domenica 16 ottobre 2016

15 Attentato alla stazione di Torino (di Giovanni Pesce)



Questo è il secondo attentato partigiano che ho scelto tra quelli raccontati nel libro “Senza tregua” di Giovanni Pesce”.

Traffico intensissimo alla stazione di Torino: movimento ininterrotto di truppe tedesche e di automezzi militari. Progettiamo un attentato: Spada, io (Ivaldi) (1), e Riccardo dobbiamo confezionare una carica esplosiva a tempo e collocarla in una carrozza ferroviaria in modo da provocare il deragliamento del convoglio militare. Le linee del piano sono semplici. Riccardo che parla correttamente il tedesco, indosserà la divisa della Wehrmacht (2); io lo accompagnerò alla stazione per proteggergli le spalle quando salirà sulla carrozza e abbandonerà lo zaino.
Il progetto è semplice quanto sono complessi i problemi pratici da risolvere.
Non abbiamo alcun dispositivo ad orologeria che possa garantire la deflagrazione delle bombe al momento più opportuno e un certo margine di tempo e di sicurezza agli attentatori. Abbiamo esplosivo e detonatori. Ma l’azione alla stazione di Porta Nuova, programmata per la prima quindicina di febbraio, dovrà essere eseguita in pieno giorno, in uno scompartimento occupato dai soldati tedeschi, senza che sia pensabile usare la solita miccia. Dobbiamo perciò trovare un dispositivo che ci dia il tempo necessario per compiere l’azione. Spada, che pure ha una certa capacità nel confezionare ordigni esplosivi, manca di esperienza in questo campo.
Ilio Barontini, animatore dei "Francs Tireurs et Partisanes" ci ha però dato, tempo indietro, alcuni preziosi suggerimenti. Bisogna munirsi di acido corrosivo, di una provetta di vetro e di una gomma speciale. L’acido corrode lentamente la gomma fino a che una goccia cade su una miscela così composta: clorato di potassa 75%, zolfo 15%, zucchero 10%. Questa miscela esplode allo sfregamento, alla fiamma, all’urto, ecc. Brucia pure al contatto di una sola goccia di acido solforico a 58 Be. «L’acido», aveva detto Barontini, «deve essere trattenuto nella provetta da un lembo di gomma speciale, teso come un tamburo. Più la gomma è tesa, più tempo l’acido impiega a corroderla». Naturalmente fino a che la provetta di vetro stava diritta l’acido non esercitava alcuna azione corrosiva; quando fosse stata capovolta, il liquido si sarebbe riversato sull’involucro di gomma. Da quel momento sarebbero cominciati i minuti terribili.
Dobbiamo procurarci l’acido solforico e la gomma; faremo poi le prove prima di passare all’azione. Decidiamo di esentare Riccardo da questi esperimenti. Avrà i suoi problemi da risolvere al momento di salire su un convoglio tedesco per depositare il suo carico micidiale.
Il compito di procurare la gomma tocca invece a Spada, soprattutto perché è l’unico ad avere una compagna. L’acquisto della gomma adatta richiede infatti una certa delicatezza. Una gomma abbastanza sottile e nello stesso tempo robusta da potersi tendere al massimo e, per lo più, di uno spessore uniforme, in modo da poter resistere ogni volta per il medesimo numero di minuti all’azione dell’acido non è facile da trovare in commercio. Ma l’esperienza di Barontini ci aiuta ancora una volta. Dobbiamo procurarci dei preservativi di buona qualità in farmacia.
