BRADAMANTE E PINABELLO: IL CASTELLO DI ATLANTE
Bradamante, sorella di Rinaldo, eroina
cristiana, cerca il suo innamorato, Ruggiero, che milita, non sapendo di essere
nato da genitori cristiani, in campo saraceno. Dall’unione tra i due avrà
origine la casata degli Este, ma la loro storia d’amore è continuamente
contrastata da altri personaggi, tra i quali il più agguerrito è il mago
Atlante di Carena. Egli sa che se Ruggiero sposerà Bradamante e si convertirà
alla fede cristiana, sarà presto ucciso a tradimento dai Maganzesi,
tradizionali nemici della casa di Chiaramonte, a cui appartiene la giovane. E
poiché Atlante ama Ruggiero come un padre, si sforza di tenerlo lontano dalla
Francia con le sue arti magiche.
In queste ottave Bradamante incontra
Pinabello, un maganzese, il quale le racconta di come Ruggiero sia stato preso
dal mago Atlante; sono ottave con le quali il mondo magico entra decisamente
nell’Orlando furioso.
33
Quindi
cercando Bradamante gìa
L’amante
suo, ch’avea nome dal padre,
così
sicura senza compagnia,
come
avesse in sua guardia mille squadre:
e
fatto ch’ebbe al re di Circassia
battere
il volto dell’antiqua madre,
traversò
un bosco, e dopo il bosco un monte,
tanto che giunse ad una bella fonte.
34
La
fonte discorrea per mezzo un prato,
d’arbori
antiqui e di bell’ombre adorno,
ch’i
viandanti col mormorio grato
a
ber invita e a far seco soggiorno:
un
culto monticel dal manco lato
le
difende il calor del mezzo giorno.
Quivi,
come i begli occhi prima torse,
d’un
cavallier la giovane s’accorse;
35
D’un
cavallier, ch’all'ombra d’un boschetto,
nel
margin verde e bianco e rosso e giallo
sedea
pensoso, tacito e soletto
sopra
quel chiaro e liquido cristallo.
Lo
scudo non lontan pende e l’elmetto
dal
faggio, ove legato era il cavallo;
ed
avea gli occhi molli e ‘l viso basso,
e
si mostrava addolorato e lasso.
36
Questo
disir, ch’a tutti sta nel core,
de’
fatti altrui sempre cercar novella,
fece
a quel cavallier del suo dolore
la
cagion domandar da la donzella.
Egli
l’aperse e tutta mostrò fuore,
dal
cortese parlar mosso di quella,
e
dal sembiante altier, ch’al primo sguardo
gli
sembrò di guerrier molto gagliardo.
37
E
cominciò: - Signor, io conducea
pedoni
e cavallieri, e venìa in campo
là
dove Carlo Marsilio attendea,
perch’al
scender del monte avesse inciampo;
e
una giovane bella meco avea,
del
cui fervido amor nel petto avampo:
e
ritrovai presso a Rodonna armato
un
che frenava un gran destriero alato.
38
Tosto
che ‘l ladro, o sia mortale, o sia
una
de l’infernali anime orrende,
vede
la bella e cara donna mia;
come
falcon che per ferir discende,
cala
e poggia in uno atimo, e tra via
getta
le mani, e lei smarrita prende.
Ancor
non m’era accorto de l’assalto,
che
de la donna io senti’ il grido in alto.
39
Così
il rapace nibio furar suole
il
misero pulcin presso alla chioccia,
che
di sua inavvertenza poi si duole,
e
invan gli grida, e invan dietro gli croccia.
Io
non posso seguir un uom che vole,
chiuso
tra’ monti, a piè d’un’erta roccia:
stanco
ho il destrier, che muta a pena i passi
ne
l’aspre vie de’ faticosi sassi.
40
Ma,
come quel che men curato avrei
vedermi
trar di mezzo il petto il core,
lasciai
lor via seguir quegli altri miei,
senza
mia guida e senza alcun rettore:
per
li scoscesi poggi e manco rei
presi
la via che mi mostrava Amore,
e
dove mi parea che quel rapace
portassi
il mio conforto e la mia pace.
