Nel capitolo 8 di “Se questo è un uomo” Primo Levi racconta,
con apparente distacco, l’incredibile traffico che si svolge in Lager dei
prodotti che si possono rubare o contrabbandare, generalmente per un po’ di pane
o zuppa in più (camicie, sigarette, grasso da scarpe, cucchiai, scarpe …) e che
a volte interessano anche i civili che si trovano nel campo. Ma alla fine si
chiede: che senso hanno le parole “bene”, “male”, “giusto”, “ingiusto” in un
campo di concentramento, dove si baratta mezza razione di pane per un litro di
brodaglia, dove si contrabbanda tabacco fatto di schegge legnose, o dove l’oro
delle protesi dentarie viene strappato dalle mascelle dei vivi o dei morti
dalle stesse SS?
AL DI QUA DEL BENE E DEL MALE
Avevamo una incorreggibile
tendenza a vedere in ogni avvenimento un simbolo e un segno. Da ormai settanta
giorni si faceva attendere il Wäschetauschen, che è la cerimonia del cambio
della biancheria, e già circolava insistente la voce che mancava biancheria di
ricambio perché, a causa dell’avanzare del fronte (1), era preclusa ai tedeschi
la possibilità di fare affluire ad Auschwitz nuovi trasporti, e «perciò» la
liberazione era prossima; e parallelamente, la interpretazione opposta, che il
ritardo nel cambio era segno sicuro di una prossima integrale liquidazione del
campo. Invece il cambio venne, e, come al solito, la direzione del Lager pose
ogni cura perché avvenisse improvvisamente, e ad un tempo in tutte le baracche.
Bisogna sapere infatti che in
Lager la stoffa manca, ed è preziosa; e che l’unico modo che noi abbiamo di
procurarci uno straccio per nettarci il naso, o una pezza da piedi, è appunto
quello di tagliare un lembo di camicia al momento del cambio. Se la camicia ha
le maniche lunghe, si tagliano le maniche; se no, ci si accontenta di un
rettangolo dal fondo, o si scuce una delle numerose rappezzature. In ogni caso,
occorre un certo tempo per procurarsi ago e filo, e per eseguire l’operazione
con qualche arte, in modo che il guasto non sia troppo evidente all’atto della
consegna. La biancheria sporca e lacera passa alla rinfusa alla Sartoria del
campo, dove viene sommariamente rappezzata, indi alla disinfezione a vapore
(non al lavaggio!) e viene poi ridistribuita; da ciò, per salvaguardare la
biancheria usata dalle accennate mutilazioni, la necessità di fare avvenire i
cambi nel modo più improvviso.
Ma, sempre come al solito, non si
è potuto evitare che qualche sguardo sagace penetrasse sotto il telone del
carro che usciva dalla disinfezione, in modo che in pochi minuti il campo ha
saputo dell’imminenza di un Wäschetauschen, e per giunta, che questa volta si
trattava di camicie nuove, provenienti da un trasporto di ungheresi arrivato tre
giorni fa.
La notizia ha avuto immediata
risonanza. Tutti i detentori abusivi di seconde camicie, rubate od organizzate,
o magari onestamente comperate con pane per ripararsi dal freddo o per
investire capitale in un momento di prosperità, si sono precipitati alla Borsa,
sperando di arrivare in tempo a riscambiare con generi di consumo la loro
camicia di riserva prima che l’ondata delle camicie nuove, o la certezza del
loro arrivo, svalutassero irreparabilmente il prezzo dell’articolo.
La Borsa è attivissima sempre.
Benché ogni scambio (anzi, ogni forma di possesso) sia esplicitamente proibito,
e benché frequenti rastrellamenti di Kapos o Blockälteste (2) travolgano a
intervalli in un’unica fuga mercanti, clienti e curiosi, tuttavia, nell’angolo
nord-est del Lager (significativamente, l’angolo più lontano dalle baracche
delle SS), non appena le squadre sono rientrate dal lavoro, siede in permanenza
un assembramento tumultuoso, all’aperto d’estate, dentro un lavatoio d’inverno.
