lunedì 23 aprile 2018

182 Grandi speranze - Capitolo I (di Charles Dickens)



Pubblicato a puntate sulla rivista “All the Year Round” tra il 1860 e il 1861, “Grandi speranze” è un tipico romanzo di formazione, che racconta la maturazione dell’orfano Pip dalla primissima infanzia all’età di circa quarant’anni. Considerato un classico della letteratura vittoriana e uno dei più grandi romanzi di Dickens, alterna profonde riflessioni sul carattere e il comportamento degli esseri umani a annotazioni satiriche e a volte comiche che ne rendono la lettura avvincente e godibilissima; a cominciare da questo primo capitolo in cui il protagonista bambino si imbatte nell’ambiente lugubre di un cimitero in un evaso dalla vicina galera.

CAPITOLO I

Il cognome di mio padre essendo Pirrip e il mio nome di battesimo Philip, la mia lingua infantile non riuscì mai a cavare da entrambi nulla di più lungo o di più esplicito che Pip. Così mi chiamai Pip, e Pip finii per essere chiamato.
Che il cognome di mio padre fosse Pirrip, lo dico sulla fede della sua lapida e di mia sorella – la signora Gargery – che sposò il fabbro. Poiché non ho mai visto né mio padre né mia madre, e non ho mai visto ritratti di nessuno dei due (i loro giorni avendo preceduto di gran lunga l’era dei fotografi), le mie prime fantasticherie sul loro aspetto fisico furono irragionevolmente dedotte dalle loro pietre sepolcrali. La forma delle lettere su quella di mio padre mi suggerì la strana idea che fosse un uomo tozzo, quadrato, scuro, dai capelli neri e ricci. Dai caratteri e dalla forma dell’iscrizione «E Georgiana, Moglie del Sullodato», trassi la fanciullesca conclusione che mia madre fosse lentigginosa e malaticcia. A cinque piccole losanghe di pietra, lunghe quarantacinque centimetri l’una, disposte in bell’ordine lungo la tomba e consacrate alla memoria di cinque miei fratellini - che rinunciarono eccessivamente presto a tentar di guadagnarsi il pane in questa lotta di tutti contro tutti -, sono debitore della credenza, religiosamente intrattenuta, che fossero nati tutti quanti sulla schiena e con le mani in tasca, e che, in questo stato d’esistenza, non le avessero mai tirate fuori.
Abitavamo nella zona paludosa giù dal fiume, a venti miglia - dati i serpeggiamenti del fiume - dal mare. Credo di aver avuto la prima percezione, estremamente vivida e netta, dell'identità delle cose, in un rigido memorabile pomeriggio, all'imbrunire. Fu allora che scoprii con certezza che quel luogo desolato coperto di ortiche era il cimitero; e che Philip Pirrip, defunto di questa parrocchia, e anche Georgiana moglie del sullodato, erano morti e sepolti; e che Alexander, Bartholomew, Abraham, Tobias e Roger, bambini del sunnominato, erano anch'essi morti e sepolti; e che la piatta distesa fosca al di là del cimitero, intersecata da canali, argini e barriere, su cui pascolava sparso il bestiame, era la palude; e che la bassa linea livida più giù era il fiume; e che la tana remota e selvaggia da cui si scatenava il vento, era il mare; e che il mucchietto di brividi che sentiva crescere la paura di ogni cosa e si metteva a piangere, era Pip. 
«Smettila di far rumore!» gridò una voce terribile, mentre un uomo sbucava tra le tombe, di fianco al portico della chiesa. «Sta’ zitto, piccolo demonio, o ti taglio la gola!»