41
Sei
giorni me n’andai matina e sera
per
balze e per pendici orride e strane,
dove
non via, dove sentier non era,
dove
né segno di vestigie umane;
poi
giunsi in una valle inculta e fiera,
di
ripe cinta e spaventose tane,
che
nel mezzo s’un sasso avea un castello
forte
e ben posto, a maraviglia bello.
42
Da
lungi par che come fiamma lustri,
né
sia di terra cotta, né di marmi.
Come
più m’avicino ai muri illustri,
l’opra
più bella e più mirabil parmi.
E
seppi poi, come i demoni industri,
da
suffumigi tratti e sacri carmi,
tutto
d’acciaio avean cinto il bel loco,
temprato
all’onda ed allo stigio foco.
43
Di
sì forbito acciar luce ogni torre,
che
non vi può né ruggine né macchia.
Tutto
il paese giorno e notte scorre,
e
poi là dentro il rio ladron s’immacchia.
Cosa
non ha ripar che voglia torre:
sol
dietro invan se li bestemia e gracchia.
Quivi
la donna, anzi il mio cor mi tiene,
che
di mai ricovrar lascio ogni spene.
44
Ah
lasso! che poss’io più che mirare
la
rocca lungi, ove il mio ben m’è chiuso?
come
la volpe, che ‘l figlio gridare
nel
nido oda de l’aquila di giuso,
s’aggira
intorno, e non sa che si fare,
poi
che l’ali non ha da gir là suso.
Erto
è quel sasso sì, tale è il castello,
che
non vi può salir chi non è augello.
45
Mentre
io tardava quivi, ecco venire
duo
cavallier ch’avean per guida un nano,
che
la speranza aggiunsero al desire;
ma
ben fu la speranza e il desir vano.
Ambi
erano guerrier di sommo ardire:
era
Gradasso l’un, re sericano;
era
l’altro Ruggier, giovene forte,
pregiato
assai ne l’africana corte.
46
«Vengon
(mi disse il nano) per far pruova
di
lor virtù col sir di quel castello,
che
per via strana, inusitata e nuova
cavalca
armato il quadrupede augello».
«Deh,
signor (diss’io lor), pietà vi muova
del
duro caso mio spietato e fello!
Quando,
come ho speranza, voi vinciate,
vi
prego la mia donna mi rendiate.
47
E
come mi fu tolta lor narrai,
con
lacrime affermando il dolor mio.
Quei,
lor mercé, mi proferiro assai,
e
giù calaro il poggio alpestre e rio.
Di
lontan la battaglia io riguardai,
pregando
per la lor vittoria Dio.
Era
sotto il castel tanto di piano,
quanto
in due volte si può trar con mano.
48
Poi
che fur giunti a piè de l’alta rocca,
l’uno
e l’altro volea combatter prima;
pur
a Gradasso, o fosse sorte, tocca,
o
pur che non ne fe’ Ruggier più stima.
Quel
Serican si pone il corno a bocca:
rimbomba
il sasso e la fortezza in cima.
Ecco
apparire il cavalliero armato
fuor
de la porta, e sul cavallo alato.
49
Cominciò
a poco a poco indi a levarse,
come
suol far la peregrina grue,
che
corre prima, e poi vediamo alzarse
alla
terra vicina un braccio o due;
e
quando tutte sono all’aria sparse,
velocissime
mostra l’ale sue.
Sì
ad alto il negromante batte l’ale,
ch’a
tanta altezza a pena aquila sale.
50
Quando
gli parve poi, volse il destriero,
che
chiuse i vanni e venne a terra a piombo,
come
casca dal ciel falcon maniero
che
levar veggia l’anitra o il colombo.
Con
la lancia arrestata il cavalliero
L’aria
fendendo vien d’orribil rombo.
Gradasso
a pena del calar s’avede,
che
se lo sente addosso e che lo fiede.
51
Sopra
Gradasso il mago l’asta roppe;
ferì
Gradasso il vento e l’aria vana:
per
questo il volator non interroppe
il
batter l’ale, e quindi s’allontana.
Il
grave scontro fa chinar le groppe
sul
verde prato alla gagliarda alfana.
Gradasso
avea una alfana, la più bella
e
la miglior che mai portasse sella.