Qui si aggirano a decine, colle
labbra socchiuse e gli occhi rilucenti, i disperati della fame, che un istinto
fallace spinge colà dove le mercanzie esibite rendono più acre il rodimento
dello stomaco e più assidua la salivazione. Sono muniti, nel migliore dei casi,
della misera mezza razione di pane che, con sforzo doloroso, hanno risparmiato
fin dal mattino, nella speranza insensata che si presenti l’occasione di un
baratto vantaggioso con qualche ingenuo, ignaro delle quotazioni del momento.
Alcuni di questi, con selvaggia pazienza, acquistano colla mezza razione un
litro di zuppa, che, appartatisi, sottopongono alla metodica estrazione dei
pochi pezzi di patata giacenti sul fondo; ciò fatto, la riscambiano con pane, e
il pane con un nuovo litro da denaturare, e questo fino a esaurimento dei
nervi, o fino a che qualche danneggiato, coltili sul fatto, non infligga loro
una severa lezione, esponendoli alla derisione pubblica. Alla stessa specie
appartengono coloro che vengono in Borsa a vendere la loro unica camicia; essi
ben sanno quello che accadrà, alla prossima occasione, quando il Kapo
constaterà che sono nudi sotto la giacca. Il Kapo chiederà loro che cosa hanno
fatto della camicia; è una pura domanda retorica, una formalità utile soltanto
per entrare in argomento. Loro risponderanno che la camicia è stata rubata nel
lavatoio; anche questa risposta è di prammatica, e non pretende di essere
creduta; infatti anche le pietre del Lager sanno che, novantanove volte su
cento, chi non ha camicia se la è venduta per fame, e che del resto della
propria camicia si è responsabili, perché essa appartiene al Lager. Allora il Kapo
li percuoterà, verrà loro assegnata un’altra camicia, e presto o tardi
ricominceranno.
Ciascuno nel suo angolo consueto,
stazionano in Borsa i mercanti di professione; primi fra questi i greci,
immobili e silenziosi come sfingi, accovacciati a terra dietro alle gamelle di
zuppa densa, frutto del loro lavoro, delle loro combinazioni e della loro
solidarietà nazionale. I greci sono ormai ridotti a pochissimi, ma hanno
portato un contributo di prim’ordine alla fisionomia del campo, ed al gergo
internazionale che vi circola. Tutti sanno che «caravana» è la gamella, e che
«la comedera es buena» vuol dire che la zuppa è buona; il vocabolo che esprime
l’idea generica di furto è «klepsi-klepsi», di evidente origine greca. Questi
pochi superstiti della colonia ebraica di Salonicco, dal duplice linguaggio,
spagnolo ed ellenico, e dalle molteplici attività, sono i depositari di una
concreta, terrena, consapevole saggezza in cui confluiscono le tradizioni di tutte
le civiltà mediterranee. Che questa saggezza si risolva in campo con la pratica
sistematica e scientifica del furto e dell’assalto alle cariche, e con il
monopolio della Borsa dei baratti, non deve far dimenticare che la loro
ripugnanza dalla brutalità gratuita, la loro stupefacente coscienza del sussistere
di una almeno potenziale dignità umana, facevano dei greci in Lager il nucleo
nazionale più coerente, e, sotto questi aspetti, più civile.
Puoi trovare in Borsa gli
specializzati in furti alla cucina, con le giacche sollevate da misteriosi
rigonfi. Mentre per la zuppa esiste un prezzo pressoché stabile (mezza razione
di pane per un litro), la quotazione delle rape, carote, patate è estremamente
capricciosa, e dipende fortemente, fra altri fattori, anche dalla diligenza e
dalla corruttibilità dei guardiani di turno ai magazzini.
