giovedì 15 febbraio 2018

164 Il funerale del canarino (di Philip Roth)



Il professor Murray Ringold, vecchio insegnante di inglese, racconta a un suo ex allievo, Nathan Zuckerman, la storia del suo fratello minore Ira, di cui Nathan è stato amico. Nel brano qui riportato narra in particolare un episodio accaduto nel 1920 nel quartiere italiano di Newark, dove un vecchio calzolaio decise di organizzare un pomposo funerale per l’essere da lui più amato: il suo canarino Jimmy!
Il brano è tratto dal romanzo “Ho sposato un comunista”, pubblicato da Einaudi con la traduzione di Vincenzo Mantovani.

- Conosci la storia del funerale del canarino in quello che una volta era il primo distretto, quando uno dei calzolai del posto seppellì il suo canarino? Questo ti farà capire com’era tosto Ira… e quanto poco lo era. Fu nel 1920. Io avevo tredici anni e Ira sette, e in Boyden Street, a due strade dalla nostra casa popolare, c’era un ciabattino, Russomanno, Emidio Russomanno, un vecchio dall’aria misera, piccino, con due grandi orecchie e una faccia smunta e la barba bianca sul mento e, sulle spalle, un abito liso di cent’anni prima. Russomanno, per avere un po’ di compagnia, teneva in bottega un canarino. Il canarino si chiamava Jimmy e Jimmy visse a lungo e poi Jimmy mangiò qualcosa che non avrebbe dovuto mangiare e morì.
- Russomanno era distrutto, e allora ingaggiò una fanfara da parate, noleggiò un carro funebre e due carrozze tirate da cavalli, e dopo che il canarino venne esposto in una specie di camera ardente sopra un banco della bottega – con tanto di fiori, candele e un crocifisso – ci fu una processione per le strade dell’intero distretto, una processione che passò davanti al negozio di generi alimentari Del Guercio, dove avevano i frutti di mare fuori nelle ceste e una bandiera americana in vetrina, davanti al banco di frutta e verdura Melillo, davanti al forno Giordano, davanti al forno Mascellino, davanti all’Arre’s Italian Tasty Crust Bakery. Passò davanti alla macelleria Biondi e alla selleria De Lucca e al garage De Carlo e al Caffè D’Innocenzo e alla calzoleria Parisi e al negozio di biciclette Nole e alla latteria Celentano e alla sala biliardi Grande e al salone di barbiere Basso e al salone di barbiere Esposito e al banchetto dei lustrascarpe con le due poltrone vecchie e graffiate per accomodarsi nelle quali i clienti dovevano montare sull’alta pedana.
- Tutto sparito da quarant’anni. Nel ’53 il municipio sventrò l’intero quartiere italiano per far posto a una fungaia di alti palazzoni popolari ad affitto moderato. Nel ’94 fecero saltare i palazzoni davanti alla tivù. Ormai non ci viveva più nessuno da una ventina d’anni. Inabitabili. Oggi non resta più nulla. St. Lucy e basta. L’unica cosa che è rimasta in piedi. La chiesa parrocchiale, ma senza parrocchia e senza parrocchiani.
- Il Caffè Nicodemi nella Settima Avenue e il Caffè Roma nella Settima Avenue e la banca D’Auria della Settima Avenue. Era la banca dove, prima che scoppiasse la seconda guerra mondiale, concedevano crediti a Mussolini. Quando Mussolini invase l’Etiopia, il prete suonò le campane della chiesa per mezz’ora. Qui in America, nel primo distretto di Newark.
- Il pastificio e la fabbrica di addobbi e il marmista e il teatro di marionette e il cinematografo e i campi di bocce e la fabbrica di ghiaccio e la tipografia e i vari circoli e ristoranti. Davanti al ritrovo abituale del gangster Ritchie Boiardo, il Victory Café. Negli anni Trenta, quando uscì di prigione, Boiardo costruì il Vittorio Castle all’angolo dell’Ottava con Summer. Quelli del mondo dello spettacolo venivano apposta da New York per cenare al Castle. Il Castle è dove Joe DiMaggio andava a mangiare quando veniva a Newark. Il Castle è dove DiMaggio e la sua ragazza fecero la festa di fidanzamento. Era dal Castle che Boiardo spadroneggiava sul primo distretto. Ritchie Boiardo dominava gli italiani nel primo distretto e Longy Zwillman dominava gli ebrei nel terzo distretto, e questi due gangster erano sempre in guerra.
