domenica 15 gennaio 2017

41 Se questo è un uomo - capitolo 8 AL DI QUA DEL BENE E DEL MALE (di Primo Levi)





Nel capitolo 8 di “Se questo è un uomo” Primo Levi racconta, con apparente distacco, l’incredibile traffico che si svolge in Lager dei prodotti che si possono rubare o contrabbandare, generalmente per un po’ di pane o zuppa in più (camicie, sigarette, grasso da scarpe, cucchiai, scarpe …) e che a volte interessano anche i civili che si trovano nel campo. Ma alla fine si chiede: che senso hanno le parole “bene”, “male”, “giusto”, “ingiusto” in un campo di concentramento, dove si baratta mezza razione di pane per un litro di brodaglia, dove si contrabbanda tabacco fatto di schegge legnose, o dove l’oro delle protesi dentarie viene strappato dalle mascelle dei vivi o dei morti dalle stesse SS?

AL DI QUA DEL BENE E DEL MALE

Avevamo una incorreggibile tendenza a vedere in ogni avvenimento un simbolo e un segno. Da ormai settanta giorni si faceva attendere il Wäschetauschen, che è la cerimonia del cambio della biancheria, e già circolava insistente la voce che mancava biancheria di ricambio perché, a causa dell’avanzare del fronte (1), era preclusa ai tedeschi la possibilità di fare affluire ad Auschwitz nuovi trasporti, e «perciò» la liberazione era prossima; e parallelamente, la interpretazione opposta, che il ritardo nel cambio era segno sicuro di una prossima integrale liquidazione del campo. Invece il cambio venne, e, come al solito, la direzione del Lager pose ogni cura perché avvenisse improvvisamente, e ad un tempo in tutte le baracche.
Bisogna sapere infatti che in Lager la stoffa manca, ed è preziosa; e che l’unico modo che noi abbiamo di procurarci uno straccio per nettarci il naso, o una pezza da piedi, è appunto quello di tagliare un lembo di camicia al momento del cambio. Se la camicia ha le maniche lunghe, si tagliano le maniche; se no, ci si accontenta di un rettangolo dal fondo, o si scuce una delle numerose rappezzature. In ogni caso, occorre un certo tempo per procurarsi ago e filo, e per eseguire l’operazione con qualche arte, in modo che il guasto non sia troppo evidente all’atto della consegna. La biancheria sporca e lacera passa alla rinfusa alla Sartoria del campo, dove viene sommariamente rappezzata, indi alla disinfezione a vapore (non al lavaggio!) e viene poi ridistribuita; da ciò, per salvaguardare la biancheria usata dalle accennate mutilazioni, la necessità di fare avvenire i cambi nel modo più improvviso.
Ma, sempre come al solito, non si è potuto evitare che qualche sguardo sagace penetrasse sotto il telone del carro che usciva dalla disinfezione, in modo che in pochi minuti il campo ha saputo dell’imminenza di un Wäschetauschen, e per giunta, che questa volta si trattava di camicie nuove, provenienti da un trasporto di ungheresi arrivato tre giorni fa.
La notizia ha avuto immediata risonanza. Tutti i detentori abusivi di seconde camicie, rubate od organizzate, o magari onestamente comperate con pane per ripararsi dal freddo o per investire capitale in un momento di prosperità, si sono precipitati alla Borsa, sperando di arrivare in tempo a riscambiare con generi di consumo la loro camicia di riserva prima che l’ondata delle camicie nuove, o la certezza del loro arrivo, svalutassero irreparabilmente il prezzo dell’articolo.
La Borsa è attivissima sempre. Benché ogni scambio (anzi, ogni forma di possesso) sia esplicitamente proibito, e benché frequenti rastrellamenti di Kapos o Blockälteste (2) travolgano a intervalli in un’unica fuga mercanti, clienti e curiosi, tuttavia, nell’angolo nord-est del Lager (significativamente, l’angolo più lontano dalle baracche delle SS), non appena le squadre sono rientrate dal lavoro, siede in permanenza un assembramento tumultuoso, all’aperto d’estate, dentro un lavatoio d’inverno.
