé il vano incantator scendesse:
né parte andò del suo disegno in fallo;
che tosto ch’ella il capo in terra messe,
accelerando il volator le penne,
con larghe ruote in terra a por si venne.
25
Lascia all’arcion lo scudo, che già posto
avea ne la coperta, e a piè discende
verso la donna che, come reposto
lupo alla macchia il capriolo, attende.
Senza più indugio ella si leva tosto
che l’ha vicino, e ben stretto lo prende.
Avea lasciato quel misero in terra
il libro che facea tutta la guerra:
26
e con una catena ne correa,
che solea portar cinta a simil uso;
perché non men legar colei credea,
che per adietro altri legare era uso.
La donna in terra posto già l’avea:
se quel non si difese, io ben l’escuso;
che troppo era la cosa differente
tra un debol vecchio e lei tanto possente.
27
Disegnando levargli ella la testa,
alza la man vittoriosa in fretta;
ma poi che ‘l viso mira, il colpo arresta,
quasi sdegnando sì bassa vendetta:
un venerabil vecchio in faccia mesta
vede esser quel ch’ella ha giunto alla stretta,
che mostra al viso crespo e al pelo bianco,
età di settanta anni o poco manco.
28
- Tommi la vita, giovene, per Dio,
dicea il vecchio pien d’ira e di dispetto;
ma quella a torla avea sì il cor restio,
come quel di lasciarla avria diletto.
La donna di sapere ebbe disio
chi fosse il negromante, ed a che effetto
edificasse in quel luogo selvaggio
la rocca, e faccia a tutto il mondo oltraggio.
29
- Né per maligna intenzione, ahi lasso!
(disse piangendo il vecchio incantatore)
feci la bella rocca in cima al sasso,
né per avidità son rubatore;
ma per ritrar sol dall’estremo passo
un cavallier gentil, mi mosse amore,
che, come il ciel mi mostra, in tempo breve
morir cristiano a tradimento deve.
30
Non vede il sol tra questo e il polo
austrino un giovene sì bello e sì prestante:
Ruggiero ha nome, il qual da piccolino
da me nutrito fu, ch’io sono Atlante.
Disio d'onore e suo fiero destino
L’han tratto in Francia dietro al re Agramante;
ed io, che l’amai sempre più che figlio,
lo cerco trar di Francia e di periglio.
31
La bella rocca solo edificai
per tenervi Ruggier sicuramente,
che preso fu da me, come sperai
che fossi oggi tu preso similmente;
e donne e cavallier, che tu vedrai,
poi ci ho ridotti, ed altra nobil gente,
acciò che quando a voglia sua non esca,
avendo compagnia, men gli rincresca.
32
Pur ch’uscir di là su non si domande,
d’ogn’altro gaudio lor cura mi tocca;
che quanto averne da tutte le bande
si può del mondo, è tutto in quella rocca:
suoni, canti, vestir, giuochi, vivande,
quanto può cor pensar, può chieder bocca.
Ben seminato avea, ben cogliea il frutto;
ma tu sei giunto a disturbarmi il tutto.
33
Deh, se non hai del viso il cor men bello,
non impedir il mio consiglio onesto!
Piglia lo scudo (ch’io tel dono) e quello
destrier che va per l’aria così presto;
e non t’impacciar oltra nel castello,
o tranne uno o duo amici, e lascia il resto;
o tranne tutti gli altri, e più non chero,
se non che tu mi lasci il mio Ruggiero.
34
E se disposto sei volermel torre,
deh, prima almen che tu ‘l rimeni in Francia,
piacciati questa afflitta anima sciorre
de la sua scorza ormai putrida e rancia! -
Rispose la donzella: - Lui vo’ porre
in libertà: tu, se sai, gracchia e ciancia;
né mi offerir di dar lo scudo in dono,
o quel destrier, che miei, non più tuoi sono:
35
né s’anco stesse a te di torre e darli,
mi parrebbe che ‘l cambio convenisse.
Tu di’ che Ruggier tieni per vietarli
il male influsso di sue stelle fisse.
O che non puoi saperlo, o non schivarli,
sappiendol, ciò che ‘l ciel di lui prescrisse:
ma se ‘l mal tuo, c’hai sì vicin, non vedi,
peggio l’altrui c’ha da venir prevedi.
36
Non pregar ch’io t'uccida, ch’i tuoi preghi
sariano indarno; e se pur vuoi la morte,
ancor che tutto il mondo dar la nieghi,
da sé la può aver sempre animo forte.
Ma pria che l’alma da la carne sleghi,
a tutti i tuoi prigioni apri le porte.
Così dice la donna, e tuttavia
il mago preso incontra al sasso invia.
37
Legato de la sua propria catena
andava Atlante, e la donzella appresso,
che così ancor se ne fidava a pena,
ben che in vista parea tutto rimesso.
