lunedì 24 ottobre 2016

20 Orlando furioso - Canto secondo: ottave 33-56 (di Ludovico Ariosto)



BRADAMANTE E PINABELLO: IL CASTELLO DI ATLANTE

Bradamante, sorella di Rinaldo, eroina cristiana, cerca il suo innamorato, Ruggiero, che milita, non sapendo di essere nato da genitori cristiani, in campo saraceno. Dall’unione tra i due avrà origine la casata degli Este, ma la loro storia d’amore è continuamente contrastata da altri personaggi, tra i quali il più agguerrito è il mago Atlante di Carena. Egli sa che se Ruggiero sposerà Bradamante e si convertirà alla fede cristiana, sarà presto ucciso a tradimento dai Maganzesi, tradizionali nemici della casa di Chiaramonte, a cui appartiene la giovane. E poiché Atlante ama Ruggiero come un padre, si sforza di tenerlo lontano dalla Francia con le sue arti magiche.
In queste ottave Bradamante incontra Pinabello, un maganzese, il quale le racconta di come Ruggiero sia stato preso dal mago Atlante; sono ottave con le quali il mondo magico entra decisamente nell’Orlando furioso.

33
Quindi cercando Bradamante gìa
L’amante suo, ch’avea nome dal padre,
così sicura senza compagnia,
come avesse in sua guardia mille squadre:
e fatto ch’ebbe al re di Circassia
battere il volto dell’antiqua madre,
traversò un bosco, e dopo il bosco un monte,
 tanto che giunse ad una bella fonte.
34
La fonte discorrea per mezzo un prato,
d’arbori antiqui e di bell’ombre adorno,
ch’i viandanti col mormorio grato
a ber invita e a far seco soggiorno:
un culto monticel dal manco lato
le difende il calor del mezzo giorno.
Quivi, come i begli occhi prima torse,
d’un cavallier la giovane s’accorse;
35
D’un cavallier, ch’all'ombra d’un boschetto,
nel margin verde e bianco e rosso e giallo
sedea pensoso, tacito e soletto
sopra quel chiaro e liquido cristallo.
Lo scudo non lontan pende e l’elmetto
dal faggio, ove legato era il cavallo;
ed avea gli occhi molli e ‘l viso basso,
e si mostrava addolorato e lasso.
36
Questo disir, ch’a tutti sta nel core,
de’ fatti altrui sempre cercar novella,
fece a quel cavallier del suo dolore
la cagion domandar da la donzella.
Egli l’aperse e tutta mostrò fuore,
dal cortese parlar mosso di quella,
e dal sembiante altier, ch’al primo sguardo
gli sembrò di guerrier molto gagliardo.
37
E cominciò: - Signor, io conducea
pedoni e cavallieri, e venìa in campo
là dove Carlo Marsilio attendea,
perch’al scender del monte avesse inciampo;
e una giovane bella meco avea,
del cui fervido amor nel petto avampo:
e ritrovai presso a Rodonna armato
un che frenava un gran destriero alato.
38
Tosto che ‘l ladro, o sia mortale, o sia
una de l’infernali anime orrende,
vede la bella e cara donna mia;
come falcon che per ferir discende,
cala e poggia in uno atimo, e tra via
getta le mani, e lei smarrita prende.
Ancor non m’era accorto de l’assalto,
che de la donna io senti’ il grido in alto.
39
Così il rapace nibio furar suole
il misero pulcin presso alla chioccia,
che di sua inavvertenza poi si duole,
e invan gli grida, e invan dietro gli croccia.
Io non posso seguir un uom che vole,
chiuso tra’ monti, a piè d’un’erta roccia:
stanco ho il destrier, che muta a pena i passi
ne l’aspre vie de’ faticosi sassi.
40
Ma, come quel che men curato avrei
vedermi trar di mezzo il petto il core,
lasciai lor via seguir quegli altri miei,
senza mia guida e senza alcun rettore:
per li scoscesi poggi e manco rei
presi la via che mi mostrava Amore,
e dove mi parea che quel rapace
portassi il mio conforto e la mia pace.