Si vende il Mahorca: il Mahorca è
un tabacco di scarto, in forma di schegge legnose, il quale è ufficialmente in
vendita alla Kantine, in pacchetti da cinquanta grammi, contro versamento dei
«buoni-premio» che la Buna dovrebbe distribuire ai migliori lavoratori. Tale
distribuzione avviene irregolarmente, con grande parsimonia e palese iniquità,
in modo che la massima parte dei buoni finiscono, direttamente o per abuso di
autorità, nelle mani dei Kapos e dei prominenti; tuttavia i buoni-premio della
Buna circolano sul mercato del Lager in funzione di moneta, e il loro valore è
variabile in stretta obbedienza alle leggi dell’economia classica (3).
Ci sono stati periodi in cui per
il buono-premio si è pagata una razione di pane, poi una e un quarto, anche una
e un terzo; un giorno è stato quotato una razione e mezza, ma poi è venuto meno
il rifornimento di Mahorca alla Kantine, e allora, mancando la copertura, la
moneta è precipitata di colpo a un quarto di razione. È successo un altro periodo di rialzo dovuto a una
singolare ragione: il cambio della guardia al Frauenblock (4), con arrivo di un
contingente di robuste ragazze polacche. Infatti, poiché il buono-premio è
valido (per i criminali e i politici: non per gli ebrei, i quali d’altronde non
soffrono della limitazione) per un ingresso al Frauenblock, gli interessati ne
hanno fatta attiva e rapida incetta: donde la rivalutazione, che per altro non
ebbe lunga durata.
Fra i comuni Häftlinge, non sono
molti quelli che ricercano il Mahorca per fumarlo personalmente; per lo più,
esso esce dal campo, e finisce ai lavoratori civili della Buna. È questo uno
schema di «kombinacja» assai diffuso: lo Häftling, economizzata in qualche modo
una razione di pane, la investe in Mahorca; si mette cautamente in contatto con
un «amatore» civile, che acquista il Mahorca effettuando il pagamento a
contanti, con una dose di pane superiore a quella inizialmente stanziata. Lo
Häftling si mangia il margine di guadagno, e rimette in ciclo la razione che
avanza. Speculazioni di questo genere stabiliscono un legame fra l’economia
interna del Lager e la vita economica del mondo esterno: quando è venuta
accidentalmente a mancare la distribuzione del tabacco alla popolazione civile
di Cracovia, il fatto, superando la barriera di filo spinato che ci segrega dal
consorzio umano, ha avuto immediata ripercussione in campo, provocando un netto
rialzo della quotazione del Mahorca, e quindi del buono-premio.
Il caso sopra delineato non è che
il più schematico: un altro già più complesso è il seguente. Lo Häftling
acquista mediante Mahorca o pane, o magari ottiene in dono, da un civile, un
qualunque abominevole, lacero, sporco cencio di camicia, il quale sia però
tuttora provvisto di tre fori adatti a passarvi bene o male le braccia e il
capo. Purché non porti che segni di usura, e non di mutilazioni artificiosamente
fatte, un tale oggetto, all’atto del Wäschetauschen, è valido come camicia, e
dà diritto al cambio; tutt’al più colui che lo esibisce potrà ricevere
un’adeguata dose di colpi per aver posto così poca cura nel conservare gli
indumenti di ordinanza.
Perciò, all’interno del Lager,
non v’è grande differenza di valore fra una camicia degna di tal nome e uno
straccio pieno di toppe; lo Häftling di cui sopra non avrà difficoltà a trovare
un compagno in possesso di una camicia in stato commerciabile, e che non possa
valorizzarla perché, per ragioni di ubicazione di lavoro, o di linguaggio, o di
intrinseca incapacità, non è in relazione con lavoratori civili. Quest’ultimo
si accontenterà di un modesto quantitativo di pane per accettare il cambio;
infatti il prossimo Wäschetauschen ristabilirà in certo modo il livellamento,
ripartendo biancheria buona o cattiva in maniera perfettamente casuale. Ma il
primo Häftling potrà contrabbandare in Buna la camicia buona, e venderla al
civile di prima (o ad un altro qualunque) per quattro, sei, fino a dieci
razioni di pane. Questo così elevato margine di guadagno rispecchia la gravità
del rischio di uscire dal campo con più di una camicia indosso, o di rientrarvi
senza camicia.