Non molti passi dietro se la mena,
ch’a piè del monte han ritrovato il fesso,
e li scaglioni onde si monta in giro,
fin ch’alla porta del castel saliro.
38
Di su la soglia Atlante un sasso tolle,
di caratteri e strani segni isculto.
Sotto, vasi vi son, che chiamano olle,
che fuman sempre, e dentro han foco occulto.
L’incantator le spezza; e a un tratto il colle
riman deserto, inospite ed inculto;
né muro appar né torre in alcun lato,
come se mai castel non vi sia stato.
39
Sbrigossi de la donna il mago alora,
come fa spesso il tordo da la ragna;
e con lui sparve il suo castello a un’ora,
e lasciò in libertà quella compagna.
Le donne e i cavallier si trovar fuora
de le superbe stanze alla campagna:
e furon di lor molte a chi ne dolse;
che tal franchezza un gran piacer lor tolse.
40
Quivi è Gradasso, quivi è Sacripante,
quivi è Prasildo, il nobil cavalliero
che con Rinaldo venne di Levante,
e seco Iroldo, il par d’amici vero.
Al fin trovò la bella Bradamante
quivi il desiderato suo Ruggiero,
che, poi che n’ebbe certa conoscenza,
le fe’ buona e gratissima accoglienza;
41
come a colei che più che gli occhi sui,
più che ‘l suo cor, più che la propria vita
Ruggiero amò dal dì ch’essa per lui
si trasse l’elmo, onde ne fu ferita.
Lungo sarebbe a dir come, e da cui,
e quanto ne la selva aspra e romita
si cercar poi la notte e il giorno chiaro;
né, se non qui, mai più si ritrovaro.

PARAFRASI:

16
L’incantatore [cioè il mago Atlante], che aveva udito il suono [del corno[] e la voce [di Bradamante] non stette molto a uscire dalla porta. Il corridore [cioè il suo cavallo] alato lo porta per l’aria contro colei, che sembra un uomo feroce. La donna all’inizio è confortata dal fatto che vede che egli poco le nuoce [Bradamante, infatti, dotata dell’anello che rende vani gli incantesimi,  vede il mago com’è effettivamente, non come appare agli altri che l’affrontano]: non porta né lancia né spada né mazza, che la possa trafiggere o rompere la corazza.
17
Alla sinistra aveva soltanto lo scudo tutto coperto di seta vermiglia; nella mano destra aveva un libro, con il quale faceva nascere, solo leggendolo, i suoi incantesimi; che a volte sembrava attaccare con la lancia, cosa che aveva fatto sbattere gli occhi a più d’uno; a volte sembrava colpire con la mazza o con lo stocco [spada corta e acuminata], mentre era in realtà lontano e nemmeno toccava gli avversari.
18
Il suo destriero non è finto, bensì vero, generato da una cavalla e un grifo [animale favoloso, mezzo leone nella parte posteriore e mezzo aquila in quella anteriore]: simili a quelli del padre aveva le piume, le ali, i piedi anteriori, il capo e il becco; in tutte le altre membra era come la madre, e si chiamava ippogrifo [che significa appunto metà grifo e metà cavallo]; uno di quegli animali che nascono nei monti Rifei [forse gli Urali], molto al di là dei mari ghiacciati.
19
Qui [nel suo castello] lo aveva tratto per forza d’incantesimo; e dopo che l’ebbe con sé, di altro non si curò, e tanto operò con studio e fatica, che nel giro di un mese riuscì a mettergli la sella e la briglia e a cavalcarlo: cosicché in terra, in aria e ovunque lo faceva volteggiare senza contrasto. E questo appariva non come una finzione dovuta a incantesimo, come tutto il resto, bensì come una cosa vera e reale.
20
Ogni altra cosa del mago era finzione; che faceva apparire giallo ciò che era rosso: ma con la donna non ebbe alcun potere, poiché grazie all’anello ella non può vedere quel che non era vero. Tuttavia vibra al vento più colpi e spinge il suo cavallo da una parte e dall’altra; e si dibatte e si contorce tutta, così come era stata istruita, prima di giungere qui, [dalla maga Melissa].
21
E dopo essersi alquanto dibattuta sopra il destriero, volle smontare in piedi, per poter giungere meglio al fine di quanto l’astuta maga le aveva dato istruzione. Il mago si avvicina per fare il suo estremo incantesimo; non sa né crede ci sia alcun riparo a questo fatto [cioè alla sua arte magica]: scopre lo scudo e di sicuro presume di farla cadere con la luce incantata che da esso emana.
