In questo capitolo (l’undicesimo di “Se questo è un uomo”) l’autore
si trova ad andare a prendere la zuppa assieme a Jean, il più giovane del Kommando
Chimico; poiché Jean vorrebbe imparare l’italiano, Primo Levi cerca di
insegnarglielo e non trova di meglio che ricorrere al canto XXVI della Commedia
dantesca, quello relativo alla fine di Ulisse [vedi in questo stesso blog il
brano n° 32]. Dante recitato in un Lager! L’autore stesso si rende conto di
quanto la cosa sia assurda, eppure “necessaria e urgente” a spiegare “il perché
del nostro destino, del nostro essere oggi qui”.
IL CANTO DI ULISSE
Eravamo sei a raschiare e pulire
l’interno di una cisterna interrata; la luce del giorno ci giungeva soltanto
attraverso il piccolo portello d’ingresso. Era un lavoro di lusso, perché
nessuno ci controllava; però faceva freddo e umido. La polvere di ruggine ci
bruciava sotto le palpebre e ci impastava la gola e la bocca con un sapore
quasi di sangue.
Oscillò la scaletta di corda che
pendeva dal portello: qualcuno veniva. Deutsch spense la sigaretta, Goldner
svegliò Sivadjan; tutti ci rimettemmo a raschiare vigorosamente la parete
sonora di lamiera.
Non era il Vorarbeiter (1), era
solo Jean, il Pikolo del nostro Kommando. Jean era uno studente alsaziano;
benché avesse già ventiquattr’anni, era il più giovane Häftling (2) del
Kommando Chimico. Era perciò toccata a lui la carica di Pikolo, vale a dire di
fattorino-scritturale, addetto alla pulizia della baracca, alle consegne degli
attrezzi, alla lavatura delle gamelle, alla contabilità delle ore di lavoro del
Kommando.
Jean parlava correntemente
francese e tedesco: appena si riconobbero le sue scarpe sul gradino più alto
della scaletta, tutti smisero di raschiare:
- Also, Pikolo, was gibt es
Neues? (3)
- Qu’est-ce qu’il y a comme soupe
aujourd’hui? (4)
... di che umore era il Kapo? E
la faccenda delle venticinque frustate a Stern? Che tempo faceva fuori? Aveva
letto il giornale? Che odore c’era alla cucina civile? Che ora era?
Jean era molto benvoluto al
Kommando. Bisogna sapere che la carica di Pikolo costituisce un gradino già
assai elevato nella gerarchia delle Prominenze: il Pikolo (che di solito non ha
più di diciassette anni) non lavora manualmente, ha mano libera sui fondi della
marmitta del rancio e può stare tutto il giorno vicino alla stufa: «perciò» ha
diritto a mezza razione supplementare, ed ha buone probabilità di divenire
amico e confidente del Kapo, dal quale riceve ufficialmente gli abiti e le
scarpe smesse. Ora, Jean era un Pikolo eccezionale. Era scaltro e fisicamente
robusto, e insieme mite e amichevole: pur conducendo con tenacia e coraggio la
sua segreta lotta individuale contro il campo e contro la morte, non trascurava
di mantenere rapporti umani coi compagni meno privilegiati; d’altra parte, era
stato tanto abile e perseverante da affermarsi nella fiducia di Alex, il Kapo.
Alex aveva mantenuto tutte le sue
promesse. Si era dimostrato un bestione violento e infido, corazzato di solida
e compatta ignoranza e stupidità, eccezion fatta per il suo fiuto e la sua
tecnica di aguzzino esperto e consumato. Non perdeva occasione di proclamarsi
fiero del suo sangue puro e del suo triangolo verde, e ostentava un altero
disprezzo per i suoi chimici cenciosi e affamati: -Ihr Doktoren! Ihr
Intelligenten! (5) - sghignazzava ogni giorno vedendoli accalcarsi colle
gamelle tese alla distribuzione del rancio. Nei riguardi dei Meister (6) civili
era estremamente arrendevole e servile, e con le SS manteneva vincoli di
cordiale amicizia.
