domenica 4 settembre 2016

6 La manifestazione del Primo Maggio - parte seconda (di Maksìm Gorkij)



È il seguito de LA MANIFESTAZIONE DEL PRIMO MAGGIO – prima parte

In fondo alla strada, la madre vedeva una parete grigia di uomini tutti uguali, senza volto, che chiudevano l’ingresso alla piazza.
Sulla spalla di ciascuno luccicava, fredda e sottile, la punta aguzza della baionetta. E da quella parete, immobile e silenziosa, spirava sugli operai una ventata gelida che colpiva il petto della donna e le penetrava nel cuore.
Ella si lanciò in mezzo alla folla, nel punto in cui le persone da lei conosciute che stavano accanto alla bandiera si confondevano con le sconosciute, come se si appoggiassero su di esse. Si trovò stretta, a fianco a fianco, a un uomo alto e rasato che, cieco da un occhio, per guardarla voltò la testa.
«Tu che fai? Chi sei?» le chiese.
«Sono la madre di Pavel Vlassov!» rispose lei, sentendo che le ginocchia cominciavano a tremarle e che il labbro inferiore si abbassava involontariamente.
«Ah!» esclamò l’uomo.
«Compagni!» gridava Pavel «Sempre avanti! non abbiamo altra via!»
Si fece silenzio, un silenzio di attesa. La bandiera si alzò, ondeggiò e, volteggiando come pensosa al di sopra della gente, mosse verso la grigia muraglia di soldati. La madre ebbe un brivido, chiuse gli occhi e mandò un’esclamazione soffocata. Pavel, Andréj, Sàmojlov e Mazin si staccarono, soli, dalla folla.
Ma nell’aria si levò, lenta e trepida, la voce fresca di Fédja Mazin che intonoò:

Voi cadeste vittime…

Gli fecero eco due voci, basse e dolenti come sospiri:

Nella lotta fatale…

La gente si mosse in avanti, camminando a passo cadenzato. E, imperiosa e risoluta, risonò la nuova canzone:

Tutto ciò che potevate
Per essa avete dato…

che si snodava come un nastro lucente dalla voce di Fédja.

Per la libertà…

fecero eco i compagni.
«Ah!» gridò malignamente qualcuno che stava in disparte «Cantano la messa funebre, questi figli di cani!»
«Dàgli, dàgli!» risonò una voce indignata.
La madre si strinse le mani al petto, si voltò indietro e vide che la folla, che prima occupava tutta la strada. Si era fermata esitante e guardava allontanarsi gli uomini con la bandiera. Li seguiva qualche diecina di persone, ma a ogni passo qualcuno si tirava in disparte, come se il terreno in mezzo alla strada fosse incandescente e scottasse i piedi.

Finiranno i soprusi…

profetizzava la canzone di Fédja.

Il popolo risorgerà…

rispondeva, minaccioso e sicuro, un coro di voci possenti.
Ma fra lo scorrere armonioso del canto si udivano voci sommesse:
«Ora dà il comando!»
«Crociatèt!» risonò un grido acuto.
E nell’aria scintillarono serpeggiando le baionette, si abbassarono e si allinearono di fronte alla bandiera. Pareva di scorgere nel loro scintillio un sorriso maligno…

