venerdì 30 giugno 2017

85 Dodici favole con differenti personaggi (di Esopo)




IL TOPO E LA RANA

Un topo di terra per sua disgrazia era divenuto amico di una rana. Questa, animata dalle peggiori intenzioni, legò una zampa del topo a una delle sue. In un primo tempo i due se ne andarono in giro sulla terraferma per cercare del grano da mangiare; in seguito, però, quando furono vicini all’orlo dello stagno, la rana trascinò il topo verso il fondo, sguazzando nell’acqua e lanciando dei potenti “brekekekèx”. Lo sventurato topo, gonfio d’acqua, morì e galleggiava attaccato alla zampa della rana. Lo vide un nibbio e l’afferrò con gli artigli. Ma la rana, incatenata al topo, gli tenne dietro e il nibbio fece di tutti e due un sol boccone.
Anche chi è morto ha la forza di vendicarsi: la giustizia divina, infatti, che tutto sorveglia, pesa ogni azione sulla bilancia e ne rende un uguale contraccambio.

L’UOMO CHE RACCOGLIEVA LEGNA ED ERMES

Un uomo che raccoglieva legna presso un fiume perse nell’acqua la propria scure e, privo di risorse, si sedette sulla riva a piangere. Ermes (1), una volta saputo il motivo di quelle lacrime, ebbe compassione di lui. Si immerse perciò nel fiume e, riapparso con una scure d’oro, gli chiese se era quella che aveva perduto. «No, non è questa» rispose l’uomo ed Ermes, tuffatosi di nuovo, portò su una scure d’argento. «Neanche questa è la mia» disse l’uomo e il dio si immerse per la terza volta, riportando a galla la sua scure. «Questa è davvero quella che ho perduto!» esclamò l’uomo. Ma Ermes, che aveva apprezzato la sua onestà, gliele donò tutte. Quello allora si recò dai suoi compagni e raccontò minutamente l’accaduto. Uno di loro, deciso a ottenere altrettanto, andò sulla riva del fiume, gettò apposta in acqua la propria ascia e si sedette a piangere. Anche a lui apparve Ermes, il quale, appresa la ragione del suo pianto, ugualmente si tuffò e portò su un’ascia d’oro, chiedendogli se fosse quella perduta da lui. «Sì, certo, è questa!» esclamò l’uomo con gioia. Al che il dio, inorridito di fronte a una tale sfrontatezza, non solo si tenne l’ascia d’oro, ma non gli restituì neppure la sua.
La favola dimostra che la divinità è tanto ostile verso gli ingiusti quanto è benevola con i giusti.

I VIANDANTI E L’ORSO

Due amici facevano la stessa strada quando si parò davanti a loro un orso: uno di essi, battendolo sul tempo, salì su un albero e vi si tenne nascosto; l’altro, invece, che stava per cadere nelle sue grinfie, si lasciò scivolare a terra, fingendosi morto. L’orso allora gli si accostò con il muso e lo fiutò tutt’attorno, ma l’uomo tratteneva il respiro, perché dicono che gli orsi non toccano i cadaveri. Quando l’animale se ne fu andato, quello che si era nascosto sull’albero scese e domandò al suo compagno che cosa gli avesse detto l’orso all’orecchio. E l’altro: «Di non viaggiare più, in avvenire, con amici che non rimangono accanto nel momento del pericolo».
La favola dimostra che le disgrazie mettono alla prova la sincerità degli amici.

L’ASINO CHE PORTAVA DEL SALE

Mentre stava attraversando un fiume con un carico di sale, un asino scivolò e cadde nell’acqua: il sale si sciolse e l’animale si rialzò più leggero. Tutto contento per l’accaduto, quando un’altra volta giunse sulle rive di un fiume con un carico di spugne, pensò che, se fosse caduto ancora, si sarebbe risollevato di nuovo più leggero e scivolò apposta. Ma le spugne s’imbevvero d’acqua e andò a finire che, non potendo più rialzarsi, l’asino affogò.
Così anche gli uomini talvolta non si accorgono che le loro trovate li fanno precipitare in un mare di guai.

L’ASINO CHE FINGEVA DI ZOPPICARE E IL LUPO

Un asino che brucava in un prato vide un lupo dirigersi verso di lui e si mise subito a far finta di zoppicare. Quando il lupo gli si fu avvicinato e gli chiese per quale ragione camminasse in quel modo, rispose che nel saltare un siepe aveva appoggiato il piede su una spina e gli consigliò: «Tirala fuori, prima di divorarmi, per non pungerti mentre mi mangi». L’altro si lasciò convincere, ma, appena ebbe sollevato la zampa dell’asino e si pose, tutto intento, a esaminare lo zoccolo, quello gli sferrò un calcio sulla bocca che gli fece saltare i denti. «Mi sta bene» gemette il lupo, dolorante. «Perché mai, visto che mio padre mi ha insegnato l’arte del macellaio, io per conto mio ho voluto dedicarmi alla medicina?»
Così anche tra gli uomini quanti mettono mano ad attività che a loro non si convengono affatto finiscono giustamente nei guai.

IL RAGAZZO LADRO E LA MADRE

Un ragazzo rubò dalla scuola la tavoletta che il suo compagno usava per scrivere e la portò alla madre. Siccome non solo la donna non lo punì, ma anzi lo colmò di lodi, un’altra volta sottrasse un mantello e le consegnò anche questo. E la madre a raddoppiare le lodi. Con il passare del tempo il ragazzo, divenuto ormai un giovanotto, si dedicò a furti più consistenti, finché un giorno fu colto sul fatto. Mentre veniva condotto dal carnefice con le mani legate dietro la schiena, la madre lo seguiva battendosi il petto. A un certo punto il prigioniero disse che aveva qualcosa da riferirle in gran segreto, ma, non appena quella gli si fu accostata, le afferrò un orecchio e le diede un morso. «Empio!» lo rimproverò la donna. «Non contento dei crimini che hai già commesso, fai del male addirittura a tua madre!». «Ma se tu mi avessi punito subito, quando per la prima volta ti portai la tavoletta che avevo rubato» ribatté il figlio, «non sarei arrivato al punto di farmi trascinare fino al supplizio».
La favola dimostra che ciò cui non si pone un freno dall’inizio via via si ingigantisce a dismisura.

LE DUE BISACCE

Prometeo (2), dopo aver plasmato gli uomini, appese al loro collo due bisacce, colme l’una dei vizi altrui, l’altra dei propri, e fece in modo che la prima ricadesse davanti, la seconda invece dietro. Di conseguenza gli uomini vedono da lontano i difetti degli altri, mentre non sanno distinguere i propri.
Di questa favola ci si potrebbe servire a proposito di quegli impiccioni che, ciechi nelle loro faccende, si prendono cura di quelle che non li riguardano.

IL RICCO E IL CONCIAPELLI

Un ricco, che si era stabilito accanto a un conciapelli, siccome non poteva sopportare il fetore proveniente dalla sua bottega, non faceva che sollecitare il vicino a trasferirsi. Ma quello procrastinava sempre la sua partenza, assicurando che in breve se ne sarebbe andato. Dopo un po’ di tempo trascorso in queste continue schermaglie, finì che il ricco si abituò all’odore e non importunò più il conciapelli.
La favola dimostra che l’abitudine rende sopportabile anche ciò che è fastidioso.

IL PASTORE CHE SCHERZAVA

Un pastore, che portava a pascolare il suo gregge piuttosto lontano da un villaggio, continuava a ripetere questo scherzo: con quanto fiato aveva in gola chiamava in soccorso gli abitanti del paese, gridando che le sue pecore erano assalite da un branco di lupi. Dopo due o tre volte che quelli del villaggio, spaventati, erano accorsi ed erano tornati indietro beffati, accadde che alla fine arrivarono davvero dei lupi e si misero a razziare le pecore. Il pastore chiamò i paesani in aiuto, ma quelli, convinti che, come al solito, scherzasse, non si preoccuparono affatto delle sue grida. E così gli toccò di perdere il gregge.
La favola dimostra che l’unico guadagno dei bugiardi è non essere creduti neppure quando dicono la verità.

GUERRA E VIOLENZA

Tutti gli dei decisero di sposarsi e ciascuno di loro estrasse a sorte colei che doveva diventare sua moglie. Guerra, che fu l’ultimo a estrarre, trovò che era rimasta soltanto Violenza. Follemente innamorato di lei, la sposò e la segue dovunque vada.
Presso qualsiasi città o popolo giunga la violenza, guerre e conflitti subito le tengono dietro.

