lunedì 16 gennaio 2017

44 Se questo è un uomo - capitolo 11: IL CANTO DI ULISSE (di Primo Levi)




In questo capitolo (l’undicesimo di “Se questo è un uomo”) l’autore si trova ad andare a prendere la zuppa assieme a Jean, il più giovane del Kommando Chimico; poiché Jean vorrebbe imparare l’italiano, Primo Levi cerca di insegnarglielo e non trova di meglio che ricorrere al canto XXVI della Commedia dantesca, quello relativo alla fine di Ulisse [vedi in questo stesso blog il brano n° 32]. Dante recitato in un Lager! L’autore stesso si rende conto di quanto la cosa sia assurda, eppure “necessaria e urgente” a spiegare “il perché del nostro destino, del nostro essere oggi qui”.

IL CANTO DI ULISSE

Eravamo sei a raschiare e pulire l’interno di una cisterna interrata; la luce del giorno ci giungeva soltanto attraverso il piccolo portello d’ingresso. Era un lavoro di lusso, perché nessuno ci controllava; però faceva freddo e umido. La polvere di ruggine ci bruciava sotto le palpebre e ci impastava la gola e la bocca con un sapore quasi di sangue.
Oscillò la scaletta di corda che pendeva dal portello: qualcuno veniva. Deutsch spense la sigaretta, Goldner svegliò Sivadjan; tutti ci rimettemmo a raschiare vigorosamente la parete sonora di lamiera.
Non era il Vorarbeiter (1), era solo Jean, il Pikolo del nostro Kommando. Jean era uno studente alsaziano; benché avesse già ventiquattr’anni, era il più giovane Häftling (2) del Kommando Chimico. Era perciò toccata a lui la carica di Pikolo, vale a dire di fattorino-scritturale, addetto alla pulizia della baracca, alle consegne degli attrezzi, alla lavatura delle gamelle, alla contabilità delle ore di lavoro del Kommando.
Jean parlava correntemente francese e tedesco: appena si riconobbero le sue scarpe sul gradino più alto della scaletta, tutti smisero di raschiare:
- Also, Pikolo, was gibt es Neues? (3)
- Qu’est-ce qu’il y a comme soupe aujourd’hui? (4)
... di che umore era il Kapo? E la faccenda delle venticinque frustate a Stern? Che tempo faceva fuori? Aveva letto il giornale? Che odore c’era alla cucina civile? Che ora era?
Jean era molto benvoluto al Kommando. Bisogna sapere che la carica di Pikolo costituisce un gradino già assai elevato nella gerarchia delle Prominenze: il Pikolo (che di solito non ha più di diciassette anni) non lavora manualmente, ha mano libera sui fondi della marmitta del rancio e può stare tutto il giorno vicino alla stufa: «perciò» ha diritto a mezza razione supplementare, ed ha buone probabilità di divenire amico e confidente del Kapo, dal quale riceve ufficialmente gli abiti e le scarpe smesse. Ora, Jean era un Pikolo eccezionale. Era scaltro e fisicamente robusto, e insieme mite e amichevole: pur conducendo con tenacia e coraggio la sua segreta lotta individuale contro il campo e contro la morte, non trascurava di mantenere rapporti umani coi compagni meno privilegiati; d’altra parte, era stato tanto abile e perseverante da affermarsi nella fiducia di Alex, il Kapo.
Alex aveva mantenuto tutte le sue promesse. Si era dimostrato un bestione violento e infido, corazzato di solida e compatta ignoranza e stupidità, eccezion fatta per il suo fiuto e la sua tecnica di aguzzino esperto e consumato. Non perdeva occasione di proclamarsi fiero del suo sangue puro e del suo triangolo verde, e ostentava un altero disprezzo per i suoi chimici cenciosi e affamati: -Ihr Doktoren! Ihr Intelligenten! (5) - sghignazzava ogni giorno vedendoli accalcarsi colle gamelle tese alla distribuzione del rancio. Nei riguardi dei Meister (6) civili era estremamente arrendevole e servile, e con le SS manteneva vincoli di cordiale amicizia.
Era palesemente intimidito dal registro di Kommando e dal rapportino quotidiano delle prestazioni, e questa era stata la via che Pikolo aveva scelta per renderglisi necessario. Era stata un’opera lenta cauta e sottile, che l’intero Kommando aveva seguita per un mese a fiato sospeso; ma alla fine la difesa dell’istrice fu penetrata, e Pikolo confermato nella carica, con soddisfazione di tutti gli interessati.
Per quanto Jean non abusasse della sua posizione, già avevamo potuto constatare che una sua parola, detta nel tono giusto e al momento giusto, aveva grande potere; già più volte era valsa a salvare qualcuno di noi dalla frusta o dalla denunzia alle SS. Da una settimana eravamo amici: ci eravamo scoperti nella eccezionale occasione di un allarme aereo, ma poi, presi dal ritmo feroce del Lager, non avevamo potuto che salutarci di sfuggita, alle latrine, al lavatoio.