«Ma-arch

«Vengono!» disse l’uomo cieco di un occhio e, cacciandosi le mani in tasca, si tirò in disparte a rapidi passi.
La madre guardava, guardava senza batter ciglio. La grigia onda dei soldati si mosse e, stendendosi per tutta la larghezza della strada, avanzò freddamente, portandosi dinanzi un rado pettine d’acciaio dai denti scintillanti. La madre si avvicinò a grandi passi al figlio e vide che Andréj camminava davanti a Pavel e lo riparava con il suo lungo corpo.
«Cammina di fianco, compagno!» gli gridò bruscamente Pavel.
Andréj cantava con le mani incrociate dietro la schiena e la testa alta. Pavel lo urtò sulla spalla e ripeté:
«Di fianco! Non hai il diritto di camminare davanti alla bandiera!»
«Scioglietevi!» ordinò con voce acuta un ufficialetto, agitando la sciabola lucente. Procedeva alzando molto le gambe e, senza piegare le ginocchia, batteva le suole a terra con aria provocante. Gli occhi della madre furono colpiti dalla lucentezza dei suoi stivali.
Di fianco a lui, ma un po’ indietro, camminava con passo pesante un uomo alto e rasato, dai grossi baffi bianchi, che indossava un lungo soprabito grigio, foderato di rosso, e larghi pantaloni dalle bande gialle. Anch’egli, come l’ucraino, teneva le mani dietro la schiena e fissava Pavel, sollevando le folte sopracciglia.
La madre vedeva una grande quantità di cose, dentro le urgeva un grido represso, pronto a prorompere a ogni sospiro, ma lei lo tratteneva serrandosi il petto con le mani. La spingevano, lei vacillava e andava avanti senza pensare, quasi priva di coscienza. Sentiva che la gente alle sue spalle si faceva sempre meno numerosa; la fredda ondata che avanzava la disperdeva…
Gli uomini della bandiera rossa e la siepe degli uomini grigi si avvicinavano sempre più; si scorgevano chiaramente i visi dei soldati, che formavano una stretta striscia di un giallo sudicio, mostruosamente appiattita per tutta la larghezza della strada, e screziata in maniera disuguale da occhi di diverso colore. Davanti scintillavano crudelmente le punte aguzze delle baionette. Rivolte contro il petto della gente, l’allontanavano senza neppur sfiorarla, e la disperdevano…
La madre udiva alle sue spalle lo scalpiccio di coloro che fuggivano. Voci soffocate e agitate gridavano:
«Scioglietevi, ragazzi!»
«Vlassov, fuggi!»
«Torna indietro, Pavlucha!»
«Butta la bandiera, Pavel!» disse con voce cupa Vessòvščikov «Dammela qui, la nascondo io!»
E afferrò l’asta con la mano; la bandiera ondeggiò all’indietro.
«Lascia!» urlò Pavel.
Nikolàj ritrasse la mano, come se gliel’avessero scottata. La canzone si spense. La gente si fermò, circondando Pavel, ma egli riuscì a farsi strada e ad andare avanti. Si fece un silenzio improvviso, assoluto, come se fosse caduto dall’alto ad avvolgere gli uomini di una nuvola trasparente.
Sotto la bandiera non c’erano più che una ventina di uomini, fermi e decisi, che attraevano a sé la madre, presa da un senso di paura per loro e da un confuso desiderio di dir loro qualcosa…
«Prendetegliela, tenente!» risonò la voce calma del vecchio alto che, con il braccio teso, indicava la bandiera.
L’ufficialetto si slanciò verso Pavel, afferrò l’asta con una mano e gli gridò con voce acuta:
«Lasciala!»
«Giù le mani!» disse forte Pavel.
La bandiera rossa tremò nell’aria, piegandosi a destra e a sinistra, poi, di colpo, si raddrizzò e l’ufficialetto, rimbalzando all’indietro, cadde a terra. Davanti alla madre passò, con insolita rapidità, Nikolàj con il braccio teso e il pugno serrato.
«Arrestateli!» urlò il vecchio, battendo il piede a terra.
Alcuni soldati si slanciarono in avanti. uno di essi agitò il calcio del fucile, la bandiera ebbe un fremito, si piegò da un lato e scomparve in mezzo al grigio gruppo dei soldati.
«Ah!» esclamò qualcuno con voce angosciata.
E la madre lanciò un urlo da belva. Le rispose, levandosi dal gruppo dei soldati, la voce limpida di Pavel:
«Arrivederci, mamma! Arrivederci, cara!»
“È vivo! Ha pensato a me…” gridò due volte, palpitando, il cuore della madre.
«Arrivederci, mammina!»
Sollevandosi sulla punta dei piedi, agitando le braccia, ella cercava di vederli e scorgeva al di sopra delle teste dei soldati il viso rotondo di Andréj che le sorrideva e la salutava…
«Figli miei! Andrjuša… Paša…» gridava la donna.
«Arrivederci, compagni!» salutarono ancora gli arrestati, tra la folla dei soldati.
Un’eco prolungata, rumorosa, fu la risposta. Risonò dalle finestre, da ogni parte, dall’alto dei tetti…

La repressione della rivoluzione russa del 1905 in un dipinto di Mark Beerdom; questo fatto storico può facilmente aver ispirato Maksìm Gorkij per la pagina che hai appena letto









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