venerdì 24 marzo 2017

60 Una visita misteriosa (di Mark Twain)




Mark Twain, appena entrato nella sua nuova casa, riceve la visita di un esattore fiscale, scambiandolo però per un qualunque commerciante; si vanta con lui delle sue enormi rendite e solo quando l’uomo se ne va, capisce che la sua sincerità gli costerà un mucchio di soldi da pagare in tasse. Come venirne fuori? Esattamente come fanno, ancora oggi, “migliaia e migliaia dei più ricchi e più dignitosi, dei più rispettati, onorati e corteggiati uomini” del Paese (Italia compresa)!
Questo racconto (titolo originale "A Mysterious Visit") venne pubblicato nel 1870 nel giornale "Buffalo Express" e poi raccolto nel 1875 nel volume di brevi storie intitolato “Sketches New and Old”.

La prima persona che si accorse di me, quando, or non è molto, misi su casa, fu un signore che disse di essere assessore e di avere a che fare col Bilancio Interno degli Stati Uniti. Gli dissi che non avevo mai sentito parlare di quel ramo di commercio, ma che ero lieto lo stesso di vederlo… voleva accomodarsi? Egli si accomodò. Io non sapevo che dire di speciale, ma sentivo che un uomo giunto alla dignità di padron di casa deve saper fare conversazione, mostrarsi alla mano e socievole… in compagnia. E così, in mancanza d’altro da dire, gli domandai se intendeva aprire bottega in quei paraggi.
Mi disse di sì. (Io non volevo fare la figura dell’ignorante, ma avevo proprio sperato che dicesse cosa aveva da vendere.)
Mi avventurai a chiedergli: «Come vanno gli affari?». E lui rispose: «Così così».
Allora promisi che avremmo fatto una capatina da lui e che se la sua ditta ci fosse piaciuta ci saremmo serviti da lui. Egli rispose che credeva che il suo esercizio ci sarebbe piaciuto quanto bastava per farci limitare a quello; e aggiunse che non gli era mai capitato di vedere nessuno che, uscito di lì, fosse andato a scovare un altro esercente della sua categoria, una volta avute trattative d’affari con lui.
Quest’affermazione suonava alquanto presuntuosa, ma, a parte la naturale espressione di delinquenza che tutti noi abbiamo, quell’uomo aveva l’aria piuttosto per bene.
Non so di preciso come avvenne, ma a poco a poco parve che ci fondessimo e prendessimo a scorrere insieme, nella conversazione, e allora tutto andò liscio come l’olio. Parlammo, parlammo e parlammo… per lo meno io parlai; e ridemmo, ridemmo e ridemmo… per lo meno lui rise. Ma nel frattempo io conservavo la mia presenza di spirito; avevo la mia innata scaltrezza aperta a tutto vapore, come dicono i macchinisti. Ero fermamente deciso a scoprire tutto dei suoi affari, a dispetto delle sue risposte oscure; ed ero deciso a cavarglielo di bocca senza che egli neppure sospettasse a che cosa miravo. Avevo l’intenzione di intrappolarlo con un’astuzia sottilissima. Gli avrei raccontato tutto degli affari miei e, naturalmente, durante il mio seducente accesso di confidenza, egli si sarebbe tanto acceso di simpatia per me, che si sarebbe distratto e mi avrebbe raccontato tutti gli affari suoi prima di sospettare il gioco. Dissi fra me: «Figlio mio, tu non sai con che vecchia volpe hai a che fare.» Poi cominciai:
«Dunque, lei non indovinerebbe mai quanto ho fatto con le conferenze (1) quest’inverno e la primavera scorsa…»
«No… credo che non ci riuscirei a nessun costo. Vediamo, vediamo. Intorno ai duemila dollari, forse? Ma no; nossignore, non credo che possa aver fatto tanto. Diciamo millesettecento, forse?»
«Ah, ah! Lo sapevo che non avrebbe indovinato. Gli introiti delle mie conferenze, la primavera scorsa e quest’inverno, sono stati quattordicimilasettecentocinquanta dollari. Eh, che gliene pare?»
«Perbacco, è sbalorditivo… assolutamente sbalorditivo. Ne voglio prender nota. E lei dice che questo non è stato tutto?»
«Tutto? Santo cielo, c’è stato lo stipendio de L’urlo di Guerra Quotidiano (2) per quattro mesi; circa… be’ cosa ne direbbe lei di ottomila dollari circa, per esempio?»
