martedì 21 novembre 2017

132 Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde – capitolo 6 (di Robert Louis Stevenson)



È passato del tempo dal delitto di sir Danvers Carew: il signor Hyde è scomparsa nel nulla e il dottor Jekyll riprende la sua vita piacevole di sempre. Ma dopo due mesi tutto precipita e ancora l’avvocato Utterson si ritrova preda di molti dubbi sul suo amico Jekyll, che è ritornato a isolarsi nel suo studio e non vuole più vedere nessuno. Su di lui grava l’influenza misteriosa del signor Hyde, l’assassino? Di certo l’avvocato sente diminuire la sua amicizia per il dottor Jekyll.

IL GRAVE INCIDENTE DEL DOTTOR LANYON
Il tempo passò; fu offerta una taglia di parecchie migliaia di sterline, perché la morte di Sir Danvers era stata avvertita come un'offesa pubblica; ma il signor Hyde era inspiegabilmente scomparso, come se non fosse mai esistito. Si scavò nel suo passato che risultò assolutamente ignobile: vennero alla luce narrazioni sulla sua crudeltà, malvagia e violenta, sulla sua vita abbietta, sui suoi strani complici, sull'odio che sembrava aver circondato la sua esistenza; ma, su dove fosse attualmente, non un cenno. Da quando aveva lasciato la sua casa di Soho il mattino del delitto, era letteralmente scomparso.
A poco a poco, col passare dei giorni, i timori che avevano angosciato il signor Utterson cominciarono ad attutirsi ed egli ritrovò un po' di tranquillità. A suo modo di vedere, la morte di Sir Danvers era più che compensata dalla scomparsa del signor Hyde. Ora che quell'influenza malvagia era stata rimossa, per il dottor Jekyll era cominciata una nuova vita. Era uscito dall'isolamento, aveva ripreso i contatti con gli amici, era tornato ad essere per loro l'ospitale padrone di casa di un tempo. Se prima era ben conosciuto per le opere di carità, ora non lo era meno per lo spirito religioso. Era sempre in movimento, trascorreva molto tempo all'aria aperta, faceva del bene; il suo volto sembrava illuminato dall'intima consapevolezza di essere d'aiuto al prossimo. Per più di due mesi il dottore visse in pace.
L'otto gennaio Utterson cenò a casa del dottore con un piccolo gruppo di amici. Lanyon era fra questi, e lo sguardo del padrone di casa passava dall'uno all'altro come accadeva ai vecchi tempi quando i tre erano amici inseparabili. Il dodici e di nuovo il quattordici l'avvocato si vide negare l'accesso. «Il dottore è chiuso in casa», disse Poole, «e non riceve nessuno». Il quindici Utterson tentò di nuovo, ma ancora una volta non fu ricevuto. Poiché negli ultimi due mesi si era abituato a vedere l'amico quasi tutti i giorni, l'essere di nuovo solo gli sembrò pesante. Il quinto giorno invitò Guest a cena, e il sesto si recò dal dottor Lanyon.
Lì, almeno, fu ricevuto; ma entrando rimase sconvolto dal cambiamento che era avvenuto nel dottore: portava scritta sulla faccia la sua condanna a morte. Quell'uomo dal colorito roseo era diventato mortalmente pallido; la carne si era ritirata dal corpo; era visibilmente diventato più vecchio e più calvo. E tuttavia non furono tanto questi segni d'un veloce decadimento fisico a impressionare l'avvocato, quanto una luce negli occhi e il comportamento che sembrava rivelare un terrore profondamente radicato nella mente. Era improbabile che il dottore temesse la morte, eppure era proprio questo che Utterson era portato a pensare. «Sì», si diceva, «è medico e quindi si rende conto delle sue condizioni fisiche e dei pochi giorni che gli restano; e questo non riesce a sopportarlo». Ma quando Utterson accennò al suo brutto aspetto, fu con grande dignità che il dottor Lanyon dichiarò di essere un uomo finito.
«Ho avuto un colpo terribile dal quale non mi rimetterò più», disse. «È questione di settimane. La vita è stata bella, l'ho amata, sì, l'ho amata molto. Ma talvolta penso che, se sapessimo tutto, non ci dispiacerebbe poi tanto andarcene».
«Anche Jekyll è malato», osservò Utterson. «L'hai visto?».
Il volto di Lanyon si trasformò e la mano che aveva alzata prese a tremare. «Non voglio più vedere o sentir parlare del dottor Jekyll», disse con voce alta e malferma. «Non voglio più aver a che fare con quella persona; e ti prego di risparmiarmi qualunque allusione a uno che io considero morto».
«Ma via!», fece il signor Utterson; poi, dopo una lunga pausa: «C'è qualcosa che io possa fare?», domandò. «Noi tre siamo amici da moltissimo tempo, Lanyon, e non vivremo tanto a lungo da farcene degli altri».
«Assolutamente nulla», rispose Lanyon; «chiedilo a lui».
«Non vuole vedermi», disse l'avvocato.