Qui si aggirano a decine, colle labbra socchiuse e gli occhi rilucenti, i disperati della fame, che un istinto fallace spinge colà dove le mercanzie esibite rendono più acre il rodimento dello stomaco e più assidua la salivazione. Sono muniti, nel migliore dei casi, della misera mezza razione di pane che, con sforzo doloroso, hanno risparmiato fin dal mattino, nella speranza insensata che si presenti l’occasione di un baratto vantaggioso con qualche ingenuo, ignaro delle quotazioni del momento. Alcuni di questi, con selvaggia pazienza, acquistano colla mezza razione un litro di zuppa, che, appartatisi, sottopongono alla metodica estrazione dei pochi pezzi di patata giacenti sul fondo; ciò fatto, la riscambiano con pane, e il pane con un nuovo litro da denaturare, e questo fino a esaurimento dei nervi, o fino a che qualche danneggiato, coltili sul fatto, non infligga loro una severa lezione, esponendoli alla derisione pubblica. Alla stessa specie appartengono coloro che vengono in Borsa a vendere la loro unica camicia; essi ben sanno quello che accadrà, alla prossima occasione, quando il Kapo constaterà che sono nudi sotto la giacca. Il Kapo chiederà loro che cosa hanno fatto della camicia; è una pura domanda retorica, una formalità utile soltanto per entrare in argomento. Loro risponderanno che la camicia è stata rubata nel lavatoio; anche questa risposta è di prammatica, e non pretende di essere creduta; infatti anche le pietre del Lager sanno che, novantanove volte su cento, chi non ha camicia se la è venduta per fame, e che del resto della propria camicia si è responsabili, perché essa appartiene al Lager. Allora il Kapo li percuoterà, verrà loro assegnata un’altra camicia, e presto o tardi ricominceranno.
Ciascuno nel suo angolo consueto, stazionano in Borsa i mercanti di professione; primi fra questi i greci, immobili e silenziosi come sfingi, accovacciati a terra dietro alle gamelle di zuppa densa, frutto del loro lavoro, delle loro combinazioni e della loro solidarietà nazionale. I greci sono ormai ridotti a pochissimi, ma hanno portato un contributo di prim’ordine alla fisionomia del campo, ed al gergo internazionale che vi circola. Tutti sanno che «caravana» è la gamella, e che «la comedera es buena» vuol dire che la zuppa è buona; il vocabolo che esprime l’idea generica di furto è «klepsi-klepsi», di evidente origine greca. Questi pochi superstiti della colonia ebraica di Salonicco, dal duplice linguaggio, spagnolo ed ellenico, e dalle molteplici attività, sono i depositari di una concreta, terrena, consapevole saggezza in cui confluiscono le tradizioni di tutte le civiltà mediterranee. Che questa saggezza si risolva in campo con la pratica sistematica e scientifica del furto e dell’assalto alle cariche, e con il monopolio della Borsa dei baratti, non deve far dimenticare che la loro ripugnanza dalla brutalità gratuita, la loro stupefacente coscienza del sussistere di una almeno potenziale dignità umana, facevano dei greci in Lager il nucleo nazionale più coerente, e, sotto questi aspetti, più civile.
Puoi trovare in Borsa gli specializzati in furti alla cucina, con le giacche sollevate da misteriosi rigonfi. Mentre per la zuppa esiste un prezzo pressoché stabile (mezza razione di pane per un litro), la quotazione delle rape, carote, patate è estremamente capricciosa, e dipende fortemente, fra altri fattori, anche dalla diligenza e dalla corruttibilità dei guardiani di turno ai magazzini.
