venerdì 14 aprile 2017

67 Masetto da Lamporecchio (di Giovanni Boccaccio)



Questa è la prima novella della terza giornata, quella retta da Neifile, la quale ha scelto come argomento per i racconti di questo giorno l’ingegnosità con cui raggiungere una cosa molto desiderata o recuperarne una perduta.
La storia di Masetto che, fingendosi muto, si introduce in un monastero femminile, con lo scopo di giacere con tutte le giovani suore che là vi stanno, appartiene a quel gruppo di novelle decisamente erotiche che costellano l’opera del Boccaccio; si tratta però di un erotismo visto con estrema naturalezza, qualcosa di assolutamente insopprimibile nella vita umana, e quindi di non condannabile.

Masetto da Lamporecchio si fa mutolo e diviene ortolano di uno monistero di donne, le quali tutte concorrono a giacersi con lui.

Bellissime donne, assai sono di quegli uomini e di quelle femine che sì sono stolti, che credono troppo bene che, come ad una giovane è sopra il capo posta la benda bianca e in dosso messale la nera cocolla, che ella più non sia femina né più senta de’ feminili appetiti se non come se di pietra l’avesse fatta divenire il farla monaca; e se forse alcuna cosa contra questa lor credenza n’odono, così si turbano come se contra natura un grandissimo e scelerato male fosse stato commesso, non pensando né volendo aver rispetto a sé medesimi, li quali la piena licenzia di poter far quel che vogliono non può saziare, né ancora alle gran forze dell’ozio e della sollecitudine. E similmente sono ancora di quegli assai che credono troppo bene che la zappa e la vanga e le grosse vivande e i disagi tolgano del tutto a’ lavoratori della terra i concupiscibili appetiti e rendan loro d’intelletto e d’avedimento grossissimi. Ma quanto tutti coloro che così credono sieno ingannati, mi piace, poi che la reina comandato me l’ha, non uscendo della proposta fattaci da lei, di farvene più chiare con una piccola novelletta.
In queste nostre contrade fu, ed è ancora, un munistero di donne assai famoso di santità (il quale io non nomerò per non diminuire in parte alcuna la fama sua), nel quale, non ha gran tempo, non essendovi allora più che otto donne con una badessa, e tutte giovani, era un buono omicciuolo d’un loro bellissimo giardino ortolano: il quale, non contentandosi del salario, fatta la ragion sua col castaldo delle donne, a Lamporecchio, là onde egli era, se ne tornò. Quivi, tra gli altri che lietamente il raccolsono, fu un giovane lavoratore forte e robusto e secondo uomo di villa con bella persona, il cui nome era Masetto; e domandollo dove tanto tempo stato fosse. Il buono uomo, che Nuto avea nome, gliele disse: il qual Masetto domandò, di che egli il monistero servisse.
A cui Nuto rispose: «Io lavorava un lor giardino bello e grande e oltre a questo andava alcuna volta al bosco per le legne, attigneva acqua e faceva cotali altri servigetti; ma le donne mi davano sì poco salaro, che io non ne poteva appena pur pagare i calzari. E oltre a questo, elle son tutte giovani e parmi ch’elle abbiano il diavolo in corpo, ché non si può far cosa niuna al lor modo. Anzi, quand’io lavorava alcuna volta l’orto, l’una diceva: ‘Pon qui questo’, e l’altra: ‘Pon qui quello’, e l’altra mi toglieva la zappa di mano e dicea: ‘Questo non sta bene’, e davanmi tanta seccaggine, che io lasciava stare il lavorio e uscivami dell’orto: sì che, tra per l’una cosa e per l’altra, io non vi volli star più e sommene venuto. Anzi mi pregò il castaldo loro, quando io me ne venni, che, se io n’avessi alcuno alle mani che fosse da ciò, che io gliele mandassi, e io gliele promisi; ma tanto il faccia Dio san delle reni, quanto io o ne procaccerò o ne gli manderò niuno».
A Masetto, udendo egli le parole di Nuto, venne nell’animo un disidero sì grande d’esser con queste monache, che tutto se ne struggeva, comprendendo per le parole di Nuto che a lui dovrebbe poter venir fatto di quello che egli disiderava; e avvisandosi che fatto non gli verrebbe se a Nuto ne dicesse niente, gli disse: «Deh, come ben facesti a venirtene! Che è uno umo a star con femine? Egli sarebbe meglio a star con diavoli: elle non sanno delle sette volte le sei quello che elle si vogliono elleno stesse».