In tempo di guerra, naturalmente, anche questi prodotti sono divenuti rari e l’acquistarne una scorta può destare sospetti. Per questo Spada si fa accompagnare dalla moglie Nuccia, anche se non ritiene opportuno spiegarle il tipo di acquisto che va a fare. Spada è un uomo dalla magrezza proverbiale. Il viso affilato, il corpo ossuto, cammina quasi senza far rumore. Anche questo accentua la sua magrezza. A vederlo sembra che non pesi nemmeno. Col suo aspetto discreto e la voce sommessa chiede al farmacista dei preservativi d’anteguerra. Niente prodotti autarchici (3) poco sicuri. Il prezzo è naturalmente elevato, ma ne è rimasta in magazzino una scatola intera. Quanti? Una bustina? Spada ha sei bombe in fabbricazione. Altre in prospettiva. Gli esperimenti comporteranno uno spreco di materiale. Mentre esita, la sua compagna svolge tranquillamente il suo problema. Nella sua beata ingenuità, sentendo che si tratta di roba difficile da trovare nei tempi di autarchia, chiede se non è il caso di acquistare la scatola intera da cento. La situazione appare vagamente boccaccesca (4), ma si risolve nel modo migliore. Cento gomme di prima qualità non valevano forse la "brutta figura"?
Dalla bottiglia, con estrema cura, versiamo l’acido in una provetta di vetro; la provetta viene inguainata e chiusa da un involucro di gomma tanto teso da produrre, al tocco, una nota acuta. In posizione verticale, la provetta raccoglie nel fondo di vetro l’acido solforico; capovolta, il liquido corrosivo scende sulla gomma che si gonfia leggermente. Durante il primo esperimento, io controllo l’orologio e Spada cerca di tenere immobile la mano. Dobbiamo stabilire nel modo più esatto in quanto tempo l’acido solforico corroderà la gomma e provocherà l’esplosione. La prima prova ci fornisce i tempi di corrosione ma solleva anche una selva di dubbi: che cosa sarebbe accaduto se l’involucro di gomma fosse stato difettoso? Se un urto anche minimo avesse infranto il contenitore del nostro acido solforico facendo uscire l’acido dal vetro prima del tempo? Quest’ultimo problema viene risolto da Spada. Tende la gomma al massimo e inguaina tutta la provetta, nel peggiore dei casi, avrebbe potuto verificarsi un’esplosione ritardata, non anticipata. I nostri esperimenti, minuziosi e scrupolosi, accerteranno poi che la resistenza della gomma all’acido solforico è uniforme, se la qualità è buona. Alla vigilia molti interrogativi ci turbano ancora. Ci siamo resi conto che il margine di sicurezza del nostro ordigno esplosivo è limitato a dieci minuti nel più fortunato dei casi. Gli incerti sono innumerevoli.
Tocca a me accompagnare Riccardo nella parte conclusiva della missione. Egli è ignaro dei nostri esperimenti e delle nostre preoccupazioni. A ragion veduta, perché deve percorrere da solo il tragitto dal marciapiede al treno. L’aspetterò davanti allo scompartimento. Io posso ben essere turbato dalla preparazione casalinga del nostro ordigno, lui no. Deve apparire un disinvolto soldato tedesco che si accinge a partire.
Riccardo è abituato al rischio. Riesce persino a divertirsi nel pieno pericolo. Questa mattina mi sembra difficile evitargli il contagio della mia ansia. Può accorgersi che tendo a camminare parecchi passi indietro, ma un metro di distanza non mi salverà certo dall’esplosione di quel carico infernale.
È elegante nella sua uniforme di soldato tedesco. Procede leggermente curvo: nello zaino porta tre pesanti ordigni esplosivi: tre grossi tubi di ghisa, con tre provette di acido solforico inguainate in altrettanti involucri di gomma. Cammina con sicurezza, tranquillo, fiducioso nelle capacità tecniche degli artificieri dell’esercito clandestino (5). Se avessi la medesima fiducia non impallidirei quando, a un angolo di strada, Riccardo volta bruscamente e si arresta di colpo di fronte a due soldati tedeschi che procedono in senso contrario. Riccardo ne schiva l’urto all'ultimo momento e lo zaino sbanda sfiorando lo spigolo di una casa.