52
Sin
alle stelle il volator trascorse;
indi
girossi e tornò in fretta al basso,
e
percosse Ruggier che non s’accorse,
Ruggier
che tutto intento era a Gradasso.
Ruggier
del grave colpo si distorse,
e
‘l suo destrier più rinculò d’un passo;
e
quando si voltò per lui ferire,
da
sé lontano il vide al ciel salire.
53
Or
su Gradasso, or su Ruggier percote
ne
la fronte, nel petto e ne la schiena,
e
le botte di quei lascia ognor vote,
perché
è sì presto, che si vede a pena.
Girando
va con spaziose rote,
e
quando all’uno accenna, all’altro mena:
all’uno
e all’altro sì gli occhi abbarbaglia,
che
non ponno veder donde gli assaglia.
54
Fra
duo guerrieri in terra ed uno in cielo
la
battaglia durò sino a quella ora,
che
spiegando pel mondo oscuro velo,
tutte
le belle cose discolora.
Fu
quel ch’io dico, e non v’aggiungo un pelo:
io
‘l vidi, i’ ’l so: né m’assicuro ancora
di
dirlo altrui; che questa maraviglia
al
falso più ch’al ver si rassimiglia.
55
D’un
bel drappo di seta avea coperto
lo
scudo in braccio il cavallier celeste.
Come
avesse, non so, tanto sofferto
di
tenerlo nascosto in quella veste;
ch’immantinente
che lo mostra aperto,
forza
è, ch’il mira, abbarbagliato reste,
e
cada come corpo morto cade,
e
venga al negromante in potestade.
56
Splende
lo scudo a guisa di piropo,
e
luce altra non è tanto lucente.
Cadere
in terra allo splendor fu d’uopo
con
gli occhi abbacinati, e senza mente.
Perdei
da lungi anch’io li sensi, e dopo
gran
spazio mi riebbi finalmente;
né
più i guerrier né più vidi quel nano,
ma
vòto il campo, e scuro il monte e il piano».
PARAFRASI:
33
Quindi
Bradamante se ne andava cercando il suo amante, che portava lo stesso nome del
padre, così sicura senza alcuna compagnia, come se avesse a farle da guardia
mille squadre di soldati: e dopo aver fatto battere la faccia sull’antica madre
(cioè la terra, madre di tutti gli uomini) al re di Circassia (cioè Sacripante;
l’episodio del duello tra Bradamante e Sacripante è raccontato nel canto 1),
attraversò un bosco, e dopo il bosco un monte, finché giunse ad una bella
fonte.
34
La
fonte scorreva in mezzo a un prato, ornato di antichi alberi e di belle ombre,
che invita i viandanti con il suo gradevole mormorio a bere e a fermarsi presso
a lei: dal lato sinistro un monticello coltivato tiene lontano da essa il
calore del mezzogiorno. Qui, non appena volse i begli occhi, la giovane
s’accorse d’un cavaliere;
35
d’un
cavaliere, che all’ombra d’un boschetto, nel margine verde (dell’erba) e bianco
e rosso e giallo (dei fiori) sedeva pensoso, tacito e tutto solo sopra quel
cristallo chiaro e liquido (cioè, l’acqua limpida come cristallo). Pende lo
scudo non lontano e l’elmetto dal faggio, dove era legato il cavallo; e aveva
gli occhi bagnati di pianto e il viso basso e si mostrava addolorato e
infelice.
36
Quel
desiderio, che sta nel cuore di tutti, di cercare notizia dei fatti altrui
(cioè di sapere i fatti degli altri), spinse la fanciulla a domandare a quel
cavalier il motivo del suo dolore. Egli lo rivelò e lo buttò fuori tutto, mosso
dal cortese parlar di quella, e dall’atteggiamento altero, che al primo sguardo
gli sembrò di guerrier molto coraggioso [il cavaliere non sa che ha di fronte
una donna, poiché Bradamante non si è tolta l’elmo].
37
E
cominciò: «Signore, io conducevo fanti e cavalieri ed ero giunto al campo là
dove Carlo attendeva Marsilio, perché scendesse dal monte per trovarvi ostacolo
[l’ostacolo è il suo esercito]; e avevo con me una bella giovane, per amore
della quale avvampo nel petto: quand’ecco che presso la città di Rodumna trovai
un armato che teneva a freno un gran cavallo alato.