LA CICALA E LE FORMICHE

Si era d’inverno e le formiche facevano asciugare il grano bagnato, quando si presentò da loro una cicala affamata a chiedere qualcosa da mangiare. Le formiche le domandarono: «Perché non hai ammassato anche tu delle provviste durante l’estate?». «Non ne avevo il tempo» rispose la cicala, «perché levavo il mio canto melodioso». Allora le formiche scoppiarono a ridere ed esclamarono: «Se d’estate hai suonato, d’inverno balla!».
La favola dimostra che non bisogna mai essere indolenti, per non trovarsi poi esposti a sofferenze e pericoli.

LA TARTARUGA E LA LEPRE

La tartaruga e la lepre, che litigavano su chi di loro fosse più veloce, fissarono un giorno e un luogo per una gara. Dopo la partenza la lepre, che per la sua innata velocità non si preoccupava della corsa, si sdraiò a dormire lungo la strada. La tartaruga invece, consapevole della propria lentezza, non smise mai di correre e così, superando l’avversaria addormentata, ottenne la palma della vittoria.
La favola dimostra che spesso l’impegno vince le doti naturali trascurate.

___________________________________________________________________

(1) Ermes, figlio di Zeus e di Maia, è un dio scaltro e simpatico, perennemente indaffarato in molteplici attività, spesso al di là del lecito. Numerosi i compiti che gli vengono attribuiti: messaggero e agente degli dei, protegge il commercio (onesto e disonesto) e anche il furto, assiste i viandanti, veglia sui pastori e sulle greggi, accompagna le anime dei defunti nell’Ade, è patrono dei ginnasti e degli atleti. Ermes è presente in molte favole di Esopo, dove compare sempre con le sue prerogative tradizionali, spesso come esecutore della volontà di Zeus.
(2) Figlio del titano Giapeto e di Asia o Climene, entrambe oceanine, oppure, secondo Eschilo, di Gea-Temi, Prometeo è considerato dalla tradizione mitica uno dei massimi fautori di civiltà e un benefattore degli esseri umani. Da lui questi ultimi, oltre a ricevere in dono il fuoco, avrebbero appreso la scrittura, la medicina, la divinazione, la lavorazione dei metalli, eccetera. Secondo alcuni Prometeo avrebbe addirittura creato gli uomini, modellandoli con la creta.



84 Nove favole con protagonisti dei lupi (di Esopo)




I LUPI E LE PECORE

Dei lupi che facevano la posta a un gregge di pecore, siccome non riuscivano a impadronirsene per colpa dei cani che facevano buona guardia, per arrivare allo scopo pensarono di ricorrere a un inganno. Perciò mandarono alle pecore dei messi con la richiesta di consegnare loro i cani, sostenendo che questi erano i responsabili della loro inimicizia e che, quando li avessero avuti nelle mani, la pace avrebbe regnato tra i lupi e le pecore. Costoro, senza intuire ciò che poi sarebbe accaduto, fecero come era stato loro richiesto e così i lupi, una volta impadronitisi dei cani, con tutta facilità sterminarono anche il gregge, ormai privo di difesa.
Nello stesso modo gli stati che tradiscono facilmente i loro capi senza rendersene conto vengono assoggettati dai nemici in men che non si dica.

IL LUPO E LA CAPRA

Un lupo aveva scorto una capra che brucava sopra un antro scosceso, ma non era in grado di raggiungerla. Incominciò quindi a consigliarle di spostarsi più in basso, perché inavvertitamente non le accadesse di precipitare, sostenendo inoltre che l’erba vicino a lui era migliore, visto che il prato era tutto fiorito. Gli rispose però la capra: «Non è me che inviti al pascolo, ma sei tu, piuttosto, a corto di cibo».
Così anche tra gli uomini i malvagi, quando commettono i loro delitti in mezzo a chi li conosce, non traggono alcun guadagno dalle loro astuzie.

IL LUPO E L’AGNELLO

Un lupo vide un agnello che beveva sulle rive di un fiume e decise di mangiarselo con un pretesto ragionevole. Si pose perciò più in alto di lui e incominciò ad accusarlo di intorbidare l’acqua, impedendogli così di dissetarsi. «Ma se bevo a fior di labbra!» osservò l’agnello. «E poi come posso, stando più in basso, rendere torbida l’acqua sopra di me?» Vedendo venir meno quel pretesto, il lupo riprese: «Un anno fa tu hai insultato mio padre». E l’agnello a ribattere che non era ancora nato, a quell’epoca. «Ma, se anche tu sai trovare un mucchio di scuse» sbottò il lupo, «non rinuncerò certo a mangiarti!»
La favola dimostra che una giusta difesa non vale nulla presso quanti hanno già deciso di fare del male.

IL LUPO E L’AGNELLINO CHE SI RIFUGIÒ IN UN TEMPIO

Un agnellino inseguito dal lupo si rifugiò in un tempio. Siccome il lupo lo chiamava e diceva che il sacerdote, se l’avesse sorpreso là, lo avrebbe sacrificato al dio, l’agnellino replicò: «Meglio per me essere la vittima di un dio che venire sgozzato da te».
La favola dimostra che, quando incombe la fine, è preferibile morire con onore.

IL LUPO E LA VECCHIA

Un lupo affamato vagava in cerca di cibo. Giunto in un certo luogo, udì un bimbo piangere e una vecchia che gli diceva: «Smettila di frignare, se no ti do subito al lupo!». Il lupo, credendo che la donna parlasse sul serio, stette ad aspettare per un pezzo, ma, quando calò la sera, sentì ancora la vecchia vezzeggiare il bimbo e dirgli: «Se verrà il lupo, figliolo, lo uccideremo». Dopo aver udito questo discorso, il lupo se ne andò, commentando: «Qui dicono una cosa e ne fanno un’altra».
La favola è per quegli uomini che non conformano le azioni alle parole.

IL LUPO E L’AIRONE

Un lupo che aveva ingoiato un osso andava in giro cercando qualcuno che potesse curarlo. Incontrò un airone e lo pregò, dietro compenso, di liberarlo da quel corpo estraneo. L’airone insinuò la testa nella gola del lupo e tirò fuori l’osso, quindi chiese la ricompensa pattuita. «Ehi, amico» gli rispose l’altro, «non ti basta di aver tratto sana e salva la tua testa dalle fauci di un lupo, ma pretendi anche una ricompensa?»
La favola dimostra che il maggior compenso di un beneficio reso ai malvagi consiste nel non ricevere in cambio qualche torto da parte loro.

IL LUPO E IL CAVALLO

Mentre attraversava un campo, un lupo trovò dell’orzo, ma, visto che non poteva mangiarlo, lo lasciò là e se ne andò. Incontrato un cavallo, lo condusse nel campo e gli spiegò che, quando aveva scoperto quell’orzo, non se l’era tenuto per sé, ma lo aveva serbato per lui, anche perché gli piaceva sentire il rumore dei suoi denti. «Caro mio» replicò il cavallo, «se i lupi potessero mangiare l’orzo, non avresti mai preferito le orecchie allo stomaco».
La favola dimostra che quanti sono malvagi per natura, anche quando professano i migliori sentimenti, non vengono creduti.

IL LUPO SAZIO E LA PECORA

Un lupo che aveva mangiato a sazietà vide una pecora lunga distesa per terra. Resosi conto che era venuta meno perché aveva paura di lui, le si avvicinò, le fece coraggio e le assicurò che se avesse fatto tre affermazioni sincere l’avrebbe lasciata andare. La pecora incominciò col dire che non avrebbe mai voluto incontrarlo; affermò quindi che, se proprio questo doveva succedere, avrebbe voluto che fosse almeno cieco; e infine aggiunse: «A tutti voi lupi malvagi auguro la peggiore delle morti, perché, senza subire niente di male da parte nostra, ci fate la guerra!». Il lupo riconobbe la sua sincerità e la lasciò libera.
La favola dimostra che spesso la verità si impone anche sui nemici.

IL LUPO FERITO E LA PECORA

Un lupo, che era stato morso da alcuni cani, tutto malconcio si era lasciato cadere a terra. Visto che non era in grado di procurarsi il cibo, appena vide una pecora la pregò di portargli dell’acqua dal fiume che scorreva nelle vicinanze. «Se tu mi darai da bere» le disse, «io mi troverò da me qualcosa da mettere sotto i denti». Rispose la pecora: «Ma, se io ti darò da bere, tu ti servirai di me anche per mangiare».
La favola conviene a quegli uomini malvagi che tendono tranelli con ipocrisia.




83 Dieci favole con protagonisti dei leoni (di Esopo)




LA LEONESSA E LA VOLPE

La volpe prendeva in giro la leonessa, perché mette sempre al mondo soltanto un cucciolo alla volta. E quella: «Uno solo, è vero, ma leone!».
Non in base al numero, ma in base al valore va misurata la qualità.