Ma poi, partito il lor ragionare, cominciò Masetto a pensare che via dovesse tenere a dovere potere esser con loro; e conoscendo che egli sapeva ben fare quegli servigi che Nuto diceva, non dubitò di perder per quello, ma temette di non dovervi esser ricevuto per ciò che troppo era giovane e appariscente. Per che, molte cose divisate seco, imaginò: «Il luogo è assai lontano di qui e niuno mi vi conosce; se io so far vista d’esser mutolo, per certo io vi sarò ricevuto».
E in questa imaginazion fermatosi, con una sua scure in collo, senza dire ad alcuno dove s’andasse, in guisa d’un povero uomo se n’andò al monistero: dove pervenuto entrò dentro e trovò per ventura il castaldo nella corte, al quale, faccendo suoi atti come i mutoli fanno, mostrò di domandargli mangiare per l’amor di Dio e che egli, se bisognasse, gli spezzerebbe delle legne. Il castaldo gli diè da mangiar volentieri, e appresso questo gli mise innanzi certi ceppi che Nuto non aveva potuti spezzare, li quali costui, che fortissimo era, in poca d’ora ebbe tutti spezzati. Il castaldo, che bisogno avea d’andare al bosco, il menò seco, e quivi gli fece tagliar delle legne; poscia, messogli l’asino innanzi, con suoi cenni gli fece intendere che a casa ne le recasse. Costui il fece molto bene, per che il castaldo a far fare certe bisogne che gli eran luogo più giorni vel tenne: de quali avvenne che uno la badessa il vide e domandò il castaldo chi egli fosse.
Il quale le disse: «Madonna, questi è un povero uomo mutolo e sordo, il quale un di questi dì ci venne per limosina, sì che io gli ho fatto bene, e hogli fatte fare assai cose che bisogno c’erano. Se egli sapesse lavorar l’orto e volesseci rimanere, io mi credo che noi n’avremmo buon servigio, per ciò che egli ci bisogna, e egli è forte e potrebbene l’uomo fare ciò che volesse: e oltre a questo non vi bisognerebbe d’aver pensiero che egli motteggiasse queste vostre giovani».
A cui la badessa disse: «In fè di Dio tu di’ il vero! sappi se egli sa lavorare e ingegnati di ritenercelo; dagli qualche paio di scarpette, qualche cappuccio vecchio, e lusingalo, fagli vezzi, dagli ben da mangiare».
Il castaldo disse di farlo. Masetto non era guari lontano, ma faccendo vista di spazzar la corte tutte queste parole udiva e seco lieto diceva: «Se voi mi mettete costà entro, io vi lavorerò sì l’orto, che mai non vi fu così lavorato».
Ora, avendo il castaldo veduto che egli ottimamente sapeva lavorare e con cenni domandatolo se egli voleva star quivi e costui con cenni rispostogli che far voleva ciò che egli volesse, avendolo ricevuto, gl’impose che egli l’orto lavorasse e mostrogli quello che a fare avesse; poi andò per altre bisogne del monistero e lui lasciò. Il quale lavorando l’un dì appresso l’altro, le monache incominciarono a dargli noia e a metterlo in novelle, come spesse volte avviene che altri fa de’ mutoli, e dicevangli le più scellerate parole del mondo, non credendo da lui essere intese; e la badessa, che forse stimava che egli così senza coda come senza favella fosse, di ciò poco o niente si curava.
Or pure avvenne che, costui un dì avendo lavorato molto e riposandosi, due giovinette monache, che per lo giardino andavano, s’appressarono là dove egli era e lui che sembiante facea di dormire cominciarono a riguardare. Per che l'’una, che alquanto era più baldanzosa, disse all’altra: «Se io credessi che tu mi tenessi credenza, io ti direi un pensiero che io ho avuto più volte, il quale forse anche a te potrebbe giovare».
L’altra rispose: «Dí sicuramente, ché per certo io nol dirò mai a persona».