22
Subito egli poteva scoprire lo scudo e far cadere i cavalieri, senza tanto tenerli a bada con altri incantesimi; ma gli piaceva anche qualche bel colpo di assalto con la lancia o di fendente con la spada: come si vede che all’astuto gatto piace qualche volta scherzare con il topo; e quando quel piacere gli viene a noia, gli dà il morso finale e vuole che muoia.
23
Intendo dire che nelle battaglie precedenti il mago assomigliava al gatto e gli altri al topo; ma ora tale somiglianza non è più valida, giacché la donna si fece innanzi con l’anello. Ella stava attenta e concentrata su ciò che era necessario, affinché il mago non ottenga alcun vantaggio su di lei; e appena vide che egli scoprì lo scudo, chiuse gli occhi e si lasciò cadere dov’era.
24
Non che lo splendore del lucido metallo nuocesse a lei, come accadeva con gli altri; ma fece così affinché il vano [poiché i suoi incantesimi non valgono con Bradamante] incantatore scendesse da cavallo per avvicinarsi a lei: neppure una parte del suo disegno [piano] andò a vuoto; infatti non appena ella mise la testa in terra, il cavallo alato accelerò lo sbattere delle ali e con larghi giri si calò a terra anche lui.
25
[Il mago] lascia sull’arcione lo scudo, che aveva già avvolto nella coperta, e scende a piedi verso la donna, che lo aspetta, come un lupo nascosto nella macchia [aspetta] il capriolo. Non appena le è vicino senza più indugio si alza e ben stretto lo prende. Quel misero aveva lasciato a terra il libro con il quale faceva tutti gli incantesimi che gli servivano a simulare il combattimento:
26
e se ne veniva con una catena, che portava alla cinta per usarla come al suo solito; infatti credeva di legarla, non meno di quanto era solito legare gli altri precedentemente. Ma la donna già l’aveva messo a terra: se egli non si difese, io ben lo scuso; perché era una cosa troppo disuguale, tra un debole vecchio e lei tanto potente.
27
Con l’intento di mozzargli la testa, in fretta ella alza la mano vittoriosa; ma non appena lo guarda in viso, arresta il colpo, quasi sdegnata di una vendetta così meschina; ella vede che colui che ha messo alle strette è un vecchio venerabile dalla faccia mesta, che mostrava con il viso rugoso e il pelo bianco un’età di settant’anni o poco meno.
28
- Toglimi la vita, giovine, per Dio – diceva il vecchio pieno d’ira e di dispetto; ma ella era così restia in cuore a toglierli la vita, quanto egli sarebbe stato lieto di perderla. La donna provò il desiderio di sapere chi fosse il negromante e per quale scopo avesse edificato in quel luogo selvaggio la rocca e facesse a tutti tanto oltraggio.
29
- Non con intenzioni maligne, ahimè! (disse piangendo il vecchio incantatore) feci la bella rocca in cima a questo monte, né rubo agli altri per avidità; ma solo mi ha mosso amore per sottrarre alla morte un gentile cavaliere, che, come il cielo mi mostra, in breve tempo deve morire cristiano in seguito a tradimento [Atlante si riferisce a Ruggiero, il quale, per tradimento dei Maganzesi, dovrà morire dopo essersi convertito al cristianesimo].
30
Il sole non vede tra questo polo e quello australe un giovane così bello e così prestante: si chiama Ruggiero, che da piccolino fu allevato da me, che sono Atlante. Il desiderio d’onore e il suo crudele destino l’hanno condotto in Francia al seguito del re Agramante; ed io, che l’ho amato sempre più che un figlio, cerco di tirarlo fuori dalla Francia e dal pericolo.
31
Ho edificato la bella rocca solo per tenervi al sicuro Ruggiero, che ho catturato, come similmente [cioè a forza di incantesimi] speravo oggi di catturare te; e poi ho imprigionato [nel castello] donne e cavalieri, che tu vedrai, ed altra nobile gente, affinché, dato che non può andarsene a suo piacere, meno gli dispiaccia rimanervi, avendo compagnia.
32
Purché non mi domandino di uscire da lì, mi prendo cura di ogni loro piacere; tutto ciò che si può avere nel mondo, è là in quella rocca: suoni, canti, abiti, giochi, vivande, tutto ciò che il cuore può pensare, la bocca può chiedere. Avevo ben seminato e bene ne coglievo il frutto; ma sei giunto tu a disturbarmi il tutto.
33
Deh, se non hai cuore meno bello del viso, non impedire il mio onesto proposito! Prendi lo scudo (che io ti dono) e anche quel destriero che va per l’aria così rapido; e non impicciarti oltre del castello, o togline uno o due amici, e lascia il resto; o togline tutti gli altri, e più non chiedo, se non che tu mi lasci il mio Ruggiero.
