martedì 28 febbraio 2017

56 Il fantasma di Canterville - parte 6 (di Oscar Wilde)



6.
Circa dieci minuti più tardi suonò la campana per il tè, e poiché Virginia non si fece vedere, la signora Otis mandò di sopra uno dei valletti a cercarla. Ma questi tornò di lì a poco dicendo che non aveva trovato la signorina Virginia da nessuna parte. Poiché essa aveva l'abitudine di scendere ogni sera in giardino a raccogliere fiori per la tavola, la signora Otis non si preoccupò affatto, a tutta prima, ma quando scoccarono le sei e Virginia non comparve ancora, cominciò ad agitarsi seriamente, e mandò i ragazzi a cercarla, mentre lei e il signor Otis frugavano ogni angolo della casa. Alle sei e mezzo i ragazzi tornarono senza aver trovato la minima traccia della sorella. Erano tutti, ora, in uno stato di grande agitazione e non sapevano più che fare e dove andare, quando il signor Otis si rammentò a un tratto di aver dato il permesso, pochi giorni prima, ad una tribù di zingari di accamparsi nel parco. Partì quindi subito per Blackfell Hollow, dove si trovavano gli zingari, una spedizione composta di lui stesso, di suo figlio maggiore e di due garzoni di fattoria. Il piccolo duca di Cheshire, che l'angoscia aveva reso letteralmente pazzo, supplicò disperatamente che gli fosse concesso di accompagnarli, ma il signor Otis non glielo permise perché temeva che ci sarebbe stato un po' di parapiglia. Giunto però sul posto, non gli rimase che constatare che gli zingari se ne erano andati, e anzi, a giudicare dalle apparenze, la loro partenza doveva essere recente e determinata da cause improvvise, perché il fuoco da campo era ancora acceso e sul prato erano sparse vettovaglie. Mandò allora Washington e i due uomini a frugare la regione, mentre egli correva a casa a spedire telegrammi a tutti gli ispettori di polizia della Contea, supplicandoli di ricercare una fanciulla che doveva essere stata certamente rapita da una banda di zingari o di vagabondi. Fece sellare il cavallo e, dopo aver insistito perché sua moglie e i figli si mettessero a tavola, si avviò lungo la strada di Ascot accompagnato da un ragazzo di scuderia. Non aveva percorso un paio di miglia quando sentì un risuonare di zoccoli alle sue spalle: si volse e vide che il giovane duca di Cheshire lo aveva raggiunto in groppa al suo puledro, tutto infuocato in viso e senza berretto. «La supplico Mister Otis» lo implorò il ragazzo «ma io non posso mangiare finché Virginia non è stata ritrovata. La prego, non sia in collera con me. Se lei ci avesse permesso di fidanzarci l'anno scorso questa disgrazia non sarebbe successa. Non mi rimanderà indietro, vero? Non posso tornare indietro, non voglio!».
Il ministro non poté trattenersi dal sorridere alla vista di quel monello così pieno di ardire e di grazia giovanile; lo commuoveva anche profondamente la sua devozione per Virginia: si chinò dunque sulla sella, gli batté amichevolmente sulle spalle e gli disse: «Va bene, Cecil, se non vuoi proprio tornare indietro immagino che dovrò lasciarti venire con me, però appena saremo ad Ascot bisognerà che ti trovi un cappello!».
«Io voglio trovare Virginia, altro che cappello!» ribatté il giovane duca ridendo, e insieme proseguirono al galoppo verso la stazione ferroviaria. Lì giunti, il signor Otis si informò presso il capostazione se fosse stata vista sulla banchina una ragazza corrispondente alla descrizione che fece di Virginia, ma nessuno seppe dirgli nulla di preciso. Il capostazione si affrettò tuttavia a telefonare a tutti i posti di servizio della linea e gli assicurò che si sarebbe fatto l'impossibile per trovarla. Dopo aver acquistato un cappello per il giovane duca presso un mercante di articoli vari che stava per chiudere i battenti, il signor Otis proseguì la sua corsa a cavallo verso Bexley, un villaggio distante circa quattro miglia, che gli era stato descritto come una delle località preferite di solito dagli zingari, essendo situato presso una grossa borgata. Andarono a svegliare la guardia campestre, ma non poterono ottenere da lei alcuna informazione utile, e dopo avere perlustrato l'intera borgata puntarono i musi dei loro cavalli sulla via di casa e furono di ritorno alla Chase verso le undici di sera, stanchi morti e col cuore affranto. Washington e i gemelli li stavano aspettando alla cancellata muniti di lanterne, poiché il viale era completamente al buio. Di Virginia neppure la minima traccia. Gli zingari furono sopresi in un campo a Brockley, ma la fanciulla non era con loro, ed essi poterono spiegare la loro partenza improvvisa giustificandosi di essersi sbagliati sulla data della fiera di Chorton: se ne erano andati in fretta e furia per timore di arrivarvi in ritardo. Anzi, si erano mostrati molto addolorati nell'apprendere la scomparsa di Virginia, poiché erano molto riconoscenti al signor Otis che aveva permesso loro di accamparsi nel parco, e quattro di essi erano rimasti indietro per aiutare nelle ricerche. Lo stagno delle carpe era stato sondato, l'intera località era stata perlustrata da cima a fondo, ma senza alcun risultato. Era evidente che, per qualche notte almeno,