Allora la baldanzosa incominciò: «Io non so se tu t’hai posto mente come noi siamo tenute strette, né che mai qua entro uomo alcuno osa entrare se non il castaldo ch’è vecchio e questo mutolo; e io ho più volte a più donne che a noi son venute udito dire che tutte l’altre dolcezze del mondo sono una beffa a rispetto di quella quando la femina usa con l’uomo. Per che io m’ho più volte messo in animo, poiché con altrui non posso, di volere con questo mutolo provare se così è; e egli è il miglior del mondo da ciò costui, ché, perché egli pur volesse, egli nol potrebbe né saprebbe ridire: tu vedi ch’egli è un cotal giovanaccio sciocco, cresciuto innanzi al senno. Volentieri udirei quello che a te ne pare».
«Oimè!» disse l’altra «che è quel che tu di’? non sai tu che noi abbiam promesso la verginità nostra a Dio?»
«Oh» disse colei «quante cose gli si promettono tutto il dì, che non se ne gli attiene niuna! se noi gliele abbiam promessa, truovisi un’altra o dell’altre che gliele attengano».
A cui la compagna disse: «O se noi ingravidassimo, come andrebbe il fatto?»
Quella allora disse: «Tu cominci a aver pensiero del mal prima che egli ti venga; quando cotesto avvenisse, allora si vorrà pensare; egli ci avrà mille modi da fare sì che mai non si saprà, pur che noi medesime nol diciamo».
Costei, udendo ciò, avendo già maggior voglia che l’altra di provare che bestia fosse l’uomo, disse: «Or bene, come faremo?»
A cui colei rispose: «Tu vedi ch’egli è in su la nona: io mi credo che le suore sieno tutte a dormire, se non noi; guatiamo per l’orto se persona ci è, e s’egli non c’è persona, che abbian noi a far se non a pigliarlo per mano e menarlo in questo capannetto, là dove egli fugge l’acqua, e quivi l’una si stea dentro con lui e l’altra faccia la guardia? Egli è sì sciocco, che egli s’acconcerà comunque noi vorremo».
Masetto udiva tutto questo ragionamento, e disposto a ubidire niuna cosa aspettava se non l’esser preso dall’una di loro. Queste, guardato ben per tutto e veggendo che da niuna parte potevano esser vedute, appressandosi quella, che mosse avea le parole, a Masetto, lui destò, e egli incontanente si levò in piè; per che costei con atti lusinghevoli presolo per la mano, e egli faccendo cotali risa sciocche, il menò nel capannetto, dove Masetto senza farsi troppo invitare quel fece che ella volle. La quale, sì come leale compagna, avuto quel che volea, diede all’altra luogo, e Masetto, pur mostrandosi semplice, faceva il lor volere; per che, avanti che quindi si dipartissono, da una volta in sú ciascuna provar volle come il mutolo sapeva cavalcare: e poi, seco spesse volte ragionando, dicevano che bene era così dolce cosa, e più, come udito aveano; e prendendo a convenevoli ore tempo, col mutolo s’andavano a trastullare.
Avvenne un giorno che una lor compagna, da una finestretta della sua cella di questo fatto avvedutasi, a due altre il mostrò; e prima tennero ragionamento insieme di doverle accusare alla badessa, poi, mutato consiglio e con loro accordatesi, partefici divennero del poder di Masetto: alle quali l’altre tre per diversi accidenti divenner compagne in varii tempi. Ultimamente la badessa, che ancora di queste cose non s’accorgea, andando un dì tutta sola per lo giardino, essendo il caldo grande, trovò Masetto, il quale di poca fatica il dì per lo troppo cavalcar della notte aveva assai, tutto disteso all’ombra d’un mandorlo dormirsi; e avendogli il vento i panni dinanzi levati indietro, tutto stava scoperto. La qual cosa riguardando la donna, e sola vedendosi, in quel medesimo appetito cadde che cadute erano le sue monacelle; e destato Masetto seco nella sua camera nel menò, dove parecchi giorni, con gran querimonia dalle monache fatta che l’ortolano non venia a lavorar l’orto, il tenne, provando e riprovando quella dolcezza la quale essa prima all’altre solea biasimare.