34
E se proprio sei disposto a volermelo togliere, deh, almeno prima che tu lo riconduca in Francia, ti piaccia liberare questa anima afflitta dal suo corpo, ormai decrepito e avvizzito! – Rispose la donzella: - Lui voglio mettere in libertà: tu, visto che lo sai fare, strepita e ciancia; e non offrirmi di darmi in dono lo scudo o quel destriero, visto che sono miei [dato che me li sono conquistati] e non più tuoi:
35
e se anche fosse in tuo potere di toglierli o darli, non mi sembra che il cambio fosse a me conveniente. Tu dici che tieni prigioniero Ruggiero per vietargli l’influsso maligno delle sue stelle fisse [cioè del suo destino]. O tu non puoi sapere ciò che il cielo gli ha destinato, oppure sapendolo non puoi evitarlo; ma se non vedi il tuo male, che ti sta così vicino, peggio ancora puoi prevedere il male che sta per venire per altri.
36
Non pregare che io ti uccida, che le tue preghiere sarebbero inutili; e se proprio vuoi la morte, sebbene tutto il mondo te la neghi, da sé può sempre darsela un animo forte. Ma prima che tu sleghi da te l’anima dalla carne [cioè prima che tu ti uccida], apri le porte a tutti i tuoi prigionieri. – Così dice la donna e nel frattempo spinge il mago catturato verso la rupe.
37
Legato con la sua propria catena andava Atlante, e la donzella dietro, che ancora appena si fidava di lui, benché a vederlo paresse tutto rassegnato. Se la porta dietro per non molti passi, finché ai piedi del monte hanno ritrovato la fenditura [dove si trova la scala che conduce al castello] e quindi per i gradini che salgono a spirale giunsero fino alla porta del castello.
38
Sulla soglia Atlante tolse un sasso, scolpito con figure [magiche] e strani segni. Sotto vi sono dei vasi, che [gli incantatori] chiamano olle [ossia pentole], che emettono sempre del fumo e hanno dentro un fuoco nascosto. L’incantatore le spezza e a un tratto il colle rimane deserto, inospitale e selvaggio; da nessuna parte vi resta un muro o una torre, come se lì non ci fosse mai stato alcun castello.
39
Si liberò allora il mago dalla donna, come fa spesso il tordo dalla ragna [la rete per la caccia, sottile come quella dei ragni]; e nello stesso istante sparì assieme a lui il suo castello, lasciando in libertà quella compagnia [che dentro vi era rinchiusa]. Le donne e i cavalieri si ritrovarono fuori dalle stanze superbe [cioè maestose] in mezzo alla campagna: e molte di loro se ne dispiacquero, dato che tale liberazione tolse a loro un gran piacere.
40
Qui c’è Gradasso, qui c’è Sacripante, qui c’è Prasildo, il nobile cavaliere che se ne vanne dal Levante assieme a Rinaldo, e con loro Iroldo, il fedele paio di amici. Infine la bella Bradamante trovò qui il suo desiderato Ruggiero, il quale, dopo che l’ebbe sicuramente riconosciuta, le fece una buona e graditissima accoglienza;
41
come a colei che più dei propri occhi, più del suo cuore, più della propria vita Ruggiero amò dal giorno ch’ella per lui si tolse l’elmo e poi ne rimase ferita [in seguito allo scontro con un saraceno]. Sarebbe lungo dire come, e da chi, e quanto nella selva aspra e solitaria essi si cercarono di notte e nel giorno chiaro; e che mai più, se non qui, essi si erano ritrovati.


La lotta tra Bradamante e Atlante in una illustrazione dell’inglese Henry Justice Ford del 1921







lunedì 24 ottobre 2016

20 Orlando furioso - Canto secondo: ottave 33-56 (di Ludovico Ariosto)



BRADAMANTE E PINABELLO: IL CASTELLO DI ATLANTE

Bradamante, sorella di Rinaldo, eroina cristiana, cerca il suo innamorato, Ruggiero, che milita, non sapendo di essere nato da genitori cristiani, in campo saraceno. Dall’unione tra i due avrà origine la casata degli Este, ma la loro storia d’amore è continuamente contrastata da altri personaggi, tra i quali il più agguerrito è il mago Atlante di Carena. Egli sa che se Ruggiero sposerà Bradamante e si convertirà alla fede cristiana, sarà presto ucciso a tradimento dai Maganzesi, tradizionali nemici della casa di Chiaramonte, a cui appartiene la giovane. E poiché Atlante ama Ruggiero come un padre, si sforza di tenerlo lontano dalla Francia con le sue arti magiche.
In queste ottave Bradamante incontra Pinabello, un maganzese, il quale le racconta di come Ruggiero sia stato preso dal mago Atlante; sono ottave con le quali il mondo magico entra decisamente nell’Orlando furioso.

