IL TOPO E LA RANA
Un topo di terra per sua
disgrazia era divenuto amico di una rana. Questa, animata dalle peggiori
intenzioni, legò una zampa del topo a una delle sue. In un primo tempo i due se
ne andarono in giro sulla terraferma per cercare del grano da mangiare; in
seguito, però, quando furono vicini all’orlo dello stagno, la rana trascinò il
topo verso il fondo, sguazzando nell’acqua e lanciando dei potenti
“brekekekèx”. Lo sventurato topo, gonfio d’acqua, morì e galleggiava attaccato
alla zampa della rana. Lo vide un nibbio e l’afferrò con gli artigli. Ma la
rana, incatenata al topo, gli tenne dietro e il nibbio fece di tutti e due un
sol boccone.
Anche chi è morto ha la forza di
vendicarsi: la giustizia divina, infatti, che tutto sorveglia, pesa ogni azione
sulla bilancia e ne rende un uguale contraccambio.
L’UOMO CHE RACCOGLIEVA LEGNA ED
ERMES
Un uomo che raccoglieva legna
presso un fiume perse nell’acqua la propria scure e, privo di risorse, si
sedette sulla riva a piangere. Ermes (1), una volta saputo il motivo di quelle
lacrime, ebbe compassione di lui. Si immerse perciò nel fiume e, riapparso con
una scure d’oro, gli chiese se era quella che aveva perduto. «No, non è questa»
rispose l’uomo ed Ermes, tuffatosi di nuovo, portò su una scure d’argento.
«Neanche questa è la mia» disse l’uomo e il dio si immerse per la terza volta,
riportando a galla la sua scure. «Questa è davvero quella che ho perduto!»
esclamò l’uomo. Ma Ermes, che aveva apprezzato la sua onestà, gliele donò
tutte. Quello allora si recò dai suoi compagni e raccontò minutamente
l’accaduto. Uno di loro, deciso a ottenere altrettanto, andò sulla riva del
fiume, gettò apposta in acqua la propria ascia e si sedette a piangere. Anche a
lui apparve Ermes, il quale, appresa la ragione del suo pianto, ugualmente si
tuffò e portò su un’ascia d’oro, chiedendogli se fosse quella perduta da lui.
«Sì, certo, è questa!» esclamò l’uomo con gioia. Al che il dio, inorridito di
fronte a una tale sfrontatezza, non solo si tenne l’ascia d’oro, ma non gli
restituì neppure la sua.
La favola dimostra che la
divinità è tanto ostile verso gli ingiusti quanto è benevola con i giusti.
I VIANDANTI E L’ORSO
Due amici facevano la stessa
strada quando si parò davanti a loro un orso: uno di essi, battendolo sul
tempo, salì su un albero e vi si tenne nascosto; l’altro, invece, che stava per
cadere nelle sue grinfie, si lasciò scivolare a terra, fingendosi morto. L’orso
allora gli si accostò con il muso e lo fiutò tutt’attorno, ma l’uomo tratteneva
il respiro, perché dicono che gli orsi non toccano i cadaveri. Quando l’animale
se ne fu andato, quello che si era nascosto sull’albero scese e domandò al suo
compagno che cosa gli avesse detto l’orso all’orecchio. E l’altro: «Di non
viaggiare più, in avvenire, con amici che non rimangono accanto nel momento del
pericolo».
La favola dimostra che le
disgrazie mettono alla prova la sincerità degli amici.
L’ASINO CHE PORTAVA DEL SALE
Mentre stava attraversando un
fiume con un carico di sale, un asino scivolò e cadde nell’acqua: il sale si
sciolse e l’animale si rialzò più leggero. Tutto contento per l’accaduto,
quando un’altra volta giunse sulle rive di un fiume con un carico di spugne,
pensò che, se fosse caduto ancora, si sarebbe risollevato di nuovo più leggero
e scivolò apposta. Ma le spugne s’imbevvero d’acqua e andò a finire che, non
potendo più rialzarsi, l’asino affogò.
Così anche gli uomini talvolta
non si accorgono che le loro trovate li fanno precipitare in un mare di guai.
L’ASINO CHE FINGEVA DI ZOPPICARE
E IL LUPO
Un asino che brucava in un prato
vide un lupo dirigersi verso di lui e si mise subito a far finta di zoppicare.
Quando il lupo gli si fu avvicinato e gli chiese per quale ragione camminasse
in quel modo, rispose che nel saltare un siepe aveva appoggiato il piede su una
spina e gli consigliò: «Tirala fuori, prima di divorarmi, per non pungerti
mentre mi mangi». L’altro si lasciò convincere, ma, appena ebbe sollevato la
zampa dell’asino e si pose, tutto intento, a esaminare lo zoccolo, quello gli
sferrò un calcio sulla bocca che gli fece saltare i denti. «Mi sta bene»
gemette il lupo, dolorante. «Perché mai, visto che mio padre mi ha insegnato
l’arte del macellaio, io per conto mio ho voluto dedicarmi alla medicina?»
Così anche tra gli uomini quanti
mettono mano ad attività che a loro non si convengono affatto finiscono
giustamente nei guai.