«Non mi sorprende», fu la risposta, «Un giorno, quando sarò morto, Utterson, forse verrai a sapere i torti e le ragioni di questa faccenda. Io non posso dirteli. E nel frattempo, se ce la fai a restare e a conversare con me di altre cose, per amor di Dio, resta; ma se ti è impossibile evitare questo argomento maledetto, allora, in nome di Dio, vattene perché io non posso sopportarlo».
Appena arrivò a casa, Utterson si mise al tavolino e scrisse a Jekyll lamentandosi di non essere stato ricevuto e chiedendogli il motivo di quell'infelice rottura con Lanyon. Il giorno seguente gli arrivò la risposta, lunga, patetica nel tono, oscura e qua e là misteriosa nel significato. Il dissidio con Lanyon era insanabile. «Non biasimo il nostro vecchio amico», scriveva Jekyll, «e condivido il suo parere che noi non dobbiamo incontrarci mai più. D'ora in avanti intendo vivere in totale isolamento. Se la mia porta rimarrà spesso chiusa anche per te, non deve stupirti, né devi dubitare della mia amicizia. Devi lasciarmi andare per la mia strada oscura. Mi sono tirato addosso una punizione e un pericolo che non posso confessare. Se sono il più infame dei peccatori, sono anche il più infelice dei sofferenti. Non credevo che su questa terra potessero esistere terrori e sofferenze così inumani. Tu puoi fare una sola cosa, Utterson, per alleviare il mio destino, ed è rispettare il mio silenzio». Utterson era sconcertato. La nefasta influenza di Hyde era stata rimossa, il dottore era ritornato agli impegni e ai piaceri d'un tempo; solo una settimana prima il suo futuro sembrava promettere una vecchiaia serena e onorata, ed ecco, in un attimo, amicizia, tranquillità d'animo, la vita stessa stavano naufragando. Un mutamento così grande e improvviso faceva pensare alla pazzia; ma alla luce delle parole e del comportamento di Lanyon c'era da sospettare qualcosa di più nascosto.
Una settimana dopo il dottor Lanyon si mise a letto e in meno di due settimane era morto. La notte dopo il funerale che l'aveva così profondamente addolorato, Utterson chiuse a chiave la porta dello studio e, sedutosi alla luce di una malinconica candela, tirò fuori una busta scritta e sigillata dall'amico morto. C'era un'annotazione piuttosto solenne: «PERSONALE: da consegnare SOLO nelle mani di J.G. Utterson e da distruggere senza leggere in caso di sua morte». L'avvocato tremò al pensiero di leggerne il contenuto. «Oggi ho seppellito un amico», pensò, «e se questa lettera dovesse costarmi la perdita di un altro?». Ma allontanò questo timore come un atto di slealtà e ruppe il sigillo. Dentro c'era un'altra busta, anch'essa sigillata, con la scritta «Da non aprire fino alla morte o alla scomparsa del Dottor Henry Jekyll». Utterson non poteva credere ai suoi occhi. Sì, c'era scritto «scomparsa»; anche qui, come in quel folle testamento che da tempo aveva restituito al suo autore, anche qui si affacciava l'idea della scomparsa in connessione col nome di Henry Jekyll. Ma là, nel testamento, l'idea era nata dai perfidi suggerimenti di Hyde e vi era stata messa con uno scopo fin troppo evidente e malvagio. Ma qui, scritta da Lanyon, che cosa poteva significare? Il fiduciario fu preso dalla curiosità di trasgredire il divieto e di buttarsi a capofitto in quei segreti, ma l'etica professionale e la lealtà verso l'amico morto erano doveri a cui non poteva sottrarsi, e la busta rimase a dormire nell'angolo più riposto della sua cassaforte personale.
Ma una cosa è tener sotto controllo la propria curiosità, altro è vincerla, ed è molto dubbio che da quel giorno Utterson desiderasse la compagnia dell'amico rimastogli con la stessa intensità. Pensava a lui con affetto, ma i pensieri erano venati dall'inquietudine e dal timore. Si recò ancora a casa sua, ma provò quasi sollievo quando non gli fu concesso di entrare; forse in cuor suo preferiva conversare con Poole sui gradini dell'ingresso, circondato dall'aria e dai rumori della città, piuttosto che essere introdotto in quella casa di schiavitù volontaria e sedersi a parlare con il suo enigmatico recluso. In realtà Poole non aveva notizie piacevoli da comunicare. A quanto sembrava, il dottore viveva relegato, ora più che mai, nello studio sopra il laboratorio, dove talvolta rimaneva anche a dormire. Era depresso, parlava poco, non leggeva; pareva avere qualche preoccupazione profonda. Utterson fece abitudine a questi resoconti sempre uguali e a poco a poco diminuì la frequenza delle visite.



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