lunedì 17 ottobre 2016

19 Orlando furioso - Canto primo: ottave 1-23 (di Ludovico Ariosto)



L'INIZIO DEL POEMA

L’Orlando furioso inizia, come da consuetudine epica risalente ad Omero, con la proposizione del tema (ossia la breve descrizione dell’argomento del poema), intrecciata all’invocazione (solitamente alla Musa, qui invece alla sua donna, quell’Alessandra Benucci, che l’Ariosto poté sposare e solo in segreto quando rimase vedova) e alla dedica (al cardinale Ippolito d’Este, uomo rozzo e per niente incline a riconoscere le capacità poetiche del suo «segretario»). Quindi, dopo aver riassunto in 5 ottave l’antefatto del suo poema (le avventure narrate dal Boiardo nell’Orlando innamorato), passa subito a far agire i suoi personaggi.
Trovi di seguito il testo ariostesco, quindi una parafrasi in prosa.

1
Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,
le cortesie, l’audaci imprese io canto,
che furo al tempo che passaro i Mori
d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
seguendo l’ire e i giovenil furori
d’Agramante lor re, che si diè vanto
di vendicar la morte di Troiano
sopra re Carlo imperator romano.
2
Dirò d'Orlando in un medesmo tratto
cosa non detta in prosa mai, né in rima:
che per amor venne in furore e matto,
d’uom che sì saggio era stimato prima;
se da colei che tal quasi m’ha fatto,
che ‘l poco ingegno ad or ad or mi lima,
me ne sarà però tanto concesso,
che mi basti a finir quanto ho promesso.
3
Piacciavi, generosa Erculea prole,
ornamento e splendor del secol nostro,
Ippolito, aggradir questo che vuole
e darvi sol può l’umil servo vostro.
Quel ch’io vi debbo, posso di parole
pagare in parte e d’opera d’inchiostro;
né che poco io vi dia da imputar sono,
che quanto io posso dar, tutto vi dono.
4
Voi sentirete fra i più degni eroi,
che nominar con laude m’apparecchio,
ricordar quel Ruggier, che fu di voi
e de’ vostri avi illustri il ceppo vecchio.
L’alto valore e’ chiari gesti suoi
vi farò udir, se voi mi date orecchio,
e vostri alti pensier cedino un poco,
sì che tra lor miei versi abbiano loco.
5
Orlando, che gran tempo innamorato
fu de la bella Angelica, e per lei
in India, in Media, in Tartaria lasciato
avea infiniti ed immortal trofei,
in Ponente con essa era tornato,
dove sotto i gran monti Pirenei
con la gente di Francia e de Lamagna
re Carlo era attendato alla campagna,
6
per far al re Marsilio e al re Agramante
battersi ancor del folle ardir la guancia,
d’aver condotto, l’un, d’Africa quante
genti erano atte a portar spada e lancia;
l’altro, d’aver spinta la Spagna inante
a destruzion del bel regno di Francia.
E così Orlando arrivò quivi a punto:
ma tosto si pentì d’esservi giunto;
7
che vi fu tolta la sua donna poi:
ecco il giudicio uman come spesso erra!
Quella che dagli esperi ai liti eoi
avea difesa con sì lunga guerra,
or tolta gli è fra tanti amici suoi,
senza spada adoprar, ne la sua terra.
Il savio imperator, ch’estinguer volse
un grave incendio, fu che gli la tolse.
8
Nata pochi dì inanzi era una gara
tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo,
che entrambi avean per la bellezza rara
d’amoroso disio l’animo caldo.
Carlo, che non avea tal lite cara,
che gli rendea l’aiuto lor men saldo,
questa donzella, che la causa n’era,
tolse, e diè in mano al duca di Bavera;
9
in premio promettendola a quel d’essi,
ch’in quel conflitto, in quella gran giornata,
degl’infideli più copia uccidessi,
e di sua man prestassi opra più grata.
Contrari ai voti poi furo i successi;
ch’in fuga andò la gente battezzata,
e con molti altri fu ‘l duca prigione,
e restò abbandonato il padiglione.
10
Dove, poi che rimase la donzella
Ch’esser dovea del vincitor mercede,
inanzi al caso era salita in sella,
e quando bisognò le spalle diede,
presaga che quel giorno esser rubella
dovea Fortuna alla cristiana fede:
entrò in un bosco, e ne la stretta via
rincontrò un cavallier ch’a piè venìa.