Si vende il Mahorca: il Mahorca è un tabacco di scarto, in forma di schegge legnose, il quale è ufficialmente in vendita alla Kantine, in pacchetti da cinquanta grammi, contro versamento dei «buoni-premio» che la Buna dovrebbe distribuire ai migliori lavoratori. Tale distribuzione avviene irregolarmente, con grande parsimonia e palese iniquità, in modo che la massima parte dei buoni finiscono, direttamente o per abuso di autorità, nelle mani dei Kapos e dei prominenti; tuttavia i buoni-premio della Buna circolano sul mercato del Lager in funzione di moneta, e il loro valore è variabile in stretta obbedienza alle leggi dell’economia classica (3).
Ci sono stati periodi in cui per il buono-premio si è pagata una razione di pane, poi una e un quarto, anche una e un terzo; un giorno è stato quotato una razione e mezza, ma poi è venuto meno il rifornimento di Mahorca alla Kantine, e allora, mancando la copertura, la moneta è precipitata di colpo a un quarto di razione. È successo un altro periodo di rialzo dovuto a una singolare ragione: il cambio della guardia al Frauenblock (4), con arrivo di un contingente di robuste ragazze polacche. Infatti, poiché il buono-premio è valido (per i criminali e i politici: non per gli ebrei, i quali d’altronde non soffrono della limitazione) per un ingresso al Frauenblock, gli interessati ne hanno fatta attiva e rapida incetta: donde la rivalutazione, che per altro non ebbe lunga durata.
Fra i comuni Häftlinge, non sono molti quelli che ricercano il Mahorca per fumarlo personalmente; per lo più, esso esce dal campo, e finisce ai lavoratori civili della Buna. È questo uno schema di «kombinacja» assai diffuso: lo Häftling, economizzata in qualche modo una razione di pane, la investe in Mahorca; si mette cautamente in contatto con un «amatore» civile, che acquista il Mahorca effettuando il pagamento a contanti, con una dose di pane superiore a quella inizialmente stanziata. Lo Häftling si mangia il margine di guadagno, e rimette in ciclo la razione che avanza. Speculazioni di questo genere stabiliscono un legame fra l’economia interna del Lager e la vita economica del mondo esterno: quando è venuta accidentalmente a mancare la distribuzione del tabacco alla popolazione civile di Cracovia, il fatto, superando la barriera di filo spinato che ci segrega dal consorzio umano, ha avuto immediata ripercussione in campo, provocando un netto rialzo della quotazione del Mahorca, e quindi del buono-premio.
Il caso sopra delineato non è che il più schematico: un altro già più complesso è il seguente. Lo Häftling acquista mediante Mahorca o pane, o magari ottiene in dono, da un civile, un qualunque abominevole, lacero, sporco cencio di camicia, il quale sia però tuttora provvisto di tre fori adatti a passarvi bene o male le braccia e il capo. Purché non porti che segni di usura, e non di mutilazioni artificiosamente fatte, un tale oggetto, all’atto del Wäschetauschen, è valido come camicia, e dà diritto al cambio; tutt’al più colui che lo esibisce potrà ricevere un’adeguata dose di colpi per aver posto così poca cura nel conservare gli indumenti di ordinanza.
Perciò, all’interno del Lager, non v’è grande differenza di valore fra una camicia degna di tal nome e uno straccio pieno di toppe; lo Häftling di cui sopra non avrà difficoltà a trovare un compagno in possesso di una camicia in stato commerciabile, e che non possa valorizzarla perché, per ragioni di ubicazione di lavoro, o di linguaggio, o di intrinseca incapacità, non è in relazione con lavoratori civili. Quest’ultimo si accontenterà di un modesto quantitativo di pane per accettare il cambio; infatti il prossimo Wäschetauschen ristabilirà in certo modo il livellamento, ripartendo biancheria buona o cattiva in maniera perfettamente casuale. Ma il primo Häftling potrà contrabbandare in Buna la camicia buona, e venderla al civile di prima (o ad un altro qualunque) per quattro, sei, fino a dieci razioni di pane. Questo così elevato margine di guadagno rispecchia la gravità del rischio di uscire dal campo con più di una camicia indosso, o di rientrarvi senza camicia.
