sabato 18 novembre 2017

128 Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde - capitolo 2 (di Robert Louis Stevenson)



Quale potere ha il signor Hyde sul dottor Jekyll, se questi ha persino fatto testamento presso l’avvocato Utterson, stabilendo che in caso di morte o anche di semplice scomparsa tutti i suoi beni passino al misterioso personaggio? L’avvocato vuole saperne di più e si apposta in modo da incontrarsi con il signore Hyde; ma, quando l’incontro avviene, la sua inquietudine, anziché diminuire, aumenta ancor di più.
Dal romanzo di Stevenson sono state tratte numerose versioni cinematografiche: le due migliori sono, secondo me, quella del 1932 diretta da Rouben Mamoulian e quella del 1941 di Victor Fleming. Alla fine del secondo capitolo trovi due fotogrammi tratti da quest’ultimo film, con la magnifica ambientazione in una Londra notturna e nebbiosa, quale viene descritta da Stevenson nell’episodio in cui Utterson incontra Hyde.

ALLA RICERCA DEL SIGNOR HYDE
Quella sera il signor Utterson fece ritorno al suo appartamento di scapolo più tetro che mai e si sedette a tavola senza alcun piacere. La domenica, quando la cena era finita, aveva l'abitudine di sedersi accanto al caminetto con un libro di arida devozione sul leggio e rimanervi fin quando l'orologio della chiesa accanto non batteva mezzanotte; allora se ne andava a letto con animo sereno e riconoscente. Quella sera, invece, non appena la tovaglia fu tolta, prese una candela e se ne andò nello studio. Qui aprì la cassaforte, prese dal cassetto più riposto un documento sulla cui busta c'era scritto “Testamento del dottor Jekyll”, e si sedette con aria accigliata a studiarne il contenuto.
Il testamento era olografo, poiché il signor Utterson, sebbene l'avesse preso in custodia dopo che era stato redatto, si era rifiutato di dare la benché minima assistenza alla sua stesura. Esso stabiliva non solo che in caso di morte di Henry Jekyll, MD, DCL, LLD, FRS (1), tutti i suoi averi sarebbero passati nelle mani del suo «amico e benefattore Edward Hyde», ma che, in caso di «scomparsa o di assenza inspiegabile per un periodo superiore ai tre mesi» del dottor Jekyll, il suddetto Edward Hyde sarebbe subentrato al suddetto Henry Jekyll senza indugio e libero da qualsiasi onere o obbligo, all'infuori del pagamento di alcune piccole somme ai domestici del dottore. Da parecchio tempo quel documento era una spina nel cuore per l'avvocato. Lo offendeva sia come legale sia come uomo amante di una vita moralmente sana e vissuta nel rispetto della tradizione, per il quale la bizzarria ha in sé qualcosa di indecente. Fino a quel momento l'indignazione nasceva dal fatto di non saper nulla a proposito del signor Hyde; ora, con un rovesciamento improvviso, dal fatto di sapere. Era una faccenda già abbastanza brutta quando quel nome non era altro che un nome, di cui non riusciva a sapere di più. Diventava peggiore allorché quel nome cominciava a rivestirsi di connotati odiosi, e dalle nebbie indefinite e fuggenti che per tanto tempo avevano eluso i suoi occhi, balzava fuori improvviso e preciso il presentimento di un demonio.
«Pensavo che si trattasse di follia», disse mentre riponeva nella cassaforte l'odioso documento; «ma ora comincio a temere che si tratti d'infamia».
Dopo di che soffiò sulla candela, si infilò il pastrano, e si diresse verso Cavendish Square, quella cittadella della medicina dove il suo amico, il grande dottor Lanyon, abitava e riceveva i suoi numerosi pazienti. «Se c'è qualcuno che ne sa qualcosa, questi è il dottor Lanyon», si era detto.