Ultimamente della sua camera alla stanzia di lui rimandatolone e molto spesso rivolendolo e oltre a ciò più che parte volendo da lui, non potendo Masetto sodisfare a tante, s’avvisò che il suo esser mutolo gli potrebbe, se più stesse, in troppo gran danno resultare; e per ciò una notte, colla badessa essendo, rotto lo scilinguagnolo cominciò a dire: «Madonna, io ho inteso che un gallo basta assai bene a diece galline, ma che diece uomini posson male o con fatica una femina sodisfare, dove a me ne convien servir nove; al che per cosa del mondo io non potrei durare, anzi sono io, per quello che infino a qui ho fatto, a tal venuto che io non posso fare né poco né molto; e per ciò o voi mi lasciate andar con Dio o voi a questa cosa trovate modo».
La donna, udendo costui parlare il quale ella teneva mutolo, tutta stordì e disse: «Che è questo? Io credeva che tu fossi mutolo».
«Madonna,» disse Masetto «io era ben così ma non per natura, anzi per una infermità che la favella mi tolse, e solamente da prima questa notte la mi sento essere restituita, di che io lodo Idio quant’io posso».
La donna sel credette e domandollo che volesse dir ciò che egli a nove aveva a servire. Masetto le disse il fatto; il che la badessa udendo, s’accorse che monaca non avea che molto più savia non fosse di lei; per che, come discreta, senza lasciar Masetto partire, dispose di voler con le sue monache trovar modo a questi fatti, acciò che da Masetto non fosse il monistero vituperato. E essendo di quei dì morto il lor castaldo, di pari consentimento, apertosi tra tutte ciò che per adietro da tutte era stato fatto, con piacer di Masetto ordinarono che le genti circunstanti credettero che, per le loro orazioni e per gli meriti del santo in cui intitolato era il monistero, a Masetto stato lungamente mutolo la favella fosse restituita; e lui castaldo fecero e per sì fatta maniera le sue fatiche partirono, che egli le poté comportare. Nelle quali, come che esso assai monachin generasse, pur sì discretamente procedette la cosa, che niente se ne sentì se non dopo la morte della badessa, essendo già Masetto presso che vecchio e disideroso di tornarsi ricco a casa; la qual cosa, saputa, di leggier gli fece venir fatto.
Così adunque Masetto vecchio, padre e ricco, senza aver fatica di nutricare figliuoli o spesa di quegli, per lo suo avvedimento avendo saputo la sua giovanezza bene adoperare, donde con una scure in collo partito s’era se ne tornò, affermando che così trattava Cristo chi gli poneva le corna sopra ’l cappello.

Miniatura del XV secolo per un'edizione francese del decameron, raffigurante due momenti della novella del Boccaccio

PARAFRASI IN ITALIANO MODERNO

Masetto da Lamporecchio si fa muto e diventa ortolano d’un monastero di donne, che tutte quante concorrono a giacersi con lui.

Bellissime donne, sono numerosi gli uomini e le femmine così stolti, da credere troppo bene che una giovane cui venga messa sopra il capo la benda bianca e addosso la nera cocolla [cioè che abbia indossato l’abito monacale] non sia più femmina e non senta più gli appetiti femminili se non come se l’avesse fatta diventare di pietra l’essere diventata monaca: e se per caso sentono dire qualcosa contro questa loro credenza, se ne turbano come se un grandissimo e scellerato male fosse stato commesso contro natura, senza pensare né considerare sé stessi, che la completa licenza di poter fare ciò che vogliono non può rendere sazi, nemmeno con le grandi forze dell’ozio e della sollecitudine. E similmente ci sono tanti che sono convinti che la zappa e la vanga e i cibi grossolani e i disagi tolgano completamente ai contadini le brame amorose e li rendano ottusi d’intelletto e di accorgimento. Ma quanto s’ingannino tutti costoro, dato che la regina me l’ha comandato [si tratta di Neifile, la donzella regina della terza giornata], non uscendo dall’argomento scelto da lei, mi piace confermarvelo con una piccola novelletta.
In queste nostre contrade c’era e c’è ancora un monastero femminile assai famoso per santità (che io non nominerò per non diminuire in alcun modo la sua fama) nel quale, non molto tempo fa, quando non vi vivevano che otto donne con una badessa, c’era un buon ometto ortolano di un loro bellissimo giardino: il quale, non contento del salario, fatti i conti con il castaldo [cioè l’amministratore] delle donne, a Lamporecchio [borgo del Pistoiese], il suo paese, se ne tornò. Qui, tra gli altri che lietamente l’accolsero, c’era un giovane lavoratore forte e robusto e di bella persona per quanto contadino, il cui nome era Masetto; che gli chiese dove fosse stato tutto quel tempo. Il buon uomo, che si chiamava Nuto, glielo disse; e Masetto gli domandò che cosa facesse al monastero.