Molte sono le variazioni su questo tema. C’è chi non esita a farsi estrarre le coperture d’oro dei denti per venderle in Buna contro pane o tabacco; ma è più comune il caso che tale traffico abbia luogo per interposta persona. Un «grosso numero», vale a dire un nuovo arrivato, giunto da poco ma già a sufficienza abbrutito dalla fame e dalla tensione estrema della vita in campo, viene notato da un «piccolo numero» per qualche sua ricca protesi dentaria; il «piccolo» offre al «grosso» tre o quattro razioni di pane in contanti per sottoporsi all’estrazione. Se il grosso accetta, il piccolo paga, si porta l’oro in Buna, e, se è in contatto con un civile di fiducia, dal quale non ci siano da temere delazioni o raggiri, può realizzare senz’altro un guadagno di dieci fino a venti e più razioni, che gli vengono corrisposte gradualmente, una o due al giorno. Notiamo a tale proposito che, contrariamente a quanto avviene in Buna, quattro razioni di pane costituiscono l’importo massimo degli affari che si concludono entro il campo, perché quivi sarebbe praticamente impossibile sia stipulare contratti a credito, sia preservare dalla cupidigia altrui e dalla fame propria una quantità superiore di pane.
Il traffico coi civili è un elemento caratteristico dell’Arbeitslager (5), e, come si è visto, ne determina la vita economica. È d’altronde un reato, esplicitamente contemplato dal regolamento del campo e assimilato ai reati «politici»; viene perciò punito con particolare severità. Lo Häftling convinto di «Handel mit Zivilisten (6)», se non dispone di appoggi influenti, finisce a Gleiwitz III, a Janina, a Heidebreck (7) alle miniere di carbone; il che significa la morte per esaurimento nel giro di poche settimane. Inoltre, lo stesso lavoratore civile suo complice può venire denunziato alla competente autorità tedesca, e condannato a trascorrere in Vernichtungslager (8), nelle stesse nostre condizioni, un periodo variabile, a quanto mi consta, dai quindici giorni agli otto mesi. Gli operai a cui viene applicato questo genere di contrappasso, vengono come noi spogliati all’ingresso, ma i loro effetti personali vengono conservati in un apposito magazzino. Non vengono tatuati e conservano i loro capelli, il che li rende facilmente riconoscibili, ma per tutta la durata della punizione sono sottoposti allo stesso nostro lavoro e alla nostra disciplina: escluse beninteso le selezioni.
Lavorano in Kommandos particolari, e non hanno contatti di alcun genere con i comuni Häftlinge. Infatti per loro il Lager costituisce una punizione, ed essi, se non morranno di fatica o di malattia, hanno molte probabilità di ritornare fra gli uomini; se potessero comunicare con noi, ciò costituirebbe una breccia nel muro che ci rende morti al mondo, ed uno spiraglio sul mistero che regna fra gli uomini liberi intorno alla nostra condizione. Per noi invece il Lager non è una punizione; per noi non è previsto un termine, e il Lager altro non è che il genere di esistenza a noi assegnato, senza limiti di tempo, in seno all’organismo sociale germanico.
Una sezione del nostro stesso campo è destinata appunto ai lavoratori civili, di tutte le nazionalità, che devono soggiornarvi per un tempo più o meno lungo in espiazione dei loro rapporti illeciti con Häftlinge. Tale sezione è separata dal resto del campo mediante un filo spinato, e si chiama E-Lager, ed E-Häftlinge se ne chiamano gli ospiti. «E» è l’iniziale di «Erziehung», che significa «educazione».
Tutte le combinazioni finora delineate sono fondate sul contrabbando di materiale appartenente al Lager. Per questo le SS sono così rigorose nel reprimerlo: l’oro stesso dei nostri denti è di loro proprietà, poiché, strappato dalle mascelle dei vivi o dei morti, tutto finisce presto o tardi nelle loro mani. È dunque naturale che esse si adoperino affinché l’oro non esca dal campo.
