venerdì 30 giugno 2017

85 Dodici favole con differenti personaggi (di Esopo)




IL TOPO E LA RANA

Un topo di terra per sua disgrazia era divenuto amico di una rana. Questa, animata dalle peggiori intenzioni, legò una zampa del topo a una delle sue. In un primo tempo i due se ne andarono in giro sulla terraferma per cercare del grano da mangiare; in seguito, però, quando furono vicini all’orlo dello stagno, la rana trascinò il topo verso il fondo, sguazzando nell’acqua e lanciando dei potenti “brekekekèx”. Lo sventurato topo, gonfio d’acqua, morì e galleggiava attaccato alla zampa della rana. Lo vide un nibbio e l’afferrò con gli artigli. Ma la rana, incatenata al topo, gli tenne dietro e il nibbio fece di tutti e due un sol boccone.
Anche chi è morto ha la forza di vendicarsi: la giustizia divina, infatti, che tutto sorveglia, pesa ogni azione sulla bilancia e ne rende un uguale contraccambio.

L’UOMO CHE RACCOGLIEVA LEGNA ED ERMES

Un uomo che raccoglieva legna presso un fiume perse nell’acqua la propria scure e, privo di risorse, si sedette sulla riva a piangere. Ermes (1), una volta saputo il motivo di quelle lacrime, ebbe compassione di lui. Si immerse perciò nel fiume e, riapparso con una scure d’oro, gli chiese se era quella che aveva perduto. «No, non è questa» rispose l’uomo ed Ermes, tuffatosi di nuovo, portò su una scure d’argento. «Neanche questa è la mia» disse l’uomo e il dio si immerse per la terza volta, riportando a galla la sua scure. «Questa è davvero quella che ho perduto!» esclamò l’uomo. Ma Ermes, che aveva apprezzato la sua onestà, gliele donò tutte. Quello allora si recò dai suoi compagni e raccontò minutamente l’accaduto. Uno di loro, deciso a ottenere altrettanto, andò sulla riva del fiume, gettò apposta in acqua la propria ascia e si sedette a piangere. Anche a lui apparve Ermes, il quale, appresa la ragione del suo pianto, ugualmente si tuffò e portò su un’ascia d’oro, chiedendogli se fosse quella perduta da lui. «Sì, certo, è questa!» esclamò l’uomo con gioia. Al che il dio, inorridito di fronte a una tale sfrontatezza, non solo si tenne l’ascia d’oro, ma non gli restituì neppure la sua.
La favola dimostra che la divinità è tanto ostile verso gli ingiusti quanto è benevola con i giusti.

I VIANDANTI E L’ORSO

Due amici facevano la stessa strada quando si parò davanti a loro un orso: uno di essi, battendolo sul tempo, salì su un albero e vi si tenne nascosto; l’altro, invece, che stava per cadere nelle sue grinfie, si lasciò scivolare a terra, fingendosi morto. L’orso allora gli si accostò con il muso e lo fiutò tutt’attorno, ma l’uomo tratteneva il respiro, perché dicono che gli orsi non toccano i cadaveri. Quando l’animale se ne fu andato, quello che si era nascosto sull’albero scese e domandò al suo compagno che cosa gli avesse detto l’orso all’orecchio. E l’altro: «Di non viaggiare più, in avvenire, con amici che non rimangono accanto nel momento del pericolo».
La favola dimostra che le disgrazie mettono alla prova la sincerità degli amici.

L’ASINO CHE PORTAVA DEL SALE

Mentre stava attraversando un fiume con un carico di sale, un asino scivolò e cadde nell’acqua: il sale si sciolse e l’animale si rialzò più leggero. Tutto contento per l’accaduto, quando un’altra volta giunse sulle rive di un fiume con un carico di spugne, pensò che, se fosse caduto ancora, si sarebbe risollevato di nuovo più leggero e scivolò apposta. Ma le spugne s’imbevvero d’acqua e andò a finire che, non potendo più rialzarsi, l’asino affogò.
Così anche gli uomini talvolta non si accorgono che le loro trovate li fanno precipitare in un mare di guai.

L’ASINO CHE FINGEVA DI ZOPPICARE E IL LUPO

Un asino che brucava in un prato vide un lupo dirigersi verso di lui e si mise subito a far finta di zoppicare. Quando il lupo gli si fu avvicinato e gli chiese per quale ragione camminasse in quel modo, rispose che nel saltare un siepe aveva appoggiato il piede su una spina e gli consigliò: «Tirala fuori, prima di divorarmi, per non pungerti mentre mi mangi». L’altro si lasciò convincere, ma, appena ebbe sollevato la zampa dell’asino e si pose, tutto intento, a esaminare lo zoccolo, quello gli sferrò un calcio sulla bocca che gli fece saltare i denti. «Mi sta bene» gemette il lupo, dolorante. «Perché mai, visto che mio padre mi ha insegnato l’arte del macellaio, io per conto mio ho voluto dedicarmi alla medicina?»
Così anche tra gli uomini quanti mettono mano ad attività che a loro non si convengono affatto finiscono giustamente nei guai.

