martedì 28 febbraio 2017

51 Il fantasma di Canterville - parte 1 (di Oscar Wilde)


IL FANTASMA DI CANTERVILLE
Un romance material-idealista


1
Quando il signor Hiram B. Otis, ministro degli Stati Uniti, acquistò Canterville Chase, tutti gli dissero che stava commettendo una grande sciocchezza, pin quanto il luogo era senza dubbio infestato dagli spiriti. Lo stesso lord Canterville, persona scrupolosissima in materia d'onore, si era sentito in dovere di fargli presente la realtà dei fatti, quando giunse il momento di discutere le condizioni di acquisto col signor Otis.
«Neppure noi abbiamo più avuto il coraggio di abitarvi» spiegò lord Canterville «da quando la mia prozia, la vecchia duchessa di Bolton, si spaventò in modo tale che le prese un attacco di nervi dal quale non si riebbe mai completamente, per colpa di due mani scheletriche che le si posarono sulle spalle mentre si stava vestendo per scendere a pranzo. Mi sento tenuto a precisarle, signor Otis, che il fantasma è stato visto da diversi membri della mia famiglia tuttora viventi, come pure dal rettore della parrocchia, il reverendo Augustus Dampier, che è docente del King's College di Cambridge. Dopo il disgraziato incidente toccato alla duchessa, nessuna delle domestiche giovani volle più restare al nostro servizio, e persino lady Canterville stentava a prendere sonno, la notte, a causa dei misteriosi rumori che provenivano dal corridoio e dalla biblioteca».
«Mio egregio lord», fu la risposta del ministro «sono disposto a comprare in un solo blocco suppellettili e fantasma. Io sono nato in un paese moderno dove col denaro si può acquistare tutto, e con i nostri intraprendenti giovani che mettono a soqquadro il vostro vecchio mondo, e vi soffiano via le vostre migliori attrici e le vostre primedonne, sono certo che se in Europa esistesse davvero uno spettro, ce lo saremmo portato a casa nostra già da un pezzo e lo avremmo collocato in bella mostra in qualche museo o in qualche baraccone da fiera».
«Ho il convincimento che il fantasma esista realmente», replicò lord Canterville sorridendo, «per quanto può dirsi che abbia resistito alle offerte dei vostri dinamici impresari. È conosciuto da tre secoli, anzi dal 1584, per essere esatti, e non manca mai di fare la sua comparsa prima della morte di un membro della nostra famiglia».
«In quanto a questo, lord Canterville, egli si comporta come il medico di famiglia. Sta di fatto che i fantasmi non esistono e non credo che le leggi della natura subiscano speciali alterazioni per riguardo all'aristocrazia britannica».
«Certo in America siete tutti estremamente pratici», rispose lord Canterville che non aveva pienamente afferrato il senso dell'ultima frase detta da Mister Otis, «e se non le importa di avere uno spettro in casa, per me fa lo stesso. Però la prego di tenere presente che io l'ho avvertita».
Poche settimane dopo questo colloquio la compravendita del castello fu perfezionata, e al termine della stagione il ministro e la sua famiglia andarono a stabilirsi a Canterville Chase. Miss Otis, quando era la signorina Lucrezia R. Tappan, della Cinquantatreesima Strada Ovest, era stata una famosa bellezza nuovayorkese; ora era un'avvenente donna di mezza età, con due occhi magnifici e un profilo superbo. Molte signore americane, non appena abbandonano il loro paese natale, adottano un'aria da ammalate croniche, forse ritenendo che ciò sia una forma di raffinatezza europea: Miss Otis non era mai caduta in questo errore. Godeva di una salute di ferro e possedeva una vera miniera di meravigliosi istinti animali. A dire il vero, sotto molti punti di vista poteva essere scambiata per una inglese autentica, costituiva un fulgido esempio del fatto che noi in realtà abbiamo tutto in comune con gli americani, tranne, naturalmente, la lingua. Suo figlio maggiore, battezzato Washington dai genitori in un momento di patriottismo di cui egli non cessò mai di rammaricarsi, era un bel giovane biondo, che si era fatto strada nella diplomazia americana ballando il cotillon per tre stagioni consecutive al Casinò di Newport, ed anche a Londra era ben noto come ottimo ballerino. Le sue sole debolezze erano le gardenie e i titoli nobiliari. Per il resto, era un ragazzo di grande buon senso. Miss Virginia E. Otis era una ragazzina di quindici anni, graziosa e fragile come una cerbiatta, con una bella espressione di sicurezza e d'indipendenza nei grandi occhi azzurri. Era una meravigliosa amazzone, e aveva corso due volte in gara con lord Bolton attorno al parco, superandolo di una lunghezza e mezza, proprio di fronte alla statua di Achille, e suscitando un entusiasmo indescrivibile nel giovane duca di Cheshire, che le si era dichiarato seduta stante ed era stato rimandato a Eton quella sera stessa dai suoi tutori, in un torrente di lacrime. Dopo Virginia venivano i gemelli, soprannominati di solito "Stelle e Strisce" perché assaggiavano frequentemente il tocco della frusta. Erano due ragazzi simpaticissimi e, con la sola eccezione del degno ministro, i soli veri repubblicani della famiglia.