Era palesemente intimidito dal
registro di Kommando e dal rapportino quotidiano delle prestazioni, e questa
era stata la via che Pikolo aveva scelta per renderglisi necessario. Era stata
un’opera lenta cauta e sottile, che l’intero Kommando aveva seguita per un mese
a fiato sospeso; ma alla fine la difesa dell’istrice fu penetrata, e Pikolo
confermato nella carica, con soddisfazione di tutti gli interessati.
Per quanto Jean non abusasse
della sua posizione, già avevamo potuto constatare che una sua parola, detta
nel tono giusto e al momento giusto, aveva grande potere; già più volte era
valsa a salvare qualcuno di noi dalla frusta o dalla denunzia alle SS. Da una
settimana eravamo amici: ci eravamo scoperti nella eccezionale occasione di un
allarme aereo, ma poi, presi dal ritmo feroce del Lager, non avevamo potuto che
salutarci di sfuggita, alle latrine, al lavatoio.
Appeso con una mano alla scala
oscillante, mi indicò: - Aujourd’hui c’est Primo qui viendra avec moi chercher
la soupe (7).
Fino al giorno prima era stato Stern,
il transilvano strabico; ora questi era caduto in disgrazia per non so che
storia di scope rubate in magazzino, e Pikolo era riuscito ad appoggiare la mia
candidatura come aiuto nell’«Essenholen», nella corvée quotidiana del rancio.
Si arrampicò fuori, ed io lo
seguii, sbattendo le ciglia nello splendore del giorno. Faceva tiepido fuori,
il sole sollevava dalla terra grassa un leggero odore di vernice e di catrame
che mi ricordava una qualche spiaggia estiva della mia infanzia. Pikolo mi
diede una delle due stanghe, e ci incamminammo sotto un chiaro cielo di giugno.
Cominciavo a ringraziarlo, ma mi
interruppe, non occorreva. Si vedevano i Carpazi coperti di neve. Respirai
l’aria fresca, mi sentivo insolitamente leggero.
- Tu es fou de marcher si vite.
On a le temps, tu sais (8) -. Il rancio si ritirava a un chilometro di
distanza; bisognava poi ritornare con la marmitta di cinquanta chili infilata
nelle stanghe. Era un lavoro abbastanza faticoso, però comportava una gradevole
marcia di andata senza carico, e l’occasione sempre desiderabile di avvicinarsi
alle cucine.
Rallentammo il passo. Pikolo era
esperto, aveva scelto accortamente la via in modo che avremmo fatto un lungo
giro, camminando almeno un’ora, senza destare sospetti. Parlavamo delle nostre
case, di Strasburgo e di Torino, delle nostre letture, dei nostri studi. Delle
nostre madri: come si somigliano tutte le madri! Anche sua madre lo
rimproverava di non saper mai quanto denaro aveva in tasca; anche sua madre si
sarebbe stupita se avesse potuto sapere che se l’era cavata, che giorno per
giorno se la cavava.
Passò una SS in bicicletta. È
Rudi, il Blockführer (9). Alt, sull’attenti, togliersi il berretto. - Sale
brute, celui-là. Ein ganz gemeiner Hund – (10). Per lui è indifferente parlare
francese o tedesco? È indifferente, può pensare in entrambe le lingue. È stato
in Liguria un mese, gli piace l’Italia, vorrebbe imparare l’italiano. Io sarei
contento di insegnargli l’italiano: non possiamo farlo? Possiamo. Anche subito,
una cosa vale l’altra, l’importante è di non perdere tempo, di non sprecare
quest’ora.
Passa Limentani, il romano,
strascicando i piedi, con una gamella nascosta sotto la giacca. Pikolo sta
attento, coglie qualche parola del nostro dialogo e la ripete ridendo: - Zup-pa,
cam-po, ac-qua.
Passa Frenkel, la spia.
Accelerare il passo, non si sa mai, quello fa il male per il male.