Un uomo spaventoso, vestito di ruvido panno grigio, con un grosso cerchio di ferro alla gamba. Un uomo senza cappello, con le scarpe rotte e un vecchio straccio legato intorno alla testa. Rimasto a macerare nell'acqua, a soffocare nel fango, azzoppato da pietre, ferito da sassi, punto da ortiche, graffiato da rovi; un uomo zoppo e tremante, truce e torvo, che batteva i denti afferrandomi per il mento. 
«Oh, non mi tagli la gola, signore!» supplicai terrorizzato. «Non lo faccia, signore, la prego!»
«Dicci come ti chiami!» ripeté l’uomo. «Presto!»
«Pip, signore.»
«Di nuovo» disse l’uomo, fissandomi. «Più forte!»
«Pip. Pip, signore.»
«Dicci dove abiti» continuò l’uomo. «Butta fuori il posto!»
Puntai l'indice sulla landa piatta, verso il punto in cui sorgeva il villaggio, circondato da ontani e capitozze, a un miglio o poco più dalla chiesa. 
Dopo avermi guardato per un attimo, mi mise a testa in giù e mi svuotò le tasche. Non contenevano altro che un pezzo di pane. Quando la chiesa si rimise a posto - poiché era stato talmente repentino e robusto da mandarmela a gambe levate davanti agli occhi, e il campanile me l'ero visto sotto i piedi - quando la chiesa si rimise a posto, dico, mi ritrovai seduto e tremante su un'alta pietra tombale, mentre lui divorava il mio pane. 
«Ehi, marmocchio,» disse leccandosi le labbra, «sai che hai due belle guance grasse?»
Credo che lo fossero, anche se allora ero piccolo per la mia età e nient'affatto robusto. 
«Che mi venga un colpo se non me le mangerei,» disse scuotendo minacciosamente la testa, «e se quasi non ho la voglia di farlo!»
Espressi la fervida speranza che non lo facesse e mi aggrappai più fermamente alla pietra, sia per tenermi in equilibrio, sia per trattenermi dal piangere. 
«Allora sta a sentire!» disse l’uomo. «Dov'è tua madre?»
«Lì, signore!» dissi. 
Sobbalzò, si slanciò in una breve corsa, si fermò e si guardò alle spalle. 
«Lì, signore!» spiegai timidamente. «E Georgiana. È lei mia madre.»
«Ah!» disse tornando indietro. «E tuo padre è quello che sta con tua madre?»
«Sissignore, proprio lui, defunto di questa parrocchia.»
«Ah!» borbottò allora, riflettendo. «E allora tu con chi vivi… ammesso che ti si lasci cortesemente vivere, cosa che resta ancora da decidere?»
«Con mia sorella, signore, la moglie di Joe Gargery il fabbro, signore.» 
«Il fabbro, eh?» disse lui, guardandosi la gamba. 
Dopo aver lanciato parecchie occhiate torve a me e ad essa, si avvicinò alla mia pietra tombale, mi afferrò per le braccia e mi inclinò più indietro che poté, di modo che i suoi occhi mi guardavano imperiosi dall'alto e i miei lo guardavano del tutto atterriti dal basso. 
«Ora, sta a sentire» disse «giacché il punto è se ti lascio vivere o no. Sai che cos'è una lima?»
«Sissignore.»
«E sai cosa sono i viveri?»
«Sissignore.»
A ogni domanda mi inclinava un po' più indietro, per accrescere il mio senso di impotenza e pericolo. 
«Tu trovami una lima.» Mi inclinò più indietro. «E viveri.» Mi inclinò più indietro. «E me li porti.» Mi inclinò più indietro. «Se no, ti strappo il cuore e il fegato.» Mi inclinò ancora più indietro. 
Ero terrorizzato e mi girava talmente la testa, che mi aggrappai a lui con tutt'e due le mani e dissi: «Se fosse così gentile da rimettermi dritto, signore, forse non mi sentirei tanto male, e le baderei meglio».
Mi diede una scrollata così energica, che la chiesa balzò sopra la sua stessa banderuola; poi mi tenne dritto per le braccia in cima alla tomba e disse queste orrende parole: 