33
Quindi cercando Bradamante gìa
L’amante suo, ch’avea nome dal padre,
così sicura senza compagnia,
come avesse in sua guardia mille squadre:
e fatto ch’ebbe al re di Circassia
battere il volto dell’antiqua madre,
traversò un bosco, e dopo il bosco un monte,
 tanto che giunse ad una bella fonte.
34
La fonte discorrea per mezzo un prato,
d’arbori antiqui e di bell’ombre adorno,
ch’i viandanti col mormorio grato
a ber invita e a far seco soggiorno:
un culto monticel dal manco lato
le difende il calor del mezzo giorno.
Quivi, come i begli occhi prima torse,
d’un cavallier la giovane s’accorse;
35
D’un cavallier, ch’all'ombra d’un boschetto,
nel margin verde e bianco e rosso e giallo
sedea pensoso, tacito e soletto
sopra quel chiaro e liquido cristallo.
Lo scudo non lontan pende e l’elmetto
dal faggio, ove legato era il cavallo;
ed avea gli occhi molli e ‘l viso basso,
e si mostrava addolorato e lasso.
36
Questo disir, ch’a tutti sta nel core,
de’ fatti altrui sempre cercar novella,
fece a quel cavallier del suo dolore
la cagion domandar da la donzella.
Egli l’aperse e tutta mostrò fuore,
dal cortese parlar mosso di quella,
e dal sembiante altier, ch’al primo sguardo
gli sembrò di guerrier molto gagliardo.
37
E cominciò: - Signor, io conducea
pedoni e cavallieri, e venìa in campo
là dove Carlo Marsilio attendea,
perch’al scender del monte avesse inciampo;
e una giovane bella meco avea,
del cui fervido amor nel petto avampo:
e ritrovai presso a Rodonna armato
un che frenava un gran destriero alato.
38
Tosto che ‘l ladro, o sia mortale, o sia
una de l’infernali anime orrende,
vede la bella e cara donna mia;
come falcon che per ferir discende,
cala e poggia in uno atimo, e tra via
getta le mani, e lei smarrita prende.
Ancor non m’era accorto de l’assalto,
che de la donna io senti’ il grido in alto.
39
Così il rapace nibio furar suole
il misero pulcin presso alla chioccia,
che di sua inavvertenza poi si duole,
e invan gli grida, e invan dietro gli croccia.
Io non posso seguir un uom che vole,
chiuso tra’ monti, a piè d’un’erta roccia:
stanco ho il destrier, che muta a pena i passi
ne l’aspre vie de’ faticosi sassi.
40
Ma, come quel che men curato avrei
vedermi trar di mezzo il petto il core,
lasciai lor via seguir quegli altri miei,
senza mia guida e senza alcun rettore:
per li scoscesi poggi e manco rei
presi la via che mi mostrava Amore,
e dove mi parea che quel rapace
portassi il mio conforto e la mia pace.
41
Sei giorni me n’andai matina e sera
per balze e per pendici orride e strane,
dove non via, dove sentier non era,
dove né segno di vestigie umane;
poi giunsi in una valle inculta e fiera,
di ripe cinta e spaventose tane,
che nel mezzo s’un sasso avea un castello
forte e ben posto, a maraviglia bello.
42
Da lungi par che come fiamma lustri,
né sia di terra cotta, né di marmi.
Come più m’avicino ai muri illustri,
l’opra più bella e più mirabil parmi.
E seppi poi, come i demoni industri,
da suffumigi tratti e sacri carmi,
tutto d’acciaio avean cinto il bel loco,
temprato all’onda ed allo stigio foco.
43
Di sì forbito acciar luce ogni torre,
che non vi può né ruggine né macchia.
Tutto il paese giorno e notte scorre,
e poi là dentro il rio ladron s’immacchia.
Cosa non ha ripar che voglia torre:
sol dietro invan se li bestemia e gracchia.
Quivi la donna, anzi il mio cor mi tiene,
che di mai ricovrar lascio ogni spene.
44
Ah lasso! che poss’io più che mirare
la rocca lungi, ove il mio ben m’è chiuso?
come la volpe, che ‘l figlio gridare
nel nido oda de l’aquila di giuso,
s’aggira intorno, e non sa che si fare,
poi che l’ali non ha da gir là suso.
Erto è quel sasso sì, tale è il castello,
che non vi può salir chi non è augello.
45
Mentre io tardava quivi, ecco venire
duo cavallier ch’avean per guida un nano,
che la speranza aggiunsero al desire;
ma ben fu la speranza e il desir vano.
Ambi erano guerrier di sommo ardire:
era Gradasso l’un, re sericano;
era l’altro Ruggier, giovene forte,
pregiato assai ne l’africana corte.