Al che Nuto rispose: «Lavoravo un grande e bel giardino delle monache e talvolta andavo nel bosco per la legna, attingevo l’acqua e facevo altri lavoretti di questo tipo; ma le donne mi davano così poco salario, che io non potevo nemmeno pagarmi i calzari. E oltre a questo, esse sono tutte giovani e mi sembra che abbiano il diavolo in corpo, perché non si può far nulla secondo il loro modo. Anzi, quando talora io lavoravo l’orto, una diceva: ‘Metti qui questo’, e l’altra: ‘Metti qui quello’ e un’altra mi toglieva la zappa di mano e diceva: ‘Questo non va bene’, insomma, mi seccavano talmente, che io lasciavo perdere ciò che stavo facendo e me ne uscivo dall’orto: cosicché per una cosa e per l’altra, non ho più voluto star lì e me ne sono venuto via. Anzi il loro castaldo mi pregò, quando me ne sono partito, che se conoscevo qualcuno adatto, glielo mandassi e io glielo promisi: ma che Dio gli faccia sane le reni, quanto io gli trovi qualcuno e glielo mandi».
A Masetto, udendo le parole di Nuto, venne nell’animo un desiderio così grande di essere con quelle monache, che se ne struggeva tutto, comprendendo dalle parole di Nuto che qualcosa di ciò che egli desiderava egli lo poteva avere; e rendendosi conto che nulla gli veniva, se ne parlava con Nuto, gli disse: «Deh, come hai fatto bene a venirtene via! A cosa si riduce un uomo a stare con le femmine? Sarebbe meglio stare con i diavoli: esse non sanno sei volte su sette ciò che esse stesse vogliono».
Ma poi, cessato il loro colloquio, Masetto cominciò a pensare a quale via seguire per poter essere con le monache; considerando che egli sapeva fare bene i servigi descritti da Nuto, non dubitò che per questo motivo non fosse accolto, ma temette di essere rifiutato in quanto era tanto giovane e tanto appariscente. Finché, dopo aver pensate tante cose tra sé, immaginò: «Il luogo è assai lontano da qui e là nessuno mi conosce; se faccio finta d’esser muto, di sicuro io vi sarò ricevuto».
E fattosi sicuro in questa sua immaginazione, con una sua scure al collo, senza dire ad alcuno dove se n’andava, in guisa d’un povero uomo se n’andò al monastero: quando ci arrivò, vi entrò e per caso trovò nella corte il castaldo, al quale, con i gesti tipici dei muti, fece capire che gli chiedeva qualcosa da mangiare per l’amor di Dio e che, se ne aveva bisogno, gli poteva spaccare della legna. Il castaldo gli diede volentieri da mangiare, e dopo questo gli mise davanti certi ceppi che Nuto non aveva potuto spaccare e che egli invece, fortissimo com’era, spaccò tutti in poco tempo. Il castaldo, che aveva bisogno di andare nel bosco, lo portò con sé e qui gli fece tagliare della legna: poi, messogli l’asino davanti, a cenni gli fece intendere che la portasse a casa. Costui lo fece molto bene, per cui il castaldo lo tenne con sé per più giorni per fare certi lavori di cui aveva bisogno: finché un giorno accadde che la badessa lo vide e domandò al castaldo chi fosse.
E questi disse: «Madonna, è un povero muto e sordo, che qualche giorno fa è arrivato qui a chiedere l’elemosina, sicché io gliel’ho fatta e gli ho chiesto di fare alcuni lavori di cui c’era bisogno. Se egli sapesse lavorare l’orto e volesse restare qui, credo che noi ne avremmo un buon servizio, dato che ne abbiamo bisogno ed egli è forte e se ne potrebbe fare quel che si vuole: oltre a questo non dovremmo neanche preoccuparci che egli prendesse in giro queste vostre giovani».
Al che la badessa disse: «In fede di Dio tu dici il vero! Accertati che egli sappia lavorare e ingegnati a trattenerlo: dagli qualche paio di scarpe, qualche vecchio cappuccio, e lusingalo, fagli vezzi, dagli da mangiar bene».