IL REGNO DEL LEONE

Una volta divenne re un leone che non era focoso, né crudele, né violento, ma mite e giusto come un uomo. Durante il suo regno fu convocata un’assemblea di tutti gli animali, perché reciprocamente fornissero e ricevessero la riparazione del male compiuto, il lupo con la pecora, la pantera con il camoscio, la tigre con il cervo, il cane con la lepre. «Ho molto sospirato di vedere questo giorno» disse la timida lepre, «il giorno in cui i deboli potessero far paura ai potenti».
Quando in uno stato regna la giustizia e tutti la amministrano con equità, anche le persone umili vivono tranquille.

IL LEONE INVECCHIATO E LA VOLPE

Un leone, che era diventato vecchio e non era più in grado di procurarsi il cibo con la forza, comprese di doverlo fare con l’astuzia. Entrò dunque in una grotta e vi si sdraiò, fingendo di essere ammalato: così, man mano che gli animali venivano a fargli visita, li catturava per mangiarseli. Quando il leone aveva già fatto molte vittime, una volpe, che aveva intuito il suo inganno, andò a trovarlo, ma si fermò a rispettosa distanza dalla caverna e di là gli domandò come si sentiva. «Male» rispose il leone, e le chiese per quale ragione non entrasse. «Sarei venuta dentro» disse la volpe «se non avessi visto le orme di molti che si dirigono verso l’interno, ma di nessuno che esce».
Così gli uomini saggi da vari indizi prevedono i pericoli e riescono a evitarli.

IL LEONE INNAMORATO E IL CONTADINO

Un leone si era innamorato della figlia di un contadino e andò a chiedere la sua mano. Il padre della ragazza, che da un lato non sopportava l’idea di concederla a una belva, ma dall’altro aveva paura di opporre un rifiuto, escogitò il seguente stratagemma. Viste le continue pressioni del leone, gli disse che come sposo lo giudicava all’altezza della figlia; tuttavia avrebbe potuto dargliela in moglie solo a condizione che si strappasse i denti e si tagliasse gli artigli, perché la fanciulla ne era atterrita. Per amore l’animale accettò volentieri di fare tutte e due le cose, ma, quando ritornò dal contadino, questi, che non aveva più paura di lui, lo cacciò via a bastonate.
La favola dimostra che quanti non hanno difficoltà a prestar fede agli altri, una volta che si sono spogliati delle loro prerogative, diventano facilmente vittime di coloro che prima li temevano.

IL LEONE E LA RANA

Un leone udì il gracidare di una rana e a quel suono si volse, credendo si trattasse di un animale di grossa taglia. Ma, quando dopo una breve attesa vide la rana venir fuori dallo stagno, le si avvicinò e la pestò dicendo: «Come! sei tanto piccola e gridi tanto forte?».
La favola è adatta per quei chiacchieroni capaci soltanto di cianciare.

IL LEONE E IL CINGHIALE

Durante la stagione estiva, quando il caldo accende la sete, un leone e un cinghiale andarono a bere a una piccola sorgente e si misero a litigare su chi dovesse accostarsi all’acqua per primo. Da qui nacque tra loro un duello mortale, finché d’un tratto i due si voltarono per riprendere fiato e si accorsero che alcuni avvoltoi stavano aspettando che uno di loro cadesse per divorarlo. Perciò posero fine alle ostilità, dicendo: «È meglio per noi diventare amici, piuttosto che essere il pasto di corvi e avvoltoi».
È bene dare un taglio alle perfide discordie e alle rivalità, che portano in ogni caso e epiloghi pericolosi.

IL LEONE E LA LEPRE

Un leone si imbatté in una lepre che dormiva e stava per sbranarla, quando vide un cervo passare nelle vicinanze. Lasciò perdere dunque la sua preda per darsi all’inseguimento del cervo, ma a quel rumore la lepre si svegliò e scappò via. Il leone corse dietro al cervo per un pezzo, finché, visto che non riusciva a catturarlo, ritornò dalla lepre e trovò che anche quella si era messa in salvo. «Ben mi sta» esclamò allora, «perché ho lasciato la preda che avevo a portata di mano e ho preferito la speranza di una vittima più grossa».
Così alcuni uomini, che non si accontentano di guadagni modesti, ma vanno dietro a chimere maggiori, non si rendono conto di perdere anche quello che hanno già tra le mani.

IL LEONE E L’ASINO CHE ANDAVANO A CACCIA INSIEME

Un leone e un asino, che avevano fatto società tra loro, uscirono a caccia e giunsero a una grotta in cui erano riunite delle capre selvatiche. Il leone si fermò all’imboccatura della caverna per sorvegliare il momento in cui venissero fuori, mentre l’asino entrò e si precipitò contro di loro, ragliando per spaventarle. Quando il leone ne ebbe catturato la maggior parte, il suo compagno uscì dalla grotta e gli chiese se si fosse fatto onore nel combattere e nel cacciare fuori le capre. E l’altro: «Ma credi pure che perfino io avrei avuto paura di te, se non avessi saputo che sei un asino».
Così quanti si vantano presso chi lo conosce si attirano giustamente il suo scherno.

IL LEONE, L’ASINO E LA VOLPE

Un leone, un asino e una volpe fecero società tra loro e uscirono a caccia. Dopo che ebbero messo insieme un buon bottino, il leone ordinò all’asino di procedere alla spartizione. Quello fece tre mucchi uguali, ma, quando chiese al leone di sceglierne uno, costui indignato gli saltò addosso e lo sbranò. Quindi intimò alla volpe di fare lei le parti. La volpe ammassò tutto in un unico mucchio, lasciando per sé soltanto pochi avanzi, e invitò l’altro a scegliere. «Chi ti ha insegnato a dividere così?» le chiese il leone. E quella: «La disgrazia dell’asino!».
La favola dimostra che le sventure altrui servono da insegnamento agli uomini.

IL LEONE E IL TORO

Un leone, che meditava la rovina di un toro enorme, decise di prendere il sopravvento su di lui con l’inganno. Perciò gli disse che aveva sacrificato una pecora e lo invitò al banchetto, con l’intento di ucciderlo mentre era disteso a tavola. Il toro si recò da lui e, vedendo molti bracieri e grossi spiedi, ma nemmeno l’ombra di una pecora, senza dire una parola fece per andarsene. Il leone lo rimproverò e gli chiese perché si allontanasse in silenzio, senza che gli fosse stato fatto niente di male. «Ho le mie buone ragioni per andar via» rispose l’altro. «Vedo infatti dei preparativi adatti non a una pecora, ma a un toro».
La favola dimostra che agli uomini saggi non sfuggono i tranelli dei malvagi.





82 Nove favole con protagonisti dei cani (di Esopo)




I DUE CANI

Un uomo che aveva due cani ne addestrò uno alla caccia, mentre fece dell’altro un cane da guardia. Ogni volta che quello da caccia usciva in cerca di prede e catturava qualcosa, il padrone gettava una parte del bottino anche all’altro. Ma il cane da caccia finì per indignarsi e si mise a rimproverare il compagno, il quale, mentre lui per parte sua andava fuori ad affannarsi tutto il santo giorno, senza far niente godeva di quella fatiche. «Non lamentarti con me» replicò il cane da guardia, «prenditela piuttosto con il padrone, che non mi ha insegnato a lavorare, ma a vivere dei frutti del lavoro altrui».
Nello stesso modo i ragazzi pigri non vanno rimproverati, se sono resi tali dai genitori.

LE CAGNE AFFAMATE

Delle cagne affamate videro che in un fiume erano state messe a bagno alcune pelli e, siccome non riuscivano a raggiungerle, decisero tra loro di bere prima tutta l’acqua per poter arrivare in seguito fino ad esse. Ma andò a finire che, bevi e bevi, scoppiarono prima di aver raggiunto le pelli.
Così alcuni, nella speranza di un guadagno, si sottopongono a fatiche pericolose e, prima di aver ottenuto ciò che vogliono, si rovinano.