38
Non
appena quel ladro, sia egli un mortale, o sia una delle orrende anime
infernali, vide la mia bella e cara donna; come falcone che scende in volo per
ferire (la preda), scende e si alza in aria in un attimo e senza arrestarsi
stende le mani e prende lei tutta smarrita. Ancora non mi ero accorto
dell’assalto, che sentii il grido della donna in alto.
39
Così
il rapace nibbio suole rubare il misero pulcino presso alla chioccia, la quale
poi si addolora per la sua disattenzione, e invano gli grida dietro, invano gli
croccia [“crocciare” sarebbe il chiocciare della gallina; questo verbo si trova
solo in questo passo dell’Ariosto]. Io non posse seguire un uomo che vola,
chiuso tra i monti, ai piedi di una ripida roccia: stanco ho il cavallo, che a
stento mette un passo davanti all’altro nei duri sentieri dei sassi faticosi
[cioè le rocce, che rendono faticoso l’andare].
40
Ma,
come uno che si sarebbe curato di meno se avessi visto strapparmi il cuore dal
petto, lasciai che i miei compagni seguissero la loro strada, senza la mia
guida e senza alcun comandante: per i pendii scoscesi e per quelli meno duri
presi la via che mi mostrava Amore, e dove mi sembrava che quel rapace portasse
il mio conforto e la mia pace.
41
Per
sei giorni me ne andai mattina e sera per dirupi e per pendii orribili e
impervi, dove non c’era strada, dove non c’era sentiero, dove non c’era neppure
una traccia di orma umana; poi giunsi in una valle incolta e selvaggia,
circondata di dirupi e spaventose caverne, che aveva nel mezzo, sopra un monte,
un castello forte e ben collocato, bello da restarne meravigliati.
42
Da
lontano pare che risplenda come fiamma, e pare che non sia fatto né di
terracotta, né di marmo.
Come
più mi avvicino ai muri rilucenti, l’edificio mi sembra più bello e più
meraviglioso. Seppi più tardi che demoni industriosi, evocati da fumigazioni
d’incenso e da formule magiche, avevano cinto tutto il bel luogo con l’acciaio,
temprato nell’onda di fuoco dello Stige [il fiume dell’Inferno].
43
Ogni
torre riluce di questo terso acciaio, che non lo può danneggiare né ruggine né
macchia. Tutto il paese passa il giorno e la notte e là dentro il ladrone
malvagio si nasconde nella macchia. Non c’è cosa che egli voglia prendere che
possa trovar riparo da lui: soltanto può bestemmiargli dietro invano e
strepitare. Qui tiene la mia donna, anzi il mio cuore, che mai lascio la
speranza di ritrovare.
44
Ah
infelice! Che posso fare se non riguardare da lontano la rocca, dove il mio
bene è rinchiuso? come la volpe che in basso ode il figlio gridare nel nido
dell’aquila, si aggira intorno e non sa cosa fare, poiché non ha le ali per
salire fin lassù. Quel monte è troppo ripido, e tale è il castello, che non vi
può arrivare se non un uccello.
45
Mentre
io mi attardavo qui, ecco venire due cavalieri che avevano come guida un nano,
e che aggiunsero al mio desiderio la speranza [di riprendere l’amata]; ma sia
la speranza sia il desiderio furono vani. Entrambi erano guerrieri di sommo
coraggio: uno era Gradasso, re di Sericana [in Asia]; l’altro era Ruggiero,
giovane forte, molto rinomato nella reggia africana.
46
«Vengono
(mi disse il nano) per provare il loro valore col signore di quel castello, che
per strana via [l’aria], mai usata e nuova cavalca armato l’uccello
quadrupede». «Oh signori (dissi io a loro) la pietà per il mio caso spietato e
crudele vi smuova! Allorché, come spero, voi vinciate, vi prego di ridarmi la
mia donna».
47
E
narrai a loro come mi era stata tolta, dimostrando il mio dolore con le
lacrime. Essi, per loro grazia, mi fecero molte promesse, e si misero a scalare
il pendio alpestre e difficile. Io guardai la battaglia da lontano, pregando
Dio per la loro vittoria. Sotto il castello c’era tanto spazio piano quanto si
può ricoprire tirando un sasso per due volte.