41
Sei giorni me n’andai matina e sera
per balze e per pendici orride e strane,
dove non via, dove sentier non era,
dove né segno di vestigie umane;
poi giunsi in una valle inculta e fiera,
di ripe cinta e spaventose tane,
che nel mezzo s’un sasso avea un castello
forte e ben posto, a maraviglia bello.
42
Da lungi par che come fiamma lustri,
né sia di terra cotta, né di marmi.
Come più m’avicino ai muri illustri,
l’opra più bella e più mirabil parmi.
E seppi poi, come i demoni industri,
da suffumigi tratti e sacri carmi,
tutto d’acciaio avean cinto il bel loco,
temprato all’onda ed allo stigio foco.
43
Di sì forbito acciar luce ogni torre,
che non vi può né ruggine né macchia.
Tutto il paese giorno e notte scorre,
e poi là dentro il rio ladron s’immacchia.
Cosa non ha ripar che voglia torre:
sol dietro invan se li bestemia e gracchia.
Quivi la donna, anzi il mio cor mi tiene,
che di mai ricovrar lascio ogni spene.
44
Ah lasso! che poss’io più che mirare
la rocca lungi, ove il mio ben m’è chiuso?
come la volpe, che ‘l figlio gridare
nel nido oda de l’aquila di giuso,
s’aggira intorno, e non sa che si fare,
poi che l’ali non ha da gir là suso.
Erto è quel sasso sì, tale è il castello,
che non vi può salir chi non è augello.
45
Mentre io tardava quivi, ecco venire
duo cavallier ch’avean per guida un nano,
che la speranza aggiunsero al desire;
ma ben fu la speranza e il desir vano.
Ambi erano guerrier di sommo ardire:
era Gradasso l’un, re sericano;
era l’altro Ruggier, giovene forte,
pregiato assai ne l’africana corte.
46
«Vengon (mi disse il nano) per far pruova
di lor virtù col sir di quel castello,
che per via strana, inusitata e nuova
cavalca armato il quadrupede augello».
«Deh, signor (diss’io lor), pietà vi muova
del duro caso mio spietato e fello!
Quando, come ho speranza, voi vinciate,
vi prego la mia donna mi rendiate.
47
E come mi fu tolta lor narrai,
con lacrime affermando il dolor mio.
Quei, lor mercé, mi proferiro assai,
e giù calaro il poggio alpestre e rio.
Di lontan la battaglia io riguardai,
pregando per la lor vittoria Dio.
Era sotto il castel tanto di piano,
quanto in due volte si può trar con mano.
48
Poi che fur giunti a piè de l’alta rocca,
l’uno e l’altro volea combatter prima;
pur a Gradasso, o fosse sorte, tocca,
o pur che non ne fe’ Ruggier più stima.
Quel Serican si pone il corno a bocca:
rimbomba il sasso e la fortezza in cima.
Ecco apparire il cavalliero armato
fuor de la porta, e sul cavallo alato.
49
Cominciò a poco a poco indi a levarse,
come suol far la peregrina grue,
che corre prima, e poi vediamo alzarse
alla terra vicina un braccio o due;
e quando tutte sono all’aria sparse,
velocissime mostra l’ale sue.
Sì ad alto il negromante batte l’ale,
ch’a tanta altezza a pena aquila sale.
50
Quando gli parve poi, volse il destriero,
che chiuse i vanni e venne a terra a piombo,
come casca dal ciel falcon maniero
che levar veggia l’anitra o il colombo.
Con la lancia arrestata il cavalliero
L’aria fendendo vien d’orribil rombo.
Gradasso a pena del calar s’avede,
che se lo sente addosso e che lo fiede.
51
Sopra Gradasso il mago l’asta roppe;
ferì Gradasso il vento e l’aria vana:
per questo il volator non interroppe
il batter l’ale, e quindi s’allontana.
Il grave scontro fa chinar le groppe
sul verde prato alla gagliarda alfana.
Gradasso avea una alfana, la più bella
e la miglior che mai portasse sella.
