martedì 28 febbraio 2017

57 Il fantasma di Canterville - parte 7 (di Oscar Wilde)



7.
Quattro giorni dopo il verificarsi di questi strani avvenimenti, un funerale mosse da Canterville Chase verso le undici di notte. Il carro funebre era tirato da otto cavalli neri, ciascuno dei quali recava in capo un gran ciuffo svolazzante di piume di struzzo, e il cofano di piombo era ricoperto di un ricco drappo color porpora sul quale erano ricamate in oro le insegne dei Canterville. Al lato del carro e degli equipaggi camminavano i domestici con torce accese: tutta la processione aveva un aspetto estremamente suggestivo. Lord Canterville apriva il corteo: era venuto apposta sin dal Galles per presenziare alle esequie e sedeva nel primo cocchio, insieme con la piccola Virginia.
Seguivano poi il ministro degli Stati Uniti e sua moglie, quindi Washington e i tre ragazzi, e finalmente nell'ultima vettura la signora Umney. Era opinione generale che, dal momento che la povera donna era stata spaventata dallo spettro per oltre cinquant'anni, aveva il diritto di accompagnarlo di persona alla sua ultima e definitiva dimora. Una grande fossa era stata scavata in un angolo del cimitero, proprio sotto il vecchio albero di tasso, e il rito funebre fu celebrato con grande solennità dal reverendo Augustus Dampier. Quando la cerimonia ebbe termine, i domestici, secondo un'antica tradizione della famiglia dei Canterville, spensero le torce e, mentre la bara veniva calata nella tomba, Virginia si fece innanzi e vi pose sopra una grande croce fatta di rami di mandorlo intrecciati, bianchi e rosa. In quel momento la luna uscì da dietro una nuvola, inondando della sua argentea silenziosa luce il piccolo cimitero, e da un boschetto lontano un usignolo prese a cantare. La fanciulla si rammentò della descrizione che il fantasma le aveva fatto del giardino della morte; i suoi occhi si riempirono di lacrime, e durante il ritorno a casa non proferì una sola parola.
Il mattino seguente, prima che lord Canterville rientrasse in città, il signor Otis volle avere un colloquio con l'antico proprietario del castello a proposito dei gioielli che il fantasma aveva regalato a Virginia. Si trattava di gioielli meravigliosi, soprattutto una certa collana di rubini con un'antica montatura alla veneziana, un esemplare veramente splendido di oreficeria del secolo sedicesimo, il cui valore era così enorme che il signor Otis provava grande scrupolo a permettere che sua figlia lo accettasse. «»
«Mio caro lord» disse a lord Canterville «so che nel suo paese la manomorta si applica non soltanto alla terra, ma a qualunque bagatella, perciò mi rendo perfettamente conto che questi gioielli sono, o perlomeno dovrebbero essere, eredità della sua famiglia. Io mi sento pertanto tenuto a chiederle di portarli a Londra con sé, e di considerarli semplicemente come una parte di beni di sua proprietà che le è stata restituita in circostanze insolite. In quanto alla mia figliola, non è che una bambina e per il momento non sente, per fortuna, alcuna inclinazione per inutili oggetti di lusso. Inoltre mia moglie, che in fatto di arte non è un'autorità da poco, avendo avuto il privilegio, da ragazza, di passare a Boston numerose stagioni invernali, mi ha fatto presente che si tratta di gemme di grande pregio monetario che potrebbero rendere immensamente se vendute ad un intenditore. Tenuto conto di tutto ciò, mio caro lord Canterville, sono certo che lei comprenderà benissimo come io non possa permettere che esse rimangano in possesso di un membro della mia famiglia. Del resto, orpelli e cianfrusaglie simili, per quanto adatti o necessari alla dignità dell'aristocrazia britannica, sarebbero assolutamente fuori luogo tra gente che è stata educata ai severi e secondo me immortali princìpi della semplicità repubblicana. La pregherei solamente di lasciarmi la scatola, perché Virginia è desiderosa di conservarla come ricordo del suo infelice e traviato antenato. D'altro canto è una scatola molto vecchia e in pessimo stato, e spero che non avrà alcuna difficoltà ad accondiscendere alla sua richiesta. Per quel che mi concerne, confesso che sono molto stupito che una mia figliola dimostri simpatia per una qualsivoglia forma di medievalismo, e posso spiegarmi la cosa solo con il fatto che Virginia è nata in uno dei vostri sobborghi londinesi poco dopo un viaggio di mia moglie ad Atene».