Poiché Canterville Chase dista sette miglia da Ascot, che è la stazione ferroviaria più vicina, il signor Otis aveva telegrafato perché venissero a  prenderli con una giardiniera, e tutta la famiglia si accomodò di ottimo umore sui sedili, per la breve scarrozzata. Era una deliziosa sera di giugno e l'aria era fragrante del profumo acuto dei pini. Di quando in quando si udiva il dolce richiamo del colombo selvatico o si intravvedeva, affondato tra le felci fruscianti, il petto dorato di un fagiano.
Gli scoiattoli occhieggiavano incuriositi al loro passaggio dall'alto dei faggi, e i conigli saltellavano per il sottobosco e su per i poggi muscosi, le candide code all'aria.
Non appena gli Otis ebbero imboccato il viale di Canterville Chase, il cielo si coprì all’improvviso di nuvole fosche, una strana immobilità parve imprigionare l'aria, un gran volo di corvi passò silenzioso sul loro capo e prima che raggiungessero la dimora grosse gocce di pioggia incominciarono a cadere.
A riceverli sulla soglia del castello trovarono una vecchia donna con un dignitoso abito di seta nera, con una cuffia e un grembiule bianco. Era la signora Umney, la governante che la signora Otis aveva acconsentito a tenere al proprio servizio per espressa richiesta di lady Canterville. La signora Umney fece a ciascuno un profondo inchino mentre scendevano di vettura e disse loro con un garbo compito e antiquato: «Vi auguro il benvenuto a Canterville Chase».
Seguendo i suoi passi, i membri della famiglia Otis passarono dal bel vestibolo in stile Tudor nella biblioteca che era una sala lunga e bassa rivestita di quercia nera, all'estremità della quale si trovava una grande finestra istoriata. Il tè era già apparecchiato su un tavolino e quelli, dopo essersi tolti gli spolverini da viaggio, presero a guardarsi intorno, mentre la signora Umney si occupava di loro.
A un tratto la signora Otis notò una macchia di colore rosso opaco che imbrattava il pavimento proprio vicino al caminetto e, senza rendersi minimamente conto di quel che in realtà significasse, l'additò alla signora Umney soggiungendo: «Credo che laggiù sia stato versato qualcosa».
«Infatti signora», rispose la vecchia governante sottovoce, «è stato versato del sangue, in quel punto».
«Che orrore!» gridò la signora Otis. «Non mi piace affatto che ci siano macchie di sangue in un salotto: bisogna farla togliere immediatamente».
La vecchia sorrise e disse con lo stesso tono di voce basso e misterioso: «È il sangue di lady Eleonore de Canterville, che fu assassinata in quel punto preciso dal proprio marito, sir Simon de Canterville, nel 1575. Sir Simon le sopravvisse di nove anni e poi scomparve subitamente in circostanze assai misteriose. Il suo corpo non è mai stato rinvenuto, ma il suo spirito peccatore vaga tuttora per il castello. La macchia di sangue è stata sempre molto ammirata da turisti e visitatori, e non è possibile toglierla».
«Sciocchezze!» gridò Washington Otis. «L’impareggiabile super-smacchiatore e detergente Pinkerton la farà sparire in due secondi», e prima che la governante, terrorizzata, avesse il tempo di aprire bocca, il giovanotto era già per terra e stava fregando energicamente il pavimento con un bastoncino che pareva una specie di cosmetico nero. Effettivamente, pochi istanti dopo, ogni traccia di sangue era scomparsa.
«Ero sicuro che il Pinkerton avrebbe dato un risultato immediato» esclamò il giovane trionfante, lanciando occhiate di soddisfazione ai congiunti che lo guardavano ammirati; ma aveva appena proferite queste parole che un tremendo guizzo di folgore luccicò nella sala buia e un pauroso scoppio di tuono li fece balzare in piedi; la signora Umney cadde a terra svenuta.
«Che clima spaventoso» osservò calmo il ministro, accendendosi un lungo sigaro. «Credo dipenda dall'eccesso di popolazione che affligge il vecchio continente e non permette una distribuzione uniforme per tutti i fenomeni atmosferici. Io sono sempre stato del parere che soltanto l'emigrazione può rimettere in sesto l'Inghilterra».
«Mio caro Hiram», esclamò la moglie «che cosa ce ne facciamo di una donna che sviene alla minima sciocchezza?».
«La multiamo, come si fa per la rottura delle stoviglie», le rispose il ministro, «vedrai che non sverrà più, d'ora in poi". E infatti di lì a pochi istanti la signora Umney si riebbe di colpo. La povera donna era indubbiamente fuori di sé, e con rotte parole supplicò il signor Otis di stare in guardia, che qualche guaio grosso si preparava a colpire il castello.
«Ho visto cose terribili con questi miei poveri occhi, signore; cose che farebbero rizzare i capelli in testa ad ogni buon cristiano. E quante notti insonni ho passato per i fenomeni spaventosi che si verificano in questa casa!».

Sia Mister Otis che sua moglie rassicurarono la brava donna che essi non avevano nessunissima paura dei fantasmi; e dopo aver invocato le benedizioni della Provvidenza sui suoi nuovi padroni e domandato un aumento di salario, la vecchia governante si ritirò a passi barcollanti nella propria camera.

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