Ma contro il furto in sé, la direzione del campo non ha alcuna prevenzione. Lo dimostra l’atteggiamento di ampia connivenza, manifestato dalle SS nei riguardi del contrabbando inverso.
Qui le cose generalmente sono più semplici. Si tratta di rubare o ricettare qualcuno degli svariati attrezzi, utensili, materiali, prodotti ecc., coi quali veniamo quotidianamente in contatto in Buna per ragioni di lavoro; introdurlo in campo la sera, trovare il cliente, ed effettuare il baratto contro pane o zuppa. Questo traffico è intensissimo: per certi articoli, che pure sono necessari alla vita normale del Lager, questa, del furto in Buna, è l’unica e regolare via di approvvigionamento. Tipici i casi delle scope, della vernice, del filo elettrico, del grasso da scarpe. Valga come esempio il traffico di quest’ultima merce.
Come abbiamo altrove accennato, il regolamento del campo prescrive che ogni mattina le scarpe vengano unte e lucidate, e ogni Blockältester è responsabile di fronte alle SS dell’ottemperanza alla disposizione da parte di tutti gli uomini della sua baracca. Si potrebbe quindi pensare che ogni baracca goda di una periodica assegnazione di grasso da scarpe, ma così non è: il meccanismo è un altro. Occorre premettere che ogni baracca riceve, a sera, un’assegnazione di zuppa che è alquanto più alta della somma delle razioni regolamentari; il di più viene ripartito secondo l’arbitrio del Blockältester, il quale ne ricava, in primo luogo, gli omaggi per i suoi amici e protetti, in secondo, i compensi dovuti agli scopini, alle guardie notturne, ai controllori dei pidocchi e a tutti gli altri funzionari-prominenti della baracca. Quello che ancora avanza (e ogni accorto Blockältester fa sì che sempre ne avanzi) serve precisamente per gli acquisti.
Il resto si intende: quegli Häftlinge a cui capita in Buna l’occasione di riempirsi la gamella di grasso od olio da macchina (o anche altro: qualunque sostanza nerastra e untuosa si considera rispondente allo scopo), giunti alla sera in campo, fanno sistematicamente il giro delle baracche, finché trovano il Blockältester che è sprovvisto dell’articolo o intende farne scorta. Del resto ogni baracca ha per lo più il suo fornitore abituale, col quale è stato pattuito un compenso fisso giornaliero, a condizione che egli fornisca il grasso ogni volta che la riserva stia per esaurirsi.
Tutte le sere, accanto alle porte dei Tagesräume, stazionano pazientemente i capannelli dei fornitori: fermi in piedi per ore e ore sotto la pioggia o la neve, parlano concitatamente sottovoce di questioni relative alle variazioni dei prezzi e del valore del buono-premio. Ogni tanto qualcuno si stacca dal gruppo, fa una breve visita in Borsa, e torna con le ultime notizie.
Oltre a quelli già nominati, innumerevoli sono gli articoli reperibili in Buna che possono essere utili al Block, o graditi al Blockältester, o suscitare l’interesse o la curiosità dei prominenti. Lampadine, spazzole, sapone comune e per barba, lime, pinze, sacchi, chiodi; si smercia l’alcool metilico, buono per farne beveraggi, e la benzina, buona per i rudimentali acciarini, prodigi dell’industria segreta degli artigiani del Lager.
In questa complessa rete di furti e controfurti, alimentati dalla sorda ostilità fra i comandi SS e le autorità civili della Buna, una funzione di prim’ordine è esplicata dal Ka-Be. Il Ka-Be è il luogo di minor resistenza, la valvola da cui più facilmente si possono evadere i regolamenti ed eludere la sorveglianza dei capi. Tutti sanno che sono gli infermieri stessi quelli che rilanciano sul mercato, a basso prezzo, gli indumenti e le scarpe dei morti, e dei selezionati che partono nudi per Birkenau; sono gli infermieri e i medici che esportano in Buna i sulfamidici di assegnazione, vendendoli ai civili contro generi alimentari.