Il maggiordomo lo conosceva e lo fece entrare; lo introdusse senza farlo attendere direttamente nella sala da pranzo dove il dottore stava seduto tutto solo a bere del vino. Questi era un uomo cordiale, in buona salute, vivace e rubicondo, con capelli folti prematuramente imbiancati e un modo di fare vivace e deciso. Quando vide Utterson si alzò dalla poltrona e gli andò incontro tendendo le braccia. La sua cordialità poteva apparire alquanto affettata, ma nasceva da un sentimento genuino. Quei due, infatti, erano vecchi amici, compagni di scuola e di collegio, rispettosi entrambi di se stessi e l'uno dell'altro, e, cosa che non sempre ne consegue, capaci di godere la reciproca compagnia.
Dopo aver parlato del più e del meno, l'avvocato portò il discorso sull'argomento che spiacevolmente preoccupava la sua mente.
«Suppongo, Lanyon, che tu e io siamo i più vecchi amici di Henry Jekyll».
«Preferirei che gli amici fossero più giovani», rispose ridacchiando il dottor Lanyon. «Ma credo che sia così. E con ciò? Lo vedo di rado, ora».
«Davvero!», disse Utterson. «Credevo foste legati da comuni interessi».
«Lo eravamo», fu la risposta. «Ma da dieci anni ormai Henry Jekyll è diventato troppo stravagante per me. Ha cominciato a ragionare, o piuttosto a sragionare, in modo strano, e sebbene continui ad avere affetto per lui, per amore dei vecchi tempi, come si dice, l'ho visto e lo vedo pochissimo. Non c’è amicizia che tenga», aggiunse il dottore diventando improvvisamente paonazzo, «davanti alle sue assurdità pseudoscientifiche!».
Questo breve scatto di collera fu un sollievo per il signor Utterson. “I loro contrasti sono solo di carattere scientifico”, pensò, e poiché non aveva alcuna passione per la scienza (a meno che si trattasse di passaggi di proprietà), aggiunse: “Se non è che questo!”. Lasciò qualche secondo all'amico perché ritrovasse la calma e quindi gli fece la domanda per la quale era venuto.
«Hai mai avuto occasione di incontrare un suo protégé, un certo Hyde?», gli chiese.
«Hyde?», ripeté Lanyon. «Mai sentito. Mai in vita mia».
Queste furono le informazioni che l'avvocato riportò a casa, a quel grande scuro letto in cui si rigirò fino a quando le ore piccole del mattino cominciarono a crescere. Fu una notte di scarso riposo per la sua mente assillata da interrogativi nel buio assoluto della stanza. Quando le campane della chiesa così opportunamente vicina alla sua casa batterono le sei, il signor Utterson stava ancora esaminando il problema. Fino ad allora lo aveva interessato solo dal punto di vista intellettuale, ma ecco che anche la sua immaginazione ne era coinvolta o, meglio, soggiogata; e mentre stava disteso o si rigirava nel letto nel buio assoluto della camera dalle pesanti tende, il racconto del signor Enfield ripassava davanti agli occhi della sua mente come una sequenza di immagini luminose. Vedeva la lunga fila di lampioni nella città notturna, poi la figura di un uomo che camminava velocemente e quella di una bambina che correva verso casa di ritorno dal medico; poi i due si scontravano, e quello Juggernaut umano calpestava la bambina e proseguiva incurante delle sue urla. Oppure vedeva la camera di una casa lussuosa dove il suo amico giaceva addormentato, sognando e sorridendo ai suoi sogni; poi la porta della camera si apriva, le cortine del letto venivano scostate, il dormiente veniva destato ed ecco! accanto al letto compariva un essere a cui era dato ogni potere, che lo obbligava ad alzarsi nel cuore della notte e a fare ciò che gli veniva ordinato. Questa figura nei due diversi ruoli ossessionò l'avvocato per tutta la notte; e se ogni tanto si appisolava, era solo per vederla scivolare ancora più furtivamente attraverso le case addormentate, o muoversi ancor più velocemente fino al capogiro, attraverso il più vasto labirinto di una città illuminata dai lampioni, schiacciando una bambina a ogni angolo di strada e lasciandola urlante in terra. E tuttavia quell'essere non aveva un volto attraverso cui poterlo riconoscere; anche nel sogno non aveva volto o ne aveva uno che gli sfuggiva e si dissolveva davanti agli occhi. Fu così che nella mente dell'avvocato nacque e crebbe la curiosità, forte e determinata, di vedere le fattezze del vero signor Hyde. Pensava che se solo avesse potuto posare per una volta lo sguardo su di lui, il mistero si sarebbe diradato e forse sarebbe svanito del tutto, come capita alle cose misteriose quando vengono esaminate da vicino. Avrebbe forse potuto trovare una ragione di quella strana predilezione o di quel legame (chiamatelo come vi pare), e persino delle clausole strabilianti del testamento del suo amico. E, inoltre, doveva essere una faccia che valeva la pena di vedere: la faccia di un uomo spietato, una faccia la cui sola comparsa aveva suscitato nel poco impressionabile Enfield un odio pertinace.