- Davanti alla dozzina di bar del quartiere il corteo si snodò da est a ovest, a nord su per una strada e a sud giù per quella dopo, fino ai Bagni Municipali di Clifton Avenue: il modello architettonico più stravagante del primo distretto dopo la chiesa e la cattedrale, la sede dei vecchi e massicci bagni pubblici dove mia madre ci portava a fare il bagno da bambini. Ci andava anche mio padre. Doccia gratis e un soldino per l’asciugamano.
- Il canarino venne messo in una piccola bara bianca issata sulle spalle di quattro portatori. Si radunò una grande folla, lungo il percorso della processione si schierarono forse diecimila persone. La gente si pigiava sulle scale antincendio e sui tetti delle case. Intere famiglie si sporgevano dalle finestre delle case popolari per assistere allo spettacolo.
- Russomanno viaggiava nella carrozza dietro la bara, Emidio Russomanno che piangeva mentre tutti gli altri abitanti del primo distretto ridevano. Qualcuno rideva così forte che finì èer rotolarsi per terra. Ridevano tanto da non riuscire a stare in piedi. Ridevano persino i portatori. Era contagioso. Rideva il tizio che guidava il carro funebre. In segno di rispetto verso il padrone del canarino, la gente sul marciapiede si sforzava di resistere fino a quando era passata la carrozza di Russomanno, ma per la maggior parte dei presenti era troppo comico, specie per i bambini.
- Il nostro era un piccolo quartiere brulicante di bambini: bambini nei vicoli, bambini pigiati sui gradini dei portoni, bambini che uscivano a frotte dalle case popolari e correvano da Clifton Avenue fino a Broad Street. Per tutto il giorno e, d’estate, per metà della notte si potevano sentire questi bambini che gridavano: - Guaglio’! Guaglio’! – Ovunque uno volgesse lo sguardo, bande di bambini, battaglioni di bambini: che tiravano monetine, giocavano a carte, facevano rotolare i dadi, giocavano a biliardo, leccavano gelati, giocavano a palla, accendevano falò, spaventavano le bambine. Solo le suore armate di righello potevano controllare questi bambini. Migliaia e migliaia erano, tutti sotto i dieci anni. Ira era uno di loro. Migliaia e migliaia di rissosi bambinetti italiani, i figli degli italiani che posavano i binari della ferrovia e lastricavano le strade e scavavano le fogne, i figli dei venditori ambulanti e degli operai di fabbrica e degli straccivendoli e dei baristi. Bambini chiamati Giuseppe e Rodolfo e Raffaele e Gaetano, e un solo bimbo ebreo chiamato Ira.
- Be’, gli italiani si divertivano un mondo. Non avevano mai visto una cosa come il funerale di quel canarino. E non videro mai più una cosa simile. Certo, c’erano già stati cortei funebri prima di quello, e bande che suonavano marce funebri e persone in lutto che riempivano le strade. Tutto l’anno c’erano feste con processioni per tutti quei santi che si erano portati dall’Italia, centinaia e centinaia di persone che veneravano lo speciale santo della loro congregazione religiosa mettendosi tutte in ghingheri, sventolando lo stendardo ricamato del patrono e portando ceri grossi come cavacopertoni. E per Natale c’era il presepio di Santa Lucia, la copia di un villaggio napoletano che rappresentava la nascita di Gesù, popolato da cento statuine italiane comprendenti Maria, Giuseppe e il Bambino. C’erano gli zampognari italiani che sfilavano con un Bambino di gesso e, dietro il Bambino, la gente in processione che cantava inni natalizi in italiano. E nelle strade gli ambulanti che vendevano le anguille per la cena della vigilia. La gente usciva in folla per le manifestazioni religiose, e attaccava biglietti da un dollaro al mantello della statua di gesso del santo del momento, e dalle finestre delle case faceva piovere petali di fiori come i coriandoli di nastro per telescrivente di Wall Street. Liberavano anche uccelli dalle gabbie, colombe che volavano impazzite sopra la folla da un palo del telefono all’altro. Quando c’era la festa del patrono queste colombe forse avrebbero voluto non avere mai visto l’esterno di una gabbia.