Il castaldo disse che l’avrebbe fatto. Masetto non era molto lontano, ma facendosi vedere che spazzava la corte udiva tutte queste parole e lieto diceva tra sé: «Se voi mi mettete qua dentro, io di sicuro vi lavorerò l’orto, ma in un modo che vi è mai stato lavorato».
Ora, avendo il castaldo visto che egli sapeva lavorare ottimamente e domandatogli a cenni se voleva restar lì e avendogli egli risposto a cenni che voleva fare tutto ciò che lui volesse, avendolo assunto, gli ordinò di lavorare l’orto e gli mostrò ciò che doveva fare; poi se ne andò per altre necessità del monastero e lo lasciò. Ed egli, lavorando un giorno dopo l’altro, cominciò ad essere infastidito dalle monache, che lo canzonavano, come succede spesse volte che si fa dei muti, e gli dicevano le più scellerate parole del mondo, credendo che lui non le capisse; e la badessa, che forse pensava che egli fosse senza coda com’era senza favella, non si preoccupa di ciò che poco o niente.
Or però avvenne che un giorno, mentre costui avendo lavorato molto si era messo a riposare, due giovani monache che se ne andavano per il giardino si avvicinarono là dov’era lui ed egli, che faceva finta di dormire, cominciarono a osservare; al che una, che era alquanto più baldanzosa, disse all’altra: «Se io credessi che tu tieni per te un segreto, ti direi un pensiero che ho avuto più volte e che forse potrebbe giovare anche a te».
L’altra rispose: «Su dimmelo, che non lo dirò certamente a nessuno».
Allora la baldanzosa cominciò: «Io non so se tu hai mai pensato a come noi siamo costrette da regole severe, che qua dentro mai alcun uomo osa entrare se non il castaldo che è vecchio e questo muto; io ho sentito dire diverse volte da tante donne che sono venute qui, che tutte le altre dolcezze del mondo sono una beffa rispetto a quella che una donna prova con un uomo. Per cui ho pensato molte volte, dato che non posso con altri, di voler provare con questo muto se è proprio così; e costui è il migliore del mondo per far questo, perché, se anche volesse, non potrebbe né saprebbe ridirlo a nessuno: tu vedi che è un tal giovinastro sciocco, cresciuto prima del suo cervello. Volentieri sentirei la tua opinione».
«Ohimè!» disse l’altra, «che cosa dici? non sai che abbiamo promesso la nostra verginità a Dio?»
«Oh» disse quella «quante cose gli si promettono tutto il giorno, che poi non se ne mantiene nessuna! Se noi gliel’abbiamo promessa, ne troveremo un’altra o delle altre da mantenere».
Al che la compagna disse: «E se noi ingravidiamo, cosa succederà?»
Quella allora disse: «Tu cominci a pensare al male prima che esso venga: se anche succedesse questo, allora ci dovremo pensare; ci saranno mille modi per far sì che non si sappia, basta che noi stesse non lo diciamo».
Costei, udendo ciò, avendo già maggior voglia dell’altra di provare che bestia fosse l’uomo, disse: «Or bene, come facciamo?»
Al che l’altra rispose: «Tu vedi che è la nona [l’ora della siesta]: io credo che le suore stiano tutte dormendo, a parte noi; guardiamo in giro per l’orto se c’è qualcuno, e se non c’è nessuno, che dobbiamo fare, se non prenderlo per mano e portarlo in quel capannetto là, dove egli si ripara quando piove, e lì una se ne sta con lui mentre l’altra fa la guardia? Egli è così sciocco, che farà quello che noi vogliamo».
Masetto udiva tutto questo discorso e disposto a ubbidire non aspettava altro che di esser preso da una di loro. Queste, guardato bene dappertutto e visto che non potevano esser vedute da nessuna parte, avvicinatasi quella che aveva parlato per prima a Masetto, lo svegliò ed egli subito si levò in piedi; per cui costei con atti lusinghieri lo prese per mano e, mentre lui faceva certe risa sciocche, lo portò nel capannetto, dove Masetto senza farsi troppo invitare fece quello che lei volle. Ed ella, poiché era una compagna leale, avuto quello che voleva, lasciò il posto all’altra e Masetto, pur mostrandosi semplice, faceva quel che volevano; per cui, prima di andarsene da lì, più di una volta entrambe vollero provare come il muto sapesse cavalcare: e poi, ragionando tra loro spesse volte, dicevano che davvero era una cosa dolce, anzi di più, come avevano sentito dire: e cogliendo il momento opportuno, se ne andavano a trastullarsi col muto.