«Cosa ne direi? Be’, direi che mi piacerebbe nuotare in un tale oceano d’abbondanza. Ottomila! Ne voglio prendere nota. Perdinci bacco! E oltre a tutto questo, dovrei credere che lei ha anche altri redditi?»
«Ah, ah, ah! ma come, lei è ancora nei sobborghi, per così dire. C’è il mio libro Gli innocenti all’estero… (3), prezzo variante dai tre dollari e cinquanta ai cinque dollari, a seconda della rilegatura. Stia a sentire. Mi guardi negli occhi. Negli ultimi quattro mesi e mezzo, per non dir nulla delle vendite precedenti, ma semplicemente negli ultimi quattro mesi e mezzo, abbiamo venduto novantacinquemila copie del libro. Novantacinquemila! Pensi un po’. Diciamo una media di quattro dollari a copia. Fa circa quattrocentomila dollari, figlio mio. A me ne viene la metà.»
«Per le disgrazie di Mosè (4). Me lo voglio scrivere. Quattordicimilasettecentocinquanta… otto… duecento. Totale, diciamo… be’, parola mia, il grandioso totale è di circa duecentotredici o quattordicimila dollari! È mai possibile?»
«Possibile? Se c’è uno sbaglio, è nell’altro senso. Duecentoquattordicimila in contanti è il mio reddito di quest’anno, se so far di conto.»
Allora quel signore si alzò per andarsene. Mi venne fatto di pensare, con un gran senso di disagio, che forse avevo fatto le mie rivelazioni per niente, oltre ad essere stato portato ad esagerarle considerevolmente dalle esclamazioni di stupore dello sconosciuto. Ma no; all’ultimo momento il signore mi porse una gran busta, dicendo che conteneva la sua pubblicità e che lì avrei trovato tutte le informazioni circa i suoi affari; e che sarebbe stato felice della mia clientela, anzi sarebbe stato fiero della clientela di un uomo dal reddito prodigioso come il mio; che spesso aveva pensato che in città ci fossero parecchi uomini facoltosi, ma che, quando venivano a trattative di affari con lui, scopriva sempre che avevano a stento di che vivere; e che, a dire il vero, era passata una tale eternità dall’ultima volta che aveva visto in faccia un uomo ricco e gli aveva parlato e l’aveva toccato con le sue mani, che a fatica si poteva tenere dall’abbracciarmi… anzi avrebbe giudicato un gran favore se gli avessi permesso di abbracciarmi.
Questo mi fece tanto piacere, che non cercai di resistere, e permisi a quello sconosciuto dal cuore semplice di buttarmi le braccia al collo e di piangere alcune lacrime di consolazione giù per la mia collottola. Poi se ne andò per la sua strada.
Non appena se ne fu andato, apersi il suo foglio di pubblicità. Lo studiai attentamente per quattro minuti. Poi chiamai la cuoca e le dissi:
«Reggimi mentre svengo! Lascia girare le cialde a Maria.»
Ah, miscredente che non era altro! La sua «pubblicità» non era che un perfido formulario per le tasse… una filza di domande impertinenti sui miei affari privati, che riempivano la maggior parte di quattro fogli protocollo in caratteri minuti… domande, mi sia permesso osservare, almanaccate con sì mirabile abilità, che l’uomo più anziano del mondo non sarebbe riuscito a capire a cosa mirassero, per la maggior parte… domande, poi, calcolate in modo da far dichiarare a una persona il suo autentico reddito non meno di quattro volte, per impedirgli di giurare il falso. Cercai una scappatoia, ma non pareva che ce ne fosse alcuna. La domanda n. 1 copriva il mio caso con tutta la generosità e tutta l’ampiezza con cui un ombrello coprirebbe un formicaio.
«Quali sono stati i vostri redditi durante il decorso anno, da qualsivoglia negozio, transazione di affari o altra occupazione, comunque svolti?»
E tale inchiesta era spalleggiata da altre tredici di natura altrettanto indiscreta, la più moderata delle quali esigeva informazioni circa eventuali furti con scasso o rapine a mano armata o incendi dolosi, o altre segrete fonti di provento da cui io avessi ricavato profitto non contemplato nella mia dichiarazione di reddito posta a fronte della domanda n. 1.