IL CANE INVITATO A PRANZO o L’UOMO E IL CANE

Un tale preparava un banchetto per invitare un suo intimo amico. Anche il suo cane chiamò un altro cane, dicendogli: «Amico mio, vieni a pranzo da me». Quello andò e, al colmo della felicità, si fermò ad ammirare l’immensa tavola imbandita, esclamando in cuor suo: “Accidenti! che po’ po’ di festino mi si offre ora all’improvviso! Mi rimpinzerò, mangerò fino alla nausea, tanto che per tutto domani non sentirò neanche un briciolo di fame”. Il cane faceva queste considerazioni tra sé e sé e intanto scodinzolava, perché si fidava ciecamente del suo ospite. Ma il cuoco, quando lo vide dimenare la coda di qua e di là, lo afferrò per le zampe e lo gettò all’istante fuori della finestra. La povera bestia riprese la via di casa con alti guaiti. Lungo la strada incontrò degli altri cani e uno di loro gli chiese: «Come hai pranzato, amico?». E lui: «Ho bevuto così tanto, ma così tanto, ed ero così ubriaco, che non so neppure da quale parte sono uscito!».
La favola dimostra che non bisogna fidarsi di quanti promettono di fare del bene con i mezzi degli altri.

IL CANE, IL GALLO E LA VOLPE

Un cane e un gallo avevano stretto amicizia e facevano un viaggio insieme. Al calar della sera, il gallo salì a dormire su un albero, mentre il cane si sistemò ai piedi della pianta, che era cava. Quando era ancora buio, secondo la sua abitudine il gallo cantò e una volpe, attirata da quel suono, si affrettò nella direzione da cui proveniva, fermandosi proprio sotto la pianta. «Scendi da me» si mise a pregare, «perché voglio abbracciare un animale che ha una così bella voce». Il gallo le rispose di svegliare prima il portinaio, che dormiva ai piedi dell’albero, perché sarebbe venuto giù quando quello gli avesse aperto. Ma, appena la volpe tentò di chiamarlo, il cane balzò in piedi all’improvviso e la fece a pezzi.
La favola dimostra che gli uomini assennati, quando vengono aggrediti dai nemici, riescono con l’inganno a indirizzarli contro avversari più forti.

IL CANE E LA LEPRE

Un cane da caccia, che aveva catturato una lepre, continuava ora a morderla, ora a leccarle le labbra. «Ehi, tu, smettila di mordermi, oppure di baciarmi» gli disse la lepre, spossata, «in modo che io possa sapere se sei mio nemico o mio amico».
La favola è adatta per gli uomini ambigui.

IL CANE E IL CUOCO

Un cane balzò in una cucina e, mentre il cuoco era occupato, afferrò un cuore e fuggì. Quando il cuoco si volse, vedendolo scappare gli gridò: «Ehi, tu, sappi che ti terrò d’occhio, dovunque tu vada: perché non mi hai portato via un cuore, ma, al contrario, me ne hai dato uno».
La favola dimostra che spesso le disgrazie servono agli uomini da insegnamento.

LA CAGNA CHE PORTAVA UN PEZZO DI CARNE

Mentre attraversava un fiume con un pezzo di carne in bocca, una cagna scorse la propria immagine riflessa sull’acqua e, credendo di vedere un’altra cagna che portava un pezzo di carne più grosso, abbandonò il proprio per slanciarsi verso quel riflesso e impadronirsi del bottino dell’altra. Ma così perse entrambi i bocconi, uno perché non esisteva, e quindi non poté raggiungerlo, l’altro perché fu trascinato via dalla corrente.
La favola è adatta per gli uomini avidi.

IL CANE CHE PORTAVA UN CAMPANELLO

C’era una volta un cane che mordeva a tradimento. Un giorno il padrone gli appese al collo un campanello che lo segnalasse a tutti e il cane, facendo tintinnare il suo sonaglio, andò in piazza a farsi ammirare. «Per quale ragione ti pavoneggi?» gli disse però una vecchia cagna. «Non è certo per le tue virtù che porti quel campanello, ma piuttosto come segno della tua segreta perfidia».
Gli atteggiamenti vanitosi dei fanfaroni lasciano trapelare la loro malvagità nascosta.

IL CANE CHE INSEGUIVA UN LEONE E LA VOLPE

Un cane da caccia vide un leone e si mise a inseguirlo. Ma, appena la belva si volse ruggendo verso di lui, terrorizzato se la diede a gambe. «Testa matta» gli disse una volpe, che aveva assistito alla scena, «pretendevi di inseguire un leone, e non hai saputo sopportarne neppure il ruggito?»
Si potrebbe raccontare questa favola a proposito di quegli arroganti che si mettono a denigrare chi è ben più potente di loro, ma, se questi reagisce, si tirano subito indietro.






81 Cinque favole con protagonisti corvi e cornacchie (di Esopo)




IL CORVO E LA VOLPE

Un corvo si era posato su un albero con un pezzo di carne rubata. Lo vide una volpe che, decisa a impadronirsi della carne, si fermò ai piedi dell’albero e incominciò a lodare le notevoli dimensioni e la bellezza del corvo, aggiungendo inoltre che nessuno meglio di lui era fatto per regnare sugli uccelli. E certo sarebbe diventato re, se solo avesse avuto la voce. Il corvo, per dimostrarle che possedeva anche quella, lasciò andare il suo bottino e si mise a gracchiare a gola spiegata. Al che la volpe si precipitò ad afferrare la carne, osservando: «Se tu avessi anche cervello, caro il mio corvo, non ti mancherebbe nulla per regnare su tutti».
La favola è fatta su misura per gli sciocchi.

IL CORVO E IL SERPENTE

Un corvo che non aveva nulla da mettere sotto i denti vide un serpente che dormiva al sole, planò su di lui e lo ghermì. Ma il serpente si rivoltò e lo morse, e il corvo, morente, esclamò: «Povero me! Una bella scoperta davvero, ho fatto, che mi uccide».
Si può raccontare questa favola a proposito di chi, per aver scoperto un tesoro, mette a repentaglio addirittura la vita.

IL CORVO AMMALATO

Un corvo ammalato disse alla madre: «Prega gli dei, mamma, e non piangere». E la madre: «Ma quale degli dei avrà compassione di te, figlio mio? Ce n’è uno, forse, cui tu non abbia rubato la carne?».
La favola dimostra che, se nel corso della vita ci si fanno molti nemici, non si troverà nessun amico nel momento del bisogno.

LA CORNACCHIA E IL CORVO
La cornacchia, che era invidiosa del corvo perché fornisce presagi agli uomini, preannunzia il futuro e viene perciò chiamato da loro a testimonio (1), volle fare lo stesso. Quando vide alcuni viandanti passare nelle vicinanze, volò su un albero, vi si posò e si mise a gracchiare a gola spiegata. I passanti, a quel suono, si voltarono spaventati, ma uno di loro prese la parola e disse: «Andiamo pure avanti, amici, perché è solo una cornacchia: il suo gracchiare non preannunzia un bel niente».
Così anche tra gli uomini quanti si mettono in gara con chi è più forte, oltre a non eguagliarlo, si attirano per di più il ridicolo.

LA CORNACCHIA E IL CANE

Una cornacchia che offriva un sacrificio ad Atena invitò un cane al banchetto. «È inutile che tu sperperi le tue sostanze in sacrifici» le disse il cane. «Tanto la dea non ti può soffrire al punto d’aver tolto ogni credibilità ai tuoi presagi». Ma la cornacchia rispose: «Anzi, proprio perché so che mi odia sacrifico ad Atena, per farla riconciliare con me».
Così molti per paura non esitano a fare del bene ai loro nemici.

__________________________________________________________________________

(1) Il corvo era animale sacro ad Apollo, in quanto il suo volo dava presagi e Apollo era patrono della divinazione.









80 Cinque favole con protagonista un cammello (di Esopo)




IL CAMMELLO CHE FECE I SUOI BISOGNI IN UN FIUME

Un cammello, nell’attraversare un fiume che scorreva rapido, fece i suoi bisogni. Quando vide lo sterco passare subito davanti a lui, trascinato dalla vorticosa corrente, esclamò: «Che succede? Quello che era dietro di me ora lo vedo scivolare davanti a me!».
La favola va bene per uno stato in cui hanno il potere gli infimi e gli sciocchi invece delle persone ragguardevoli e dei saggi.

IL CAMMELLO, L’ELEFANTE E LA SCIMMIA

Gli animali si erano riuniti in assemblea per scegliere un re. Erano in lizza il cammello e l’elefante, che si presentavano come candidati con la speranza di essere preferiti tra tutti gli altri per le notevoli dimensioni del loro corpo e per la loro forza. Ma la scimmia osservò che nessuno dei due era adatto per regnare: «Il cammello» disse, «perché è incapace di arrabbiarsi con gli iniqui, l’elefante, perché corriamo il rischio di venir attaccati da un porcellino, che gli fa una paura matta».
La favola dimostra che talvolta ragioni di poco conto impediscono a molti di intraprendere le più grandi imprese.