Molte sono le variazioni su questo
tema. C’è chi non esita a farsi estrarre le coperture d’oro dei denti per
venderle in Buna contro pane o tabacco; ma è più comune il caso che tale
traffico abbia luogo per interposta persona. Un «grosso numero», vale a dire un
nuovo arrivato, giunto da poco ma già a sufficienza abbrutito dalla fame e
dalla tensione estrema della vita in campo, viene notato da un «piccolo numero»
per qualche sua ricca protesi dentaria; il «piccolo» offre al «grosso» tre o
quattro razioni di pane in contanti per sottoporsi all’estrazione. Se il grosso
accetta, il piccolo paga, si porta l’oro in Buna, e, se è in contatto con un
civile di fiducia, dal quale non ci siano da temere delazioni o raggiri, può
realizzare senz’altro un guadagno di dieci fino a venti e più razioni, che gli
vengono corrisposte gradualmente, una o due al giorno. Notiamo a tale proposito
che, contrariamente a quanto avviene in Buna, quattro razioni di pane
costituiscono l’importo massimo degli affari che si concludono entro il campo,
perché quivi sarebbe praticamente impossibile sia stipulare contratti a
credito, sia preservare dalla cupidigia altrui e dalla fame propria una
quantità superiore di pane.
Il traffico coi civili è un
elemento caratteristico dell’Arbeitslager (5), e, come si è visto, ne determina
la vita economica. È d’altronde un reato, esplicitamente contemplato dal
regolamento del campo e assimilato ai reati «politici»; viene perciò punito con
particolare severità. Lo Häftling convinto di «Handel mit Zivilisten (6)», se
non dispone di appoggi influenti, finisce a Gleiwitz III, a Janina, a
Heidebreck (7) alle miniere di carbone; il che significa la morte per
esaurimento nel giro di poche settimane. Inoltre, lo stesso lavoratore civile
suo complice può venire denunziato alla competente autorità tedesca, e
condannato a trascorrere in Vernichtungslager (8), nelle stesse nostre
condizioni, un periodo variabile, a quanto mi consta, dai quindici giorni agli
otto mesi. Gli operai a cui viene applicato questo genere di contrappasso, vengono
come noi spogliati all’ingresso, ma i loro effetti personali vengono conservati
in un apposito magazzino. Non vengono tatuati e conservano i loro capelli, il
che li rende facilmente riconoscibili, ma per tutta la durata della punizione
sono sottoposti allo stesso nostro lavoro e alla nostra disciplina: escluse
beninteso le selezioni.
Lavorano in Kommandos
particolari, e non hanno contatti di alcun genere con i comuni Häftlinge.
Infatti per loro il Lager costituisce una punizione, ed essi, se non morranno
di fatica o di malattia, hanno molte probabilità di ritornare fra gli uomini;
se potessero comunicare con noi, ciò costituirebbe una breccia nel muro che ci
rende morti al mondo, ed uno spiraglio sul mistero che regna fra gli uomini
liberi intorno alla nostra condizione. Per noi invece il Lager non è una
punizione; per noi non è previsto un termine, e il Lager altro non è che il
genere di esistenza a noi assegnato, senza limiti di tempo, in seno all’organismo
sociale germanico.
Una sezione del nostro stesso
campo è destinata appunto ai lavoratori civili, di tutte le nazionalità, che
devono soggiornarvi per un tempo più o meno lungo in espiazione dei loro
rapporti illeciti con Häftlinge. Tale sezione è separata dal resto del campo
mediante un filo spinato, e si chiama E-Lager, ed E-Häftlinge se ne chiamano
gli ospiti. «E» è l’iniziale di «Erziehung», che significa «educazione».
Tutte le combinazioni finora
delineate sono fondate sul contrabbando di materiale appartenente al Lager. Per
questo le SS sono così rigorose nel reprimerlo: l’oro stesso dei nostri denti è
di loro proprietà, poiché, strappato dalle mascelle dei vivi o dei morti, tutto
finisce presto o tardi nelle loro mani. È
dunque naturale che esse si adoperino affinché l’oro non esca dal campo.