Avvenne un giorno che una loro compagna, accortasi di ciò che succedeva da una finestrella della sua cella, ad altre due lo mostrò; e prima ragionarono insieme di doverle accusare alla badessa, poi, mutato consiglio e accordatesi tra loro, divennero partecipi del podere di Masetto: alle quali le altre tre per diversi accidenti divennero compagne in tempi vari. Per ultima la badessa, che non si era accorta ancora di queste cose, andando un giorno tutta sola per il giardino, facendo un gran caldo, trovò Masetto, il quale si stancava di giorno con poco per il troppo cavalcar di notte, che dormiva tutto disteso all’ombra d’un mandorlo; e avendogli il vento sollevati sul davanti i panni, se ne stava tutto scoperto. La qual cosa osservando la donna, e vedendo che era sola, cadde nello stesso appetito in cui erano cadute le sue monachelle; e svegliato Masetto lo portò con sé nella sua camera, dove per parecchi giorni, con gran lagnanza fatta dalle monache che l’ortolano non veniva a lavorare l’orto, lo tenne, provando e riprovando quella dolcezza che prima soleva biasimare alle altre.
Infine rimandatolo nella sua stanza e più volte rivolendolo e inoltre volendo da lui più di una parte di lui stesso, non potendo Masetto soddisfare tante donne, ritenne che il suo esser muto poteva risultargli dannoso, se avesse continuato così; perciò una notte, mentre stava con la badessa, rotto lo scilinguagnolo cominciò a dire: «Madonna, io ho inteso che un gallo basta assai bene a dieci galline, ma che dieci uomini possono male o con fatica soddisfare una femmina, mentre a me tocca servirne nove; al che io non potrei farcela ancora, anzi io, per ciò che ho fatto finora, sono giunto a tal punto che non posso fare più né poco né molto; perciò o voi mi lasciate andare con Dio oppure trovare voi un rimedio a questa cosa».
La donna, udendo parlare colui che ella credeva muto, stordì tutta e disse: «Che è questo? Io credevo che tu fossi muto».
«Madonna», disse Masetto «lo ero ma non per natura, bensì per un’infermità che mi tolse la favella, e solo questa notte per la prima volta me la sento restituita, della qual cosa lodo Iddio quanto posso».
La donna gli credette e gli domandò che cosa significava che ne doveva servire nove. Masetto le spiegò il fatto; e udendo ciò la badessa s’accorse che non c’era monaca che non fosse molto più saggia di lei: per cui, essendo discreta, senza lasciare che Masetto se ne andasse, decise di trovare una soluzione con le sue monache a questi fatti, affinché il monastero non fosse svergognato da Masetto. Ed essendo in quei giorni morto il castaldo, trovandosi d’accordo, manifestatosi tra tutte ciò che era successo per l’addietro, disposero con piacere di Masetto che le genti attorno credessero che, per le loro preghiere e per i meriti del santo a cui il monastero era intitolato, fosse stata restituita la favella a Masetto che a lungo era stato muto; e nominarono lui castaldo e ripartirono le sue fatiche in così fatta maniera, che egli le poté sopportare. A causa delle quali, poiché egli generò molti monachini, si sistemò la cosa in maniera così discreta, che non se ne seppe niente finché la badessa morì, essendo già Masetto quasi vecchio e desideroso di tornarsene ricco a casa sua; cosa che avvenne facilmente, quando la si seppe.
Così dunque Masetto vecchio, padre e ricco, senza far fatica per nutrire i figli e senza alcuna spesa per essi, per la sua avvedutezza avendo saputo adoperare bene la sua giovinezza, se ne tornò là da dov’era partito con una scure al collo, affermando che così Cristo trattava chi gli poneva le corna sopra il cappello.

Quattro fotogrammi dal film “Il Decameron” di Pier Paolo Pasolini, del 1971:
1- Nuto racconta la sua esperienza al convento delle monache
2- Masetto ascolta
3- la suora baldanzosa
4- le suore esultano per il ritrovamento della favella da parte di Masetto









Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.