IL CAMMELLO E ZEUS

Il cammello aveva visto un toro tutto fiero delle sue corna e, pieno di invidia, volle averne anch’egli un paio uguali. Si recò quindi da Zeus e lo supplicò di concedergliele. Ma il dio si sdegnò con lui, perché, non contento dell’imponenza e della forza delle sue membra, moriva dalla voglia di ottenere ancora qualcosa di più. E così non solo non gli donò le corna, ma gli portò via addirittura una parte delle orecchie.
Nello stesso modo molti, che per avidità guardano gli altri con invidia, non si rendono conto di perdere anche le prerogative che sono loro proprie.

IL CAMMELLO CHE DANZAVA

Un cammello, costretto dal proprio padrone a danzare, esclamò: «Ma se sono goffo anche quando cammino, figurarsi quando ballo!».
Questa favola può essere raccontata a proposito di tutte le azioni prive di grazia.

IL CAMMELLO CHE FU VISTO PER LA PRIMA VOLTA

La prima volta che videro il cammello gli uomini, presi da un folle terrore davanti a quell’animale grande e grosso, se la diedero a gambe. Ma con il passare del tempo, quando si accorsero della sua mitezza, trovarono tanto coraggio da avvicinarglisi. Finché, rendendosi conto a poco a poco che il cammello è incapace di arrabbiarsi, giunsero a un tale disprezzo che gli gettarono intorno al collo delle briglie e lo diedero da condurre ai ragazzi.
La favola dimostra che l’abitudine ridimensiona ciò che incute spavento.

Un dromedario nel deserto dell’Oman




79 Quattro favole con protagonista un cavallo (di Esopo)




IL CAVALLO VECCHIO

Un vecchio cavallo fu venduto per girare la macina. «Dopo tante gloriose corse» gemette quando fu attaccato al mulino «a che razza di giri mi sono ridotto!»
Non bisogna inorgoglirsi troppo della forza che deriva dalla giovinezza o dalla fama: per molti infatti la vecchiaia si consuma tra penose fatiche.

IL CAVALLO, IL BUE, IL CANE E L’UOMO

Quando plasmò l’uomo, Zeus gli assegnò una vita breve. Grazie alla propria intelligenza, al sopraggiungere dell’inverno l’uomo si costruì una casa dove vivere. Un giorno che il freddo si era fatto penetrante e pioveva, il cavallo, che non poteva più resistere, corse dall’uomo e lo pregò di dargli riparo. «Lo farò» rispose quello «solo a condizione che tu mi ceda una parte dei tuoi anni». E il cavallo acconsentì volentieri. Poco dopo giunse il bue, che a sua volta non riusciva a sopportare quel tempaccio, e l’uomo gli disse ugualmente: «Non ti accoglierò se non mi offrirai un certo numero dei tuoi anni». Anche il bue accettò e fu fatto entrare. Infine arrivò il cane, che moriva di freddo, e ottenne riparo dopo aver accordato all’uomo una parte della propria vita. Ed ecco che gli uomini, finché vivono nel tempo assegnato loro da Zeus, sono integri e buoni; quando passano agli anni del cavallo, sono vanitosi e orgogliosi; arrivati agli anni del bue, sono autorevoli; e quando, alla fine della vita, giungono al tempo del cane, sono irascibili e abbaiano.
Questa favola potrebbe essere indirizzata ai vecchi collerici e capricciosi.

IL CAVALLO E L’ASINO

Un uomo viaggiava con un cavallo e un asino che erano di sua proprietà. Strada facendo, l’asino disse al cavallo: «Prendi un po’ del mio carico, se non vuoi che io tiri le cuoia». Ma l’altro fece orecchie da mercante e l’asino, stramazzando a terra sfinito, morì. Allora il padrone trasferì sul cavallo l’intero carico e in più anche la pelle dell’asino. «Oh, me infelice!» esclamò l’animale tra le lacrime. «Guarda che cosa mi è toccato, povero me! Perché non ho voluto sobbarcarmi un piccolo peso, ecco che ora sono costretto a portare tutto, anche la pelle».
La favola dimostra che, se nella vita i grandi fanno fronte comune con i piccoli, gli uni e gli altri potranno salvarsi.

IL CAVALLO E IL SOLDATO

In tempo di guerra, un soldato rimpinzava d’orzo il suo cavallo, che gli era compagno in ogni pericolo. Ma, quando la guerra finì, lo destinò a infimi lavori e a portare carichi pesanti, nutrendolo solo di paglia. Allorché nuovamente si sentì parlare di guerra e si udì il suono delle trombe, il padrone mise le briglie al cavallo, si armò lui stesso e montò in arcione. Ma la povera bestia, che, priva di forze, cadeva a ogni passo, gli disse: «Vattene con i fanti! Tu infatti mi hai trasformato da cavallo in asino: come pensi di poter avere di nuovo da un asino un cavallo?».
Nei momenti di sicurezza e di pace non bisogna dimenticarsi della sventura.




78 Sei favole con protagonista Zeus (di Esopo)



ZEUS E IL PUDORE

Zeus, quando formò gli uomini, assegnò loro tutte le varie inclinazioni, ma dimenticò il pudore e, visto che poi non sapeva più come introdurlo, gli ordinò di penetrare attraverso il sedere. In un primo momento quello si rifiutò, indignato per l’ingiusto trattamento; ma infine, sotto le incalzanti pressioni di Zeus, esclamò: «Lo faccio solo a questa condizione: che Eros non entri mai per di là. E, se vi entrerà, io me ne andrò all’istante». Ecco perché tutti i depravati non hanno alcun pudore.
La favola dimostra che chi è in balia di amore diviene spudorato.

ZEUS E GLI UOMINI

Quando plasmò gli uomini, Zeus diede a Ermes l’incarico di instillare in loro l’intelligenza e il dio, dopo averla divisa in parti uguali, ne versò una dose per ciascuno. Ma così andò a finire che gli uomini di fisico minuto, colmi della misura loro toccata, divennero saggi, mentre quelli grandi e grossi, visto che il liquido non poteva giungere in tutte le membra, restarono sciocchi.
La favola è adatta per chi ha un corpo imponente, ma poco cervello.

ZEUS E IL SERPENTE

In occasione delle nozze di Zeus, tutti gli animali gli portarono dei doni, ciascuno secondo le proprie possibilità. Anche il serpente, strisciando, si inerpicò fino a lui con una rosa in bocca. Ma Zeus, appena lo vide, esclamò: «I regali di tutti gli altri li accetto, ma dalla tua bocca non prendo un bel niente!».
La favola dimostra che delle gentilezze dei malvagi bisogna aver paura.

ZEUS E L’ORCIO DEI BENI

Zeus rinchiuse tutti i beni in un orcio, che affidò a un uomo. Ma costui, che era curioso e moriva dalla voglia di sapere che cosa l’orcio contenesse, tolse il coperchio e i beni se ne volarono via fino all’ultimo, tornando dagli dei.
Resta con gli uomini soltanto la speranza. Che promette di dar loro i beni fuggiti.

ZEUS E LA TARTARUGA

Quando si sposò, Zeus invitò al banchetto tutti gli animali. La tartaruga fu l’unica a non presentarsi e Zeus, che non riusciva a indovinarne il motivo, il giorno seguente le domandò perché lei sola non fosse venuta al pranzo. «Casa mia, casa ottima» fu la risposta. Al che il dio, sdegnato, condannò la tartaruga a prendersi sulle spalle la sua casa e a portarsela sempre con sé.
Così molti uomini preferiscono vivere con semplicità in casa propria che abitare tra gli agi a casa d’altri.

LE API E ZEUS

Le api, che non volevano concedere agli uomini il proprio miele, si recarono da Zeus e lo pregarono di accordare loro la forza di uccidere con un colpo di aculeo quanti si avvicinavano ai favi. Ma Zeus, sdegnato con le api per la loro malignità, stabilì che quando colpiscono qualcuno esse perdano il pungiglione e, in seguito a questo, anche la vita.
Questa favola potrebbe essere applicata a quegli uomini maligni che sopportano di lasciarsi coinvolgere anch’essi nei danni da loro provocati.







77 Sei favole con protagonista un cervo (di Esopo)



IL CERVO ALLA FONTE E IL LEONE

Un cervo assetato giunse a una sorgente e, mentre beveva, scorse la propria immagine riflessa sull’acqua: delle corna si inorgoglì, perché le vide ampie e ramificate, ma si rammaricò profondamente delle zampe, che apparivano esili e gracili. Stava ancora facendo queste considerazioni, quando saltò fuori un leone, che si mise a dargli la caccia. Il cervo scappò e riuscì a distanziare l’inseguitore di un bel tratto: la forza dei cervi, infatti, è tutta nelle zampe, quella dei leoni, invece, nel cuore. Finché la pianura si allargava sgombra di alberi, il fuggitivo mantenne il vantaggio conquistato con la sua velocissima corsa e si salvò; ma, quando si infilò nel bosco, le sue corna s’impigliarono nei rami e gli impedirono di correre. Così andò a finire che il cervo cadde nelle grinfie del leone. «Povero me!» si disse, ormai in punto di morte. «Chi avrebbe dovuto tradirmi mi offriva una via di scampo, mentre ciò in cui avevo riposto cieca fiducia mi rovina».
Così spesso, nel momento del pericolo, gli amici di cui si dubitava salvano e tradiscono invece quelli più fidati.