Ma contro il furto in sé, la direzione
del campo non ha alcuna prevenzione. Lo dimostra l’atteggiamento di ampia
connivenza, manifestato dalle SS nei riguardi del contrabbando inverso.
Qui le cose generalmente sono più
semplici. Si tratta di rubare o ricettare qualcuno degli svariati attrezzi,
utensili, materiali, prodotti ecc., coi quali veniamo quotidianamente in
contatto in Buna per ragioni di lavoro; introdurlo in campo la sera, trovare il
cliente, ed effettuare il baratto contro pane o zuppa. Questo traffico è
intensissimo: per certi articoli, che pure sono necessari alla vita normale del
Lager, questa, del furto in Buna, è l’unica e regolare via di approvvigionamento.
Tipici i casi delle scope, della vernice, del filo elettrico, del grasso da
scarpe. Valga come esempio il traffico di quest’ultima merce.
Come abbiamo altrove accennato,
il regolamento del campo prescrive che ogni mattina le scarpe vengano unte e
lucidate, e ogni Blockältester è responsabile di fronte alle SS
dell’ottemperanza alla disposizione da parte di tutti gli uomini della sua
baracca. Si potrebbe quindi pensare che ogni baracca goda di una periodica
assegnazione di grasso da scarpe, ma così non è: il meccanismo è un altro.
Occorre premettere che ogni baracca riceve, a sera, un’assegnazione di zuppa
che è alquanto più alta della somma delle razioni regolamentari; il di più
viene ripartito secondo l’arbitrio del Blockältester, il quale ne ricava, in
primo luogo, gli omaggi per i suoi amici e protetti, in secondo, i compensi
dovuti agli scopini, alle guardie notturne, ai controllori dei pidocchi e a
tutti gli altri funzionari-prominenti della baracca. Quello che ancora avanza
(e ogni accorto Blockältester fa sì che sempre ne avanzi) serve precisamente
per gli acquisti.
Il resto si intende: quegli
Häftlinge a cui capita in Buna l’occasione di riempirsi la gamella di grasso od
olio da macchina (o anche altro: qualunque sostanza nerastra e untuosa si
considera rispondente allo scopo), giunti alla sera in campo, fanno
sistematicamente il giro delle baracche, finché trovano il Blockältester che è
sprovvisto dell’articolo o intende farne scorta. Del resto ogni baracca ha per
lo più il suo fornitore abituale, col quale è stato pattuito un compenso fisso
giornaliero, a condizione che egli fornisca il grasso ogni volta che la riserva
stia per esaurirsi.
Tutte le sere, accanto alle porte
dei Tagesräume, stazionano pazientemente i capannelli dei fornitori: fermi in
piedi per ore e ore sotto la pioggia o la neve, parlano concitatamente
sottovoce di questioni relative alle variazioni dei prezzi e del valore del
buono-premio. Ogni tanto qualcuno si stacca dal gruppo, fa una breve visita in
Borsa, e torna con le ultime notizie.
Oltre a quelli già nominati,
innumerevoli sono gli articoli reperibili in Buna che possono essere utili al Block,
o graditi al Blockältester, o suscitare l’interesse o la curiosità dei prominenti.
Lampadine, spazzole, sapone comune e per barba, lime, pinze, sacchi, chiodi; si
smercia l’alcool metilico, buono per farne beveraggi, e la benzina, buona per i
rudimentali acciarini, prodigi dell’industria segreta degli artigiani del
Lager.
In questa complessa rete di furti
e controfurti, alimentati dalla sorda ostilità fra i comandi SS e le autorità
civili della Buna, una funzione di prim’ordine è esplicata dal Ka-Be. Il Ka-Be
è il luogo di minor resistenza, la valvola da cui più facilmente si possono
evadere i regolamenti ed eludere la sorveglianza dei capi. Tutti sanno che sono
gli infermieri stessi quelli che rilanciano sul mercato, a basso prezzo, gli
indumenti e le scarpe dei morti, e dei selezionati che partono nudi per
Birkenau; sono gli infermieri e i medici che esportano in Buna i sulfamidici di
assegnazione, vendendoli ai civili contro generi alimentari.
