mercoledì 27 settembre 2017

112 Alla sera (di Ugo Foscolo)



Scritto nel 1803, questo sonetto venne collocato dal Foscolo come primo nell’edizione definitiva delle poesie. L’invocazione alla sera non è un tema nuovo nella tradizione letteraria, ma il Foscolo lo rende personale, sia con il riferimento alla propria contemporaneità (il “reo tempo”, cioè il secolo in cui vive), sia con il richiamo esplicito al materialismo (il “nulla eterno”) che faceva parte della formazione ideologica del poeta. È considerato il più bel sonetto foscoliano e uno dei maggiori della letteratura italiana, malgrado il tema doloroso della morte, vista però come il raggiungimento di una suprema pace spirituale.

Forse perché della fatal quïete
tu sei l’immago, a me sì cara vieni,
o Sera! E quando ti corteggian liete
le nubi estive e i zeffiri sereni,

e quando dal nevoso aere inquïete
tenebre e lunghe all’universo meni,
sempre scendi invocata, e le secrete
vie del mio cor söavemente tieni.

Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme

delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre io guardo la tua pace, dorme
quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.

PARAFRASI:

Forse perché tu sei l’immagine della quiete
fatale [la morte], a me vieni così cara,
o Sera! Sia quanto ti fanno lieto corteggio
le nubi estive e i zeffiri sereni,

sia quando dall’aria satura di neve porti
all’universo tenebre inquietanti e durature,
sempre scendi invocata, e le segrete
vie del mio cuore pervadi soavemente.

Mi fai vagare con i miei pensieri sulle orme
che conducono al nulla eterno; e intanto questo tempo
doloroso fugge, e con lui se ne vanno le schiere

delle angosce con le quali esso si consuma assieme a me;
e mentre io guardo la tua pace, dorme
quello spirito guerriero che mi ruggisce dentro.







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