IL CERVO E LA VIGNA

Un cervo braccato dai cacciatori si nascose fra i tralci di una vigna. Quando vide che gli inseguitori erano passati poco oltre il suo nascondiglio, si credette ormai completamente al sicuro e incominciò a mangiare le foglie della vite. Ma i cacciatori, appena sentirono le fronde agitarsi, si volsero e, immaginando – come appunto era – che in mezzo alla vigna si tenesse nascosto qualche animale, trafissero il cervo con le loro frecce. «Ben mi sta» sospirò quello morendo, «perché non dovevo maltrattare chi mi aveva salvato».
La favola dimostra che quanti fanno del male ai loro benefattori vengono puniti dagli dei.

IL CERVO E IL LEONE IN UNA GROTTA

Un cervo inseguito dai cacciatori giunse a una grotta in cui si trovava un leone e vi entrò per nascondersi, ma cadde subito nelle grinfie della belva. «Povero me!» esclamò, mentre il leone lo sbranava. «Per sfuggire agli uomini mi sono buttato tra gli artigli di una fiera».
Così qualche volta, per paura di un pericolo minore, ci si getta in uno più grave.

IL CERVO CIECO DA UN OCCHIO

Un cervo cieco da un occhio, recatosi sulla spiaggia, si mise a brucare, tenendo l’occhio sano rivolto verso terra, per controllare se sopraggiungessero dei cacciatori, e quello mutilato invece verso il mare, dato che di là non si aspettava venisse alcun pericolo. Ma dei marinai che navigavano lungo quella costa lo scorsero e lo trafissero. «Come sono disgraziato!» sospirò tra sé il cervo, morente. «Stavo in guardia dalla terraferma, perché da questa mi attendevo chissà quali insidie, ed è stato per me ben più dannoso il mare, presso il quale avevo cercato rifugio».
Così spesso, contro ogni nostra aspettativa, quello che sembra insidioso si rivela utile, mentre ciò che viene considerato salutare risulta pericoloso.

IL LEONE, LA VOLPE E IL CERVO

Il leone giaceva ammalato in un caverna. «Se vuoi che io guarisca e sopravviva» disse alla sua amica volpe, con la quale aveva un rapporto di familiarità, «inganna con le tue parole suadenti quel grande cervo che abita nella foresta e portamelo qui tra le zampe, perché muoio dalla voglia di divorare le sue viscere e il suo cuore». La volpe si mise in cammino e, quando trovò il cervo che saltava nel bosco, con aria affabile lo salutò e gli disse: «Sono venuta a portarti una buona notizia. Sai che il nostro re, il leone, è mio vicino di casa. Ora è malato e prossimo alla morte. Perciò si è messo a valutare quale degli animali dovrà regnare dopo di lui e ha considerato che il cinghiale è stupido, l’orso ottuso, la pantera irascibile, la tigre fanfarona. Il più degno di diventare re, dunque, è il cervo, perché è imponente d’aspetto, vive a lungo e ha un paio di corna che incutono paura ai serpenti. Ma perché dilungarmi oltre? Insomma, sei stato scelto come sovrano. Che cosa mi darai, visto che te l’ho riferito per prima? Su, dimmelo in fretta, perché ho paura che il leone mi cerchi di nuovo: per ogni cosa infatti ha bisogno dei miei consigli. Anzi, se vuoi dar retta a me, che sono vecchia, ti suggerisco di venire anche tu e di restare accanto a lui finché non muore». Così disse la volpe e a quelle parole il cervo si montò la testa al punto che si recò alla caverna senza intuire ciò che lo aspettava. Il leone fu lesto a balzargli addosso, ma con i suoi unghioni riuscì a graffiargli soltanto le orecchie, perché l’animale scappò via nel bosco a rotta di collo. La volpe batté le zampe, visto che si era affannata per niente. Il leone invece, tormentato dalla fame e dal dolore, gemette con alti ruggiti e si mise a supplicarla di fare un secondo tentativo e di escogitare qualche stratagemma per ricondurre il cervo da lui. «Tu mi assegni un compito arduo e spiacevole» disse la volpe, «Tuttavia ti renderò questo favore». E via, come un segugio, sulle tracce del cervo, meditando scelleratezze. Ad alcuni pastori chiese se avessero visto un cervo sanguinante e costoro glielo indicarono nel bosco. Lo trovò dunque che si rinfrescava e gli si piantò davanti sfacciatamente. «Lurida bestia» esclamò il cervo, rabbioso e con il pelo ritto, «non mi avrai più. Se fai un passo verso di me, sei morta. Va’ a ingannare altri, che non ti conoscono, con i tuoi raggiri da volpe! Vai da altri per farli re e metterli in eccitazione!» E quella: «Sei tanto vile e pauroso? Fino a questo punto sospetti di noi, tuoi amici? Prima di morire, il leone voleva prenderti per le orecchie per darti consigli e istruzioni circa il tuo importantissimo ruolo di sovrano. Ma tu non hai sopportato neppure il graffio della zampa di un malato. E ora lui è più indignato di te e vuole scegliere come re il lupo. Un malvagio signore, ahimè! Su, vieni, non spaventarti e sii mansueto come un agnello. Perché ti giuro per tutte le foglie e le fonti che il leone non ti farà alcun male. E io voglio servire te solo». Così ingannò quello sventurato e lo convinse a recarsi dal leone una seconda volta. Quando il cervo fu entrato nella caverna, la belva ebbe il suo pranzo e poté succhiare fino all’ultimo ossa, midolla e viscere della sua vittima. Ma la volpe, rimasta a guardare, rubò di nascosto il cuore, che era caduto, e se lo mangiò come ricompensa per le sue fatiche. E mentre il leone passava in rassegna tutte le membra alla ricerca di quello soltanto, la volpe tenendosi a distanza gli disse: «Davvero costui non aveva cuore. Non stare più a cercarlo: che cuore poteva avere uno che per due volte si è infilato nella tana di un leone, e proprio tra le su grinfie?».
L’avidità di onori offusca la mente umana e impedisce di scorgere le situazioni di pericolo.

IL LEONE FURIOSO E IL CERVO

Il leone era infuriato e il cervo, che dalla foresta lo aveva visto: «Ahimè!» sospirò, «poveri noi! Che cosa non farà costui adesso che è furioso, se anche quando aveva la testa a posto non riuscivamo a sopportarlo?».
Tutti evitino gli uomini violenti e abituati a fare il male, quando prendono il potere e governano.






76 Dodici favole con protagonisti degli uomini (di Esopo)




L’ASSASSINO

Un tale, che aveva ucciso un uomo ed era braccato dai congiunti della sua vittima, giunse sulle rive del Nilo, dove s’imbatté in un lupo. Terrorizzato, si arrampicò su un albero che cresceva vicino al fiume e vi si tenne nascosto, finché si accorse che un serpente strisciava nella sua direzione. Per questo si lasciò cadere nell’acqua, ma qui un coccodrillo se lo mangiò in un boccone.
La favola dimostra che nessun elemento della natura – né la terra, né l’aria, né l’acqua – è sicuro per gli uomini maledetti dagli dei.

L’UOMO MORSO DA UNA FORMICA ED ERMES

Un tale, che una volta aveva visto una nave colare a picco con il suo equipaggio, sosteneva che gli dei non giudicano con equità, perché per colpa di un solo empio erano morti contemporaneamente anche degli innocenti. Il luogo in cui si trovava mentre faceva queste affermazioni era brulicante di formiche e capitò che una di queste lo mordesse. E l’uomo, sebbene una sola fosse colpevole, le calpestò tutte. Gli apparve allora Ermes (1), che lo picchiò con il caduceo (2), esclamando: «E tu non tolleri che gli dei giudichino gli uomini come fai tu con le formiche?».
Quando capita una disgrazia, non bisogna bestemmiare contro la divinità, ma piuttosto considerare le proprie colpe.