Gli infermieri poi traggono
ingente guadagno dal traffico dei cucchiai. Il Lager non fornisce cucchiaio ai
nuovi arrivati, benché la zuppa semiliquida non possa venir consumata
altrimenti. I cucchiai vengono fabbricati in Buna, di nascosto e nei ritagli di
tempo, dagli Häftlinge che lavorano come specializzati in Kommandos di fabbri e
lattonieri: si tratta di rozzi e massicci arnesi, ricavati da lamiere lavorate
a martello, spesso col manico affilato, in modo che serva in pari tempo da coltello
per affettare il pane. I fabbricanti stessi li vendono direttamente ai nuovi
arrivati: un cucchiaio semplice vale mezza razione, un cucchiaio-coltello tre
quarti di razione di pane. Ora, è legge che in Ka-Be si possa entrare col
cucchiaio, non però uscirne. Ai guariti, all’atto del rilascio e prima della vestizione,
il cucchiaio viene sequestrato dagli infermieri, e da loro rimesso in vendita
sulla Borsa. Aggiungendo ai cucchiai dei guariti quelli dei morti e dei
selezionati, gli infermieri vengono a percepire ogni giorno il ricavato della
vendita di una cinquantina di cucchiai. Per contro, i degenti rilasciati sono
costretti a rientrare al lavoro collo svantaggio iniziale di mezza razione di
pane da stanziarsi per l’acquisto di un nuovo cucchiaio.
Infine, il Ka-Be è il principale
cliente e ricettatore dei furti consumati in Buna: della zuppa destinata al
Ka-Be, ben venti litri ogni giorno sono preventivati come fondo-furti per
l’acquisto dagli specialisti degli articoli più svariati. C’è chi ruba tubo
sottile di gomma, che viene utilizzato in Ka-Be per gli enteroclismi e le sonde
gastriche; chi viene a offrire matite e inchiostri colorati, richiesti per la
complicata contabilità della fureria del Ka-Be; e termometri, e vetreria, e
reagenti chimici, che escono dai magazzini della Buna nelle tasche degli
Häftlinge e trovano impiego nell’infermeria come materiale sanitario.
E non vorrei peccare di
immodestia aggiungendo che è stata nostra, di Alberto e mia, l’idea di rubare i
rotoli di carta millimetrata dei termografi del Reparto Essiccazione, e di
offrirli al Medico Capo del Ka-Be, suggerendogli di impiegarli sotto forma di
moduli per i diagrammi polso-temperatura.
In conclusione: il furto in Buna,
punito dalla Direzione civile, è autorizzato e incoraggiato dalle SS; il furto
in campo, represso severamente dalle SS, è considerato dai civili una normale
operazione di scambio; il furto fra Häftlinge viene generalmente punito, ma la
punizione colpisce con uguale gravità il ladro e il derubato. Vorremmo ora invitare
il lettore a riflettere, che cosa potessero significare in Lager le nostre
parole «bene» e «male», «giusto» e «ingiusto»; giudichi ognuno, in base al
quadro che abbiamo delineato e agli esempi sopra esposti, quanto del nostro
comune mondo morale potesse sussistere al di qua del filo spinato.
(1) Si tratta dell’avanzata del
fronte russo verso ovest, a danno della Germania: il che poteva significare la
liberazione, ma anche l’eliminazione del campo e di tutti i suoi prigionieri.
(2) Blockälteste = kapo
responsabile di un Block.
(3) Cioè secondo le stesse regole
della domanda e dell’offerta che vigono nel mondo fuori dal Lager.
(4) Frauenblock = la baracca
femminile.
(5) Arbeitslager = campo di
lavoro.
(6) Handel mit Zivilisten =
commercio con civili.
(7) Si tratta di tre sottocampi
del Lager di Auschwitz.
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