Lord Canterville stette ad ascoltare molto gravemente il discorso del degno ministro, tirandosi di tanto in tanto i baffi grigi per nascondere un sorrisetto involontario, e quando Mister Otis ebbe finito, gli strinse cordialmente la mano e disse: «Mio caro ministro, la sua graziosa figliola ha reso al mio sfortunato avo, sir Simon de Canterville, un servigio inestimabile, e la mia famiglia ed io ci sentiamo infinitamente in debito con lei per il coraggio e il sangue freddo che ha saputo dimostrare. È indubbio che i gioielli le appartengono sacrosantamente e, perbacco, io credo che se fossi tanto crudele da portarglieli via, quel sacripante di un mio trisavolo salterebbe fuori dalla sua tomba in capo a quindici giorni, e mi farebbe vedere i sorci verdi per tutto il resto della mia esistenza. In quanto al fatto che siano beni mobili spettanti per tradizione all'erede legale, non è ritenuto bene mobile per tradizione tutto quanto non è citato in un testamento o documento legale, e l'esistenza di queste gemme è sempre stata ignorata. Le garantisco di non avere maggiore diritto a reclamarli come miei di quanto non ne possa avere il suo maggiordomo, e quando la signorina Virginia sarà cresciuta, sono certo che sarà contenta di avere delle belle cose da mettersi indosso. Del resto, signor Otis, lei sta dimenticando di aver acquistato castello e fantasma in blocco, perciò qualunque cosa fosse appartenuta al fantasma diventava sua automaticamente: infatti, nonostante le attività che Sir Simon esercitava per i corridoi di notte, egli in realtà era morto dal punto di vista legale, e lei ha avuto la sua proprietà per diritto di regolare acquisto».
Il signor Otis si rammaricò moltissimo del rifiuto di lord Canterville, e lo pregò di recedere dalla sua decisione, ma l'onesto nobiluomo fu irremovibile. Infine il ministro si persuase ad accettare il dono che il fantasma aveva fatto a sua figlia, e quando nella primavera del 1890, la giovane duchessa di Cheshire fu presentata per la prima volta a Corte in occasione del suo matrimonio, i suoi gioielli furono l'oggetto dell'ammirazione generale. Virginia aveva infatti ricevuto la corona nobiliare, che è la meta più ambita di tutte le buone piccole bambine americane, sposandosi con il suo piccolo innamorato non appena questi aveva raggiunto la maggiore età. Erano entrambi così carini, e si volevano tanto bene, che tutti rimasero entusiasti di quel matrimonio, all'infuori della vecchia marchesa di Dumbleton, che aveva cercato di accalappiare il duca per una almeno delle sue sette figlie zitelle, e aveva dato a questo scopo non meno di tre costosissimi pranzi, e strano a dirsi, all'infuori dello stesso signor Otis.
Personalmente, il ministro degli Stati Uniti nutriva per il giovane duca una simpatia vivissima, ma in teoria era contrario ai titoli, e per usare le sue parole «aveva il timore che in mezzo alla debilitante influenza di un'aristocrazia assetata di piacere, i sani princìpi della semplicità repubblicana venissero a poco a poco dimenticati». Le sue obiezioni, tuttavia, furono smantellate a una a una, e io credo che mentre si avviava su per la navata della chiesa di San Giorgio, in Hanover
Square, con sua figlia al braccio, non c'era un uomo più orgoglioso di lui in tutta l'Inghilterra.
I giovani duchi, terminato il loro viaggio di nozze, vennero a Canterville Chase, e lo stesso giorno del loro arrivo, nel pomeriggio, si recarono al piccolo cimitero solitario presso la pineta. Dapprincipio vi erano state non poche difficoltà a proposito dell'iscrizione per la pietra tombale di sir Simon, ma alla fine si era deciso di incidervi sopra semplicemente le iniziali del vecchio gentiluomo, unitamente ai versi dipinti sulla finestra della biblioteca. La duchessa aveva portato con sé alcune rose bellissime che sparse sulla fossa, e dopo essere rimasti per qualche istante immersi in un raccoglimento silenzioso, i due giovani si avviarono passo passo verso il coro in rovina dell'antica abbazia. Qui la duchessa sedette su una colonna caduta, mentre suo marito le si accoccolò ai piedi a fumare una sigaretta e a guardarla nei dolcissimi occhi. Improvvisamente il giovane buttò la sigaretta, le prese una mano e le disse: «Virginia, una moglie non dovrebbe avere nessun segreto per il proprio marito!».
«Ma, mio caro Cecil! Io non ho segreti per te!».
«Sì, che ne hai» le rispose il giovane sorridendo. «Tu non mi hai mai detto quello che è accaduto quando ti sei chiusa lassù col fantasma».
«Non l'ho mai detto a nessuno, Cecil» rispose Virginia gravemente.
«Lo so, ma a me potresti dirlo».
«Oh, ti prego, non chiedermi nulla, Cecil, non posso dirtelo. Povero sir Simon. Io gli debbo moltissimo. Sì, non ridere, Cecil, è proprio come ti dico. Egli mi ha fatto comprendere che cos'è la vita, e che cosa significa la morte, e perché l'amore sia più forte dell'una e dell'altra».
Il duca si alzò e baciò appassionatamente sua moglie.
«Tieniti pure il tuo segreto fino a quando io potrò avere il tuo cuore» mormorò.
«Il mio cuore tu l'hai sempre avuto, Cecil».
«Però ai nostri bambini lo racconterai un giorno, vero?».
Virginia arrossì.







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