A partire da quel momento il signor Utterson cominciò a tener d'occhio la porta nella stradina delle botteghe. Al mattino prima dell'apertura degli uffici, sul mezzogiorno quando gli affari erano molti e il tempo era poco, di notte sotto lo sguardo velato della luna cittadina, con ogni tipo di luce e a tutte le ore, nel trambusto o in solitudine, lo si poteva vedere al suo posto di osservazione.
«Se lui è il signor Hyde, io sarò il signor Seek» (2), aveva pensato.
E, alla fine, la sua pazienza fu premiata. Era una notte bella e senza pioggia, l'aria sapeva di gelo, le strade erano pulite come il pavimento di una sala da ballo; le lampade che nessun vento faceva ondeggiare formavano sul selciato un disegno regolare di luci e di ombre. Verso le dieci, quando le botteghe erano ormai chiuse, quella strada secondaria appariva deserta e silenziosa, nonostante il brontolio sommesso che giungeva dalla Londra circostante. Anche i minimi suoni giungevano a distanza: da entrambi i lati della via si poteva udire il suono domestico delle case vicine e si sentiva il rumore dei passi di un viandante molto prima che questi arrivasse. Il signor Utterson era al suo posto di guardia da alcuni minuti quando avvertì un passo, strano e leggero, che si avvicinava. Nel corso delle sue perlustrazioni notturne si era abituato all'effetto curioso con cui i passi di una singola persona, per quanto ancora molto lontana, risaltano distintamente al di sopra dell'esteso brontolio e frastuono della città. Eppure mai la sua attenzione era stata colpita in maniera così precisa e netta; fu quindi con un superstizioso presentimento di vittoria che si ritrasse nell'angolo di accesso al cortile.
I passi si avvicinavano velocemente e si fecero d'improvviso più forti quando svoltarono l'angolo della via. Sporgendosi dall'androne l'avvocato poteva ormai rendersi conto con che tipo d'uomo aveva a che fare. Era basso, vestito in modo molto comune, ma anche da quella distanza il suo aspetto gli comunicò una sensazione spiacevole. L'uomo si diresse verso la porta, attraversando la strada per fare più in fretta, e nel frattempo tirò fuori dalla tasca una chiave come uno che si avvicini alla propria casa.
Il signor Utterson si fece avanti, e mentre quello passava lo toccò sulla spalla: «Il signor Hyde, suppongo?».
Il signor Hyde si ritrasse, emettendo un sibilo nel riprendere fiato; ma lo spavento fu solo d'un attimo: senza guardare in faccia l'avvocato gli rispose freddamente: «Sì, questo è il mio nome. Che cosa vuole?».
«Vedo che sta entrando in casa», replicò l'avvocato. «Io sono un vecchio amico del dottor Jekyll. Sono il signor Utterson di Gaunt Street. Deve aver già sentito il mio nome. Dal momento che l'ho incontrata, pensavo che mi avrebbe potuto far entrare».
«Non troverà il dottor Jekyll, non è in casa», rispose il signor Hyde infilando la chiave. E poi, di colpo, senza alzare gli occhi, «come fa a conoscermi?», domandò.
«E lei, mi farebbe un favore?», disse il signor Utterson.
«Con piacere», rispose l'altro. «Di che si tratta?».
«Mi permetterebbe di vedere la sua faccia?», disse l'avvocato.