46
«Vengon (mi disse il nano) per far pruova
di lor virtù col sir di quel castello,
che per via strana, inusitata e nuova
cavalca armato il quadrupede augello».
«Deh, signor (diss’io lor), pietà vi muova
del duro caso mio spietato e fello!
Quando, come ho speranza, voi vinciate,
vi prego la mia donna mi rendiate.
47
E come mi fu tolta lor narrai,
con lacrime affermando il dolor mio.
Quei, lor mercé, mi proferiro assai,
e giù calaro il poggio alpestre e rio.
Di lontan la battaglia io riguardai,
pregando per la lor vittoria Dio.
Era sotto il castel tanto di piano,
quanto in due volte si può trar con mano.
48
Poi che fur giunti a piè de l’alta rocca,
l’uno e l’altro volea combatter prima;
pur a Gradasso, o fosse sorte, tocca,
o pur che non ne fe’ Ruggier più stima.
Quel Serican si pone il corno a bocca:
rimbomba il sasso e la fortezza in cima.
Ecco apparire il cavalliero armato
fuor de la porta, e sul cavallo alato.
49
Cominciò a poco a poco indi a levarse,
come suol far la peregrina grue,
che corre prima, e poi vediamo alzarse
alla terra vicina un braccio o due;
e quando tutte sono all’aria sparse,
velocissime mostra l’ale sue.
Sì ad alto il negromante batte l’ale,
ch’a tanta altezza a pena aquila sale.
50
Quando gli parve poi, volse il destriero,
che chiuse i vanni e venne a terra a piombo,
come casca dal ciel falcon maniero
che levar veggia l’anitra o il colombo.
Con la lancia arrestata il cavalliero
L’aria fendendo vien d’orribil rombo.
Gradasso a pena del calar s’avede,
che se lo sente addosso e che lo fiede.
51
Sopra Gradasso il mago l’asta roppe;
ferì Gradasso il vento e l’aria vana:
per questo il volator non interroppe
il batter l’ale, e quindi s’allontana.
Il grave scontro fa chinar le groppe
sul verde prato alla gagliarda alfana.
Gradasso avea una alfana, la più bella
e la miglior che mai portasse sella.
52
Sin alle stelle il volator trascorse;
indi girossi e tornò in fretta al basso,
e percosse Ruggier che non s’accorse,
Ruggier che tutto intento era a Gradasso.
Ruggier del grave colpo si distorse,
e ‘l suo destrier più rinculò d’un passo;
e quando si voltò per lui ferire,
da sé lontano il vide al ciel salire.
53
Or su Gradasso, or su Ruggier percote
ne la fronte, nel petto e ne la schiena,
e le botte di quei lascia ognor vote,
perché è sì presto, che si vede a pena.
Girando va con spaziose rote,
e quando all’uno accenna, all’altro mena:
all’uno e all’altro sì gli occhi abbarbaglia,
che non ponno veder donde gli assaglia.
54
Fra duo guerrieri in terra ed uno in cielo
la battaglia durò sino a quella ora,
che spiegando pel mondo oscuro velo,
tutte le belle cose discolora.
Fu quel ch’io dico, e non v’aggiungo un pelo:
io ‘l vidi, i’ ’l so: né m’assicuro ancora
di dirlo altrui; che questa maraviglia
al falso più ch’al ver si rassimiglia.
55
D’un bel drappo di seta avea coperto
lo scudo in braccio il cavallier celeste.
Come avesse, non so, tanto sofferto
di tenerlo nascosto in quella veste;
ch’immantinente che lo mostra aperto,
forza è, ch’il mira, abbarbagliato reste,
e cada come corpo morto cade,
e venga al negromante in potestade.
56
Splende lo scudo a guisa di piropo,
e luce altra non è tanto lucente.
Cadere in terra allo splendor fu d’uopo
con gli occhi abbacinati, e senza mente.
Perdei da lungi anch’io li sensi, e dopo
gran spazio mi riebbi finalmente;
né più i guerrier né più vidi quel nano,
ma vòto il campo, e scuro il monte e il piano».

PARAFRASI:

33
Quindi Bradamante se ne andava cercando il suo amante, che portava lo stesso nome del padre, così sicura senza alcuna compagnia, come se avesse a farle da guardia mille squadre di soldati: e dopo aver fatto battere la faccia sull’antica madre (cioè la terra, madre di tutti gli uomini) al re di Circassia (cioè Sacripante; l’episodio del duello tra Bradamante e Sacripante è raccontato nel canto 1), attraversò un bosco, e dopo il bosco un monte, finché giunse ad una bella fonte.