IL FANFARONE

Un atleta, che pratica il pentathlon (3), era perenne bersaglio dei lazzi dei concittadini per il suo scarso vigore. Una volta si allontanò dal suo paese e, al suo ritorno, prese a vantarsi raccontando che anche in altre città si era ampiamente coperto di gloria, ma a Rodi (4), poi, aveva spiccato un salto tale che nessuno degli atleti vittorioso ai giochi di Olimpia (5) poteva eguagliarlo. E aggiungeva che avrebbe portato come testimoni del fatto quanti aveva assistito alla gara, se mai passassero un giorno dalle loro parti. «Ma se quel che racconti è vero, caro mio» interloquì allora uno dei presenti, «che bisogno hai di testimoni? Ecco qui Rodi: facci vedere questo salto!».
La favola dimostra che ogni discorso è superfluo riguardo a ciò che è facile provare con i fatti.

L’UOMO BRIZZOLATO E LE SUE AMANTI

Un uomo brizzolato aveva due amanti, una giovane, l’altra vecchia. Quella anziana, che si vergognava di avere una relazione con uno più giovane di lei, quando riceveva le sue visite gli strappava continuamente i capelli neri. La giovane, invece, cui non andava di avere come amante un vecchio, gli strappava quelli bianchi. E così accadde che l’uomo, pelato un po’ dall’una e un po’ dall’altra, si ritrovò calvo.
Nello stesso modo ciò che è discordante procura in ogni caso dei guai.

IL CIECO

Un cieco era abituato a dire di che razza fosse qualsiasi animale gli ponessero tra le mani, riconoscendolo al tatto. Una volta gli fu presentato un lupacchiotto: l’uomo lo palpò, ma rimase incerto: «Non so se è il cucciolo di un lupo o di una volpe o di qualche animale simile a questi» disse, «ma di una cosa sono assolutamente sicuro: questa bestia non è fatta per andare con un gregge di pecore».
Così l’indole dei malvagi spesso si rivela anche dall’aspetto fisico.

L’IMBROGLIONE

Un uomo povero, che era malato e stava molto male, promise agli dei che avrebbe offerto loro in sacrificio cento buoi se lo avessero guarito. Gli dei, volendo metterlo alla prova, disposero che l’infermo si ristabilisse entro brevissimo tempo. Quando si fu rimesso in piedi, visto che non possedeva dei buoi in carne e ossa, l’uomo ne modellò cento di pasta e li bruciò su un altare con questa invocazione: «Accogliete il mio voto, o dei!». Allora gli dei decisero di prenderlo in giro a loro volta e gli inviarono un sogno con il quale lo invitavano a recarsi sulla spiaggia, dove avrebbe trovato mille dracme attiche (6). L’uomo, tutto contento, corse in riva al mare, ma qui cadde nelle mani dei pirati, che lo trascinarono via e lo vendettero. Fu così che trovò le mille dracme.
La favola è adatta per i bugiardi.

GLI UOMINI E ZEUS

Dicono che tanto tempo fa, quando gli esseri viventi furono creati, a ciascuno di loro venne accordato un dono da parte della divinità – a chi la forza, a chi la velocità, a chi le ali –, mentre l’uomo, rimasto nudo, protestò: «Me solo hai lasciato privo della tua grazia!». Gli rispose Zeus: «Non ti sei neanche reso conto della qualità che hai ricevuto, eppure ti è stata assegnata la più grande: hai ottenuto e possiedi la ragione, che ha forza presso gli dei e presso gli uomini, più potente dei potenti e più veloce dei veloci». E allora l’uomo, riconosciuto il dono, se ne andò dopo aver adorato il dio e avergli reso grazie.
Benché tutti gli uomini siano stati gratificati dalla divinità con la ragione, alcuni non si rendono conto di tale onore e invidiano piuttosto gli animali, che sono privi di sentimento e di razionalità.

L’UOMO CHE SPACCÒ LA STATUA

Un uomo povero, che possedeva la statua di legno di una divinità, la supplicava di concedergli qualche beneficio ma, nonostante le sue preghiere, precipitava in una miseria sempre più nera. Un giorno, infuriato, sollevò la statua per una gamba e la sbatté contro il muro. La testa subito si spaccò e lasciò scorrere una cascata d’oro, che l’uomo si precipitò a raccogliere, esclamando: «Sei strambo, a parer mio, e ingrato: non mi hai soccorso finché ti rendevo onore e quando ti ho maltrattato mi hai reso in cambio un ricco dono!».
La favola dimostra che non otterrai alcun aiuto se colmerai di onori un malvagio, ma ne ricaverai maggior vantaggio se lo tratterai male.

L’ASTRONOMO

Un astronomo aveva l’abitudine di uscire ogni sera a contemplare le stelle. Una volta che vagava nelle vicinanze della città con la mente tutta rivolta al cielo, senza accorgersene cadde in un pozzo. Si mise allora a lamentarsi e a urlare, finché uno che passava di là, attirato da quelle grida, gli si avvicinò e, quand’ebbe appreso che cos’era accaduto, gli disse: «Brav’uomo, ti affanni a guardare ciò che sta in cielo e non vedi quello che è sulla terra?».
Di questa favola ci si potrebbe servire per quegli uomini che si vantano di imprese straordinarie, ma non sono in grado di compiere le azioni comuni a tutti.

IL CONTADINO E I SUOI FIGLI

Un contadino, trovandosi in punto di morte, voleva che i suoi figli si impratichissero nel lavoro dei campi. Perciò li fece chiamare e disse loro: «Ragazzi miei, io ormai me ne vado: cercate nella vigna e scoprirete tutto quello che vi è nascosto». I figli pensarono che là, da qualche parte, fosse sepolto un tesoro e dopo la morte del padre scavarono a fondo tutta la terra del vigneto: non trovarono nulla, ma la vigna, zappata a dovere, diede un frutto molto più abbondante.
La favola dimostra che il lavoro è per gli uomini un tesoro.

I FIGLI DEL CONTADINO CHE ERANO IN DISACCORDO

I figli di un contadino erano perennemente in disaccordo tra loro e il padre, nonostante i continui ammonimenti, non riusciva a convincerli con le sue parole a cambiare atteggiamento. Si rese contò perciò che doveva raggiungere lo scopo con un esempio concreto e ordinò ai ragazzi di portargli un fascio di verghe. Quelli obbedirono. In un primo momento il contadino consegnò loro le verghe riunite insieme e chiese che le spezzassero, ma i figli, pur mettendocela tutta, non furono in grado di farlo. Allora il padre sciolse il fascio e diede loro le verghe a una a una: così non incontrarono nessuna difficoltà a romperle. «Anche voi, figli miei» concluse il contadino, «se sarete uniti non potrete essere vinti dai vostri nemici, ma diventerete per loro una facile preda sa sarete in disaccordo».
La favola dimostra che la concordia è tanto più forte quanto più è debole la discordia.

I DUE NEMICI

Due uomini, che si odiavano a morte, viaggiavano sulla stessa nave: uno stava a poppa, l’altro a prua. Sorse all’improvviso una tempesta e, quando l’imbarcazione era ormai lì lì per colare a picco, quello che si trovava a poppa chiese al timoniere quale delle due estremità della nave sarebbe finita sott’acqua per prima. «La prua!» rispose l’interpellato. E l’altro: «Allora non mi è doloroso morire, se sto per vedere il mio nemico affogare prima di me».
La favola dimostra che molti non si preoccupano minimamente del proprio danno, se ne vedono colpiti prima i loro nemici.

________________________________________________________________________________

(1) Ermes, figlio di Zeus e di Maia, è un dio scaltro e simpatico, perennemente indaffarato in molteplici attività, spesso al di là del lecito. Numerosi i compiti che gli vengono attribuiti: messaggero e agente degli dei, protegge il commercio (onesto e disonesto) e anche il furto, assiste i viandanti, veglia sui pastori e sulle greggi, accompagna le anime dei defunti nell’Ade, è patrono dei ginnasti e degli atleti. Ermes è presente in molte favole di Esopo, dove compare sempre con le sue prerogative tradizionali, spesso come esecutore della volontà di Zeus.
(2) Il caduceo è un bastone d’oro sormontato da due piccole ali, attorno al quale si attorcigliano due serpenti. È attributo tipico di Ermes, come simbolo di pace e della funzione di messaggero degli dei.
(3) Il pentathlon era una gara composta, come suggerisce il termine, da cinque prove: corsa, salto, lancio del disco, lancio del giavellotto, lotta. Secondo la tradizione mitica, sarebbe stato Giasone il primo a unire queste cinque prove in un’unica gara, mentre dal punto di vista storico il pentathlon si trova inserito nei giochi olimpici per la prima volta nel 708 a.C.
(4) Rodi è un’isola del mar Egeo, appartenente all’arcipelago delle Sporadi.
(5) Si tratta ovviamente dei famosi giochi panellenici che si svolgevano ogni quattro anni a Olimpia, nell’Elide, una regione situata nel Peloponneso nord-occidentale.
(6) La dracma era una moneta d’argento equivalente in genere a 1/100 di mina e a 1/6000 di talento.



venerdì 23 giugno 2017

75 Undici favole con protagonista una volpe (di Esopo)




LA VOLPE DAL VENTRE GONFIO

Una volpe affamata scorse nella cavità di una quercia dei pezzi di pane e di carne lasciati da alcuni pastori e, dopo essersi insinuata in quel pertugio, se li mangiò. Ma poi si mise a piangere e a lamentarsi, perché il gonfiore del ventre le impediva di uscire. Un’altra volpe che passava in quei paraggi, udendo i suoi gemiti si avvicinò e gliene chiese la ragione. E, una volta appreso l’accaduto: «Resta lì finché avrai ripreso le stesse dimensioni che avevi quando sei entrata» le suggerì, «così verrai fuori facilmente».
La favola dimostra che il tempo dissolve le difficoltà.