Appeso con una mano alla scala oscillante, mi indicò: - Aujourd’hui c’est Primo qui viendra avec moi chercher la soupe (7).
Fino al giorno prima era stato Stern, il transilvano strabico; ora questi era caduto in disgrazia per non so che storia di scope rubate in magazzino, e Pikolo era riuscito ad appoggiare la mia candidatura come aiuto nell’«Essenholen», nella corvée quotidiana del rancio.
Si arrampicò fuori, ed io lo seguii, sbattendo le ciglia nello splendore del giorno. Faceva tiepido fuori, il sole sollevava dalla terra grassa un leggero odore di vernice e di catrame che mi ricordava una qualche spiaggia estiva della mia infanzia. Pikolo mi diede una delle due stanghe, e ci incamminammo sotto un chiaro cielo di giugno.
Cominciavo a ringraziarlo, ma mi interruppe, non occorreva. Si vedevano i Carpazi coperti di neve. Respirai l’aria fresca, mi sentivo insolitamente leggero.
- Tu es fou de marcher si vite. On a le temps, tu sais (8) -. Il rancio si ritirava a un chilometro di distanza; bisognava poi ritornare con la marmitta di cinquanta chili infilata nelle stanghe. Era un lavoro abbastanza faticoso, però comportava una gradevole marcia di andata senza carico, e l’occasione sempre desiderabile di avvicinarsi alle cucine.
Rallentammo il passo. Pikolo era esperto, aveva scelto accortamente la via in modo che avremmo fatto un lungo giro, camminando almeno un’ora, senza destare sospetti. Parlavamo delle nostre case, di Strasburgo e di Torino, delle nostre letture, dei nostri studi. Delle nostre madri: come si somigliano tutte le madri! Anche sua madre lo rimproverava di non saper mai quanto denaro aveva in tasca; anche sua madre si sarebbe stupita se avesse potuto sapere che se l’era cavata, che giorno per giorno se la cavava.
Passò una SS in bicicletta. È Rudi, il Blockführer (9). Alt, sull’attenti, togliersi il berretto. - Sale brute, celui-là. Ein ganz gemeiner Hund – (10). Per lui è indifferente parlare francese o tedesco? È indifferente, può pensare in entrambe le lingue. È stato in Liguria un mese, gli piace l’Italia, vorrebbe imparare l’italiano. Io sarei contento di insegnargli l’italiano: non possiamo farlo? Possiamo. Anche subito, una cosa vale l’altra, l’importante è di non perdere tempo, di non sprecare quest’ora.
Passa Limentani, il romano, strascicando i piedi, con una gamella nascosta sotto la giacca. Pikolo sta attento, coglie qualche parola del nostro dialogo e la ripete ridendo: - Zup-pa, cam-po, ac-qua.
Passa Frenkel, la spia. Accelerare il passo, non si sa mai, quello fa il male per il male.