- Per la festa di San Michele gli italiani vestivano una coppia di bambine da angioletti. Dalle scale antincendio ai lati della strada le facevano dondolare sopra la gente con le corde alle quali le bambine erano attaccate. Esili bimbette in camicia bianca con l’aureola e un paio d’ali sulle spalle, e la folla ammutoliva, intimidita, quando comparivano lassù, recitando una preghiera; e quando le bambine avevano finito di essere degli angeli la folla andava in delirio. Era in quel momento che liberavano le colombe ed era in quel momento che esplodevano i fuochi artificiali e qualcuno finiva all’ospedale con due dita in meno.
- Spettacoli vivaci come questi, dunque, non erano una novità per gli italiani del primo distretto. Buffi personaggi, stramberie del vecchio continente, chiasso e liti, pittoresche esibizioni: niente di nuovo. E nuovi non erano di certo i funerali. Durante l’epidemia influenzale era morta tanta gente che si erano dovute allineare le bare sulla strada. Millenovecentodiciotto. Le imprese di pompe funebri non ce la facevano più. dietro le bare, lunghi i tre chilometri di strada fino allo Holy Sepulcher Cemetery, le processioni da St. Lucy si susseguivano per tutta la giornata. Per i bambini piccoli c’erano delle minuscole bare. Per seppellire tuo figlio dovevi aspettare il tuo turno: dovevi aspettare che, prima, i tuoi vicini seppellissero il loro. Terrore indimenticabile per un bambino. Eppure, due anni dopo l’epidemia d’influenza il funerale di Jimmy il canarino… Be’, quello li batté tutti.
- Tutti, quel giorno, si sbellicarono dalle risa. Tutti tranne uno. Ira fu il solo, a Newark, a non apprezzare lo scherzo. Io non riuscii a spiegarglielo. Ci provai, ma stentava a capire. Perché? Forse perché era stupido, o forse perché non lo era. Forse, semplicemente, non amava le carnevalate: molti utopisti sono così. O forse dipendeva dal fatto che nostra madre era morta qualche mese prima e anche noi avevamo avuto il nostro funerale, al quale Ira non avrebbe voluto partecipare. Lui avrebbe preferito scendere in strada e prendere a calci un pallone, e mi pregò di non costringerlo a cambiarsi per andare al cimitero. Cercò addirittura di nascondersi in un armadio. Ma alla fine dovette venire con noi. Provvide mio padre a convincerlo. E al cimitero rimase là a guardarci mentre noi la seppellivamo, ma si rifiutò di darmi la mano e non mi permise di abbracciarlo. Si limitò a scoccare occhiate bieche all’indirizzo del rabbino. A guardarlo in cagnesco. Non volle essere toccato, né confortato da nessuno. E non pianse, non versò una lacrima. Era troppo arrabbiato per piangere.
- Ma quando morì il canarino al funerale risero tutti, tutti tranne Ira. Ira conosceva Jimmy solo per essere passato davanti alla bottega del ciabattino mentre andava a scuola e per averne visto la gabbia in vetrina. Non credo che fosse mai entrato nella bottega e tuttavia, a parte Russomanno, fu l’unico dei presenti a sciogliersi in lacrime.
- Quando io scoppiai a ridere (perché era buffo, Nathan, molto buffo), Ira perse ogni controllo. Fu la prima volta che lo vidi comportarsi così. Alzò i pugni e si mise a gridare. Era, già allora, un bambino grande e grosso, e io non riuscii a immobilizzarlo, e tutt’a un tratto lo vidi avventarsi su un paio di ragazzi accanto a noi che stavano, anche loro, ridendo come pazzi, e quando mi chinai per sollevarlo e impedirgli di farsi massacrare da una torma di monelli, uno dei suoi pugni mi colpì sul naso. Mi ruppe il naso qui alla radice, un bambino di sette anni. Sanguinavo, quel maledetto naso si era rotto, evidentemente, e Ira allora scappò via.
