martedì 21 novembre 2017

131 Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde – capitolo 5 (di Robert Louis Stevenson)



L’incidente di cui si parla in questo capitolo fa riferimento a uno scritto del signor Hyde, che il dottor Jekyll consegna al suo avvocato Utterson; ma, quando costui lo sottopone a una sia pur sommaria perizia calligrafica a un suo amico, ne trae una conclusione agghiacciante: la lettera, infatti, è scritta con una grafia molto simile a quella del dottore, che sembra così diventare un falsario per conto di un assassino.

L'INCIDENTE DELLA LETTERA
Era ormai pomeriggio avanzato quando il signor Utterson arrivò alla casa del dottor Jekyll, dove Poole lo fece subito entrare e lo accompagnò, attraverso le cucine e un cortile che una volta era stato un giardino, all'edificio che veniva indifferentemente chiamato il laboratorio o la sala di anatomia. Il dottore aveva acquistato quella casa dagli eredi di un famoso chirurgo, ma poiché i suoi interessi erano per la chimica piuttosto che per l'anatomia, aveva cambiato destinazione all'edificio in fondo al giardino. Era la prima volta che l'avvocato veniva ricevuto in quella parte della casa. Osservò con curiosità quella costruzione tetra priva di finestre e si guardò intorno con uno spiacevole senso di estraneità mentre attraversava l'aula di anatomia, un tempo affollata di studenti avidi di sapere ed ora vuota e silenziosa, con i tavoli ricoperti di apparecchiature chimiche, il pavimento pieno di casse e cosparso di paglia da imballaggio nella luce incerta che scendeva dalla cupola oscura. In fondo alla sala c'era una rampa di scale che conduceva a una porta coperta di panno rosso, e, oltrepassata questa, l'avvocato fu finalmente ricevuto nello studio del dottore. Era una stanza ampia, con armadi a vetri alle pareti, arredata, fra le altre cose, con uno specchio su cavalletto e un tavolo da lavoro, con tre finestre coperte di polvere e munite di inferriate che davano sul cortile. Un fuoco ardeva nel caminetto, e c'era una lampada sulla mensola, poiché la nebbia cominciava ad addensarsi persino dentro le case. Lì, vicino al calore del caminetto, era seduto il dottor Jekyll, mortalmente pallido. Non si alzò per salutare il suo ospite, ma gli porse una mano gelida e gli diede il benvenuto con voce che appariva mutata.
«Ebbene», disse il signor Utterson non appena Poole si fu allontanato, «hai saputo la notizia?».
Il dottore rabbrividì: «La gridavano nella piazza», disse, «l'ho udita dalla sala da pranzo».
«Una sola cosa», disse l'avvocato. «Carew era mio cliente, come d'altronde lo sei tu; e io voglio rendermi conto di ciò che sto facendo. Non sarai stato tanto pazzo da nascondere quell'individuo?».
«Utterson, giuro davanti a Dio», gridò il dottore, «giuro davanti a Dio che non poserò più lo sguardo su di lui. Ti do la mia parola d'onore che non ho più nulla a che fare con lui in questo mondo. È tutto finito. E del resto lui non ha bisogno del mio aiuto; tu non lo conosci come lo conosco io; lui è al sicuro, perfettamente al sicuro, e non se ne sentirà più parlare».
L'avvocato ascoltava con aria cupa; non gli piaceva il tono febbrile con cui il suo amico si esprimeva. «Sembri molto sicuro di lui», disse; «e nel tuo interesse spero che tu abbia ragione. Se si arrivasse a un processo, il tuo nome potrebbe venir fuori».
«Sono sicuro di lui», rispose Jekyll; «ho i miei motivi per essere così sicuro che però non posso comunicare a nessuno. Ma c'è una cosa sulla quale potresti darmi un consiglio. Ho... ho ricevuto una lettera, e non so se devo farla vedere alla polizia. Vorrei consegnarla a te, Utterson; tu sapresti giudicare con saggezza, ne sono certo; ho una grande fiducia in te».
«Tu temi, suppongo, che possa portare al suo arresto?», chiese l'avvocato.
«No», disse l'altro. «Devo dire che non mi preoccupa ciò che capiterà a Hyde. Con lui ho chiuso. Pensavo piuttosto alla mia reputazione che questa brutta storia ha messo a repentaglio».
Utterson rimuginò per un po'; era sorpreso dall'egoismo dell'amico e al tempo stesso ne provava sollievo. «Bene», disse infine, «fammi vedere la lettera».
La lettera era scritta in una calligrafia piuttosto diritta e bizzarra ed era firmata «Edward Hyde». Diceva, brevemente, che il benefattore dello scrivente, il dottor Jekyll, la cui generosità era stata da lui così mal ripagata, non doveva assolutamente preoccuparsi della sua salvezza poiché egli aveva mezzi per scappare su cui poteva contare. All'avvocato la lettera piacque: dava un'idea dei rapporti fra i due uomini migliore di quanto avesse pensato e si rimproverò d'aver nutrito in passato dei sospetti.
«Hai la busta?», domandò.
«L'ho bruciata», rispose Jekyll, «senza pensare a cosa stavo facendo. Ma non aveva timbro postale. L'hanno portata a mano».
«Posso tenerla e dormirci sopra?», chiese Utterson.
«Desidero che sia tu a decidere, in tutto e per tutto», fu la risposta. «Io ho perso ogni fiducia in me stesso».
«Beh, ci penserò», rispose l'avvocato. «E adesso ancora una cosa: è stato Hyde a dettare le clausole del testamento relative alla tua sparizione?».
Sembrò che il dottore fosse preso da un'improvvisa spossatezza; serrò le labbra e annuì.