... Il canto di Ulisse. Chissà come e perché mi è venuto in mente: ma non abbiamo tempo di scegliere, quest’ora già non è più un’ora. Se Jean è intelligente capirà. Capirà: oggi mi sento da tanto.
... Chi è Dante. Che cosa è la Commedia. Quale sensazione curiosa di novità si prova, se si cerca di spiegare in breve che cosa è la Divina Commedia. Come è distribuito l’Inferno, cosa è il contrappasso. Virgilio è la Ragione, Beatrice è la Teologia.
Jean è attentissimo, ed io comincio, lento e accurato:

               Lo maggior corno della fiamma antica
               Cominciò a crollarsi mormorando,
               Pur come quella cui vento affatica.
               Indi, la cima in qua e in là menando
               Come fosse la lingua che parlasse
               Mise fuori la voce, e disse: Quando...

Qui mi fermo e cerco di tradurre. Disastroso: povero Dante e povero francese! Tuttavia l’esperienza pare prometta bene: Jean ammira la bizzarra similitudine della lingua, e mi suggerisce il termine appropriato per rendere «antica».
E dopo «Quando»? Il nulla. Un buco nella memoria «Prima che sì Enea la nominasse». Altro buco. Viene a galla qualche frammento non utilizzabile: «... la piéta Del vecchio padre, né’l debito amore Che doveva Penelope far lieta...» sarà poi esatto?

               ... Ma misi me per l’alto mare aperto.

Di questo sì, di questo sono sicuro, sono in grado di spiegare a Pikolo, di distinguere perché «misi me» non è «je me mis», è molto più forte e più audace, è un vincolo infranto, è scagliare se stessi al di là di una barriera, noi conosciamo bene questo impulso. L’alto mare aperto: Pikolo ha viaggiato per mare e sa cosa vuol dire, è quando l’orizzonte si chiude su se stesso, libero diritto e semplice, e non c’è ormai che odore di mare: dolci cose ferocemente lontane.
Siamo arrivati al Kraftwerk (11), dove lavora il Kommando dei posacavi. Ci dev’essere l’ingegner Levi. Eccolo, si vede solo la testa fuori della trincea. Mi fa un cenno colla mano, è un uomo in gamba, non l’ho mai visto giù di morale, non parla mai di mangiare.
«Mare aperto». «Mare aperto». So che rima con «diserto»: «... quella compagna Picciola, dalla qual non fui diserto», ma non rammento più se viene prima o dopo. E anche il viaggio, il temerario viaggio al di là delle colonne d’Ercole, che tristezza, sono costretto a raccontarlo in prosa: un sacrilegio. Non ho salvato che un verso, ma vale la pena di fermarcisi:

               ... Acciò che l’uom più oltre non si metta.

«Si metta»: dovevo venire in Lager per accorgermi che è la stessa espressione di prima, «e misi me». Ma non ne faccio parte a Jean, non sono sicuro che sia una osservazione importante. Quante altre cose ci sarebbero da dire, e il sole è già alto, mezzogiorno è vicino. Ho fretta, una fretta furibonda.
Ecco, attento Pikolo, apri gli orecchi e la mente, ho bisogno che tu capisca:

               Considerate la vostra semenza:
               Fatti non foste a viver come bruti,
               Ma per seguir virtute e conoscenza.

Come se anch’io lo sentissi per la prima volta: come uno squillo di tromba, come la voce di Dio. Per un momento, ho dimenticato chi sono e dove sono.
Pikolo mi prega di ripetere. Come è buono Pikolo, si è accorto che mi sta facendo del bene. O forse è qualcosa di più: forse, nonostante la traduzione scialba e il commento pedestre e frettoloso, ha ricevuto il messaggio, ha sentito che lo riguarda, che riguarda tutti gli uomini in travaglio, e noi in specie; e che riguarda noi due, che osiamo ragionare di queste cose con le stanghe della zuppa sulle spalle.