«Lima e viveri me li porti domattina presto. Me li porti alla vecchia Batteria là dietro. Se lo farai, e ti guarderai dal dir parola o fare cenno da cui risulti che hai visto una persona come me o una persona in generale, hai salva la pelle. Se non lo farai, o ti scosterai nel più piccolo particolare dalle mie parole, cuore e fegato ti saranno strappati, arrostiti e mangiati. E guarda che non sono solo, come forse puoi credere. C'è un tizio giovane nascosto qua intorno, che io in confronto sono un angelo. E proprio adesso sta sentendo ogni parola. È un tizio che ha un sistema tutto suo, segreto, di acchiappare un ragazzino e strappargli cuore e fegato. Un ragazzino non ha scampo con un tipo come lui. Anche se chiude a chiave la porta di casa e se ne sta al calduccio nel letto e si rimbocca le coperte e se le tira sopra la testa e si sente sano e salvo, quel tizio lì gli si avvicina a passi felpati, e lo scopre nudo. E proprio adesso faccio una gran fatica a impedirgli di acchiapparti. È difficilissimo tenerlo lontano dalle tue viscere. Allora, che mi dici?»
Risposi che gli avrei procurato la lima e tutti i bocconi di cibo che fossi riuscito a racimolare, e che lo avrei raggiunto alla Batteria la mattina presto. 
«Di’ che Iddio ti fulmini se non lo fai!» ordinò l’uomo. 
Lo dissi e lui mi mise a terra. 
«Ora,» proseguì «ricorda che cos’hai promesso, ricordati anche di quell'altro tizio e vattene a casa!» 
«Buo… buonanotte, signore» balbettai. 
«Proprio buona!» disse guardando intorno a sé la landa umida e fredda. «Vorrei essere una rana. O un'anguilla!»
Mentre parlava, si strinse il corpo percorso da brividi tra le braccia - abbracciandosi, come per tenersi insieme - e zoppicò verso il basso muro della chiesa. Lo guardavo, mentre si allontanava aprendosi una strada tra le ortiche e i rovi che cingevano i tumuli coperti d'erba, e ai miei occhi di bambino pareva che sfuggisse alle mani dei morti che si protendevano caute dalle tombe, per avvinghiarne le caviglie e tirarlo dentro. 
Arrivato al basso muro della chiesa, lo superò come se avesse le gambe intorpidite e rigide, e poi si voltò a guardare dov'ero. Quando vidi che si girava, rivolsi il viso verso casa e usai al meglio le gambe. Ma quasi subito mi guardai indietro e vidi che aveva ripreso a camminare verso il fiume, ancora tenendosi stretto con tutt'e due le braccia e procedendo con i piedi doloranti tra le grosse pietre sparse nella palude, che servivano da guado quando pioveva forte o saliva la marea. 
Quando mi fermai a guardarlo, la palude era solo una linea orizzontale lunga e nera; e anche il fiume era solo una linea orizzontale, molto più stretta, ancora non così buia; e il cielo era solo un insieme di lunghe, rabbiose linee rosse frammiste a spesse linee nere. In riva al fiume riuscivo a malapena a distinguere le uniche due cose nere che parevano ergersi sul paesaggio piatto. Una era la boa che serviva da segnale ai marinai - simile a una botte senza cerchi in cima a un palo - una brutta cosa, a vederla da vicino; l'altra era una forca, da cui pendevano delle catene che un tempo avevano avvinto un pirata. L'uomo zoppicando vi si avvicinava, quasi fosse il pirata tornato in vita, disceso dalla forca e intenzionato a risalirvi per impiccarsi un'altra volta. Nel pensarlo, trasalii dal terrore; e vedendo che le bestie al pascolo alzavano la testa per guardarlo passare, mi chiesi se lo pensavano anch'esse. Mi guardai tutt'intorno alla ricerca dell'orrendo giovane senza scoprirne traccia. Ma a quel punto ero di nuovo pieno di paura e scappai a casa senza fermarmi.



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