«Lo sapevo», disse Utterson. «Voleva ammazzarti. L'hai scampata bella».
«Ciò che me ne è venuto è stata una lezione», replicò il dottore con aria solenne. «Oh Dio, che lezione ho avuto, Utterson!». E per un attimo si copri la faccia con le mani.
Mentre stava uscendo, l'avvocato si fermò per scambiare qualche parola con Poole. «A proposito», disse, «oggi hanno portato a mano una lettera; che aspetto aveva l'uomo che l'ha consegnata?». Ma Poole fu esplicito: quello che era arrivato era arrivato solo per posta, «ed erano solo circolari», aggiunse.
Quest'informazione ridestò i timori del visitatore. La lettera doveva essere arrivata attraverso la porta del laboratorio; forse era stata scritta nello studio stesso. E se era così, la faccenda doveva essere giudicata sotto una luce diversa e trattata con maggior cautela. Lungo la strada sentì gli strilloni che gridavano a voce altissima: «Edizione speciale. Orribile assassinio di un deputato». Ecco l'orazione funebre di un amico e cliente; e Utterson non poté fare a meno di provare una certa inquietudine al pensiero che il buon nome di un altro amico potesse venir risucchiato nel vortice di uno scandalo. Era una decisione perlomeno delicata quella che doveva prendere, e per quanto avesse solitamente fiducia in se stesso, cominciò a desiderare il consiglio di qualcuno. Non era un consiglio da chiedere direttamente, ma forse, pensò, lo si poteva ottenere per via indiretta.
Poco dopo era a casa seduto vicino al caminetto, in compagnia del signor Guest, suo primo impiegato, che sedeva di fronte a lui, e in mezzo a loro, a una distanza dal fuoco opportunamente calcolata, c'era una bottiglia di vino vecchio che era rimasta per lungo tempo in cantina lontano dalla luce. La nebbia ancora incombeva sulla città intorpidita, dove i lampioni luccicavano come carbonchi; e attraverso quelle nubi basse che attutivano e soffocavano i suoni la vita della città scorreva lungo le grandi arterie con il rumore di un vento possente. Ma la stanza era allegra alla luce del fuoco. Nella bottiglia gli acidi si erano disciolti da tempo; il colore imperiale si era attutito ed era diventato più pastoso, come avviene con le vetrate dipinte; e la luce dei caldi pomeriggi autunnali sui vigneti dei colli vicini stava per dilagare e disperdere le nebbie di Londra. Pian piano l'avvocato si lasciò andare e decise di parlare della faccenda al signor Guest. Non c'era nessun'altra persona con cui serbasse meno segreti e non era poi tanto sicuro di mantenere nemmeno quelli che avrebbe voluto. Guest era stato parecchie volte dal dottore per motivi di lavoro, conosceva Poole ed era sicuramente venuto a sapere della familiarità con cui Hyde frequentava la casa; avrebbe potuto trarne delle conclusioni. Non valeva quindi la pena di mostrargli la lettera che metteva a posto le cose in quel mistero? e soprattutto, considerato che Guest era uno studioso e un esperto di grafologia, non avrebbe considerato l'iniziativa come un gesto naturale e cortese? L'impiegato era inoltre una persona saggia e sicuramente avrebbe fatto qualche osservazione nel leggere un documento così strano; e in base alle sue osservazioni il signor Utterson avrebbe potuto regolare la sua futura condotta.
«È stata una brutta storia quella di Sir Danvers», disse.
«Sì, signore, davvero molto brutta. Ha fatto molto scalpore tra la gente», rispose Guest. «Quell'uomo era chiaramente pazzo».
«Desidererei sentire il suo parere al riguardo», replicò Utterson. «Ho qui uno scritto di suo pugno. Glielo dico in confidenza, perché non so proprio cosa farne. È un brutto affare, comunque vada. Eccolo qui, proprio quel che ci vuole per lei: l'autografo di un assassino».
Gli occhi di Guest brillarono, si sedette e cominciò a studiarlo con passione. «No, signore, non è un pazzo», disse, «anche se la scrittura è strana».
«E anche chi l'ha scritto è strano», aggiunse l'avvocato.
In quel momento entrò un domestico con un biglietto.
«È del dottor Jekyll, signore?», domandò l'impiegato. «Mi è sembrato di riconoscere la calligrafia. Si tratta di qualcosa di privato, signor Utterson?».
«Soltanto un invito a cena. Perché? Vuole vederlo?».
 «Solo un istante. La ringrazio, signore». L'impiegato mise i due fogli l'uno vicino all'altro e li confrontò con grande attenzione. «Grazie, signore», disse alla fine restituendoli; «è un autografo molto interessante».
Ci fu una pausa durante la quale il signor Utterson dovette lottare con se stesso. Improvvisamente gli chiese: «Perché li ha confrontati, Guest?».
«Ecco, signore», rispose l'impiegato, «c'è una rassomiglianza piuttosto insolita; le due calligrafie sono identiche in molti punti, solo l'inclinazione è diversa».
«Molto strano», disse Utterson.
«Sì, davvero molto strano», replicò Guest.
«Non vorrei far sapere di questo biglietto, lei mi capisce», disse l'avvocato.
«No, signore, capisco benissimo», disse l'impiegato.

Quella sera, non appena fu solo, il signor Utterson chiuse il biglietto nella cassaforte, dove rimase da allora in poi. «Ma come!», pensò, «Henry Jekyll contraffà la firma di un assassino». E il sangue gli si gelò nelle vene.


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