sabato 28 ottobre 2017

122 Le sigarette di Stalin e gli ingegneri dell'animo umano (di Julian Barnes)



Gran bel libro questo “Il rumore del tempo” del 2016. Vi si racconta in forma romanzata, ma accurata storicamente, la vita di Dmitrij Šostakovič (uno dei massimi musicisti non solo del XX secolo, ma di sempre) nei suoi rapporti con il Potere sovietico, guastatisi la sera del 26 gennaio 1936, quando Stalin in persona volle assistere a una rappresentazione dell’opera Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk, e ne ordinò una recensione (o forse la scrisse lui stesso) negativa, da pubblicare sulla Pravda, l’organo ufficiale dello Stato sovietico.
Ne trascrivo alcuni brani, tratti dall’edizione italiana pubblicata da Einaudi e tradotta da Susanna Basso.

Si accese un’altra sigaretta. Fra l’arte e l’amore, fra gli oppressori e gli oppressi, le sigarette non mancavano mai. […] A fumare Kazbek erano gli artisti, perfino l’immagine sul pacchetto suggeriva un’idea di libertà: cavallo e cavaliere lanciati al galoppo, sullo sfondo del monte Kazbek. Si diceva che Stalin avesse personalmente approvato la grafica della confezione anche se il Grande Condottiero fumava una marca di sigarette speciale, le Herzegovina Flor. Venivano realizzate apposta per lui, con la terrorizzata precisione che non è difficile immaginare. Non che Stalin si concedesse un gesto banale come stringere fra le labbra una Herzegovina Flor. No, preferiva staccare il filtro in cartoncino e sbriciolare il tabacco nel fornello della pipa. Come riferivano i fortunati addentro alle segrete cose ai meno fortunati, la scrivania di Stalin era tutta ingombra di cartastraccia, tubi di cartoncino e cenere. Lo sapeva anche lui – o comunque, gli era stato detto più di una volta – perché nulla che riguardasse il compagno Stalin era considerato troppo insignificante per fare notizia.
Nessun altro avrebbe osato fumare una Herzegovina Flor in presenza di Stalin, a meno che non fosse lui stesso a offrirgliela, nel qual caso avrebbe forse tentato con ogni astuzia di conservarla intatta per esibirla in seguito come una sacra reliquia. Gli esecutori materiali degli ordini di Stalin fumavano di norma Belomor. Le fumavano gli uomini dell’Nkvd (1). La grafica del pacchetto mostrava una mappa della Russia; un tratto rosso segnava il percorso del canale del Mar Bianco, quello che dava il nome alle sigarette. Per la costruzione della Grande Opera Sovietica dei primi anni Trenta era stata impiegata forza lavoro di detenuti. Curiosamente, il fatto ebbe un enorme rilievo in termini di propaganda. Si affermava che durante i lavori del canale i prigionieri non stessero solo collaborando al progresso della nazione, ma anche «riforgiando se stessi». Beh, i manovali impegnati furono dell’ordine del centinaio di migliaia, perciò non è escluso che qualcuno abbia tratto dall’impresa un’esperienza edificante; si dice tuttavia che un manovale su quattro morì, e per tutti costoro non si può certo dire che si fossero riforgiati. Si trattava semplicemente di trucioli volati via dal ciocco di legno che si andava sgrossando. Intanto gli uomini dell’Nkvd si accendevano l’ennesima belomorina e nella piccola nube di fumo sognavano di brandire ancora una volta la scure.
[…]
Chissà come mai, si chiedeva, adesso il Potere concentrava la propria attenzione sulla musica, e su di lui. Da sempre il maggiore interesse delle alte sfere andava alla parola scritta più che alle note: erano gli scrittori e non i compositori a essersi guadagnati il titolo di ingegneri dell’animo umano. La «Pravda» riportava le loro condanne in prima pagina, mentre ai compositori toccava la terza. Due pagine di distanza. Il che non era un nonnulla: poteva fare la differenza tra la vita e la morte.
Ingegneri dell’animo umano: espressione glaciale, meccanicistica. D’altra parte… di che cosa si occupava un artista se non dell’animo umano? A meno di voler essere puramente decorativo, nient’altro che il cane da salotto di ricchi e potenti. Personalmente era sempre stato un anti-aristocratico a livello politico, artistico e sentimentale. In quell’ora carica di ottimismo – in fondo erano passati così pochi anni – in cui il futuro dell’intera nazione, se non dell’umanità stessa, veniva rimodellato, era sembrato che tutte le arti potessero infine unire le forze al servizio di un unico grande, glorioso progetto. Musica, letteratura, cinema, teatro e architettura, danza e fotografia unite in un sodalizio dinamico, teso non soltanto a farsi specchio della società per criticarla e schernirla, quanto piuttosto a formarla. Gli artisti, di loro spontanea volontà e senza ubbidire ad alcuna direttiva di partito, avrebbero contribuito allo sviluppo e alla rinascita dell’animo umano.
Perché no? Era il più antico sogno di ogni artista. O meglio, per come la vedeva adesso, la sua più antica illusione. Giacché i burocrati si erano subito precipitati ad accaparrarsi il controllo del progetto, a svuotarlo di libertà e immaginazione e complessità e sfumature, senza le quali le arti in genere risultavano vanificate. «Gli ingegneri dell’animo umano». C’erano due grossi problemi. Il primo era che molti non volevano saperne di ingegneri alle prese con la manutenzione della loro anima, grazie lo stesso. Si accontentavano di conservare l’anima ricevuta in dotazione come era al loro ingresso nel mondo; e se uno cercava di indirizzarli, opponevano resistenza. Vieni al tale concerto all’aperto, compagno. Oh, pensiamo davvero che dovresti esserci anche tu. Sì, certo, nessun obbligo, ma non farsi vedere in giro potrebbe essere un errore…
E poi c’era il secondo problema con la manutenzione da parte degli ingegneri dell’animo umano, un problema ancor più sostanziale: chi si occupava della manutenzione degli addetti alla manutenzione?
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(1) Nkvd = Commissariato del popolo per gli affari interni, un dicastero sovietico attivo nella repressione di chiunque fosse considerato in qualche modo “nemico del popolo.



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