34
La fonte scorreva in mezzo a un prato, ornato di antichi alberi e di belle ombre, che invita i viandanti con il suo gradevole mormorio a bere e a fermarsi presso a lei: dal lato sinistro un monticello coltivato tiene lontano da essa il calore del mezzogiorno. Qui, non appena volse i begli occhi, la giovane s’accorse d’un cavaliere;
35
d’un cavaliere, che all’ombra d’un boschetto, nel margine verde (dell’erba) e bianco e rosso e giallo (dei fiori) sedeva pensoso, tacito e tutto solo sopra quel cristallo chiaro e liquido (cioè, l’acqua limpida come cristallo). Pende lo scudo non lontano e l’elmetto dal faggio, dove era legato il cavallo; e aveva gli occhi bagnati di pianto e il viso basso e si mostrava addolorato e infelice.
36
Quel desiderio, che sta nel cuore di tutti, di cercare notizia dei fatti altrui (cioè di sapere i fatti degli altri), spinse la fanciulla a domandare a quel cavalier il motivo del suo dolore. Egli lo rivelò e lo buttò fuori tutto, mosso dal cortese parlar di quella, e dall’atteggiamento altero, che al primo sguardo gli sembrò di guerrier molto coraggioso [il cavaliere non sa che ha di fronte una donna, poiché Bradamante non si è tolta l’elmo].
37
E cominciò: «Signore, io conducevo fanti e cavalieri ed ero giunto al campo là dove Carlo attendeva Marsilio, perché scendesse dal monte per trovarvi ostacolo [l’ostacolo è il suo esercito]; e avevo con me una bella giovane, per amore della quale avvampo nel petto: quand’ecco che presso la città di Rodumna trovai un armato che teneva a freno un gran cavallo alato.
38
Non appena quel ladro, sia egli un mortale, o sia una delle orrende anime infernali, vide la mia bella e cara donna; come falcone che scende in volo per ferire (la preda), scende e si alza in aria in un attimo e senza arrestarsi stende le mani e prende lei tutta smarrita. Ancora non mi ero accorto dell’assalto, che sentii il grido della donna in alto.
39
Così il rapace nibbio suole rubare il misero pulcino presso alla chioccia, la quale poi si addolora per la sua disattenzione, e invano gli grida dietro, invano gli croccia [“crocciare” sarebbe il chiocciare della gallina; questo verbo si trova solo in questo passo dell’Ariosto]. Io non posse seguire un uomo che vola, chiuso tra i monti, ai piedi di una ripida roccia: stanco ho il cavallo, che a stento mette un passo davanti all’altro nei duri sentieri dei sassi faticosi [cioè le rocce, che rendono faticoso l’andare].
40
Ma, come uno che si sarebbe curato di meno se avessi visto strapparmi il cuore dal petto, lasciai che i miei compagni seguissero la loro strada, senza la mia guida e senza alcun comandante: per i pendii scoscesi e per quelli meno duri presi la via che mi mostrava Amore, e dove mi sembrava che quel rapace portasse il mio conforto e la mia pace.
41
Per sei giorni me ne andai mattina e sera per dirupi e per pendii orribili e impervi, dove non c’era strada, dove non c’era sentiero, dove non c’era neppure una traccia di orma umana; poi giunsi in una valle incolta e selvaggia, circondata di dirupi e spaventose caverne, che aveva nel mezzo, sopra un monte, un castello forte e ben collocato, bello da restarne meravigliati.
42
Da lontano pare che risplenda come fiamma, e pare che non sia fatto né di terracotta, né di marmo.
Come più mi avvicino ai muri rilucenti, l’edificio mi sembra più bello e più meraviglioso. Seppi più tardi che demoni industriosi, evocati da fumigazioni d’incenso e da formule magiche, avevano cinto tutto il bel luogo con l’acciaio, temprato nell’onda di fuoco dello Stige [il fiume dell’Inferno].
43
Ogni torre riluce di questo terso acciaio, che non lo può danneggiare né ruggine né macchia. Tutto il paese passa il giorno e la notte e là dentro il ladrone malvagio si nasconde nella macchia. Non c’è cosa che egli voglia prendere che possa trovar riparo da lui: soltanto può bestemmiargli dietro invano e strepitare. Qui tiene la mia donna, anzi il mio cuore, che mai lascio la speranza di ritrovare.
44
Ah infelice! Che posso fare se non riguardare da lontano la rocca, dove il mio bene è rinchiuso? come la volpe che in basso ode il figlio gridare nel nido dell’aquila, si aggira intorno e non sa cosa fare, poiché non ha le ali per salire fin lassù. Quel monte è troppo ripido, e tale è il castello, che non vi può arrivare se non un uccello.
45
Mentre io mi attardavo qui, ecco venire due cavalieri che avevano come guida un nano, e che aggiunsero al mio desiderio la speranza [di riprendere l’amata]; ma sia la speranza sia il desiderio furono vani. Entrambi erano guerrieri di sommo coraggio: uno era Gradasso, re di Sericana [in Asia]; l’altro era Ruggiero, giovane forte, molto rinomato nella reggia africana.