IL RAGAZZO LADRO E LA MADRE
Un ragazzo rubò dalla scuola la
tavoletta che il suo compagno usava per scrivere e la portò alla madre. Siccome
non solo la donna non lo punì, ma anzi lo colmò di lodi, un’altra volta
sottrasse un mantello e le consegnò anche questo. E la madre a raddoppiare le
lodi. Con il passare del tempo il ragazzo, divenuto ormai un giovanotto, si dedicò
a furti più consistenti, finché un giorno fu colto sul fatto. Mentre veniva
condotto dal carnefice con le mani legate dietro la schiena, la madre lo
seguiva battendosi il petto. A un certo punto il prigioniero disse che aveva
qualcosa da riferirle in gran segreto, ma, non appena quella gli si fu
accostata, le afferrò un orecchio e le diede un morso. «Empio!» lo rimproverò
la donna. «Non contento dei crimini che hai già commesso, fai del male
addirittura a tua madre!». «Ma se tu mi avessi punito subito, quando per la
prima volta ti portai la tavoletta che avevo rubato» ribatté il figlio, «non
sarei arrivato al punto di farmi trascinare fino al supplizio».
La favola dimostra che ciò cui
non si pone un freno dall’inizio via via si ingigantisce a dismisura.
LE DUE BISACCE
Prometeo (2), dopo aver plasmato
gli uomini, appese al loro collo due bisacce, colme l’una dei vizi altrui,
l’altra dei propri, e fece in modo che la prima ricadesse davanti, la seconda
invece dietro. Di conseguenza gli uomini vedono da lontano i difetti degli
altri, mentre non sanno distinguere i propri.
Di questa favola ci si potrebbe
servire a proposito di quegli impiccioni che, ciechi nelle loro faccende, si
prendono cura di quelle che non li riguardano.
IL RICCO E IL CONCIAPELLI
Un ricco, che si era stabilito
accanto a un conciapelli, siccome non poteva sopportare il fetore proveniente
dalla sua bottega, non faceva che sollecitare il vicino a trasferirsi. Ma
quello procrastinava sempre la sua partenza, assicurando che in breve se ne sarebbe
andato. Dopo un po’ di tempo trascorso in queste continue schermaglie, finì che
il ricco si abituò all’odore e non importunò più il conciapelli.
La favola dimostra che
l’abitudine rende sopportabile anche ciò che è fastidioso.
IL PASTORE CHE SCHERZAVA
Un pastore, che portava a
pascolare il suo gregge piuttosto lontano da un villaggio, continuava a
ripetere questo scherzo: con quanto fiato aveva in gola chiamava in soccorso
gli abitanti del paese, gridando che le sue pecore erano assalite da un branco
di lupi. Dopo due o tre volte che quelli del villaggio, spaventati, erano
accorsi ed erano tornati indietro beffati, accadde che alla fine arrivarono
davvero dei lupi e si misero a razziare le pecore. Il pastore chiamò i paesani
in aiuto, ma quelli, convinti che, come al solito, scherzasse, non si
preoccuparono affatto delle sue grida. E così gli toccò di perdere il gregge.
La favola dimostra che l’unico
guadagno dei bugiardi è non essere creduti neppure quando dicono la verità.
GUERRA E VIOLENZA
Tutti gli dei decisero di
sposarsi e ciascuno di loro estrasse a sorte colei che doveva diventare sua
moglie. Guerra, che fu l’ultimo a estrarre, trovò che era rimasta soltanto
Violenza. Follemente innamorato di lei, la sposò e la segue dovunque vada.
Presso qualsiasi città o popolo
giunga la violenza, guerre e conflitti subito le tengono dietro.
LA CICALA E LE FORMICHE
Si era d’inverno e le formiche
facevano asciugare il grano bagnato, quando si presentò da loro una cicala
affamata a chiedere qualcosa da mangiare. Le formiche le domandarono: «Perché
non hai ammassato anche tu delle provviste durante l’estate?». «Non ne avevo il
tempo» rispose la cicala, «perché levavo il mio canto melodioso». Allora le
formiche scoppiarono a ridere ed esclamarono: «Se d’estate hai suonato,
d’inverno balla!».
La favola dimostra che non
bisogna mai essere indolenti, per non trovarsi poi esposti a sofferenze e
pericoli.
LA TARTARUGA E LA LEPRE
La tartaruga e la lepre, che
litigavano su chi di loro fosse più veloce, fissarono un giorno e un luogo per
una gara. Dopo la partenza la lepre, che per la sua innata velocità non si
preoccupava della corsa, si sdraiò a dormire lungo la strada. La tartaruga
invece, consapevole della propria lentezza, non smise mai di correre e così,
superando l’avversaria addormentata, ottenne la palma della vittoria.
La favola dimostra che spesso
l’impegno vince le doti naturali trascurate.
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(1) Ermes, figlio di Zeus e di
Maia, è un dio scaltro e simpatico, perennemente indaffarato in molteplici
attività, spesso al di là del lecito. Numerosi i compiti che gli vengono
attribuiti: messaggero e agente degli dei, protegge il commercio (onesto e
disonesto) e anche il furto, assiste i viandanti, veglia sui pastori e sulle
greggi, accompagna le anime dei defunti nell’Ade, è patrono dei ginnasti e
degli atleti. Ermes è presente in molte favole di Esopo, dove compare sempre
con le sue prerogative tradizionali, spesso come esecutore della volontà di
Zeus.
(2) Figlio del titano Giapeto e
di Asia o Climene, entrambe oceanine, oppure, secondo Eschilo, di Gea-Temi,
Prometeo è considerato dalla tradizione mitica uno dei massimi fautori di
civiltà e un benefattore degli esseri umani. Da lui questi ultimi, oltre a
ricevere in dono il fuoco, avrebbero appreso la scrittura, la medicina, la
divinazione, la lavorazione dei metalli, eccetera. Secondo alcuni Prometeo
avrebbe addirittura creato gli uomini, modellandoli con la creta.
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