Il signor Hyde sembrò esitare; e poi, dopo un istante di riflessione, alzò il volto con aria di sfida. I due si guardarono fissamente per alcuni secondi. «Ora sarò in grado di riconoscerla», disse il signor Utterson. «Potrebbe essere utile».
«Certamente», replicò il signor Hyde, «è stato un bene che ci siamo incontrati, e, a proposito, le devo dare il mio indirizzo». E gli diede il numero di una via di Soho.
“Buon Dio!”, pensò il signor Utterson, “forse anche lui ha pensato al testamento?”.
Ma tenne per sé i suoi pensieri e si limitò a borbottare qualcosa per ringraziarlo dell'indirizzo.
«E allora», disse l'altro, «come ha fatto a riconoscermi?».
«Dalla descrizione», fu la risposta.
 «La descrizione di chi?».
«Abbiamo degli amici in comune», disse il signor Utterson.
«Amici in comune?», gli fece eco il signor Hyde con voce un po' roca. «E chi sono?».
«Jekyll, per esempio», disse l'avvocato.
«Lui non le ha mai parlato di me», gridò in preda all'ira il signor Hyde, «non pensavo che lei avrebbe mentito».
«Suvvia!», disse il signor Utterson, «non è questo il modo di parlare».
L'altro fece una risata selvaggia, e un momento dopo, con rapidità sorprendente, aveva già aperto la porta ed era scomparso nella casa.
Dopo che il signor Hyde l'ebbe lasciato, l'avvocato rimase fermo per un po' in preda a un grave turbamento. Poi riprese lentamente a risalire la via, fermandosi a ogni passo e portandosi la mano alla fronte come chi sia profondamente perplesso. Il problema che stava esaminando mentre camminava era di difficile soluzione. Il signor Hyde era pallido e basso; dava un'impressione di deformità senza avere alcuna precisa malformazione e aveva un sorriso ripugnante; nei suoi confronti si era comportato con un misto odioso di paura e di arroganza; parlava con voce rauca, spesso bisbigliando e interrompendosi...: tutti questi erano punti contro di lui. Eppure, anche a prenderli tutti insieme, non bastavano a spiegare la ripugnanza mai provata prima d'allora, l'odio e la paura che il signor Utterson aveva sentito guardandolo. «Ci deve essere qualcos'altro», disse perplesso l'avvocato, «c'è qualcosa di più, se solo riuscissi a dargli un nome. Dio mi perdoni, ma quello non sembra un essere umano. Dà l'idea di un essere trogloditico. O forse può essere la vecchia storia del dottor Fell (3)? O si tratta del riverbero di un animo malvagio che emana fuori dal suo involucro di argilla trasfigurandolo? Credo proprio sia questo; mio povero Henry Jekyll, se mai vidi l'impronta di Satana su di un viso, l'ho scorta su quello del tuo nuovo amico!».
Oltre l'angolo di quella via secondaria c'era una piazza circondata da antiche ed eleganti case, per la maggior parte decadute dalla loro condizione d'un tempo e ora suddivise in camere e appartamenti, e affittate a gente d'ogni sorta: cartografi, architetti, avvocati di dubbia fama, agenti di ambigue imprese. Una casa, tuttavia, la seconda dopo l'angolo, era rimasta indivisa; e fu proprio alla porta di questa casa, che ancora conservava un aspetto di benessere e di agio, nonostante fosse immersa nell'oscurità tranne per la lunetta sopra l'ingresso, che il signor Utterson si fermò e bussò. Gli aprì un anziano domestico, vestito con eleganza.
«È in casa il dottor Jekyll, Poole?», chiese l'avvocato.
«Vado a vedere, signor Utterson», disse Poole facendolo entrare in un'ampia e accogliente sala d'ingresso, dal soffitto basso e dal pavimento a mattonelle, riscaldata (come si usa nelle case di campagna) da un caminetto aperto e arredata con costosi mobili di quercia.
«Vuole attendere qui accanto al camino, signore, o devo accompagnarla in sala da pranzo?».
«Attendo qui, grazie», disse l'avvocato, che si avvicinò al caminetto e si appoggiò all'alto parafuoco. Questa sala, in cui ora era rimasto solo, era la stanza preferita del suo amico dottore; e Utterson ne parlava come del salotto più accogliente di Londra.