Gli infermieri poi traggono ingente guadagno dal traffico dei cucchiai. Il Lager non fornisce cucchiaio ai nuovi arrivati, benché la zuppa semiliquida non possa venir consumata altrimenti. I cucchiai vengono fabbricati in Buna, di nascosto e nei ritagli di tempo, dagli Häftlinge che lavorano come specializzati in Kommandos di fabbri e lattonieri: si tratta di rozzi e massicci arnesi, ricavati da lamiere lavorate a martello, spesso col manico affilato, in modo che serva in pari tempo da coltello per affettare il pane. I fabbricanti stessi li vendono direttamente ai nuovi arrivati: un cucchiaio semplice vale mezza razione, un cucchiaio-coltello tre quarti di razione di pane. Ora, è legge che in Ka-Be si possa entrare col cucchiaio, non però uscirne. Ai guariti, all’atto del rilascio e prima della vestizione, il cucchiaio viene sequestrato dagli infermieri, e da loro rimesso in vendita sulla Borsa. Aggiungendo ai cucchiai dei guariti quelli dei morti e dei selezionati, gli infermieri vengono a percepire ogni giorno il ricavato della vendita di una cinquantina di cucchiai. Per contro, i degenti rilasciati sono costretti a rientrare al lavoro collo svantaggio iniziale di mezza razione di pane da stanziarsi per l’acquisto di un nuovo cucchiaio.
Infine, il Ka-Be è il principale cliente e ricettatore dei furti consumati in Buna: della zuppa destinata al Ka-Be, ben venti litri ogni giorno sono preventivati come fondo-furti per l’acquisto dagli specialisti degli articoli più svariati. C’è chi ruba tubo sottile di gomma, che viene utilizzato in Ka-Be per gli enteroclismi e le sonde gastriche; chi viene a offrire matite e inchiostri colorati, richiesti per la complicata contabilità della fureria del Ka-Be; e termometri, e vetreria, e reagenti chimici, che escono dai magazzini della Buna nelle tasche degli Häftlinge e trovano impiego nell’infermeria come materiale sanitario.
E non vorrei peccare di immodestia aggiungendo che è stata nostra, di Alberto e mia, l’idea di rubare i rotoli di carta millimetrata dei termografi del Reparto Essiccazione, e di offrirli al Medico Capo del Ka-Be, suggerendogli di impiegarli sotto forma di moduli per i diagrammi polso-temperatura.
In conclusione: il furto in Buna, punito dalla Direzione civile, è autorizzato e incoraggiato dalle SS; il furto in campo, represso severamente dalle SS, è considerato dai civili una normale operazione di scambio; il furto fra Häftlinge viene generalmente punito, ma la punizione colpisce con uguale gravità il ladro e il derubato. Vorremmo ora invitare il lettore a riflettere, che cosa potessero significare in Lager le nostre parole «bene» e «male», «giusto» e «ingiusto»; giudichi ognuno, in base al quadro che abbiamo delineato e agli esempi sopra esposti, quanto del nostro comune mondo morale potesse sussistere al di qua del filo spinato.

(1) Si tratta dell’avanzata del fronte russo verso ovest, a danno della Germania: il che poteva significare la liberazione, ma anche l’eliminazione del campo e di tutti i suoi prigionieri.
(2) Blockälteste = kapo responsabile di un Block.
(3) Cioè secondo le stesse regole della domanda e dell’offerta che vigono nel mondo fuori dal Lager.
(4) Frauenblock = la baracca femminile.
(5) Arbeitslager = campo di lavoro.
(6) Handel mit Zivilisten = commercio con civili.
(7) Si tratta di tre sottocampi del Lager di Auschwitz.
(8) Vernichtungslager = campo di sterminio.

Spazzole dei prigionieri conservate ad Auschwitz






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