martedì 28 febbraio 2017

54 Il fantasma di Canterville - parte 4 (di Oscar Wilde)



4.
Il giorno seguente il fantasma si sentì molto debole e stanco. La tremenda eccitazione di quelle ultime quattro settimane incominciava a produrre i suoi effetti. Aveva i nervi terribilmente scossi e trasaliva al minimo rumore. Si barricò in camera sua per cinque giorni consecutivi e alla fine decise di rinunciare al puntiglio della macchia di sangue sul pavimento della biblioteca. Dopo tutto, se la famiglia Otis non ne voleva sapere, era segno che non se la meritava. Si trattava chiaramente di individui appartenenti a un piano di esistenza basso e materialistico, del tutto incapaci di apprezzare il valore simbolico dei fenomeni sensibili. La questione delle apparizioni spettrali e lo sviluppo dei corpi astrali era, si capisce, una faccenda completamente diversa che sfuggiva al suo controllo. Era suo preciso dovere apparire nel corridoio una volta la settimana e borbottare parole sconnesse presso il grande finestrone, il primo e il terzo mercoledì di ogni mese, e non vedeva come avrebbe potuto onorevolmente sottrarsi a questi obblighi. Era verissimo che la sua era stata una vita malvagia, ma in tutte le cose attinenti al soprannaturale era di una coscienziosità estrema. Pertanto, nei tre sabati successivi seguitò ad attraversare come al solito il corridoio tra la mezzanotte e le tre del mattino, prendendo tutte le precauzioni per non essere né visto né udito. Si tolse gli stivali, cercò di camminare il più lievemente possibile sulle vecchie tavole del pavimento rose dai tarli, si avvolse in un ampio mantello di velluto nero, e fece uso del Lubrificante Solare per oliare le sue catene. Devo ammettere che il povero fantasma si rassegnò ad adottare quest'ultimo mezzo di protezione soltanto dopo lunghe esitazioni. Ma una notte, mentre la famiglia dormiva, entrò di soppiatto nella camera del signor Otis e ne asportò un flacone. A tutta prima si sentì un poco umiliato, ma aveva in definitiva sufficiente buon senso per riconoscere che si trattava di un ritrovato tutt'altro che disprezzabile e che in un certo qual modo serviva al suo scopo. Ma nonostante tutti questi riguardi, non era certo lasciato in pace. Incappava sempre in corde tese da una parte all'altra del corridoio, nelle quali inciampava al buio, e una volta che si era vestito nel costume di "Isacco il Nero", ovvero "Il Cacciatore della Foresta di Hogley", cadde malamente per essere scivolato su un piano inclinato tutto cosparso di burro che i gemelli avevano avuto cura di costruire dall'ingresso della Sala degli Arazzi fino alla sommità della scalinata di quercia. Quest'ultimo insulto lo mise in un furore tale che risolse di compiere un ultimo sforzo per tentare di affermare la propria dignità e la propria posizione sociale, e decise di far visita a quei due sfacciati studentelli di Eton, la notte seguente, nel suo celebre personaggio di "Rupert il Temerario", ovvero "Il Conte Decapitato".
Erano più di settant'anni che non faceva la sua apparizione in quel travestimento, da quando, precisamente, aveva talmente spaventato la graziosa lady Barbara Modish che questa aveva rotto il proprio fidanzamento con il nonno dell'attuale lord Canterville, ed era scappata a Gretna Green con il bellissimo Jack Castleton, dichiarando che per nulla al mondo si sarebbe rassegnata ad imparentarsi a una famiglia che permetteva ad un fantasma tanto mostruoso di passeggiare su e giù per la terrazza all'ora del crepuscolo. Il povero Jack era stato in seguito ucciso in un duello alla pistola da lord Canterville sul prato comunale di Wandsworth, e lady Barbara era morta di crepacuore a Tunbridge Wells prima della fine di quell'anno, cosicché, tutto sommato, il suo era stato un enorme successo. Si trattava però di una parte estremamente difficile, se è lecito adoperare un'espressione del gergo teatrale a proposito di uno dei più grandi misteri del soprannaturale, o per usare un termine più scientifico, dell'universo extranaturale, e gli ci vollero tre ore buone per i preparativi. Alla fine ogni cosa fu pronta, ed egli si sentì molto soddisfatto del suo aspetto. I grossi stivali di cuoio intonati al vestito erano un tantino troppo grandi per lui, e delle due pistole da sella che gli sarebbero servite ne poté trovare una sola; ma nel complesso era contento, perciò all'una e un quarto scivolò silenziosamente fuori del rivestimento di legno della parete e si avviò strisciando lungo il corridoio. Arrivato alla stanza occupata dai gemelli - che, sia detto tra parentesi, si chiamava la camera da letto azzurra a causa del colore dei suoi cortinaggi - trovò l'uscio socchiuso. Desiderando fare un ingresso teatrale, la spalancò del tutto con un gran colpo, ma nello stesso  momento un'enorme brocca d'acqua gli cadde addosso, bagnandolo fino alle midolla, e soltanto per qualche centimetro la sua spalla sinistra non fu colpita in pieno. Contemporaneamente si sentirono dal gran letto a due piazze risatine e squittii di allegria soffocati a stento tra le coperte. La scossa portata al suo sistema nervoso fu talmente forte che il poveretto volò alla propria camera più svelto che poté, e il giorno dopo dovette starsene a letto con un raffreddore tremendo. La sola cosa che lo consolava un poco in quella triste faccenda, era il fatto che per fortuna non si era portato la testa con sé, perché in caso contrario le conseguenze sarebbero state molto più gravi.