11
Indosso la corazza, l’elmo in testa,
la spada al fianco, e in braccio avea lo scudo;
e più leggier correa per la foresta,
ch’al pallio rosso il villan mezzo ignudo.
Timida pastorella mai sì presta
non volse piede inanzi a serpe crudo,
come Angelica tosto il freno torse,
che del guerrier, ch’a piè venìa, s’accorse.
12
Era costui quel paladin gagliardo,
figliuol d’Amon, signor di Montalbano,
a cui pur dianzi il suo destrier Baiardo
per strano caso uscito era di mano.
Come alla donna egli drizzò lo sguardo,
riconobbe, quantunque di lontano,
l’angelico sembiante e quel bel volto
ch’all’amorose reti il tenea involto.
13
La donna il palafreno a dietro volta,
e per la selva a tutta briglia il caccia;
né per la rara più che per la folta,
la più sicura e miglior via procaccia:
ma pallida, tremando, e di sé tolta,
lascia cura al destrier che la via faccia.
Di sù di giù, ne l’alta selva fiera
tanto girò, che venne a una riviera.
14
Su la riviera Ferraù trovosse
di sudor pieno e tutto polveroso.
Da la battaglia dianzi lo rimosse
un gran disio di bere e di riposo;
e poi, mal grado suo, quivi fermosse,
perché, de l’acqua ingordo e frettoloso,
l’elmo nel fiume si lasciò cadere,
né l’avea potuto anco riavere.
15
Quanto potea più forte, ne veniva
gridando la donzella ispaventata.
A quella voce salta in su la riva
il Saracino, e nel viso la guata;
e la conosce subito ch’arriva,
ben che di timor pallida e turbata,
e sien più dì che non n’udì novella,
che senza dubbio ell’è Angelica bella.
16
E perché era cortese, e n’avea forse
non men de’ dui cugini il petto caldo,
l’aiuto che potea tutto le porse,
pur come avesse l’elmo, ardito e baldo:
trasse la spada, e minacciando corse
dove poco di lui temea Rinaldo.
Più volte s’eran già non pur veduti,
m’al paragon de l’arme conosciuti.
17
Cominciar quivi una crudel battaglia,
come a piè si trovar, coi brandi ignudi:
non che le piastre e la minuta maglia,
ma ai colpi lor non reggerian gl’incudi.
Or, mentre l’un con l’altro si travaglia,
bisogna al palafren che ‘l passo studi;
che quanto può menar de le calcagna,
colei lo caccia al bosco e alla campagna.
18
Poi che s’affaticar gran pezzo invano
i dui guerrier per por l’un l’altro sotto,
quando non meno era con l’arme in mano
questo di quel, né quel di questo dotto;
fu primiero il signor di Montalbano,
ch’al cavallier di Spagna fece motto,
sì come quel ch’ha nel cuor tanto fuoco,
che tutto n’arde e non ritrova loco.
19
Disse al pagan: - Me sol creduto avrai,
e pur avrai te meco ancora offeso:
se questo avvien perché i fulgenti rai
del nuovo sol t’abbino il petto acceso,
di farmi qui tardar che guadagno hai?
che quando ancor tu m’abbi morto o preso,
non però tua la bella donna fia;
che, mentre noi tardiam, se ne va via.
20
Quanto fia meglio, amandola tu ancora,
che tu le venga a traversar la strada,
a ritenerla e farle far dimora,
prima che più lontana se ne vada!
Come l’avremo in potestate, allora
di chi esser de’ si provi con la spada:
non so altrimenti, dopo un lungo affanno,
che possa riuscirci altro che danno.  –
21
Al pagan la proposta non dispiacque:
così fu differita la tenzone;
e tal tregua tra lor subito nacque,
sì l’odio e l’ira va in oblivione,
che ‘l pagano al partir da le fresche acque
non lasciò a piedi il buon figliuol d’Amone:
con preghi invita, ed al fin toglie in groppa,
e per l’orme d’Angelica galoppa.
22
Oh gran bontà de’ cavallieri antiqui!
Eran rivali, eran di fé diversi,
e si sentian degli aspri colpi iniqui
per tutta la persona anco dolersi;
e pur per selve oscure e calli obliqui
insieme van senza sospetto aversi.
Da quattro sproni il destrier punto arriva
ove una strada in due si dipartiva.
23
E come quei che non sapean se l’una
o l’altra via facesse la donzella
(però che senza differenza alcuna
apparia in amendue l’orma novella),
si messero ad arbitrio di fortuna,

Rinaldo a questa, il Saracino a quella. 