... Il canto di Ulisse. Chissà
come e perché mi è venuto in mente: ma non abbiamo tempo di scegliere,
quest’ora già non è più un’ora. Se Jean è intelligente capirà. Capirà: oggi mi
sento da tanto.
... Chi è Dante. Che cosa è la
Commedia. Quale sensazione curiosa di novità si prova, se si cerca di spiegare
in breve che cosa è la Divina Commedia. Come è distribuito l’Inferno, cosa è il
contrappasso. Virgilio è la Ragione, Beatrice è la Teologia.
Jean è attentissimo, ed io
comincio, lento e accurato:
Lo maggior corno della fiamma
antica
Cominciò a crollarsi mormorando,
Pur come quella cui vento
affatica.
Indi, la cima in qua e in là
menando
Come fosse la lingua che
parlasse
Mise fuori la voce, e disse:
Quando...
Qui mi fermo e cerco di tradurre.
Disastroso: povero Dante e povero francese! Tuttavia l’esperienza pare prometta
bene: Jean ammira la bizzarra similitudine della lingua, e mi suggerisce il
termine appropriato per rendere «antica».
E dopo «Quando»? Il nulla. Un
buco nella memoria «Prima che sì Enea la nominasse». Altro buco. Viene a galla
qualche frammento non utilizzabile: «... la piéta Del vecchio padre, né’l
debito amore Che doveva Penelope far lieta...» sarà poi esatto?
... Ma misi me per l’alto mare
aperto.
Di questo sì, di questo sono
sicuro, sono in grado di spiegare a Pikolo, di distinguere perché «misi me» non
è «je me mis», è molto più forte e più audace, è un vincolo infranto, è
scagliare se stessi al di là di una barriera, noi conosciamo bene questo
impulso. L’alto mare aperto: Pikolo ha viaggiato per mare e sa cosa vuol dire,
è quando l’orizzonte si chiude su se stesso, libero diritto e semplice, e non c’è
ormai che odore di mare: dolci cose ferocemente lontane.
Siamo arrivati al Kraftwerk (11),
dove lavora il Kommando dei posacavi. Ci dev’essere l’ingegner Levi. Eccolo, si
vede solo la testa fuori della trincea. Mi fa un cenno colla mano, è un uomo in
gamba, non l’ho mai visto giù di morale, non parla mai di mangiare.
«Mare aperto». «Mare aperto». So
che rima con «diserto»: «... quella compagna Picciola, dalla qual non fui
diserto», ma non rammento più se viene prima o dopo. E anche il viaggio, il temerario
viaggio al di là delle colonne d’Ercole, che tristezza, sono costretto a
raccontarlo in prosa: un sacrilegio. Non ho salvato che un verso, ma vale la
pena di fermarcisi:
... Acciò che l’uom più oltre
non si metta.
«Si metta»: dovevo venire in
Lager per accorgermi che è la stessa espressione di prima, «e misi me». Ma non
ne faccio parte a Jean, non sono sicuro che sia una osservazione importante.
Quante altre cose ci sarebbero da dire, e il sole è già alto, mezzogiorno è
vicino. Ho fretta, una fretta furibonda.
Ecco, attento Pikolo, apri gli
orecchi e la mente, ho bisogno che tu capisca:
Considerate la vostra semenza:
Fatti non foste a viver come
bruti,
Ma per seguir virtute e conoscenza.
Come se anch’io lo sentissi per
la prima volta: come uno squillo di tromba, come la voce di Dio. Per un
momento, ho dimenticato chi sono e dove sono.
Pikolo mi prega di ripetere. Come
è buono Pikolo, si è accorto che mi sta facendo del bene. O forse è qualcosa di
più: forse, nonostante la traduzione scialba e il commento pedestre e
frettoloso, ha ricevuto il messaggio, ha sentito che lo riguarda, che riguarda
tutti gli uomini in travaglio, e noi in specie; e che riguarda noi due, che
osiamo ragionare di queste cose con le stanghe della zuppa sulle spalle.