Era chiaro che lo sconosciuto mi aveva messo in grado di fare la figura dell’allocco, era chiaro, chiarissimo. Facendo leva sulla mia vanità, lo sconosciuto mi aveva portato a dichiarare un reddito di duecentoquattordicimila dollari. Per legge, mille dollari erano esenti da tassa sul reddito; era l’unico alleggerimento che riuscivo a vedere, e non che una goccia nell’oceano. In ragione del cinque per cento di legge, dovevo pagare al governo diecimilaseicentocinquanta dollari di tasse sul reddito!
Posso anche far osservare, a questo punto, che non li ho pagati.
Ho fra i miei conoscenti un uomo molto facoltoso, la cui abitazione è un palazzo, la cui mensa è regale, le cui spesi sono enormi; eppure è un uomo che non ha reddito, come ho spesso osservato dalle sue dichiarazioni fiscali; e a lui mi rivolsi per consiglio nella mia tribolazione. Egli prese il mio spaventoso incartamento, si mise gli occhiali, prese la penna e, tac!, io fui un nullatenente. E lo fece semplicemente manipolando con destrezza la lista delle «spese». Segnò tanto «per tasse governative e comunali»; tanto di «perdita per naufragio, incendio, eccetera»; tanto di «perdita su vendita di beni immobili», su «vendita di bestiame», su «canoni di affitto di cascinali», su «riparazioni, migliorie e interessi», su «onorario già tassato in precedenza come ufficiale dell’esercito degli Stati Uniti, della marina, della dogana», e altre cose. Riuscì a cavare riduzioni sbalorditive da tutte queste voci… da tutte quante. E quando ebbe finito, mi porse il foglio, e io vidi al primo sguardo che durante l’anno il mio reddito attivo era stato di milleduecentocinquanta dollari e quaranta centesimi.
«Ora,» aggiunse, «i mille dollari sono esenti per legge. Tutto quel che lei deve fare è andare ad affermare con giuramento la veridicità di questa dichiarazione e pagare la tassa sui duecentocinquanta dollari.»
Mentre mi faceva questo discorso, il suo figlioletto Guglielmino gli prelevò dalla tasca del gilè un biglietto di due dollari e poi si dileguò; e io scommetterei qualunque cosa che se domani il mio forestiero andasse a trovare quel ragazzino, ne ricaverebbe una falsa dichiarazione di reddito.
«E lei,» dissi, «lei, signore, calcola sempre le “spese” a questa maniera, per quanto la riguarda?»
«Sfido io! Se non fosse per queste undici clausole salvatrici, sotto la voce “spese”, ogni anno mi ridurrei alla mendicità per sostenere questo odioso e perfido governo, sfruttatore e tiranno.»
Questo signore spicca fra gli uomini più rispettabili della città, come uno dei migliori: uomini di consistenza morale, di integrità commerciale, di insospettabile illibatezza sociale… e quindi m’inchinai al suo esempio. Andai giù all’ufficio delle imposte e, sotto lo sguardo di accusa del mio antico visitatore, mi alzai e affermai con giuramento una bugia dopo l’altra, una frode dopo l’altra, una mascalzonata dopo l’altra, finché la mia anima non fu ricoperta di strati su strati di spergiuro e il rispetto di me stesso non fu in me scomparso per sempre.
Ma che importa? Non è altro che quello che fanno tutti gli anni migliaia e migliaia dei più ricchi e più dignitosi, dei più rispettati, onorati e corteggiati uomini d’America. E perciò non me ne importa niente. Non mi vergogno. Mi limiterò semplicemente, per ora, a parlar poco e ad evitare di forzar la mano, per non correre il rischio di prendere irrevocabilmente certe pessime abitudini.

(1) Mark Twain fu effettivamente anche un noto conferenziere e ben pagato.
(2) titolo di giornale inventato, ma terribilmente spassoso.
(3) titolo di una vera opera di Mark Twain, sulle impressioni di un gruppo di americani durante un viaggio in Europa.
(4) in originale “The suffering Moses”, espressione di stupore di natura biblica.



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