PARAFRASI:
1
Io canto le donne, i cavalieri, le armi, gli amori, gli atti cortesi, le imprese audaci che ci furono nel tempo in cui i Mori d’Africa [cioè gli Arabi] attraversarono il mare e fecero tanto danno in Francia, seguendo le ire e i furori giovanili del loro re Agramante, il quale si era vantato di vendicare la morte di Troiano [suo padre] su Carlo Magno imperatore del Sacro Romano Impero.
2
Racconterò nello stesso tempo una cosa che non è mai stata detta prima né in prosa né in rima di Orlando: il quale cadde in uno stato di furore e diventò matto, pur essendo prima considerato uomo di grande saggezza; se da colei [la mia donna] che quasi mi ha reso simile a lui, che mi consuma a poco a poco il mio scarso ingegno, mi sarà concesso quel tanto che mi basti a portare a termine quanto ho promesso.
3
Vi piaccia, generosa discendenza di Ercole [d’Este]. Ippolito [cardinale di Ferrara, presso cui Ariosto lavorava], ornamento e splendore del nostro secolo, gradire questo che vuole e soltanto sa darvi il vostro umile servo [cioè l’Ariosto stesso]. Ciò che io vi devo, lo posso pagare in parte con le mie parole e le mie opere d’inchiostro [i miei scritti]; e non accusatemi di darvi poco; poiché quanto io vi posso dare, ve lo dono tutto.
4
Voi sentirete ricordare, fra i più degni eroi, che mi appresto a nominare lodandoli, quel Ruggero, che fu il vecchio ceppo [il capostipite] di voi e dei vostri illustri antenati. Vi farò udire l’alto valore e le famose imprese sue, se mi prestate attenzione, e le vostre profonde preoccupazioni cedano un poco, cosicché i miei versi trovino spazio tra di loro.
5
Orlando, che fu innamorato della bella Angelica per molto tempo, e per lei aveva lasciato in India, in Media [la regione a sud del Mar Caspio] e in Tartaria [la regione a ovest della Cina] trofei infiniti e immortali [cioè aveva dato prova di grandi imprese], con lei era tornato in Occidente, dove presso gli alti monti Pirenei re Carlo aveva posto le sue tende in campo aperto con la gente di Francia e di Germania,
6
per far sì che il re Marsilio [un saraceno] e il re Agramante si battessero le guance [si pentissero] del loro pazzo ardimento, quello di aver condotto dall’Africa quanti guerrieri fossero in grado di portare spada e lancia [costui è Agramante], mentre l’altro [Marsilio] di aver spinto la Spagna avanti a distruzione del bel regno di Francia. Così Orlando arrivò qui al momento giusto: ma subito si pentì di esservi giunto;
7
perché qui gli fu tolta la sua donna: ecco come spesso il giudizio umano sbaglia!  Colei che dai lidi occidentali [dove appare Espero, la stella della sera] a quelli orientali [dove sorge Eos, l’aurora] egli aveva difeso con così lunga guerra, ora gli viene tolta proprio quando si trova tra i suoi amici, senza adoperar la spada, nella sua terra. E a portargliela via fu il saggio imperatore [Carlo Magno], il quale volle spegnare un grave incendio.
8
Pochi giorni prima era nata una contesa tra il conte Orlando e suo cugino Rinaldo; i quali avevano entrambi l’animo caldo di desiderio amoroso per la rara bellezza [di Angelica]. Carlo, che non aveva cara questa lite, poiché rendeva meno forte il loro aiuto a lui, prese questa fanciulla, che era la causa della lite, e la consegnò in mano al duca di Baviera;
9
promettendola in premio a quello che di loro due in quel conflitto, in quella gran giornata [cioè battaglia], avesse ucciso il maggior numero di infedeli, e avesse prestato l’azione più gradita con la propria mano [la propria forza]. Poi i successi furono contrari ai voti [non accadde ciò che si era previsto]; giacché i cristiani furono messi in fuga e il duca fu fatto prigioniero con molti altri e la sua tenda rimase abbandonata.
10
E da qui, dove era rimasta la fanciulla che doveva essere premio al vincitore, prima della conclusione della battaglia essa salì in sella e appena fu opportuno se ne scappò, quasi presagisse che quel giorno la Fortuna dovesse essere avversa ai cristiani: entrò in un bosco e nella stretta via incontrò un cavaliere che se ne veniva a piedi.
11
Aveva indosso la corazza, in testa l’elmo, al fianco la spada e in braccio lo scudo; e correva per la foresta più leggero del villano mezzo nudo al palio rosso [una festa che probabilmente si teneva a Ferrara e che prevedeva come premio un drappo rosso al vincitore di una corsa a piedi]. Mai una timida pastorella voltò il piede così velocemente dinnanzi a una serpe crudele, quanto Angelica voltò il cavallo, non appena si accorse del guerriero che avanzava a piedi.