«Che diavolo hai stamattina?» Mi rivolge la domanda quasi con insolenza, come se volesse vendicarsi di qualcosa. Evito di rispondergli.
«Sei taciturno, mi sembri preoccupato», dice Riccardo sorridendo. «Hai avuto fifa dei due tedeschi». Alzo le spalle. «Ero pronto a sparare». «Anch’io», dice Riccardo.
«Sei preoccupato?» ripete. «Ti ricordi dell’azione del due gennaio contro un ritrovo frequentato dai tedeschi, in via Sacchi? Non sei in forma come lo eri il 23 gennaio, quando abbiamo fatto saltare il comando delle SS all’albergo Genova. Allora valevi un milione di taglia» (6).
«Non mi sento bene», mento. Riccardo non ride più. Glielo impone il suo ruolo di soldato e soprattutto c’è poco da ridere. Siamo giunti davanti al convoglio. Come dio vuole, arriviamo al treno. I soldati tedeschi seduti negli scompartimenti mangiano allegramente grandi "sandwich" di pane nero e prosciutto. Alle nostre spalle esplodono grida acute. Afferro il calcio della rivoltella mentre Riccardo si arresta bruscamente. Troppo bruscamente. Due donne si sgolano urlando. Ci sono sempre donne del genere negli assembramenti. Urlano per non perdere il treno. Riccardo mi dà la mano. Io sono l’amico che viene a salutarlo alla stazione. «Ricordati», dico, «che lo zaino devi capovolgerlo, altrimenti non scoppiano».
Accanto a noi passa un tedesco, l’elmo in testa, portato lontano dalla sua terra, dalla sua casa, dai suoi cari, in una città straniera e ostile. Anch’egli salirà su quel treno per morire?
«D’accordo». Sale. Depone lo zaino in uno scompartimento dove alcuni tedeschi si preparano a dormire tranquillamente.
Io rimango per l’ultimo saluto. Prima di allontanarmi vedo Riccardo cedere il passo a un tedesco che vuol recuperare il suo bravo posto a sedere. Mi allontano verso gli uffici della stazione. Sono trascorsi cinque minuti da quando Riccardo ha deposto e capovolto il "suo" zaino ed è sceso con aria noncurante dalla carrozza diretto a un sottopassaggio.
Tutto è andato bene. Ora bisogna solo attendere l’esplosione. Rimango per un’ora nella zona. Vedo partire il convoglio, ma non succede niente. Riccardo ha depositato il suo zaino nella reticella. Un tedesco rientrato nello scompartimento e notato il sacco rovesciato, con teutonico (7) senso dell’ordine lo ha rimesso in piedi. Tuttavia l’acido solforico che per qualche secondo è rimasto appoggiato al diaframma di gomma, ha cominciato il suo lavoro. Lo completerà circa cinque ore dopo facendo esplodere l’ordigno qualche minuto dopo l'arrivo a Milano. Comunque è scoppiato.

(1) I partigiani avevano l’abitudine di adottare dei nomi fittizi, in modo da non essere individuati facilmente
(2) Wehrmacht = l’esercito tedesco
(3) autarchici = di fabbricazione italiana. Dopo le sanzioni economiche decretate dalla Società delle Nazioni contro l’Italia per la guerra d’Etiopia, il regime fascista adottò l’autarchia, che prevedeva appunto che tutto ciò di cui il Paese aveva bisogno, fosse fabbricato in Italia, senza ricorrere quindi alle importazioni estere
(4) boccaccesca = spinta, sessualmente esplicita, come lo sono alcune novelle del Decameron di Giovanni Boccaccio
(5) Per Giovanni Pesce i partigiani sono un vero e proprio esercito in lotta con l’esercito repubblichino e nazista
(6) sui partigiani responsabili di qualche attentato veniva messa una taglia, che sarebbe stata assegnata a chi ne avesse consentito la cattura
(7) teutonico = tedesco, ma con riferimento ironico o ostile a presunte caratteristiche della razza tedesca, quali il rigore e la disciplina


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