52
Sin alle stelle il volator trascorse;
indi girossi e tornò in fretta al basso,
e percosse Ruggier che non s’accorse,
Ruggier che tutto intento era a Gradasso.
Ruggier del grave colpo si distorse,
e ‘l suo destrier più rinculò d’un passo;
e quando si voltò per lui ferire,
da sé lontano il vide al ciel salire.
53
Or su Gradasso, or su Ruggier percote
ne la fronte, nel petto e ne la schiena,
e le botte di quei lascia ognor vote,
perché è sì presto, che si vede a pena.
Girando va con spaziose rote,
e quando all’uno accenna, all’altro mena:
all’uno e all’altro sì gli occhi abbarbaglia,
che non ponno veder donde gli assaglia.
54
Fra duo guerrieri in terra ed uno in cielo
la battaglia durò sino a quella ora,
che spiegando pel mondo oscuro velo,
tutte le belle cose discolora.
Fu quel ch’io dico, e non v’aggiungo un pelo:
io ‘l vidi, i’ ’l so: né m’assicuro ancora
di dirlo altrui; che questa maraviglia
al falso più ch’al ver si rassimiglia.
55
D’un bel drappo di seta avea coperto
lo scudo in braccio il cavallier celeste.
Come avesse, non so, tanto sofferto
di tenerlo nascosto in quella veste;
ch’immantinente che lo mostra aperto,
forza è, ch’il mira, abbarbagliato reste,
e cada come corpo morto cade,
e venga al negromante in potestade.
56
Splende lo scudo a guisa di piropo,
e luce altra non è tanto lucente.
Cadere in terra allo splendor fu d’uopo
con gli occhi abbacinati, e senza mente.
Perdei da lungi anch’io li sensi, e dopo
gran spazio mi riebbi finalmente;
né più i guerrier né più vidi quel nano,
ma vòto il campo, e scuro il monte e il piano».

PARAFRASI:

33
Quindi Bradamante se ne andava cercando il suo amante, che portava lo stesso nome del padre, così sicura senza alcuna compagnia, come se avesse a farle da guardia mille squadre di soldati: e dopo aver fatto battere la faccia sull’antica madre (cioè la terra, madre di tutti gli uomini) al re di Circassia (cioè Sacripante; l’episodio del duello tra Bradamante e Sacripante è raccontato nel canto 1), attraversò un bosco, e dopo il bosco un monte, finché giunse ad una bella fonte.
34
La fonte scorreva in mezzo a un prato, ornato di antichi alberi e di belle ombre, che invita i viandanti con il suo gradevole mormorio a bere e a fermarsi presso a lei: dal lato sinistro un monticello coltivato tiene lontano da essa il calore del mezzogiorno. Qui, non appena volse i begli occhi, la giovane s’accorse d’un cavaliere;
35
d’un cavaliere, che all’ombra d’un boschetto, nel margine verde (dell’erba) e bianco e rosso e giallo (dei fiori) sedeva pensoso, tacito e tutto solo sopra quel cristallo chiaro e liquido (cioè, l’acqua limpida come cristallo). Pende lo scudo non lontano e l’elmetto dal faggio, dove era legato il cavallo; e aveva gli occhi bagnati di pianto e il viso basso e si mostrava addolorato e infelice.
36
Quel desiderio, che sta nel cuore di tutti, di cercare notizia dei fatti altrui (cioè di sapere i fatti degli altri), spinse la fanciulla a domandare a quel cavalier il motivo del suo dolore. Egli lo rivelò e lo buttò fuori tutto, mosso dal cortese parlar di quella, e dall’atteggiamento altero, che al primo sguardo gli sembrò di guerrier molto coraggioso [il cavaliere non sa che ha di fronte una donna, poiché Bradamante non si è tolta l’elmo].
37
E cominciò: «Signore, io conducevo fanti e cavalieri ed ero giunto al campo là dove Carlo attendeva Marsilio, perché scendesse dal monte per trovarvi ostacolo [l’ostacolo è il suo esercito]; e avevo con me una bella giovane, per amore della quale avvampo nel petto: quand’ecco che presso la città di Rodumna trovai un armato che teneva a freno un gran cavallo alato.