- Non lo trovammo fino al giorno dopo. Aveva dormito dietro la distilleria di Clifton Avenue. Non era la prima volta. Nel cortile, sotto il piano di caricamento. La mattina mio padre lo trovò là. Lo prese per la collottola e lo trascinò per tutta la strada fino all’aula della scuola dov’era già cominciata la lezione. Quando i compagni lo videro, con quella tuta sporca in cui aveva passato la notte, scaraventato nell’aula da suo padre, cominciarono a gridare «Uee-uee», e da allora quello fu, per mesi, il nomignolo di Ira. Uee-uee Ringold. Il ragazzo ebreo che aveva pianto al funerale del canarino.
- Per fortuna, Ira era sempre più grosso degli altri ragazzi della sua età, ed era forte, e sapeva giocare a pallone. Ira sarebbe stato un grande atleta, se non fosse stato per gli occhi. Se riuscì a farsi rispettare, in quel quartiere, fu perché era un bravo giocatore di pallone. Ma le risse? Da allora in poi fu una rissa dopo l’altra. Fu in quel periodo che nacque il suo estremismo.
- Fu una fortuna, sai, che non fossimo cresciuti con gli ebrei poveri del terzo distretto. Crescendo nel primo distretto, Ira per gli italiani fu sempre un estraneo, uno spaccone giudeo, e così, per grosso, forte e bellicoso che fosse, Boiardo non gli riconobbe mai le doti di una possibile recluta della mafia. Ma nel terzo distretto, tra gli ebrei, avrebbe potuto andare diversamente. Là Ira non sarebbe stato il reietto ufficiale del branco. Se non altro per la sua taglia, avrebbe probabilmente richiamato l’attenzione di Longy Zwillman. Da quanto mi risulta, Longy, che aveva dieci anni più di Ira, gli somigliava molto, da ragazzo: grosso, ostile e rabbioso, anche lui aveva abbandonato gli studi, affrontava impavido ogni rissa e aveva l’autorità di chi sa usare il cervello. Nel contrabbando degli alcolici, nel gioco, nelle macchine a gettone, sui docks, nel movimento operaio e nell’edilizia, Longy alla fine fece una bella carriera. Ma anche quando arrivò al vertice, quando era socio di Bugsy Siegel, di Lansky e di Lucky Luciano, i suoi amici più fidati erano quelli con i quali era cresciuto nelle strade, ragazzi ebrei del terzo distretto come lui, per i quali un nonnulla era una provocazione. Niggy Rutkin, il suo giustiziere. Sam Katz, la sua guardia del corpo. George Goldstein, il suo contabile. Billy Tiplitz, il responsabile delle scommesse. Doc Stacher, la sua calcolatrice. Abe Lew, il cugino di Longy, dirigeva per lui il sindacato commessi negozi al dettaglio. Cristo, e Meyer Ellenstein, un altro ragazzo di strada del ghetto del terzo distretto? Quando fu eletto sindaco di Newark, Ellenstein per Longy diresse il municipio. O quasi.
- Ira avrebbe potuto diventare uno dei giannizzeri di Longy, pronto a sbrigare lealmente tutti i loro «lavoretti». Era maturo per il reclutamento. Non ci sarebbe stato nulla di aberrante: quei ragazzi erano destinati a diventare dei criminali. Era il passo logico successivo. Avevano dentro quella violenza che è una tattica indispensabile, nelle bande, per ispirare timore e battere la concorrenza. Ira avrebbe potuto cominciare giù a Port Newark, scaricando dai motoscafi il whiskey di contrabbando proveniente dal Canada per accatastarlo nei camion di Longy, e avrebbe potuto finire, come Longy, con una villa da miliardario a West Orange e una corda al collo.
- Com’è tutto casuale, vero? Chi possiamo diventare, in che modo… Fu solo per una piccola casualità della geografia che Ira non ebbe mai l’occasione di incontrare Longy. L’occasione d’intraprendere una brillante carriera usando lo sfollagente sui concorrenti di Longy, mettendo i clienti di Longy con le spalle al muro, sorvegliando i tavoli da gioco nei casinò di Longy. L’occasione di concluderla testimoniando per un paio d’ore davanti alla commissione Kefauver prima di tornare a casa e d’impiccarsi.






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