IL RAGAZZO LADRO E LA MADRE

Un ragazzo rubò dalla scuola la tavoletta che il suo compagno usava per scrivere e la portò alla madre. Siccome non solo la donna non lo punì, ma anzi lo colmò di lodi, un’altra volta sottrasse un mantello e le consegnò anche questo. E la madre a raddoppiare le lodi. Con il passare del tempo il ragazzo, divenuto ormai un giovanotto, si dedicò a furti più consistenti, finché un giorno fu colto sul fatto. Mentre veniva condotto dal carnefice con le mani legate dietro la schiena, la madre lo seguiva battendosi il petto. A un certo punto il prigioniero disse che aveva qualcosa da riferirle in gran segreto, ma, non appena quella gli si fu accostata, le afferrò un orecchio e le diede un morso. «Empio!» lo rimproverò la donna. «Non contento dei crimini che hai già commesso, fai del male addirittura a tua madre!». «Ma se tu mi avessi punito subito, quando per la prima volta ti portai la tavoletta che avevo rubato» ribatté il figlio, «non sarei arrivato al punto di farmi trascinare fino al supplizio».
La favola dimostra che ciò cui non si pone un freno dall’inizio via via si ingigantisce a dismisura.

LE DUE BISACCE

Prometeo (2), dopo aver plasmato gli uomini, appese al loro collo due bisacce, colme l’una dei vizi altrui, l’altra dei propri, e fece in modo che la prima ricadesse davanti, la seconda invece dietro. Di conseguenza gli uomini vedono da lontano i difetti degli altri, mentre non sanno distinguere i propri.
Di questa favola ci si potrebbe servire a proposito di quegli impiccioni che, ciechi nelle loro faccende, si prendono cura di quelle che non li riguardano.

IL RICCO E IL CONCIAPELLI

Un ricco, che si era stabilito accanto a un conciapelli, siccome non poteva sopportare il fetore proveniente dalla sua bottega, non faceva che sollecitare il vicino a trasferirsi. Ma quello procrastinava sempre la sua partenza, assicurando che in breve se ne sarebbe andato. Dopo un po’ di tempo trascorso in queste continue schermaglie, finì che il ricco si abituò all’odore e non importunò più il conciapelli.
La favola dimostra che l’abitudine rende sopportabile anche ciò che è fastidioso.

IL PASTORE CHE SCHERZAVA

Un pastore, che portava a pascolare il suo gregge piuttosto lontano da un villaggio, continuava a ripetere questo scherzo: con quanto fiato aveva in gola chiamava in soccorso gli abitanti del paese, gridando che le sue pecore erano assalite da un branco di lupi. Dopo due o tre volte che quelli del villaggio, spaventati, erano accorsi ed erano tornati indietro beffati, accadde che alla fine arrivarono davvero dei lupi e si misero a razziare le pecore. Il pastore chiamò i paesani in aiuto, ma quelli, convinti che, come al solito, scherzasse, non si preoccuparono affatto delle sue grida. E così gli toccò di perdere il gregge.
La favola dimostra che l’unico guadagno dei bugiardi è non essere creduti neppure quando dicono la verità.

GUERRA E VIOLENZA

Tutti gli dei decisero di sposarsi e ciascuno di loro estrasse a sorte colei che doveva diventare sua moglie. Guerra, che fu l’ultimo a estrarre, trovò che era rimasta soltanto Violenza. Follemente innamorato di lei, la sposò e la segue dovunque vada.
Presso qualsiasi città o popolo giunga la violenza, guerre e conflitti subito le tengono dietro.

LA CICALA E LE FORMICHE

Si era d’inverno e le formiche facevano asciugare il grano bagnato, quando si presentò da loro una cicala affamata a chiedere qualcosa da mangiare. Le formiche le domandarono: «Perché non hai ammassato anche tu delle provviste durante l’estate?». «Non ne avevo il tempo» rispose la cicala, «perché levavo il mio canto melodioso». Allora le formiche scoppiarono a ridere ed esclamarono: «Se d’estate hai suonato, d’inverno balla!».
La favola dimostra che non bisogna mai essere indolenti, per non trovarsi poi esposti a sofferenze e pericoli.

LA TARTARUGA E LA LEPRE

La tartaruga e la lepre, che litigavano su chi di loro fosse più veloce, fissarono un giorno e un luogo per una gara. Dopo la partenza la lepre, che per la sua innata velocità non si preoccupava della corsa, si sdraiò a dormire lungo la strada. La tartaruga invece, consapevole della propria lentezza, non smise mai di correre e così, superando l’avversaria addormentata, ottenne la palma della vittoria.
La favola dimostra che spesso l’impegno vince le doti naturali trascurate.

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(1) Ermes, figlio di Zeus e di Maia, è un dio scaltro e simpatico, perennemente indaffarato in molteplici attività, spesso al di là del lecito. Numerosi i compiti che gli vengono attribuiti: messaggero e agente degli dei, protegge il commercio (onesto e disonesto) e anche il furto, assiste i viandanti, veglia sui pastori e sulle greggi, accompagna le anime dei defunti nell’Ade, è patrono dei ginnasti e degli atleti. Ermes è presente in molte favole di Esopo, dove compare sempre con le sue prerogative tradizionali, spesso come esecutore della volontà di Zeus.
(2) Figlio del titano Giapeto e di Asia o Climene, entrambe oceanine, oppure, secondo Eschilo, di Gea-Temi, Prometeo è considerato dalla tradizione mitica uno dei massimi fautori di civiltà e un benefattore degli esseri umani. Da lui questi ultimi, oltre a ricevere in dono il fuoco, avrebbero appreso la scrittura, la medicina, la divinazione, la lavorazione dei metalli, eccetera. Secondo alcuni Prometeo avrebbe addirittura creato gli uomini, modellandoli con la creta.



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