38
Non appena quel ladro, sia egli un mortale, o sia una delle orrende anime infernali, vide la mia bella e cara donna; come falcone che scende in volo per ferire (la preda), scende e si alza in aria in un attimo e senza arrestarsi stende le mani e prende lei tutta smarrita. Ancora non mi ero accorto dell’assalto, che sentii il grido della donna in alto.
39
Così il rapace nibbio suole rubare il misero pulcino presso alla chioccia, la quale poi si addolora per la sua disattenzione, e invano gli grida dietro, invano gli croccia [“crocciare” sarebbe il chiocciare della gallina; questo verbo si trova solo in questo passo dell’Ariosto]. Io non posse seguire un uomo che vola, chiuso tra i monti, ai piedi di una ripida roccia: stanco ho il cavallo, che a stento mette un passo davanti all’altro nei duri sentieri dei sassi faticosi [cioè le rocce, che rendono faticoso l’andare].
40
Ma, come uno che si sarebbe curato di meno se avessi visto strapparmi il cuore dal petto, lasciai che i miei compagni seguissero la loro strada, senza la mia guida e senza alcun comandante: per i pendii scoscesi e per quelli meno duri presi la via che mi mostrava Amore, e dove mi sembrava che quel rapace portasse il mio conforto e la mia pace.
41
Per sei giorni me ne andai mattina e sera per dirupi e per pendii orribili e impervi, dove non c’era strada, dove non c’era sentiero, dove non c’era neppure una traccia di orma umana; poi giunsi in una valle incolta e selvaggia, circondata di dirupi e spaventose caverne, che aveva nel mezzo, sopra un monte, un castello forte e ben collocato, bello da restarne meravigliati.
42
Da lontano pare che risplenda come fiamma, e pare che non sia fatto né di terracotta, né di marmo.
Come più mi avvicino ai muri rilucenti, l’edificio mi sembra più bello e più meraviglioso. Seppi più tardi che demoni industriosi, evocati da fumigazioni d’incenso e da formule magiche, avevano cinto tutto il bel luogo con l’acciaio, temprato nell’onda di fuoco dello Stige [il fiume dell’Inferno].
43
Ogni torre riluce di questo terso acciaio, che non lo può danneggiare né ruggine né macchia. Tutto il paese passa il giorno e la notte e là dentro il ladrone malvagio si nasconde nella macchia. Non c’è cosa che egli voglia prendere che possa trovar riparo da lui: soltanto può bestemmiargli dietro invano e strepitare. Qui tiene la mia donna, anzi il mio cuore, che mai lascio la speranza di ritrovare.
44
Ah infelice! Che posso fare se non riguardare da lontano la rocca, dove il mio bene è rinchiuso? come la volpe che in basso ode il figlio gridare nel nido dell’aquila, si aggira intorno e non sa cosa fare, poiché non ha le ali per salire fin lassù. Quel monte è troppo ripido, e tale è il castello, che non vi può arrivare se non un uccello.
45
Mentre io mi attardavo qui, ecco venire due cavalieri che avevano come guida un nano, e che aggiunsero al mio desiderio la speranza [di riprendere l’amata]; ma sia la speranza sia il desiderio furono vani. Entrambi erano guerrieri di sommo coraggio: uno era Gradasso, re di Sericana [in Asia]; l’altro era Ruggiero, giovane forte, molto rinomato nella reggia africana.
46
«Vengono (mi disse il nano) per provare il loro valore col signore di quel castello, che per strana via [l’aria], mai usata e nuova cavalca armato l’uccello quadrupede». «Oh signori (dissi io a loro) la pietà per il mio caso spietato e crudele vi smuova! Allorché, come spero, voi vinciate, vi prego di ridarmi la mia donna».
47
E narrai a loro come mi era stata tolta, dimostrando il mio dolore con le lacrime. Essi, per loro grazia, mi fecero molte promesse, e si misero a scalare il pendio alpestre e difficile. Io guardai la battaglia da lontano, pregando Dio per la loro vittoria. Sotto il castello c’era tanto spazio piano quanto si può ricoprire tirando un sasso per due volte.