Da quella notte rinunciò ad ogni ulteriore tentativo d'incutere spavento a quella volgare famiglia americana, e si accontentò, di regola, di strisciare nei corridoi calzato di pantofole dalle suole di feltro, con una grossa sciarpa di lana rossa al collo per timore delle correnti d'aria e un minuscolo archibugio, in caso di attacco da parte dei gemelli. Ma l'ultimo colpo che egli doveva essere costretto a subire gli capitò il 19 settembre. Era sceso nel grande vestibolo centrale, sicuro che lì almeno nessuno lo avrebbe molestato, e si stava divertendo a fare commenti satirici sulle grandi fotografie di Saroni fatte al ministro degli Stati Uniti e a sua moglie, che avevano adesso preso il posto dei ritratti della famiglia Canterville. Era avvolto semplicemente ma lindamente in un lungo sudario, maculato qua e là con muschio di cimitero, si era legata la mascella con una striscia di lino giallo, e recava in spalla una piccola lanterna e una vanga da becchino. Si era abbigliato infatti per la parte di "Jack l'Affossatore", ovvero "Il Ladro di Cadaveri di Chertsey Barn", una delle sue interpretazioni più notevoli, interpretazione che i Canterville avevano tutte le ragioni di ricordare perfettamente perché da essa aveva avuto origine, in realtà, la lite con il loro vicino lord Rufford. Erano circa le due e un quarto del mattino e, per quanto aveva potuto controllare, nella casa tutto era quiete e silenzio. Ma mentre si stava avviando tranquillamente in biblioteca, per vedere se vi era rimasta qualche traccia della macchia di sangue, ecco che improvvisamente gli sbucarono addosso da un angolo buio due figure che agitavano selvaggiamente le braccia sopra il capo e gli fecero "Buuu!" nell'orecchio.
Colto da un panico anche troppo naturale, date le circostanze, corse a precipizio su per le scale, ma ecco anche lì Washington Otis ad aspettarlo con in mano la grossa pompa che serviva ad annaffiare il giardino. Sentendosi braccato da ogni parte dai propri nemici, e quasi sul punto di soccombere, fece appena in tempo ad eclissarsi nella grande stufa di ferro, che fortunatamente per lui non era accesa, e fu costretto a mettersi in salvo per la strada dei comignoli e dei tetti, giungendo nella propria camera in uno stato pietoso di sporcizia, di disordine e di disperazione. Dopo di ciò non fu più visto in nessuna spedizione notturna. I gemelli gli fecero la posta per parecchio tempo, cospargendo ogni notte i corridoi di gusci di noce, con grande fastidio dei servitori e dei familiari, ma senza alcun risultato. Era stato talmente ferito nei suoi sentimenti più intimi, che disdegnava ormai di apparire, era evidente. Di conseguenza il signor Otis riprese a redigere la sua storia del Partito Democratico, un'opera grandiosa alla quale lavorava da anni; la signora Otis organizzò una festa campestre meravigliosa che stupì tutta la regione; i ragazzi si dettero ai giochi del lacrosse, dell’euchre, del poker e ad altri svaghi nazionali americani, e Virginia cavalcò per i prati sul suo puledro, accompagnata dal giovane duca di Cheshire che era venuto a Canterville Chase a trascorrervi l'ultima settimana di vacanza. Era opinione generale che il fantasma fosse scomparso, e il signor Otis scrisse una lettera a questo proposito a lord Canterville, il quale rispose esprimendo il proprio compiacimento per la notizia e inviò le sue sentite congratulazioni alla  gentile consorte del ministro.
Gli Otis in realtà s'ingannavano, perché il fantasma era sempre nella casa, e sebbene fosse oramai pressoché un povero invalido, era ben lungi dal volere lasciare andare le cose com'erano, tanto più da quando aveva saputo che tra gli ospiti si trovava il giovane duca di Cheshire, il cui prozio, lord Francis Stilton, aveva scommesso una volta cento ghinee con il colonnello Carbury che avrebbe giocato a dadi con il fantasma di Canterville, ed era stato trovato l'indomani disteso sul pavimento della sala da gioco, totalmente paralizzato: e benché fosse vissuto poi fino a tarda età, non fu più in grado di dire altro che: "Doppio sei!".Lo scandalo ebbe una certa risonanza all’epoca, per quanto, per rispetto ai sentimenti delle due nobili famiglie, si era fatto di tutto per mettere a tacere la cosa, e si possono anzi trovare tutti i particolari relativi a questo tragico evento nel terzo volume di lord Tattle intitolato Memorie del Principe Reggente e dei suoi amici. Il fantasma era dunque logicamente molto ansioso di far vedere che egli non aveva ancora perduta tutta la sua influenza sugli Stilton con i quali, per giunta, era lontanamente imparentato, avendo una sua prima cugina sposato in seconde nozze il sire di Bulkeley, dal quale, come tutti sanno, discendono in linea genealogica i duchi di Cheshire. Predispose quindi ogni cosa per comparire al piccolo innamorato di Virginia nella sua famosa parte del "Monaco Vampiro", ovvero "Il Benedettino Dissanguato", visione talmente orrenda che quando la vecchia lady Sartup la scorse, il che accadde in una fatale vigilia di capodanno dell'anno 1764, diede in acute strida di spavento che culminarono in un violento attacco di apoplessia, e la disgraziata nobildonna decedette in capo a tre giorni, dopo aver diseredato i Canterville che erano i suoi parenti più prossimi, e lasciando invece tutto il proprio denaro al suo farmacista di Londra. All'ultimo momento, tuttavia, l'incubo dei gemelli gli impedì di abbandonare la sua cameretta segreta nell'ala sinistra del castello, e il giovane duca dormì in pace i suoi rosei sonni sotto il baldacchino piumato della cosiddetta Camera Reale, e poté sognare di Virginia indisturbato.



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