LA VOLPE E IL ROVO

Mentre saltava una siepe, una volpe scivolò e, sul punto di cadere, cercò di sostenersi aggrappandosi a un rovo. Ma per colpa delle sue spine si ritrovò le zampe insanguinate e, tutta dolorante, gli disse: «Ahimè! io ho cercato aiuto presso di te e tu mi hai trattato tanto male!». «Ma sei tu che hai sbagliato, cara mia» replicò il rovo, «a volerti aggrappare proprio a me, che sono abituato ad aggrapparmi a tutto».
La favola dimostra che così anche tra gli uomini sono stolti quanti chiedono soccorso a chi di natura è piuttosto incline a nuocere.

LA VOLPE E L’UVA

Una volpe affamata scorse alcuni grappoli d’uva che pendevano da una vite e volle afferrarli. Ma non riuscì a raggiungerli e, mentre si allontanava, commentò tra sé. “Non sono mica maturi!”.
Così anche tra gli uomini alcuni, se per la loro incapacità non possono arrivare alla meta, ne danno la colpa alle circostanze.

LA VOLPE E IL SERPENTE

Una volpe vide un serpente addormentato: piena di invidia per la lunghezza del suo corpo, si coricò accanto a lui con l’intento di eguagliarlo e cercò di tendersi, finché, per la violenza eccessiva dei suoi sforzi, senza neanche rendersene conto si squartò.
Questo tocca a quanti si mettono in competizione con chi è loro superiore: soccombono prima di riuscire a emularlo.

LA VOLPE E IL TAGLIALEGNA

Una volpe, che fuggiva inseguita dai cacciatori, come vide un taglialegna lo supplicò di nasconderla e l’uomo le consigliò di andare a rintanarsi nella sua capanna. Quando dopo breve tempo sopraggiunsero i cacciatori e gli chiesero se avesse notato una volpe passare di là, il taglialegna a parole rispose di non averla vista, ma a cenni indicò loro dove era nascosta. Quelli però non fecero caso ai suoi gesti e credettero piuttosto a ciò che diceva. Non appena li vide allontanarsi, la volpe balzò fuori dal suo nascondiglio e, senza dire nulla, si mosse per andarsene. Il taglialegna allora incominciò a rimproverarla, perché dopo essersi salvata per merito suo, non gli aveva rivolto neanche una parola di ringraziamento. «Ti avrei mostrato la mia gratitudine» replicò la volpe «se i cenni della tua mano e il tuo atteggiamento fossero stati conformi a quel che dicevi».
Questa favola potrebbe essere indirizzata a coloro che fanno nobili promesse a parole, ma in concreto si comportano male.

LA VOLPE E IL COCCODRILLO

Una volpe e un coccodrillo discutevano sulla loro nobiltà. Il coccodrillo, dopo aver parlato a lungo della grandezza dei propri antenati, affermò infine che proveniva da una famiglia di ginnasiarchi (1). «Ma anche se tu non lo dicessi» osservò la volpe «lo rivelerebbe la tua pelle che da molti anni fai esercizi di ginnastica!» (2)
Così anche tra gli uomini, i bugiardi vengono smascherati dai fatti.

LA VOLPE E LA PANTERA

Una volpe e una pantera si contendevano la palma della bellezza. Siccome la pantera continuava a magnificare la flessuosità delle proprie membra, la volpe prese la parola ed esclamò: «Quanto sono più bella di te, io che ho agile non il corpo, ma la mente!».
La favola dimostra che le doti dell’ingegno sono superiori alla bellezza fisica.

LA VOLPE E IL CAPRONE

Una volpe cadde in un pozzo e vi restò per forza bloccata. Allo stesso pozzo giunse un caprone assetato che, accortosi di lei, le chiese se l’acqua fosse buona. La volpe, tutta lieta dell’occasione propizia, si fece in quattro per elogiare quell’acqua, affermando che era eccellente, e gli consigliò di scendere. Il caprone, spinto dall’arsura, senza pensarci troppo si calò nel pozzo e, mentre si dissetava, prese a considerare assieme alla volpe il modo per risalire. «So che cosa si deve fare, solo che tu voglia che ci salviamo entrambi» sentenziò la volpe. «Sii tanto gentile da appoggiare al muro le zampe anteriori e da tenere alte le corna, così io potrò salire e tirerò fuori te». Il caprone obbedì prontamente all’invito della sua compagna, la quale si arrampicò sulle zampe, sulle spalle e sulle corna di lui e si ritrovò alla bocca del pozzo. Quindi balzò fuori e fece per andarsene, ma il caprone si mise a rimproverarla di aver trasgredito i patti. Allora la volpe si voltò e gli disse: «Caro mio, si tu avessi tanto sale in zucca quanti sono i peli della tua barba, non saresti sceso prima di aver valutato la via per risalire».
Così anche gli uomini assennati, prima di intraprendere un’azione, devono considerare quale potrebbe esserne l’epilogo.

LA VOLPE SENZA CODA

Una volpe aveva avuto la coda mozzata da una tagliola e riteneva che, per la vergogna, la sua vita fosse intollerabile. Comprese perciò che bisognava mettere anche le altre volpi nella stessa situazione, in modo che il suo difetto particolare scomparisse nella generale disgrazia. Dunque le riunì tutte e le esortò a tagliarsi la coda, perché – diceva – non solo era brutta, ma pendeva per di più dal loro corpo come un peso superfluo. Allora prese la parola un’altra volpe e disse: «Ma se ciò non tornasse utile a te, cara mia, non ce lo consiglieresti di certo!».
Questa favola è adatta per quanti elargiscono consigli agli altri non per affetto verso di loro, ma per il proprio interesse.

LA VOLPE CHE NON AVEVA MAI VISTO UN LEONE

Una volpe, che non aveva mai visto un leone, quando per caso ne incontrò uno, al primo sguardo restò così profondamente turbata che per poco non morì. Imbattutasi in lui una seconda volta, ne fu spaventata, ma non tanto come la prima. E quando lo vide per la terza volta fu così audace da avvicinarglisi addirittura per scambiare qualche parola con lui.
La favola dimostra che l’abitudine ridimensiona anche ciò che incute spavento.

LA VOLPE E LA MASCHERA

Una volpe si introdusse nella casa di un attore e incominciò a frugare tra i suoi abiti di scena, passandoli in rassegna a uno a uno. Così trovò anche una maschera (3) artisticamente modellata e, presala tra le zampe, esclamò: «Oh, che magnifica testa! E pensare che non ha cervello!».
La favola è per gli uomini che sono bellissimi fisicamente, ma d’intelletto corto.

_______________________________________________________

(1) La “gimnasiarchia” era una delle tante liturgie attraverso le quali i cittadini ricchi di Atene erano chiamati a contribuire alle più importanti attività pubbliche. In particolare i ginnasiarchi venivano eletti a sostenete le spese per l’allestimento di certe feste, dalle quali traevano motivo di grande onore.
(2) La battuta della volpe gioca sul duplice significato del termine “gimnasiarcos”, che significa sia “ginnasiarca” sia “soprintendente di un ginnasio”, ossia di una palestra.
(3) Sulla scena gli attori portavano sempre una maschera a tutto viso. Di chiara derivazione rituale, legata alla sfera dionisiaca, essa aveva il potere di trasformare colui che la indossava in un altro, di mutare l’identità dell’attore in quella del personaggio da lui incarnato. Ecco la ragione dell’importanza della maschera nell’abbigliamento degli attori, al di là delle sue possibili funzioni pratiche di amplificare la voce e dare rilievo alle fisionomie, per consentire al pubblico di riconoscere da lontano i personaggi.