48
Dopo essere giunti ai piedi dell’alta rocca, l’uno e l’altro volevano combattere per primo; tuttavia tocca a Gradasso, o perché così volle la sorte, o perché Ruggiero non si preoccupa più di chi comincia per primo. Quel sericano si mette il corno in bocca: il monte ne rimbomba e anche la fortezza in cima. Ecco apparire il cavaliere armato fuori della porta, e sul cavallo alato.
49
A poco a poco cominciò quindi a levarsi, come è solita fare la gru migratrice, che prima corre e poi vediamo alzarsi un braccio o due sopra la terra; e quando sono interamente distese nell’aria, mostra le sue ali velocissime. Così il negromante [il mago] batte le ali in alto, ad un’altezza tale che a stento vi sale un’aquila.
50
Poi quando gli parve il momento, voltò il destriero, che chiuse le ali e venne a terra a piombo, come piomba dal cielo un falcone ammaestrato, che veda alzarsi un’anitra o un colombo. Con la lancia in resta [cioè appoggiata alla resta, un pezzo di ferro sotto il braccio destro, in cui si metteva la lancia per andare all’attacco] il cavaliere fendendo l’aria arriva con un rombo orribile. Gradasso si avvede appena del suo calare, che se lo sente addosso e che lo ferisce.
51
Il mago ruppe l’asta sopra Gradasso; e Gradasso ferì il vento e l’aria vana [cioè nemmeno sfiorò il mago]: per questo l’animale volante non interruppe il suo battere le ali e di qui si allontana. Il grave scontro fa chinare la groppa sul verde prato alla robusta alfana [cavalla di razza araba]. Gradasso aveva un’alfana, la più bella e la migliore che mai abbia portato una sella.
52
Fino alle stelle il volatore giunse; quindi si girò e tornò in basso in fretta, e colpì Ruggiero che non se ne accorse, Ruggiero che era tutto occupato con Gradasso. Ruggiero per il grave colpo si contorse, e il suo destriero rinculò più di un passo: e quando si voltò per ferire [il volatore], lo vide salire al cielo già lontano da sé.
53
Ora su Gradasso, ora su Ruggiero percuote nella fronte, nel petto e nella schiena, e i colpi di loro due li rende sempre vani, perché è così veloce, che si vede a malapena. Va girando con giri tanto larghi e quando finge di colpire uno, ferisce invece l’altro: e stordisce così gli occhi all’uno e all’altro, che non riescono a vedere da dove li assale.
54
Fra i due guerrieri in terra e l’altro in cielo la battaglia durò fino a quell’ora, che, stendendo nel mondo un velo oscuro, fa perdere il colore a tutte le belle cose [cioè fino a sera]. Accadde quello che vi dico e non vi aggiungo un pelo: io lo vidi, io lo so; e non mi fido ancora di dirlo ad altri; che questa meraviglia assomiglia più al falso che al vero.
55
Il cavaliere celeste [cioè che stava in cielo] aveva coperto lo scudo che teneva al braccio con un bel drappo di seta. Non so come fosse riuscito a tenerlo nascosto sotto le sue vesti; e subito quando lo mostra aperto, è forza che chi lo guarda ne resti frastornato, e cada come cade un corpo morto, e venga in potere del negromante.
56
Lo scudo splende come un piropo [una pietra preziosa di colore rosso acceso] e nessun’altra luce è tanto splendente. Fu necessità di fronte a quello splendore cadere in terra con gli occhi abbagliati e senza facoltà mentali [cioè svenuti]. Anch’io da lontano persi i sensi e mi riebbi finalmente solo dopo tanto tempo; non vidi più i guerrieri, non vidi più quel nano, ma vuoto il campo e scuro il monte e il piano.

Pinabello fa cadere Bradamante in una buca profonda, affresco di Palazzo Valenti a Talamona (Sondrio). L’episodio è raccontato nelle ultime ottave del canto II.




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