Li miei compagni fec’io sì
acuti...
... e mi sforzo, ma invano, di
spiegare quante cose vuol dire questo «acuti». Qui ancora una lacuna, questa
volta irreparabile. «... Lo lume era di sotto della luna» o qualcosa di simile;
ma prima?... Nessuna idea, «keine Ahnung» come si dice qui. Che Pikolo mi
scusi, ho dimenticato almeno quattro terzine.
- Ça ne fait rien, vas-y tout de
même (12).
... Quando mi apparve una montagna,
bruna
Per la distanza, e parvemi alta
tanto
Che mai veduta non ne avevo
alcuna.
Sì, sì, «alta tanto», non «molto
alta», proposizione consecutiva. E le montagne, quando si vedono di lontano...
le montagne... oh Pikolo, Pikolo, di’ qualcosa, parla, non lasciarmi pensare
alle mie montagne, che comparivano nel bruno della sera quando tornavo in treno
da Milano a Torino!
Basta, bisogna proseguire, queste
sono cose che si pensano ma non si dicono. Pikolo attende e mi guarda.
Darei la zuppa di oggi per saper
saldare «non ne avevo alcuna» col finale. Mi sforzo di ricostruire per mezzo
delle rime, chiudo gli occhi, mi mordo le dita: ma non serve, il resto è
silenzio. Mi danzano per il capo altri versi: «... la terra lagrimosa diede
vento...» no, è un’altra cosa. È
tardi, è tardi, siamo arrivati alla cucina, bisogna concludere:
Tre volte il fe’ girar con tutte
l’acque,
Alla quarta levar la poppa in
suso
E la prora ire in giù, come altrui
piacque...
Trattengo Pikolo, è assolutamente
necessario e urgente che ascolti, che comprenda questo «come altrui piacque»,
prima che sia troppo tardi, domani lui o io possiamo essere morti, o non
vederci mai più, devo dirgli, spiegargli del Medioevo, del così umano e
necessario e pure inaspettato anacronismo, e altro ancora, qualcosa di
gigantesco che io stesso ho visto ora soltanto, nell’intuizione di un attimo,
forse il perché del nostro destino, del nostro essere oggi qui...
Siamo oramai nella fila per la
zuppa, in mezzo alla folla sordida e sbrindellata dei porta-zuppa degli altri
Kommandos. I nuovi giunti ci si accalcano alle spalle. Kraut und Rüben? (13) -
Kraut und Rüben -. Si annunzia ufficialmente che oggi la zuppa è di cavoli e
rape: Choux et navets. - Kaposzta és répak.
Infin che ‘l mar fu sopra noi
rinchiuso.
(1) Vorarbeiter = caposquadra.
(2) Häftling = detenuto.
(3) Also, Pikolo, was gibt es
Neues? = Allora, Piccolo, che c’è di nuovo?
(4) Qu’est-ce qu’il y a comme soupe
aujourd’hui? = Che c’è oggi come zuppa?
(5) Ihr Doktoren! Ihr
Intelligenten! = Quei Dottori! Quegli Intellettuali!
(6) Meister = mastri.
(7) Aujourd’hui c’est Primo qui
viendra avec moi chercher la soupe = Oggi è Primo che verrà con me a prendere
la zuppa
(8) Tu es fou de marcher si vite.
On a le temps, tu sais = Sei matto a camminare così rapido. C’è tempo, lo sai.
(9) Blockführer = capobaracca.
(10) Sale brute, celui-là. Ein
ganz gemeiner Hund = Uno sporco bruto, quello. Un cane infame.
(11) Kraftwerk = centrale elettrica.
(12) Ça ne fait rien, vas-y tout
de même = Non importa, va’ avanti lo stesso.
(13) Kraut und Rüben? = Crauti e
Rape? (lo stesso significato di Choux et navets e Kaposzta és répak, in francese
e ungherese)
Il campo di Auschwitz oggi
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.