46
«Vengono (mi disse il nano) per provare il loro valore col signore di quel castello, che per strana via [l’aria], mai usata e nuova cavalca armato l’uccello quadrupede». «Oh signori (dissi io a loro) la pietà per il mio caso spietato e crudele vi smuova! Allorché, come spero, voi vinciate, vi prego di ridarmi la mia donna».
47
E narrai a loro come mi era stata tolta, dimostrando il mio dolore con le lacrime. Essi, per loro grazia, mi fecero molte promesse, e si misero a scalare il pendio alpestre e difficile. Io guardai la battaglia da lontano, pregando Dio per la loro vittoria. Sotto il castello c’era tanto spazio piano quanto si può ricoprire tirando un sasso per due volte.
48
Dopo essere giunti ai piedi dell’alta rocca, l’uno e l’altro volevano combattere per primo; tuttavia tocca a Gradasso, o perché così volle la sorte, o perché Ruggiero non si preoccupa più di chi comincia per primo. Quel sericano si mette il corno in bocca: il monte ne rimbomba e anche la fortezza in cima. Ecco apparire il cavaliere armato fuori della porta, e sul cavallo alato.
49
A poco a poco cominciò quindi a levarsi, come è solita fare la gru migratrice, che prima corre e poi vediamo alzarsi un braccio o due sopra la terra; e quando sono interamente distese nell’aria, mostra le sue ali velocissime. Così il negromante [il mago] batte le ali in alto, ad un’altezza tale che a stento vi sale un’aquila.
50
Poi quando gli parve il momento, voltò il destriero, che chiuse le ali e venne a terra a piombo, come piomba dal cielo un falcone ammaestrato, che veda alzarsi un’anitra o un colombo. Con la lancia in resta [cioè appoggiata alla resta, un pezzo di ferro sotto il braccio destro, in cui si metteva la lancia per andare all’attacco] il cavaliere fendendo l’aria arriva con un rombo orribile. Gradasso si avvede appena del suo calare, che se lo sente addosso e che lo ferisce.
51
Il mago ruppe l’asta sopra Gradasso; e Gradasso ferì il vento e l’aria vana [cioè nemmeno sfiorò il mago]: per questo l’animale volante non interruppe il suo battere le ali e di qui si allontana. Il grave scontro fa chinare la groppa sul verde prato alla robusta alfana [cavalla di razza araba]. Gradasso aveva un’alfana, la più bella e la migliore che mai abbia portato una sella.
52
Fino alle stelle il volatore giunse; quindi si girò e tornò in basso in fretta, e colpì Ruggiero che non se ne accorse, Ruggiero che era tutto occupato con Gradasso. Ruggiero per il grave colpo si contorse, e il suo destriero rinculò più di un passo: e quando si voltò per ferire [il volatore], lo vide salire al cielo già lontano da sé.
53
Ora su Gradasso, ora su Ruggiero percuote nella fronte, nel petto e nella schiena, e i colpi di loro due li rende sempre vani, perché è così veloce, che si vede a malapena. Va girando con giri tanto larghi e quando finge di colpire uno, ferisce invece l’altro: e stordisce così gli occhi all’uno e all’altro, che non riescono a vedere da dove li assale.
54
Fra i due guerrieri in terra e l’altro in cielo la battaglia durò fino a quell’ora, che, stendendo nel mondo un velo oscuro, fa perdere il colore a tutte le belle cose [cioè fino a sera]. Accadde quello che vi dico e non vi aggiungo un pelo: io lo vidi, io lo so; e non mi fido ancora di dirlo ad altri; che questa meraviglia assomiglia più al falso che al vero.
55
Il cavaliere celeste [cioè che stava in cielo] aveva coperto lo scudo che teneva al braccio con un bel drappo di seta. Non so come fosse riuscito a tenerlo nascosto sotto le sue vesti; e subito quando lo mostra aperto, è forza che chi lo guarda ne resti frastornato, e cada come cade un corpo morto, e venga in potere del negromante.
56
Lo scudo splende come un piropo [una pietra preziosa di colore rosso acceso] e nessun’altra luce è tanto splendente. Fu necessità di fronte a quello splendore cadere in terra con gli occhi abbagliati e senza facoltà mentali [cioè svenuti]. Anch’io da lontano persi i sensi e mi riebbi finalmente solo dopo tanto tempo; non vidi più i guerrieri, non vidi più quel nano, ma vuoto il campo e scuro il monte e il piano.

Pinabello fa cadere Bradamante in una buca profonda, affresco di Palazzo Valenti a Talamona (Sondrio). L’episodio è raccontato nelle ultime ottave del canto II.