Virginia era perduta per loro e fu in uno stato di profonda depressione che il signor Otis e i ragazzi si avviarono verso il castello, seguiti dal garzone di scuderia che teneva per la briglia i due cavalli e il puledro. Nel vestibolo trovarono un gruppo di domestici spaventati, e sul divano del salotto la signora Otis, quasi fuori di sé per la paura e l'inquietudine, che si faceva bagnare continuamente la fronte dalla vecchia governante di casa con compresse d'acqua di colonia. Il signor Otis volle che sua moglie si sforzasse a mangiare qualcosa a tutti i costi e ordinò la cena per l'intera famiglia. Fu un pasto malinconico, nessuno parlò; persino i gemelli erano ammutoliti e desolati perché erano affezionatissimi alla loro sorellina. Quando ebbero finito di pranzare, malgrado le suppliche e le preghiere del piccolo duca, Mister Otis volle che andassero tutti quanti a coricarsi perché, disse, quella notte non restava nulla di meglio da fare; il mattino seguente avrebbe telefonato subito a Scotland Yard perché gli mandassero al più presto degli agenti investigativi. Proprio nel momento in cui uscivano dalla sala da pranzo, la mezzanotte incominciò a rintoccare dall'orologio della torre e quando scoccò l'ultimo colpo si sentì un boato e un grido subitaneo, acutissimo: uno spaventevole scoppio di tuono scosse la casa, un accordo di musica celeste echeggiò nell'aria, un pannello in cima alla scalinata si spalancò con grande fragore, e sul pianerottolo apparve Virginia, pallida e bianca, con un piccolo scrigno tra le mani. In un attimo tutti le furono intorno. La signora Otis la strinse appassionatamente a sé, il duca quasi la soffocò di baci, mentre i gemelli eseguivano intorno al gruppo una selvaggia danza guerriera.
«Ma in none di Dio, bambina, dove sei stata?» gridò il signor Otis furibondo, poiché pensava che sua figlia si fosse divertita a giocare loro un brutto scherzo. «Cecil ed io abbiamo corso per tutta la Contea in cerca di te, e tua madre è quasi morta di paura. Non devi più fare tiri del genere!».
«Tranne che al fantasma! Tranne che al fantasma!» urlarono i gemelli, mentre balzellavano tutt’intorno, continuando le loro capriole.
«Tesoro mio! Grazie al cielo sei di nuovo qui con noi! Non devi più staccarti da me!» mormorò la signora Otis baciando la figliola che tremava tutta, e lisciando l'oro arruffato dei suoi capelli.
«Papà», spiegò Virginia con voce tranquilla, «sono stata col fantasma. Adesso è morto e bisogna che tutti voi veniate a vederlo. È stato molto cattivo, ma si è sinceramente pentito di tutto il male che ha commesso, e mi ha dato questa bellissima scatola piena di gioielli, prima di morire».
Tutti la fissarono sbalorditi, ma Virginia era molto calma e seria e, volgendosi, li guidò attraverso l'apertura formatasi nel rivestimento di legno giù per un angusto corridoio segreto: Washington illuminava il cammino con una candela accesa che aveva tolto dalla tavola. Giunsero infine a una grande porta di quercia tempestata di borchie rugginose. Non appena Virginia l'ebbe toccata, questa girò su pesanti cardini e tutti si trovarono in una stanzetta bassa, dal soffitto a volta, munita di un'unica finestrella a grata. Un enorme anello di ferro era infisso nel muro e incatenato ad esso stava un lunghissimo scheletro, disteso in tutta la sua lunghezza sul pavimento di pietra: pareva stesse cercando di afferrare con le dita rattrappite una brocca e un tagliere di foggia antica, che erano stati messi fuori dalla sua portata. La brocca doveva essere stata piena d'acqua, un tempo, perché era coperta internamente di una muffa verdastra. Sul tagliere non era rimasto che un mucchietto di polvere. Virginia s'inginocchiò accanto allo scheletro, e congiungendo le sue piccole mani prese a pregare in silenzio, mentre gli altri stavano a contemplare stupefatti la terribile tragedia il cui segreto era finalmente chiaro a tutti.
«Ehi!» esclamò a un tratto uno dei gemelli, che si era messo a guardare fuori della finestra per cercare di capire in quale ala del castello si trovasse precisamente quella stanza. «Guardate un po'! Il vecchio mandorlo secco è tutto un boccio! Vedo benissimo i fiori alla luce lunare».
«Dio gli ha perdonato!» disse gravemente Virginia, levandosi in piedi, e una luce soprannaturale parve per un attimo illuminarle il volto.

«Tu sei un angelo!» gridò il giovane duca e, gettandole le braccia al collo, la baciò.


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