48
Dopo
essere giunti ai piedi dell’alta rocca, l’uno e l’altro volevano combattere per
primo; tuttavia tocca a Gradasso, o perché così volle la sorte, o perché
Ruggiero non si preoccupa più di chi comincia per primo. Quel sericano si mette
il corno in bocca: il monte ne rimbomba e anche la fortezza in cima. Ecco
apparire il cavaliere armato fuori della porta, e sul cavallo alato.
49
A
poco a poco cominciò quindi a levarsi, come è solita fare la gru migratrice,
che prima corre e poi vediamo alzarsi un braccio o due sopra la terra; e quando
sono interamente distese nell’aria, mostra le sue ali velocissime. Così il
negromante [il mago] batte le ali in alto, ad un’altezza tale che a stento vi
sale un’aquila.
50
Poi
quando gli parve il momento, voltò il destriero, che chiuse le ali e venne a
terra a piombo, come piomba dal cielo un falcone ammaestrato, che veda alzarsi
un’anitra o un colombo. Con la lancia in resta [cioè appoggiata alla resta, un
pezzo di ferro sotto il braccio destro, in cui si metteva la lancia per andare
all’attacco] il cavaliere fendendo l’aria arriva con un rombo orribile.
Gradasso si avvede appena del suo calare, che se lo sente addosso e che lo
ferisce.
51
Il
mago ruppe l’asta sopra Gradasso; e Gradasso ferì il vento e l’aria vana [cioè
nemmeno sfiorò il mago]: per questo l’animale volante non interruppe il suo
battere le ali e di qui si allontana. Il grave scontro fa chinare la groppa sul
verde prato alla robusta alfana [cavalla di razza araba]. Gradasso aveva
un’alfana, la più bella e la migliore che mai abbia portato una sella.
52
Fino
alle stelle il volatore giunse; quindi si girò e tornò in basso in fretta, e
colpì Ruggiero che non se ne accorse, Ruggiero che era tutto occupato con
Gradasso. Ruggiero per il grave colpo si contorse, e il suo destriero rinculò
più di un passo: e quando si voltò per ferire [il volatore], lo vide salire al
cielo già lontano da sé.
53
Ora
su Gradasso, ora su Ruggiero percuote nella fronte, nel petto e nella schiena,
e i colpi di loro due li rende sempre vani, perché è così veloce, che si vede a
malapena. Va girando con giri tanto larghi e quando finge di colpire uno,
ferisce invece l’altro: e stordisce così gli occhi all’uno e all’altro, che non
riescono a vedere da dove li assale.
54
Fra
i due guerrieri in terra e l’altro in cielo la battaglia durò fino a quell’ora,
che, stendendo nel mondo un velo oscuro, fa perdere il colore a tutte le belle
cose [cioè fino a sera]. Accadde quello che vi dico e non vi aggiungo un pelo:
io lo vidi, io lo so; e non mi fido ancora di dirlo ad altri; che questa
meraviglia assomiglia più al falso che al vero.
55
Il
cavaliere celeste [cioè che stava in cielo] aveva coperto lo scudo che teneva
al braccio con un bel drappo di seta. Non so come fosse riuscito a tenerlo
nascosto sotto le sue vesti; e subito quando lo mostra aperto, è forza che chi
lo guarda ne resti frastornato, e cada come cade un corpo morto, e venga in
potere del negromante.
56
Lo
scudo splende come un piropo [una pietra preziosa di colore rosso acceso] e
nessun’altra luce è tanto splendente. Fu necessità di fronte a quello splendore
cadere in terra con gli occhi abbagliati e senza facoltà mentali [cioè
svenuti]. Anch’io da lontano persi i sensi e mi riebbi finalmente solo dopo
tanto tempo; non vidi più i guerrieri, non vidi più quel nano, ma vuoto il
campo e scuro il monte e il piano.
Pinabello
fa cadere Bradamante in una buca profonda, affresco
di Palazzo Valenti a Talamona (Sondrio). L’episodio è raccontato nelle ultime
ottave del canto II.
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