               Li miei compagni fec’io sì acuti...

... e mi sforzo, ma invano, di spiegare quante cose vuol dire questo «acuti». Qui ancora una lacuna, questa volta irreparabile. «... Lo lume era di sotto della luna» o qualcosa di simile; ma prima?... Nessuna idea, «keine Ahnung» come si dice qui. Che Pikolo mi scusi, ho dimenticato almeno quattro terzine.
- Ça ne fait rien, vas-y tout de même (12).

               ... Quando mi apparve una montagna, bruna
               Per la distanza, e parvemi alta tanto
               Che mai veduta non ne avevo alcuna.

Sì, sì, «alta tanto», non «molto alta», proposizione consecutiva. E le montagne, quando si vedono di lontano... le montagne... oh Pikolo, Pikolo, di’ qualcosa, parla, non lasciarmi pensare alle mie montagne, che comparivano nel bruno della sera quando tornavo in treno da Milano a Torino!
Basta, bisogna proseguire, queste sono cose che si pensano ma non si dicono. Pikolo attende e mi guarda.
Darei la zuppa di oggi per saper saldare «non ne avevo alcuna» col finale. Mi sforzo di ricostruire per mezzo delle rime, chiudo gli occhi, mi mordo le dita: ma non serve, il resto è silenzio. Mi danzano per il capo altri versi: «... la terra lagrimosa diede vento...» no, è un’altra cosa. È tardi, è tardi, siamo arrivati alla cucina, bisogna concludere:

               Tre volte il fe’ girar con tutte l’acque,
               Alla quarta levar la poppa in suso
               E la prora ire in giù, come altrui piacque...

Trattengo Pikolo, è assolutamente necessario e urgente che ascolti, che comprenda questo «come altrui piacque», prima che sia troppo tardi, domani lui o io possiamo essere morti, o non vederci mai più, devo dirgli, spiegargli del Medioevo, del così umano e necessario e pure inaspettato anacronismo, e altro ancora, qualcosa di gigantesco che io stesso ho visto ora soltanto, nell’intuizione di un attimo, forse il perché del nostro destino, del nostro essere oggi qui...
Siamo oramai nella fila per la zuppa, in mezzo alla folla sordida e sbrindellata dei porta-zuppa degli altri Kommandos. I nuovi giunti ci si accalcano alle spalle. Kraut und Rüben? (13) - Kraut und Rüben -. Si annunzia ufficialmente che oggi la zuppa è di cavoli e rape: Choux et navets. - Kaposzta és répak.

               Infin che ‘l mar fu sopra noi rinchiuso.

(1) Vorarbeiter = caposquadra.
(2) Häftling = detenuto.
(3) Also, Pikolo, was gibt es Neues? = Allora, Piccolo, che c’è di nuovo?
(4) Qu’est-ce qu’il y a comme soupe aujourd’hui? = Che c’è oggi come zuppa?
(5) Ihr Doktoren! Ihr Intelligenten! = Quei Dottori! Quegli Intellettuali!
(6) Meister = mastri.
(7) Aujourd’hui c’est Primo qui viendra avec moi chercher la soupe = Oggi è Primo che verrà con me a prendere la zuppa
(8) Tu es fou de marcher si vite. On a le temps, tu sais = Sei matto a camminare così rapido. C’è tempo, lo sai.
(9) Blockführer = capobaracca.
(10) Sale brute, celui-là. Ein ganz gemeiner Hund = Uno sporco bruto, quello. Un cane infame.
(11) Kraftwerk = centrale elettrica.
(12) Ça ne fait rien, vas-y tout de même = Non importa, va’ avanti lo stesso.
(13) Kraut und Rüben? = Crauti e Rape? (lo stesso significato di Choux et navets e Kaposzta és répak, in francese e ungherese)


Il campo di Auschwitz oggi





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