12
Costui era quel paladino gagliardo [si tratta di Rinaldo], figlio d’Amone, signor di Montalbano, al quale per strano caso era sfuggito di mano poco prima il suo destriero Baiardo. Come volse lo sguardo alla donna, riconobbe, seppure di lontano, l’angelico sembiante e quel bel volto che lo teneva avvolto nelle reti dell’amore.
13
La donna volta indietro il palafreno [il cavallo] e a tutta briglia lo spinge nella foresta; né si cura di cercare la via più sicura e migliore, là dove la selva è più rada piuttosto che dove è più folta: ma pallida, tremando, e quasi fuori di sé, lascia che sia il destriero a decidere la via. Di su di giù, tanto girò nell’alta selva minacciosa, finché non giunse a un fiume.
14
Sulla riva del fiume stava Ferraù [un gigante saraceno nipote di re Marsilio e anche lui innamorato di Angelica], tutto sudato e polveroso. Lo aveva dinanzi allontanato dalla battaglia un gran desiderio di bere e di riposo; e poi, suo malgrado, qui si fermò, perché, ingordo d’acqua e frettoloso, l’elmo gli cadde nel fiume e ancora non era riuscito a riprenderlo.
15
La fanciulla se ne veniva spaventata, gridando quanto più poteva. E sentendo quella voce il Saracino salta sulla riva e la guarda in viso; e la riconosce non appena arriva, benché fosse pallida per la paura e turbata, e pur non avendone avuta notizia da più giorni, che senza dubbio quella è la bella Angelica.
16
E poiché era cortese, e ne era innamorato forse non meno dei due cugini [Orlando e Rinaldo], le porse tutto l’aiuto che poteva, come se avesse ancora l’elmo, pieno d’ardimento e baldanzoso: trasse la spada e corse minaccioso contro Rinaldo, che poco lo temeva. Più volte i due si erano non solo visti, ma anche conosciuti alla prova delle armi.
17
Cominciarono qui una battaglia crudele, a piedi com’erano, con le spade nude [sguainate]: ai loro colpi non le piastre [dell’armatura] né la sottile maglia [sotto l’armatura] avrebbero resistito, ma nemmeno un’incudine. Ora, mentre uno si dà da fare contro l’altro, bisogna che il cavallo affretti l’andatura, dato che per quanto la fanciulla riesce a colpire con i calcagni, lo spinge nel bosco e nella campagna.
18
Dopo che invano si ebbero ben affaticati i due guerrieri per mettere l’uno sotto l’altro, poiché non meno esperto di maneggiar le armi era questo di quello, né quello di questo; fu per primo il signor di Montalbano che fece parola al cavalier di Spagna, così come uno che ha nel cuore tanto fuoco, che ne brucia tutto e non trova pace.
19
Disse al pagano: - Credi di aver fatto danno solo a me, invece assieme a me fai danno a te stesso: se questo [duello] accade perché i raggi luminosi di un nuovo sole [cioè gli occhi di Angelica] ti hanno acceso il petto, che cosa ci guadagni a farmi attardare qui? Che se anche tu mi uccidi o mi prendi prigioniero, non per questo la bella donna sarà tua; dato che, mentre noi indugiamo, lei se ne va via.
20
Quanto sarebbe meglio, se ancora l’ami, che tu venga con me a bloccarle la strada, a trattenerla e a fermarla, prima che ella se ne vada più lontana! Quando l’avremo in nostro potere, allora si provi con la spada di chi di noi due ella deve essere: altrimenti, dopo così lungo affanno, non mi sembra che ci venga altro che un danno. –
21
La proposta non dispiacque al pagano: così il duello venne rinviato; e tra di loro nacque subito una tal tregua, così vengono dimenticati l’odio e l’ira, che il pagano partendosene dalle fresche acque non lasciò a piedi il buon figlio d’Amone: lo invita con preghiere e infine lo fa salire in groppa e sulle orme di Angelica galoppa.
22
Oh grande bontà degli antichi cavalieri! Erano rivali, erano di diversa fede, e ancora si sentivano in tutto il corpo i dolori degli aspri e violenti colpi [che si erano dati]; eppure per selve oscure e strade sconosciute se ne vanno insieme senza dubitare l’uno dell’altro. Pungolato da quattro speroni il destriero arriva a un punto in cui la strada si divideva in due.
23
E poiché non sapevano se la donzella avesse presa una via o l’altra (dato che senza alcuna diversità in entrambe v’erano delle tracce fresche), si affidarono alla volontà della sorte, Rinaldo imboccando una via, il Saracino l’altra.

APPROFONDIMENTO:
Nella colonna a fianco trovi, come approfondimento, una Breve guida alla mostra "Orlando furioso 500 anni - Cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi" in corso a Palazzo dei Diamanti di Ferrara. Si tratta di una mostra bellissima e te la consiglio.

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