Ma quella sera le vene dell'avvocato erano pervase da un brivido; il volto di Hyde pesava nella sua memoria ed egli provava (cosa in lui rara) nausea e disgusto per la vita. In questo stato d'animo tetro gli sembrava di scorgere una minaccia nel tremolio delle fiamme sui mobili ben lucidati e nel formarsi delle ombre sul soffitto. Quando, poco dopo, Poole ritornò per annunciargli che il dottor Jekyll era uscito, si vergognò di provare sollievo.
«Poole, ho visto il signor Hyde entrare dalla porta della vecchia aula d'anatomia», disse. «È una cosa regolare quando il dottor Jekyll non è in casa?».
«Del tutto regolare, signor Utterson», rispose il domestico. «Il signor Hyde ha la chiave».
«Il vostro padrone sembra riporre molta fiducia in quel giovanotto, Poole», continuò l'altro con aria assorta.
«Sì, signore, molta davvero», disse Poole, «Noi tutti abbiamo l'ordine di obbedirgli».
«Non mi pare di aver mai incontrato il signor Hyde qui, vero?», chiese Utterson.
«Oh, no, signore. Non pranza mai qui», rispose il maggiordomo. «In realtà lo vediamo molto poco in questa parte della casa; per lo più entra ed esce dal laboratorio».
«Ebbene, buona notte, Poole».
«Buona notte, signor Utterson».
L'avvocato si diresse verso casa con un grande peso sul cuore.
“Povero Harry Jekyll”, pensava, “temo proprio che si trovi in cattive acque! È stato alquanto sregolato in gioventù; certamente è passato molto tempo, ma per la legge del Signore non ci sono limiti di tempo. Deve essere proprio così: il fantasma di qualche antico peccato, il cancro di qualche segreta infamia, e il castigo arriva, pede claudo, anni dopo che la memoria ha dimenticato e la pietà per se stessi ha perdonato la colpa”.
E l'avvocato, impaurito da questo pensiero, si mise a meditare sul suo passato, frugando in tutti gli angoli della memoria, nel timore che qualche vecchia infamia potesse saltar fuori come il fantoccio di una scatola a sorpresa. Il suo passato era senza colpa: pochi uomini avrebbero potuto leggere la storia della propria vita con minore preoccupazione. Eppure si sentiva terribilmente umiliato per le molte azioni cattive che aveva compiuto, ma subito dopo lo pervadeva un senso di gratitudine sobria e timorosa per le molte altre che era stato sul punto di fare e che aveva evitato. E allora, tornando alla sua preoccupazione, intravvedeva un barlume di speranza.
“Questo signor Hyde”, si disse, “a studiarlo bene, deve avere dei segreti: segreti orribili, a giudicare dalla sua faccia; segreti al cui confronto anche il peggiore che il povero Jekyll potesse nascondere sembrerebbe trasparente come la luce del sole. Le cose non possono andare avanti così. Mi sento raggelare il sangue al pensiero di quell'essere che si avvicina furtivo al letto di Harry: che risveglio, povero Harry! E che pericolo! Se Hyde solo sospetta l'esistenza del testamento, gli verrà la fregola di ereditare. Sì, devo fare qualcosa”, aggiunse, “se Jekyll me lo permetterà”. E ancora una volta rivide con gli occhi della mente, limpide come un cristallo, le strane disposizioni del testamento.

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(1) MD, DCL, LLD, FRS = Doctor of Medicine (Dottore in Medicina), Doctor of Civil Law (Dottore in Diritto Civile), Doctor of Laws (Dottore in Leggi), Fellow of the Royal Society (Membro della Reale Società).
(2) Si tratta di un gioco di parole, basato sul nome inglese con cui si indica il gioco del nascondino: hide-and-seek (letteralmente: nascondi e cerca).
(3) Si tratta dell’adattamento da parte di Thomas Browne (scrittore e traduttore inglese del XVII secolo) di un epigramma del poeta latino Marco Valerio Marziale: «Non mi piaci, Dr. Fell, / ma non so dire perché; / so solo benissimo che / non mi piaci, Dr. Fell».


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